Consiglio di Stato Sez.VI n. 2119 del 1 marzo 2023
Urbanistica.Valutazione degli abusi edilizi

La valutazione degli abusi edilizi richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. La suddetta valutazione unitaria è da escludersi solo laddove tra gli interventi realizzati, non sia configurabile alcun intrinseco e oggettivo collegamento funzionale. Conseguentemente non rileva che alcune opere, singolarmente considerate, possano essere eseguite mediante semplice SCIA.

Pubblicato il 01/03/2023

N. 02119/2023REG.PROV.COLL.

N. 02438/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2438 del 2018, proposto da
Carmine Manzo e Paolo Manzo, rappresentati e difesi dagli avvocati Ciro Manfredonia e Stanislao Manfredonia, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Carmine Vernillo, in Roma, via Anicio Gallo, n. 56;

contro

Comune di Pompei, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Emma Galiero, con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonio Messina, in Napoli, v.le A. Gramsci, n. 19;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Napoli (Sezione Terza) n. 04244/2017, resa tra le parti, concernente un’ordinanza di demolizione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pompei;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Alessandro Maggio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Comune di Pompei ha contestato ai sig.ri Carmine Manzo, Paolo Manzo e Michelangelo Manzo (verbale della Polizia Municipale 16/9/2016, n. 171/2016/ED), l’esecuzione, su un’area ubicata in zona agricola, soggetta a vincolo paesaggistico, dei sotto elencati interventi abusivi:

1) un “manufatto con struttura portante in ferro, chiusure in lamiera ondulata e copertura in lamiere grecate in alluminio zincato, adibito a box e a deposito di materiali vari, avente dimensioni in pianta di mt (10,00 x 5,00) e altezza di mt 6,00 circa”, oltre a “un massetto in cls avente dimensione in pianta 3,00 x 5,00 e altezza di cm 30 circa, occupato da contenitori per rifiuti e recintato da componenti in alluminio appoggiati mediante blocchi di cls direttamente sulla superficie di sosta…”;

2) “un generatore di energia elettrica, di dimensione in pianta di mt (1,30 x 4,00) e altezza di mt 1,60 circa, installato su un massetto in cls avente dimensione in pianta di mt (3,00 x 5,00) e altezza di cm 20 circa; detta superficie risulta essere chiusa su tre lati con una recinzione avente altezza di mt 1,80 circa, realizzata con elementi reticolati in ferro, mentre il quarto lato è chiuso dalla parete Nord di un manufatto…”;

3) “una tettoia addossata alla parte Sud del predetto manufatto … realizzata con struttura portante in elementi scatolari in ferro e copertura in lamiera grecata in alluminio zincato, avente dimensione in pianta di mt (2,00 x 4,00) e altezza media di mt. 2,00 circa; installazione al di sotto della predetta tettoia, di nr 2 (due) serbatoi appoggiati direttamente alla superficie dell’area di sosta mediante mattoni prefabbricati in cls, uno realizzato in alluminio della lunghezza di mt 2,00 e diametro di mt 1,80 e l’altro realizzato in materiale sintetico della lunghezza di mt 1,50 e diametro di mt 1,80 circa…”;

4) un “manufatto con struttura portante in elementi scatolari in ferro e chiusura e copertura con lamiera grecata in alluminio zincato, adibito a deposito per la legna, avente dimensioni in pianta di mt (4,50 x 3,00) e altezza di mt 2,90 circa…”;

5) “una tettoia, contigua al manufatto di cui al punto 3), con

struttura portante in elementi scatolari in ferro e chiusure e copertura in lamiera grecata in alluminio zincato, adibito a deposito di materiali vari, avente dimensioni in pianta di mt (6,00 x 2,50) e altezza di mt 2,90 circa…”;

6) l’“ampliamento di un manufatto esistente … adibito a custodia per cani, realizzato con struttura portante in ferro, installata su un massetto in cls alto circa cm 10, e chiusure in rete metallica e copertura in lamiera grecata in alluminio zincato, avente in pianta forma trapezoidale delle dimensioni di mt (7,50 x 2,50 x 5,00) e altezza media di mt 1,30…”;

