Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2980, del 16 giugno 2015
Urbanistica.Sottotetto con destinazione urbanistica differente da quella assentita, legittimità irrogazione pecuniaria sull’intero volume

Indipendentemente dalla circostanza che i titoli edilizi rilasciati consentissero l’esecuzione di un sottotetto con un’altezza, dalla quota del pavimento all’imposta di falda, superiore a 60 cm, ciò che ai fini di causa ha carattere assorbente, è che i detti titoli non consentivano l’accesso al sottotetto dai piani sottostanti, come emerge incontrovertibilmente dal fatto che l’istanza di sanatoria aveva ad oggetto anche “la realizzazione di vani accessori ai sottostanti appartamenti, mediante utilizzo del sottotetto”. I lavori abusivamente realizzati hanno, dunque comportato, l’utilizzabilità, a fini residenziali, di un volume inutilizzabile secondo i titoli edilizi rilasciati. In altre parole, attraverso i lavori abusivamente eseguiti si è impressa a tutto il sottotetto una destinazione urbanistica differente da quella assentita. Il che giustifica il procedimento di calcolo della sanzione pecuniaria basato sull’integrale volume del sottotetto, atteso che, ai sensi dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, la sanzione va calcolata sulla “parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire” e quindi, nella specie, giusta quanto poc’anzi rilevato, su tutto il sottotetto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02980/2015REG.PROV.COLL.

N. 07764/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7764 del 2009, proposto da: 
Lavit s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Chiara Cacciavillani, presso il cui studio in Roma, via Tacito, n. 41, è elettivamente domciliata; 

contro

Comune di Cologna Veneta, rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Codini, Luca Sorpresa e Angela Palmisano, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Tevere, n. 46; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Veneto, Sezione II, n. 1355/2009, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cologna Veneta.

Viste le memorie difensive.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2015 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Federica Scafarelli, su delega dell'avvocato Chiara Cacciavillani e Angela Palmisano.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con sentenza 30/4/2009 n. 1355, il T.A.R. Veneto ha respinto il ricorso proposto dalla Lavit. s.r.l. contro l’ordinanza 29/12/2006 n. 117/2006, con la quale il Comune di Cologna Veneta, constatato che la ricorrente aveva edificato un fabbricato di altezza superiore a quella assentita e che la demolizione della parte abusiva non era possibile, senza pregiudizio per quella conforme ai titoli edilizi rilasciati, ha applicato la sanzione pecuniaria di cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001 n. 380, quantificando la somma dovuta in € 271.196,76.

Avverso il capo di sentenza concernente la quantificazione della sanzione ha proposto appello, la Lavit. S.r.l. chiedendone l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti.

1) La decisione del giudice di prime cure è erronea atteso che, ai sensi del citato art. 34, comma 2, quando l’abuso riguarda immobili ad uso residenziale e “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire”.

Il costo di produzione unitario, determinato ai sensi della legge da ultimo citata, va, poi, moltiplicato per la superficie convenzionale individuata ai sensi dell’art. 13 della medesima legge.

Nel caso di specie, poiché l’abuso (col conseguente incremento volumetrico) si è sostanziato unicamente in una maggior altezza del sottotetto, non vi è stato alcun aumento di superficie rispetto al progetto assentito. Cosicché, essendo pari a zero uno dei fattori del prodotto, non poteva che essere identico il risultato finale, con la conseguenza che nessuna sanzione poteva essere applicata.

Del resto, la ratio del D.P.R. 380/2001 è quella di sanzionare gli abusi che comportino incrementi di carico urbanistico e questi possono verificarsi solo nel caso in cui venga realizzata senza titolo una maggior superficie.

2) In via subordinata si deduce l’erroneità della sentenza per non aver annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha calcolato la sanzione con riferimento all’intero volume del sottotetto, anziché con riguardo alla sola porzione abusiva.

L’art. 22 delle NTA del PRG di Cologna Veneta consente, infatti, di non computare i volumi di sottotetto qualora essi siano coperti da falde inclinate con pendenza non superiore al 35 %, vi sia un dislivello dal pavimento del sottotetto all’imposta di falda non superiore a cm 60, non sia possibile accedere al sottotetto dai locali sottostanti e i vani siano destinati a servizi e disimpegni.

La citata norma prevede, poi, che ove non ricorra anche una sola delle suddette condizioni i sottotetti assumono rilevanza volumetrica.

Nel caso di specie, in base al progetto assentito, il sottotetto presentava un’altezza dal pavimento all’imposta di falda di cm 110, quindi non sussisteva una delle condizioni, di cui al menzionato art. 22, per considerarlo privo di rilevanza volumetrica.

