Consiglio di Stato Sez. VII n. 7661 del 25 settembre 2024
Urbanistica.Provvedimenti sanzionatori edilizi

I provvedimenti sanzionatori edilizi, possono essere adottati anche senza il previo sopralluogo, che ha natura endoprocedimentale purché l’accertamento dell’abusività avvenga sulla base di una situazione di fatto per la quale l'interessato  abbia avuto la possibilità di apportare il proprio contributo partecipativo alla ricostruzione della situazione concreta. Né l’assenza di un’autonoma diffida, che preceda il provvedimento di ripristino, è idonea ad inficiare il provvedimento sanzionatorio atteso che l’attività dell’amministrazione è vincolata ed è preceduta da comunicazione di avvio del procedimento.

Pubblicato il 25/09/2024

N. 07761/2024REG.PROV.COLL.

N. 03218/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3218 del 2024, proposto da
-OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Giuliano Rizzardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

Comune di Idro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Salvadori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

nei confronti

Agenzia del Demanio, Agenzia del Demanio Direzione Regionale Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lombardia, non costituita in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Idro, dell’Agenzia del Demanio e dell’Agenzia del Demanio Direzione Regionale Lombardia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 settembre 2024 il Cons. Rosaria Maria Castorina;

Viste le conclusioni della parte appellante e del Comune appellato come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Gli originari ricorrenti sono proprietari di un complesso immobiliare costituito da una casa di abitazione e da un appezzamento di terreno ad essa pertinenziale che si affacciano in lato nord sul lago d’Idro ed in lato nord-est sul torrente Neco. Più precisamente, -OMISSIS- è proprietario del mappale n.5623, -OMISSIS- dei mappali n.5617 e n.5620. Entrambi sono comproprietari del mappale n.5619. Tali terreni sono fisicamente contigui ai mappali fg. 11, n. 3897 di 338 mq (incolto sterrato) e n. 6568 di 159 mq (reliquato stradale), intestati al Comune di Idro ed il n. 6567 di 1.435 mq (reliquato acque esenti), intestato al demanio pubblico. I mappali 3897, 6568 e 6567 costituivano, in un’epoca remota, parte dell’alveo del torrente Neco, prima del progressivo ritiro delle acque e dello spostamento del corso del torrente in direzione nord-est. Sul finire degli anni ’60 il torrente Neco è stato incanalato e sono state costruite sponde in muratura; in tal modo, i mappali 3897, 6568 e 6567 sono stati isolati dall’alveo del torrente.

I ricorrenti esponevano che il signor -OMISSIS-, loro dante causa nonché proprietario confinante con tali aree, attuali mappali 3897, 6568 e 6567, in coincidenza con l’emersione di dette superfici a metà del secolo scorso, aveva iniziato a goderne bonificandole e trasformandole in parte a prato e in parte a giardino pertinenziale del citato complesso immobiliare e che da allora, -OMISSIS- e i suoi successori aventi causa, attuali appellanti, avevano sempre esercitato su tale terreno il correlativo possesso in modo pubblico, pacifico ed ininterrotto tanto che avevano adito il Tribunale ordinario di Brescia, per chiedere che ne venisse accertata la proprietà in loro favore ex artt. 942 ss. C.C., nella versione antecedente alla riforma di cui alla legge n. 37 del 1994, oppure per intervenuta usucapione ventennale perfezionatasi prima del 1994.

In data 4 aprile 2022 il Comune resistente comunicava al sig. -OMISSIS- l’avvio del procedimento conseguente all’esecuzione di opere in assenza di provvedimento autorizzativo su proprietà comunale e demaniale e alla rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati (ex art. 192 D.lgs. 152/2006). Le opere contestate consistono nella realizzazione di una recinzione metallica, nell’infissione di pali, e nel deposito di oggetti vari, tra i quali una ringhiera. In data 6 maggio 2022 il Comune resistente emetteva ex artt. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001 e 192 del D.lgs. n. 152 del 2006 l’ordinanza n. 11-prot. 2314 con la quale intimava ai ricorrenti di rimuovere entro 7 gg la recinzione, i pali e gli oggetti vari e di ripristinare lo stato dei luoghi dei mappali 3897, 6568 e 6567. In data 13 luglio 2022, il Comune intimato adottava l’ordinanza n. 17, prot. 3612/2022, notificata ad entrambi i ricorrenti in data 15 luglio 2022, confermativa di quella precedente, con proroga del termine a provvedere alla rimozione e riduzione in pristino entro il I agosto 2022, pena l’avvio dell’intervento sostitutivo da parte delle P.A. con spese a loro carico.

