Cass. Sez. III Sent. 1188 del 11 gennaio 2008 (Ud. 6 nov. 2007)
Pres. Lupo Est. Sarno Ric. Macculi ed altri
Rifiuti. Riutilizzo materiale proveniente da attività di costruzione

Anche in relazione al materiale proveniente dall\'attività di costruzione va ricordato che il riutilizzo non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal DM 5.2.98 posto che anche in relazione al DLgs 152-2006, i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l\'art. 183 lett. h) d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione In ogni caso il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire come sostanzialmente ribadito anche dall\'art. 186 d.lgs. n. 152-2006 (che espressamente richiede ora la redazione di un progetto che preveda l\'utilizzo delle summenzionate terre da sottoporre a VIA e approvato dall\'autorità amministrativa competente; oppure, ove la VIA non sia prevista la necessità del previo parere dell\'agenzia regionale per l\'ambiente) senza recare pregiudizio all\'ambiente.

Macculi Antonio, Prodi Maria Concetta e Bello Cosimo, imputati del reato di cui all’art. 110 cod. pen. e 51 commi 1 e 2 del D.L.vo n. 22/97 per avere, in concorso tra loro, il Macculi quale gestore e Bello Cosimo quale prestatore d’opera, gestito su area privata una discarica non autorizzata di rifiuti speciali e non e per avere smaltito senza alcuna autorizzazione parte dei citati rifiuti sotterrandoli in un terreno di Prodi Maria Concetta, - fatto accertato in Carovigno il 31 agosto 2004 - venivano condannati dal tribunale di Brindisi Sezione distaccata di Ostuni, limitatamente all’attività di smaltimento di rifiuti, con sentenza del 31 marzo 2006, alla pena di euro 5.000 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, con pena sospesa per tutti e non menzione della condanna per i soli Prodi e Bello.

La decisione di condanna era motivata dal rinvenimento di un ingente quantitativo di materiale proveniente da attività di costruzione oltre a rottami ferrosi, rifiuti plastici e pneumatici in una buca profonda tre metri scavata nel terreno della Prodi, così come confermato dalle dichiarazioni dei testi e documentato dal verbale di sequestro nonché dalle fotografie in atti.

In particolare il tribunale, in relazione alla natura ed al quantitativo del materiale rinvenuto, escludeva che lo stesso potesse essere utilizzato per un livellamento del terreno secondo la prospettazione fornita dai testi della difesa ed osservava anche che i materiali provenienti da attività di demolizione e ristrutturazione edilizia sono rifiuti speciali non pericolosi che possono essere utilizzati nello stesso o diverso ciclo produttivo solo previo preventivo test di cessione, in conformità al DM 5 febbraio 1998, in modo da non arrecare pregiudizio per l’ambiente e che nella specie non poteva trovare applicazione la legge n. 443/2001 che escludeva i materiali da scavo dalla nozione di rifiuto concernendo la disciplina citata unicamente la realizzazione delle grandi opere.

Tutti i predetti imputati venivano invece assolti limitatamente al reato di gestione di discarica non autorizzata perché il fatto non sussiste mancando la prova sia di una condotta di accumulo di rifiuti ripetuta nel tempo sia di una particolare situazione di degrado dell’area stessa.

Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i tre imputati i quali, con motivazioni pressoché analoghe, eccepiscono:

1) la violazione dell’art. 51 co. 1 lett. a) D.L.vo n. 22/97 rilevando che erroneamente il giudicante avrebbe ravvisato nella specie la necessità dell’autorizzazione atteso che l’art. 30 co. 4 del D.L.vo citato limita la necessità della stessa alle sole attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e che, in ogni caso, il materiale derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione non poteva essere qualificato rifiuto trattandosi di sottoprodotto riutilizzabile (e riutilizzato) da parte della stessa impresa.

Quanto alla presenza di rottami ferrosi, rifiuti plastici e pneumatici erroneamente il giudicante, secondo i ricorrenti, non aveva operato i necessari riscontri su quanto riferito dal teste escusso risultando prima facie dall’esame del materiale fotografico la modica quantità di essi, indice dell’occasionalità della condotta.

2) erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione e errata valutazione delle circostanze di fatto non essendo adeguatamente chiarite le ragioni della condanna nei confronti dei singoli ricorrenti.

 

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere pertanto rigettato.

In ordine al primo motivo osserva il Collegio che la definizione di rifiuto appare nella specie correttamente evocata dal tribunale.

Il materiale rinvenuto risulta infatti composto non solo da un ingente quantitativo di sostanze provenienti da attività di costruzione ma anche da rottami ferrosi, rifiuti plastici e pneumatici e, dunque, si tratta in ogni caso di inerti mescolati ad altri materiali che certamente sono da considerare autonomamente rifiuti.

Non è ovviamente possibile in questa sede valutare l’occasionalità della presenza dei materiali non provenienti dalle attività di demolizione trattandosi evidentemente di questione attinente a profili di merito insindacabili come tali in sede di legittimità.

Peraltro, anche in relazione al materiale proveniente dall’attività di costruzione va ricordato che il riutilizzo non può prescindere dalla preventiva attività di separazione richiesta dal DM 5 febbraio 1998 posto che, come affermato da questa Corte anche in relazione al D.Lgs. 152/2006, i materiali residuanti dalla attività di demolizione edilizia conservano la natura di rifiuti sino al completamento delle attività di separazione e cernita, in quanto la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica sino al completamento delle operazioni di recupero, tra le quali l’art. 183 lett. h) D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 indica la cernita o la selezione (Sez. 3, n. 33882 del 15 giugno 2006 Rv. 235114).

In ogni caso, inoltre, il riutilizzo nelle opere di riempimento deve avvenire come correttamente affermato nella motivazione della sentenza impugnata e come sostanzialmente ribadito anche dall’art. 186 D.L.vo n. 152/2006 (che espressamente richiede ora la redazione di un progetto che preveda l’utilizzo delle summenzionate terre da sottoporre a VIA e approvato dall’autorità amministrativa competente; oppure, ove la VIA non sia prevista la necessità del previo parere dell’agenzia regionale per l’ambiente) senza recare pregiudizio all’ambiente.

Il giudice di merito, richiamando Sez. 3, n. 30127 del 27 maggio 2004 Rv. 229467, sottolinea in proposito la mancanza nella specie dei test di cessione di cui al D.M. 5 febbraio 1998.

In altre decisioni la Corte ha invero affermato che per rendere operante l’esclusione dal regime dei rifiuti di cui all’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito con Legge 8 agosto 2002 n. 178, non è necessaria l’adozione dei test di cessione in conformità al D.M. 5 febbraio 1998, potendo la prova dell’assenza di pregiudizio per l’ambiente in caso di riutilizzazione da parte del detentore dei materiali provenienti da demolizione edilizia essere fornita con qualsiasi mezzo.

Ciò che qui rileva, tuttavia, è che comunque nessuna prova risulta fornita secondo la sentenza impugnata sulla mancanza di impatto sull’ambiente dell’attività di reinterro. Quanto alla necessità di autorizzazione, appare erroneo il richiamo dei ricorrenti all’art. 30 D.L.vo 22/97 che concerne le sole ipotesi di raccolta o di trasporto dei rifiuti, laddove, invece, la condotta contestata nella specie è quella diversa di smaltimento che, come tale, deve essere comunque autorizzata.

Anche il secondo motivo di ricorso appare infondato chiarendo la sentenza impugnata il ruolo e le ragioni della condanna in relazione alla posizione dei singoli ricorrenti.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.