La volumetria del sottotetto regolarmente assentita, non poteva, dunque, essere considerata ai fini del calcolo della sanzione.

Inoltre, quand’anche la volumetria realizzata avesse potuto essere considerata inutilizzabile per l’inaccessibilità del sottotetto dai locali sottostanti, ciò, comunque, sarebbe stato privo di rilevanza ai fini del calcolo della sanzione, dovendo questa essere parametrata unicamente al volume oggettivamente eccedente quello assentito dal titolo edilizio.

In definitiva, la sanzione, se correttamente calcolata, avrebbe dovuto essere di importo pari a € 34.408,26.

Per resistere all’appello si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata.

Con successive memorie le parti hanno ulteriormente argomentato e arricchito le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 12/5/2015 la causa, su richiesta delle parti, è stata posta in decisione.

DIRITTO

Conformemente a quanto eccepito dal comune resistente, il primo motivo di gravame va dichiarato inammissibile, stante il divieto di “nova” in appello, sancito dall’art. 104 del codice del processo amministrativo.

Ed invero, in primo grado, la ricorrente aveva lamentato, per quanto qui rileva (secondo motivo, lett. c), che “All’interno (del sottotetto) le altezze vanno da un minimo di 1,40 / 1,70 mt a livello d’imposta della falda del tetto ad un massimo nella parte centrale di mt 3,30 (all. sez. dimostrativa). La sua utilizzazione rimane come precedentemente quale accessorio (ripostigli, lavanderia e stenditoio) del resto in conformità ai progetti approvati. L’ufficio invece e in modo contradditorio, ritenendo la superficie del sottotetto utilizzabile sia pur come accessorio in forza della variante urbanistica di cui alla DOC n. 21/2006 assoggettava il sottotetto integralmente alla sanzione degli abusi non sanabili. Ma se anche l’aumento volumetrico derivato dalla sopraelevazione ha permesso l’utilizzazione del sottotetto, l’ordinanza tuttavia sanzionava l’intero volume, come se si fosse trattato di un abuso non sanabile. Il tutto in violazione della variante urbanistica di cui alla Doc. 21/2006 che invece riconosceva in via di sanatoria quel volume.

La variante riconosceva dunque il volume non computato urbanisticamente in sede di rilascio del permesso di costruire, e ne consentiva perciò la sua utilizzazione. Residuava il sopralzo tecnico di 0,77 cm secondo l’ordinanza, di cm 0,55 per la ricorrente, salva l’ulteriore riduzione ex L.R. 21/96, soggetta alla sanzione alternativa. Solo questa porzione al massimo è assoggettabile a sanzione, contrariamente a quanto sancito dall’ordinanza impugnata che va dunque annullata e intanto sospesa”.

In appello è stato, invece, dedotto che la sanzione pecuniaria avrebbe dovuto essere commisurata alla superficie realizzata in esubero rispetto a quella assentita. E poiché nel caso di specie l’abuso non ha comportato alcun incremento di superficie, essendosi sostanziato unicamente in una maggiore altezza, non avrebbe potuto essere applicata alcuna sanzione.

E’ evidente, quindi, la diversità di causa petendi.

Il secondo motivo non merita accoglimento.

Ed invero, indipendentemente dalla circostanza che i titoli edilizi rilasciati consentissero l’esecuzione di un sottotetto con un’altezza, dalla quota del pavimento all’imposta di falda, superiore a 60 cm., come sostiene l’appellante, ciò che ai fini di causa ha carattere assorbente, è che i detti titoli non consentivano l’accesso al sottotetto dai piani sottostanti, come emerge incontrovertibilmente dal fatto che l’istanza di sanatoria della Lavit, datata 20/7/2006, aveva ad oggetto anche “la realizzazione di vani accessori ai sottostanti appartamenti, mediante utilizzo del sottotetto”.

I lavori abusivamente realizzati hanno, dunque comportato, l’utilizzabilità, a fini residenziali, di un volume inutilizzabile secondo i titoli edilizi rilasciati. In altre parole, attraverso i lavori abusivamente eseguiti si è impressa a tutto il sottotetto una destinazione urbanistica differente da quella assentita.

Il che giustifica il procedimento di calcolo della sanzione pecuniaria basato sull’integrale volume del sottotetto, atteso che, ai sensi dell’art. 34, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, la sanzione va calcolata sulla “parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire” e quindi, nella specie, giusta quanto poc’anzi rilevato, su tutto il sottotetto.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Spese ed onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’intimata amministrazione, liquidandole forfettariamente in complessivi € 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)