Con l’originario ricorso i ricorrenti contestano la legittimità delle sopra richiamate ordinanze.

Il Tar adito, con la sentenza impugnata, respingeva il ricorso sul rilievo che la finalità principale dei provvedimenti impugnati era la repressione degli abusi edilizi e che tale accertamento che prescinde dall’assetto proprietario del suolo al quale accede l’opera stessa, soprattutto se essa si colloca, in un sito sottoposto a tutela paesaggistica, essendo il sito interessato dalla recinzione sottoposto a tutela paesaggistica ex D.lgs. 42/2004. Il Tar osservava che la recinzione era pacificamente collocata su suolo pubblico. In tale contesto, essa necessitava di specifico provvedimento di assenso preventivo alla realizzazione. La documentazione fotografica allegata, difatti, evidenziava l’idoneità della struttura ad alterare per sua natura lo stato dei luoghi, attraverso un impatto visibile e non neutrale sugli stessi. La circostanza esclude, in concreto, l’eventuale rilevanza dello jus excludendi alios.

Appellata ritualmente la sentenza resistono l’Agenzia del Demanio e il Comune di Idro.

All’udienza del 10 settembre 2024 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1.Con il primo motivo di ricorso gli appellanti deducono errore di giudizio e vizio di motivazione nel punto in cui sono stati ritenuti infondati i primi due motivi di ricorso (1. “Violazione di legge per mancata applicazione degli artt. 942 ss. C.C. ratione temporis vigenti ante riforma del 1994. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001 – eccesso di potere essendo l’ordinanza emanata sul falso presupposto che i beni fossero di proprietà pubblica” e 2. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 6 della Legge n. 241 del 1990 e art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, errato accertamento dei presupposti di fatto e di diritto e vizio di motivazione e manifesta contraddittorietà”).

Evidenziano che, per quanto mancasse il riconoscimento formale dell’acquisto della proprietà a loro favore, essendo pendente avanti il Tribunale di Brescia la relativa causa di accertamento, nondimeno al Giudice amministrativo competeva l’onere di accertare in via incidentale se sussistesse o meno il carattere della demanialità quale presupposto indefettibile per l’emanazione dell’ordinanza ex art. 35 D.P.R. n. 380 del 2001.

La censura non è fondata.

L'art. 35 prevede che, qualora sia accertata la realizzazione di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, "su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo".

In relazione all'accertamento della demanialità di un terreno ai sensi dell'art. 8 c.p.a "Il giudice amministrativo nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale", trattandosi non di dichiarare definitivamente la proprietà in capo a chi la rivendica ma solo di accertare, in via incidentale, un presupposto di fatto che condiziona la legittimità dell'atto impugnato. (Cons. Stato, Sez. VII, 19 aprile 2022, n. 2905; Sez. IV, 20 aprile 2023, n. 4012).

Risulta per tabulas che -OMISSIS- è proprietario del mappale 5623, -OMISSIS- dei mappali 5617 e 5620 ed entrambi sono comproprietari del mappale 5619. Tali terreni sono fisicamente contigui ai mappali fg. 11, n. 3897 di 338 mq (incolto sterrato) e n. 6568 di 159 mq (reliquato stradale), intestati al Comune di Idro e n. 6567 di 1.435 mq (reliquato acque esenti), intestato al demanio pubblico. I mappali 3897, 6568 e 6567 costituivano parte dell’alveo del torrente Neco, prima del progressivo ritiro delle acque e dello spostamento del corso del torrente in direzione nord-est.