7) una “recinzione realizzata lungo i tre lati di un’area coltivata avente quest’ultima dimensione in pianta di mt (3,00 x 16,50) costituita da una rete metallica ancorata a paletti in ferro alti mt. 1,30, installati lungo un muretto di altezza mt 0,50; la recinzione, avente complessivamente uno sviluppo lineare di mt 22,50 ed altezza di mt 1,80 circa…”;

8) una “recinzione realizzata lungo la direzione Ovest-est, all’interno dei confini dell’area di sosta, costituita da rete metallica ancorata a paletti in ferro alti mt. 1,80, installati lungo un muretto di altezza di mt. 1,00 circa; la recinzione presenta a metà del suo sviluppo lineare un accesso a due ante, con telaio e rete metallica, avente dimensioni di mt (2,00 x 2,20); … recinzione, avente complessivamente uno sviluppo lineare di mt 11,00 ed altezza di mt 2,80 circa …”;

9) il <<cambio di destinazione d’uso della superficie destinata ad area di sosta di pertinenza dell’attività commerciale destinata a ristorazione denominata “Ristorante Vesuvio”, mediante distribuzione di detriti di piccola granulometria, per un’estensione di mq 2.600 …>>.

Alla luce di quanto riscontrato, il medesimo comune ha adottato l’ordinanza 18/10/2018, n. 246, con la quale ha ingiunto ai sig.ri Manzo di demolire le opere abusivamente realizzate e di procedere al ripristino dello stato dei luoghi.

Ritenendo la citata ordinanza illegittima, i sig.ri Manzo l’hanno impugnata con ricorso al T.A.R. Campania - Napoli, il quale, con sentenza 5/9/2017, n. 4244, lo ha respinto.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri Carmine e Paolo Manzo.

Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di Pompei.

Con successiva memoria l’amministrazione appellata ha meglio argomentato le proprie tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 16/2/2023 la causa è passata in decisione.

Col primo motivo si lamenta che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che gli interventi eseguiti, in base all’art. 3 del regolamento edilizio comunale, dovessero essere valutati nel loro complesso, e non atomisticamente, che necessitassero di permesso di costruire e che, comunque, non potessero essere assentiti ricadendo in area soggetta a vincolo.

Difatti, l’art. 3 del regolamento comunale edilizio risulterebbe superato dall’art. 3, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, secondo cui le “le definizioni di al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi”, per cui molte delle opere sanzionate ricadrebbero nell’ambito degli interventi soggetti a SCIA ex art. 22 del medesimo D.P.R. n. 380/2001.

Per conseguenza il giudice di prime cure avrebbe dovuto valutare se ciascuna delle opere contestate fosse sanzionabile ai sensi dell’art. 31 del citato D.P.R. n. 380/2001.

In particolare, “la custodia per il cane, le recinzioni metalliche, la tettoia

coprente un impianto tecnologico, il generatore elettrico, i massetti di minima superficie per l’allocazione di impianto tecnologico e per ricovero rifiuti” costituirebbero opere di natura accessoria, prive di volumetria e come tali irrilevanti sotto il profilo urbanistico-edilizio e paesaggistico.

Peraltro, in base agli artt. 6 e 9 delle NTA del piano paesistico sarebbero consentiti, in qualunque zona, gli interventi edilizi minori, inoltre i punti 5 e 6 dell’art. 13 del medesimo piano ammetterebbero, nella zona RUA (ove ricade l’area interessata dagli interventi sanzionati), ampliamenti volumetrici degli edifici residenziali esistenti, a scopo di adeguamento

igienico-sanitario, nei limiti del venti per cento del volume residenziale originario.