Il giudizio per cui è causa è stato preceduto da due distinti ricorsi:

Con ricorso n.r.g. 990/2004 i sig.ri -OMISSIS- impugnavano la determina n.2188/2004 avente ad oggetto la richiesta di rimozione della recinzione che era precedentemente apposta sugli stessi luoghi che è stata rimossa d’ufficio dal Comune di Idro in data 4 giugno 2007 e successivamente reinstallata dagli appellanti (quest’ultima recinzione è oggetto dei provvedimenti impugnati nel presente giudizio).

Con ricorso n.r.g. 1130/2012, poi, gli stessi ricorrenti impugnavano “l'invito a provvedere alla rimozione della recinzione e di qualsiasi scritta contenente la dicitura "proprietà privata", nonché di ogni altro atto connesso”. Il secondo ricorso veniva dichiarato perento con decreto n.234/2018, mentre il primo veniva deciso con sentenza n.1495/2012.

Con la pronuncia il Giudice osservava: L’opera di delimitazione della proprietà dovrà, dunque, così come evidenziato nel provvedimento impugnato, essere rimossa, non perché incompatibile con le prescrizioni urbanistico-edilizie, quanto perché realizzata su terreno che deve presumersi di proprietà pubblica, almeno fino all’eventuale accertamento, in senso contrario, della titolarità della proprietà a seguito dell’esercizio dell’apposita azione di regolamento dei confini o di altra azione idonea ad accertare, avanti al giudice ordinario e/o al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, il legittimo proprietario dell’area in questione. Il potere di ordinare tale demolizione deriva, peraltro, direttamente dall’articolo 35 del d.lgs. 380/2001, il quale ne prescrive l’esercizio a fronte di interventi realizzati “in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici”. Tale disposizione, precisa, al comma 3 bis, che “Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3, eseguiti in assenza di denuncia di inizio attività, ovvero in totale o parziale difformità dalla stessa”.

Ed infatti per l'acquisto a titolo originario dei proprietari latistanti alle rive di un corso d'acqua sia ai sensi dell'art. 941 c.c. - c.d. alluvione propria, che consiste nell'incremento dei fondi posti lungo le rive dei fiumi con particelle di terra staccati lentamente e impercettibilmente dalla forza naturale dell'acqua da altri fondi - sia ai sensi dell'art. 942 c.c. - c.d. alluvione impropria, che consiste nell'abbandono lento da parte del fiume di una parte del terreno facente parte dell'alveo, ritirandosi da una delle rive ed incrementando l'altra - nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 37 del 1994 - la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che gli incrementi di superficie della proprietà rivierasca dovevano escludersi se effetto, ancorché lento, di attività antropica, in quanto, pur se a causa del lungo tempo trascorso fosse cessata la funzione pubblica di protezione delle aree golenali e di supporto e contenimento del fiume - ma non il rischio di aumento perciò della velocità dell'acqua e di impoverimento delle falde acquifere - nella vigenza degli artt. 941, 942 e 947 c.c., nell’originaria formulazione adottata dal codice del 1942, comunque era rimesso alla scelta del soggetto titolare del demanio idrico il potere di disporre la sdemanializzazione del terreno - che era stato, ma non era più appartenente all'alveo del fiume - per acquisirlo al patrimonio disponibile (art. 829 c.c.) (S.U. 4013/2016).

Nella specie, sulla base della stessa prospettazione degli appellanti, i mappali 3897, 6568 e 6567 sono stati isolati dall’alveo del torrente in quanto quest’ultimo è stato incanalato e sono state costruite sponde in muratura, sicché gli incrementi di superficie della proprietà rivierasca deriverebbero da attività antropica e non comporterebbero, quindi, l'acquisto a titolo originario dei proprietari latistanti le rive.

Secondo la consolidata giurisprudenza della corte di Cassazione la sdemanializzazione tacita non può desumersi dalla sola circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo a uso pubblico, ma è ravvisabile solo in presenza di atti e fatti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà della P.A. di sottrarre il bene medesimo a detta destinazione e di rinunciare definitivamente al suo ripristino, non potendo desumersi una volontà di rinuncia univoca e concludente da una situazione negativa di mera inerzia o tolleranza (Cass., sez. II, 9 aprile 2024, n. 9457; Cass., sez. II, 16 ottobre 2020, n. 22569; Cass., sez. II, 12 novembre 2019, n. 29228; Cass., sez. II, 11 marzo 2016, n. 4827; Cass., sez. un., 29 maggio 2014 n. 12062; Cass., sez. II, 3 giugno 2008, n. 14666; Cass., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17387; Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11101; Cass., sez. II, 3 maggio 1996, n. 4089).

La sdemanializzazione può dunque verificarsi anche senza l'adempimento delle formalità previste dalla legge, purché risulti da atti univoci, concludenti e positivi della P.A., incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico, ma per la prova dell'intenzione di far cessare tale destinazione è necessario che essi siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la P.A. abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo (Cass., sez. III, 23 maggio 2023, n. 14269; Cass., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17387), circostanza nella specie da

escludersi sulla base dei provvedimenti impugnati in questa sede e nei precedenti giudizi.

2. Con il secondo motivo di appello gli appellanti deducono violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 295 c.p.c. – Vizio di motivazione per contraddittorietà.

Censurano la sentenza nel punto in cui ha ritenuto non doversi applicare l’art. 295 c.p.c. e dunque sospendersi il giudizio pendente avanti il Giudice amministrativo in attesa che il Giudice ordinario, investito della controversia (causa civile n. 8242/2022 RG del Tribunale di Brescia), si pronunci sulla natura privata o demaniale del bene.

La censura non è fondata.

Gli appellanti, contraddittoriamente, da un lato censurano la sentenza perché non ha accertato la demanialità del bene in via incidentale e, dall’altro, per non avere disposto la sospensione del processo in attesa della pronuncia del Giudice ordinario su una controversia avente ad oggetto la medesima questione.

La sospensione necessaria prevista dall'art. 295 c.p.c. presuppone la sussistenza della "pregiudizialità tecnica", o "tecnico-giuridica", o "in senso stretto", di un giudizio rispetto ad un altro, che si verifica "qualora vengano in considerazione più rapporti giuridici uno dei quali (quello pregiudiziale) appartiene alla fattispecie dell'altro che da quello dipende (pregiudicato); in sostanza, l'oggetto della causa pregiudicata non può essere deciso - come sancisce la norma stessa - senza la necessaria e preventiva definizione, con efficacia di giudicato, della causa pregiudicante; in tal caso, l'accertamento di un diritto presuppone l'accertamento di un altro diritto” (Cass. civ., sez. un., 29 luglio 2021, n. 21763).

Nel caso di specie la questione pregiudiziale, ossia la natura demaniale o meno del bene che i ricorrenti deducono essere di loro proprietà, non costituisce "causa pregiudiziale", nel senso innanzi chiarito, cioè non è richiesta la "necessaria e preventiva definizione, con efficacia di giudicato, della

causa pregiudicante".

Va evidenziato che, pur venendo in rilievo l'impugnazione in prime cure di un'ordinanza emessa ex art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001, l'accertamento della demanialità dell'area con efficacia di giudicato non è profilo in sé decisivo ai fini della pronuncia sulla legittimità della stessa; come condivisibilmente messo in evidenza dal primo giudice, al momento della adozione della gravata ordinanza di demolizione, le opere ritenute abusive ricadevano su un sedime formalmente ascritto al demanio dello Stato, sicché il Comune era certamente tenuto, in tale frangente, nell'esercizio di un potere   vincolato, a ordinare il ripristino dello status quo ante ai sensi dell'art. 35 del T.U. dell'edilizia, difettando un titolo giuridico che comprovasse, per contro, l'intervenuta sdemanializzazione dell'area.

3.Con il terzo motivo di appello gli appellanti deducono errore di giudizio e vizio di motivazione per non avere il Tar accolto il terzo motivo del ricorso recitante: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 35 e 22 del D.P.R. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e vizio di motivazione”.