Il giudice di prime cure non avrebbe, poi, tenuto presente che:

i) anche considerando le opere eseguite nella loro complessità, ciascuna di esse rimarrebbe soggetta al titolo edilizio per ognuna richiesto dalla legge e, quindi, per la maggior parte a SCIA.

ii) l’area su cui sorgono i manufatti abusivi sarebbe di circa 2600 mq, mentre la superficie degli stessi, non utile perché non destinata alla permanenza umana, non supererebbe i 100 mq, dai quali andrebbero sottratti circa 30 mq di opere già autonomamente demolite;

iii) l’area d’interesse costituirebbe pertinenza dell’immobile principale destinato ad attività turistico-ricettiva, per cui le opere in contestazione, eccetto la cuccia per il cane, sarebbero funzionali allo svolgimento dell’attività esercitata nell’immobile principale.

Col secondo motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nel ritenere irrilevante che il massetto di 15 mq, utilizzato per il posizionamento dei rifiuti, non fosse percepibile dall’esterno, avesse natura pertinenziale, non comportasse aumento di superficie utile e significativa trasformazione dello stato dei luoghi, non avesse modificato l’aspetto esteriore dell’edificio e dei luoghi e non avesse determinato incrementi volumetrici.

Al riguardo sarebbe significativo il parere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 13/9/2010, secondo cui “la percepibilità della

modificazione dell'aspetto esteriore del bene protetto costituisce un prerequisito di rilevanza paesaggistica del fatto”.

Col terzo motivo si critica l’appellata sentenza nella parte in cui ha respinto le censure rivolte contro le contestazioni comunali relative al generatore elettrico, ai serbatoi d’acqua col relativo motore e alla tettoia di copertura, rilevando che, nella specie, la presenza del massetto su cui poggia il generatore sarebbe da sola idonea a determinare una rilevante trasformazione urbanistica, per cui sarebbero stati necessari permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica e che, in ogni caso, non sarebbe stato dimostrato il rapporto di pertinenzialità con l’immobile principale.

Sennonché, l’organo giudicante non avrebbe tenuto presenti le norme di cui agli artt. 37 del regolamento edilizio e 3 delle NTA del vigente piano regolatore generale (PRG), che escluderebbero dalle superfici utili “i servizi tecnici del fabbricato” e non avrebbe considerato che tali superfici sarebbero irrilevanti anche ai fini paesaggistici.

Risulterebbe, inoltre, provato il rapporto di pertinenzialità delle opere in discussione con l’immobile principale destinato a ristorante.

Anche le valutazioni concernenti il massetto nonché la recinzione e la tettoia poste a protezione del generatore non sarebbero convincenti.

La recinzione avrebbe una mera funzione di protezione e di sicurezza, mentre il massetto avrebbe lo scopo di sorreggere il notevole peso del generatore.

Al riguardo si osserva che anche in base alla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 16/11/1977, n. 1918, le costruzioni realizzate allo scopo di proteggere determinati impianti non richiederebbero il preventivo rilascio del permesso di costruire.

Col quarto motivo si censura la gravata sentenza nella parte in cui ha respinto il motivo diretto a contestare la demolizione del manufatto destinato a ricovero per cani, sul presupposto che il relativo volume abbia “comportato un aumento della superficie fruibile ed in quanto tale necessitava del preventivo rilascio del permesso di costruire”.

Infatti, l’opera in questione non sarebbe soggetta al previo rilascio del detto titolo edilizio, in quanto inidonea ad assolvere una o più delle funzioni che, secondo il legislatore, incidono sugli standards urbanistici.

Col quinto motivo si denuncia l’errore commesso dal Tribunale nell’escludere l’illegittimità della gravata ordinanza nella parte in cui ha ingiunto la demolizione delle recinzioni poste all’interno della proprietà degli appellanti.

Secondo il giudice di prime cure, infatti, le dette opere non potrebbero essere considerate strutture precarie e facilmente amovibili e, inoltre, ai sensi dell’art. 3 del regolamento edilizio, la realizzazione di “muri di cinta,

cancellate, recinzioni prospicienti spazi di uso pubblico” sarebbe soggetta a preventiva autorizzazione.

Sennonché, diversamente da quanto affermato in sentenza, le recinzioni non prospetterebbero su spazi pubblici, per cui non sarebbe applicabile l’invocato art. 3 del regolamento edilizio.