Lamentano che l’ordinanza è stata emanata sul falso presupposto che trattasi di c.d. “abuso edilizio maggiore” mentre la nuova recinzione, a differenza di quella sottesa all’ordinanza del 2004, è precaria e amovibile. Essa infatti sarebbe costituita da una mera rete elettrosaldata infissa al suolo senza opere murarie. Per caratteristiche tipologiche e costruttive, l’intervento realizzato rientra dunque nell’ambito applicativo dell’attività di edilizia libera.

Il motivo deve essere respinto.

Per quanto sopra esposto e come correttamente evidenziato dal Tar la recinzione è collocata su suolo pubblico. In tale contesto, essa necessitava di specifico provvedimento di assenso preventivo alla realizzazione.

4.Con il quarto motivo gli appellanti deducono errore di giudizio e omesso esame di rilevante circostanza di fatto in relazione al mancato accoglimento del quarto motivo del ricorso avente ad oggetto: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001 in relazione alla violazione della sequenza procedimentale prevista dalla citata disposizione”.

Con tale motivo di impugnazione si deduceva che l’articolo 35 cit. pone una ben precisa sequenza procedimentale costituita da previo sopralluogo, redazione del verbale di accertamento dell’intervento abusivo e adozione di diffida non rinnovabile, sequenza che nel caso di specie era stata completamente ignorata.

La censura deve essere disattesa.

Come correttamente evidenziato dal Tar i provvedimenti sanzionatori edilizi, possono essere adottati anche senza il previo sopralluogo, che ha natura endoprocedimentale purché l’accertamento dell’abusività avvenga sulla base di una situazione di fatto per la quale parte ricorrente abbia avuto la possibilità di apportare il proprio contributo partecipativo alla ricostruzione della situazione concreta. Nella fattispecie, la vicenda non solo era già nota da tempo per l’instaurazione di ben due giudizi, ma l’amministrazione comunale procedente, pur trattandosi di attività vincolata, ha comunicato l’avvio del procedimento con atto completo di tutti gli elementi utili all’allestimento delle più ampie garanzie partecipative. In tale situazione, il verbale di sopralluogo sarebbe risultato ultroneo e privo di utilità concreta.

Né l’assenza di un’autonoma diffida, che preceda il provvedimento di ripristino, è idonea ad inficiare il provvedimento sanzionatorio atteso che l’attività dell’amministrazione è vincolata ed è preceduta da comunicazione di avvio del procedimento.

5. Con il quinto motivo gli appellanti deducono errore di giudizio in relazione al mancato accoglimento del quinto motivo del ricorso recante titolo: “Violazione e/o falsa applicazione della normativa sulle acque pubbliche RD 11/12/1933 n. 1775 e sugli interventi in materia di polizia idraulica. Eccesso di potere essendo l’ordinanza emanata sul falso presupposto della sussistenza di un pericolo per l’incolumità di cose e persone e sulla necessità di accedere ai mappali per cui è causa per eseguire gli interventi di polizia idraulica”.

La censura deve essere disattesa.

In quanto atto dovuto, l’ordine di ripristino non necessita né di una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né di una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, di alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (sul punto – ex multis -: Ad. Plen. 8/2017).

6. Con il sesto motivo di appello i ricorrenti deducono errore in procedendo in relazione al sesto motivo del ricorso recante titolo: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183 e 192 del D. Lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere essendo l’ordinanza stata emanata sul falso presupposto che vi siano rifiuti da rimuovere”.

I ricorrenti hanno contestato che gli elementi costitutivi della recinzione fossero rifiuti. Nel corso del giudizio hanno dato però atto che la controversia sul punto dovesse ritenersi superata e venuta meno avendo essi ottemperato al decreto presidenziale del 22 luglio 2022 rimuovendo “l’elemento metallico appoggiato alla rete” nonché gli ulteriori residui di presunti rifiuti.

Il Tar ha osservato che la documentazione fotografica agli atti evidenziava degli oggetti metallici, posti in corrispondenza della recinzione. Nonostante parte ricorrenti li qualifichi come “parti integranti della recinzione e ne costituiscono pertanto gli elementi fondamentali di supporto”, essi sostanziano degli elementi ultronei rispetto alla struttura della recinzione, depositati nell’ambiente, con un’impropria funzione di protezione della proprietà “privata”.

Il Tar ha, inoltre, correttamente osservato che la qualificazione di «rifiuto» fornita dall’art. 183, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006 è basata sul connotato funzionale e non descrittivo degli elementi intrinseci dell’oggetto

7.Con il settimo motivo gli appellanti deducono errore di giudizio in relazione al mancato accoglimento del settimo motivo del ricorso recante: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 192 del D.lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 167 del D. Lgs. n. 42 del 2004. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica”.

Evidenziano come il Comune avesse strumentalmente esercitato poteri di polizia edilizia ed ambientale, in assenza dei relativi presupposti e con il solo scopo di entrare in possesso di beni erroneamente ritenuti di proprietà pubblica, mentre per perseguire tale finalità avrebbe dovuto esercitare poteri di autotutela esecutiva e/o possessoria.

Per altro profilo, si deduceva come la mancata applicazione dell’art. 167 del D.lgs. n. 42 del 2004 non avrebbe consentito ai Ricorrenti/Appellanti di richiedere la sanatoria paesaggistica di cui al comma 4.

Il motivo non è fondato

Il Tar ha osservato: il Collegio non ravvisa elementi di sviamento di potere, né parte ricorrente allega indici sintomatici idonei a dimostrare l’esistenza del suddetto vizio. L’assenza di titolo idoneo a legittimare il possesso o la detenzione dei mappali pubblici, da parte dei ricorrenti, esclude in radice la possibilità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica. Il richiamo ad essa nei provvedimenti impugnati, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, è dovuto ai fini di una completa descrizione dello stato di fatto e giuridico dei luoghi.

La situazione di fatto accertata è costituita dall’abuso edilizio e dall’abbandono di rifiuti.

I provvedimenti impugnati sono stati adottati sul presupposto della realizzazione di una recinzione su proprietà demaniale e comunale, sottoposta a tutela ex D.lgs. 42/2004, in assenza di titolo edilizio. Nella stessa occasione di esercizio del potere, si è provveduto altresì all’adozione di provvedimenti ex art. 192 comma 3 D.lgs. 152/2006, per il deposito di oggetti vari su suolo pubblico. Vi è, pertanto, conformità tra la situazione di fatto accertata, costituita dall’abuso edilizio e dall’ abbandono di rifiuti, e il potere esercitato.

8.Con l’ottavo motivo gli appellanti deducono errore di giudizio e vizio di motivazione per manifesta contraddittorietà in relazione al mancato accoglimento del nono motivo del ricorso recante: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990 in relazione alla mancata e/o vanificata partecipazione dei ricorrenti al procedimento amministrativo”. Sotto tale profilo si deduceva come il Comune non avesse comunicato l’avvio del procedimento alla Ricorrente/Appellante -OMISSIS- né avesse in alcun modo tenuto conto del loro contributo partecipativo, omettendo di esaminare l’istanza di riesame e di prendere parte al procedimento di mediazione.

La censura non è fondata.

A prescindere dal fatto che l’avvio del procedimento è stato comunicato al signor -OMISSIS-, comproprietario di una delle particelle con la signora -OMISSIS- e che entrambi hanno depositato all’amministrazione una istanza di riesame, costituisce giurisprudenza conforme quella in base alla quale l'ordine di demolizione di un abuso edilizio, essendo una conseguenza dell'accertamento dell'illegalità delle opere edilizie, rappresenta un atto obbligatorio e, pertanto, non richiede il preventivo avviso di cui all'art. 7 l. n. 241/1990. Il provvedimento di carattere sanzionatorio per la violazione delle norme urbanistiche è una misura dovuta che segue un procedimento vincolato, precisamente stabilito dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge, non necessitando quindi di alcuna comunicazione conforme all'art. 7 l. n. 241/1990. (da ultimo Cons. St. 5968/24).

Nessun obbligo ha, inoltre, l’amministrazione di avvalersi delle difese della parte privata, né di motivare sulle stesse, ove ritenute infondate.

L’appello deve essere, pertanto, respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese processuali in favore di entrambe le parti appellate che liquida in €2000,00 per ciascuno, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti private.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere, Estensore