Inoltre, nessuna delle due recinzioni sarebbe soggetta a preventivo rilascio del permesso di costruire.

Col sesto motivo si critica la gravata pronuncia per aver respinto il motivo con cui era stato dedotto che:

i) il parcheggio, di natura pertinenziale rispetto al fabbricato adibito a ristorante, sarebbe esistito sin dagli anni cinquanta, e, quindi, da epoca precedente al PRG, alla L. 27/2/1985, n. 47 e al D.P.R. n. 380/2001;

ii) lo stesso non sarebbe in contrasto con la disposizione di cui all’art. 23-ter del citato D.P.R. n. 380/2001;

iii) i piccoli detriti granulometrici presenti sul terreno fossero lì da epoca remota e che periodicamente si provvedesse, soltanto, a reintegrare quelli venuti a mancare.

La reiezione si basa, in primo luogo, sull’asserito difetto di prova in ordine all’epoca di realizzazione del parcheggio, ma il Tribunale non avrebbe considerato le difficoltà, in assenza di opera edilizie, di assolvere il detto onere probatorio, e peraltro, gli appellanti avrebbe depositato diversi documenti idonei a comprovare le proprie affermazioni.

Sempre in funzione probatoria i sig.ri Manzo depositano, per la prima volta in questo grado di giudizio, un ulteriore documento (verbale di sequestro della Polizia Municipale in data 16/12/1995), reperito successivamente al passaggio in giudicato della sentenza appellata.

Da tale atto si ricaverebbe: a) la risalenza nel tempo del parcheggio; b)

la sua pertinenzialità rispetto all’immobile adibito a ristorante; c) il fatto che di esso il Comune fosse già a conoscenza; d) l’assenza di contestazioni in ordine al medesimo.

Esistendo il parcheggio da epoca precedente all’entrata in vigore del PRG, non sussisterebbe il contrasto con la normativa richiama nell’atto repressivo impugnato.

Inoltre, il giudizio in merito alla rilevanza urbanistica del contestato

mutamento di destinazione d’uso non si fonderebbe su un’effettiva valutazione dell’incidenza del parcheggio sugli standards urbanistici.

Si deduce, infine, che la contestata destinazione d’uso, risalendo a epoca precedente alla L. 6/8/1967, n. 767 e non essendo variata nel tempo, non potrebbe essere considerata abusiva.

Con l’ultimo motivo i sig.ri Manzo censurano l’appellata sentenza nella parte in cui ha escluso che l’ordinanza di demolizione, quale atto vincolato, debba essere motivato sotto il profilo dell’interesse pubblico alla sua adozione.

Secondo l’organo giudicante, infatti, non sarebbero ravvisabili affidamenti tutelabili alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto.

L’errore consisterebbe nel non aver rilevato che l’affidamento era stato invocato con riguardo alle recinzioni e al parcheggio, interventi

di modesta entità, per i quali, all’epoca della loro realizzazione, non sarebbe stato necessario munirsi di titolo edilizio.

Le censure così sinteticamente riassunte, tutte infondate, si prestano a una trattazione congiunta.

In via preliminare va osservato che eventuali vizi della motivazione della sentenza restano assorbiti dall’effetto devolutivo dell’appello, che consente al giudice di secondo grado di correggere e integrare eventuali deficit o incongruità motivazionali della pronuncia gravata (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 26/1/2023, n. 1182; 3/11/2022, n. 9656; 23/11/2021, n. 7840; 3/11/2021, n. 7345).

Passando al merito delle questioni poste, occorre premettere che, con la gravata ordinanza n. 246/2016, l’amministrazione comunale ha constatato la realizzazione di numerosi illeciti e che, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, la valutazione degli abusi edilizi richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/10/2022, n.8848; 29/7/2022, n. 6681; 30/6/2020, n. 4170; 7/11/2019, n. 7601).

La suddetta valutazione unitaria è da escludersi solo laddove (ma non è questo il caso di specie) tra gli interventi realizzati, non sia configurabile alcun intrinseco e oggettivo collegamento funzionale (Cons. Stato, Sez. VI, 30/6/2020, n. 4170; 13/5/2020, n. 3036; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887).

Orbene, nella fattispecie, come emerge dall’impugnata ordinanza di demolizione, gli appellanti hanno eseguito, su un’area soggetta a vincolo paesaggistico, una molteplicità di opere, alcune delle quali recanti ingombro volumetrico, che, anche singolarmente considerate risulterebbero, per lo più, idonee a provocare cospicue trasformazioni dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo a un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica.

Tutto ciò rende irrilevante che alcune delle opere contestate, singolarmente considerate, potessero essere eseguite mediante semplice SCIA.

Alle considerazioni svolte, già di per sé sufficienti a escludere che l’avversato provvedimento ripristinatorio soffra dei dedotti vizi sostanziali, giova soggiungere che:

1) non è rilevante la predicata natura tecnica o pertinenziale di alcuni volumi, in quanto è atto a incidere sul bene paesaggistico qualunque intervento che comporti trasformazione del territorio (Cons. Stato, Sez. VI, 15/11/2021, n. 7584);

2) per pacifica giurisprudenza, l’onere di provare la risalenza nel tempo di un manufatto di cui l’amministrazione abbia contestato la liceità, incombe sul privato e nella fattispecie tale onere non risulta assolto, in quanto nessuno dei documenti prodotti dimostra quando il parcheggio oggetto di contestazione sia stato realizzato, in particolare, nessuno di essi prova che lo stesso avesse le caratteristiche riscontrate, ovvero, che sin dall’origine, si trattasse di una superficie di rilevantissime dimensioni (2600 mq) ricoperta di “detriti di piccola granulometria”, atteso che, se è consentito utilizzare un’area per parcheggio, rientrando ciò nello ius utendi et fruendi spettante al proprietario, è vietato, in assenza di apposito permesso di costruire, adibirla a tale scopo mediate un intervento, quale lo spargimento di ghiaia o materiali similari, idoneo a determinare una trasformazione del territorio (Cons. Stato, Sez. V, 11/11/2004, n. 7324), vieppiù in presenza di un vincolo paesaggistico.

L’appellata sentenza è esente dalle prospettate censure anche con riguardo ai capi con cui è stato escluso che l’ordinanza di demolizione soffrisse dei lamentati vizi formali.

Difatti, per pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide:

a) appurata l’abusività dei lavori, l’esercizio del potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, anche a distanza di lunghissimo tempo dalla loro realizzazione, non essendo la potestà soggetta a termini di decadenza o prescrizione, anche in considerazione del fatto che le violazioni edilizie hanno natura di illeciti permanenti (Cons. Stato, Sez. VI, 25/5/2022, n. 4171; 19/10/1995, n. 1162; Sez. II, 27/4/2020, n. 2670);

b) stante la descritta natura dell’avversato provvedimento demolitorio, non è configurabile nei suoi confronti, il lamentato di difetto di motivazione, atteso che il medesimo è, come nella fattispecie, sufficientemente motivato con l’individuazione delle opere contestate e delle ragioni della loro illiceità (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 13/1/2022, n. 251);

c) l’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive è sempre in re ipsa, per cui sul punto non occorre specifica motivazione, né è necessario comparare tale interesse con quello del privato alla conservazione della situazione di fatto illecita, non essendo al riguardo configurabili affidamenti tutelabili (Cons. Stato, A.P. 17/10/2017, n. 9, Sez. VI, 10/7/2020, n. 4425; 22/4/2020, n. 2557; 4/10/2019, n. 6720; 8/4/2019, n. 2292; 5/11/2018, n. 6233; 26/3/2018, n. 1893; 23/11/2017, n. 5472 e 5/1/2015, n. 13; Sez. II, 19/6/2019, n. 4184; Sez. IV, 11/12/2017, n. 5788).

L’appello va, pertanto, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata, liquidandole, forfettariamente, in complessivi € 3.000/00 (tremila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

Lorenzo Cordi', Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere