Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4957, del 3 ottobre 2014
Urbanistica.Dimostrazione epoca dell’abuso

La produzione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio non può assurgere al rango di prova, seppure presuntiva, sull'epoca di anteriore realizzazione dell'abuso edilizio-paesaggistico rispetto al vincolo apposto, in assenza di minimi riscontri documentali o di altri elementi di prova eventualmente anche indiziari ma concordanti. Pertanto, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., chi realizza interventi ritenuti abusivi, su immobili esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se intende evitare le misure repressive di legge, lo stato della preesistenza, posto che, in tali casi, solo il privato dispone, ed è normalmente in grado di esibire, la documentazione idonea al fine di fornire utili elementi di valutazione quali fotografie con data certa dell'immobile, estratti delle planimetri catastali, il progetto originario e i suoi allegati, e quant’altro di utile. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04957/2014REG.PROV.COLL.

N. 06749/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6749 del 2013, proposto da: 
Biagetti Livia e Leonardini Rossana Linda, rappresentate e difese dagli avv. Stefano Vinti, Paola Chirulli, Giuseppe Inglese e Federica Rabezzana, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia, n. 88;

contro

Comune di Genova, nella persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Paola Pessagno e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14/4a;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 01030/2013, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Genova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014 il Cons. Vito Carella e uditi per le parti gli avvocati Chirulli e Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

I.- Le odierne appellanti, rispettivamente usufruttuaria e nuda proprietaria nel comune di Genova di una villa residenziale con un vasto giardino terrazzato in zona paesaggistica (Sant’Ilario), hanno impugnato in primo grado l’ordinanza dirigenziale n. prot. 140993 del 4 maggio 2012, concernente la demolizione delle opere abusive eseguite nel tempo e consistenti nella realizzazione di tre passerelle e di un manufatto sul posto auto, in materiali incongrui sotto l’aspetto paesistico (tubi innocenti ed altri materiali eterogenei in legno, metallo e plastica), che si assumono preesistenti al vincolo paesistico apposto con il D.M. 4 luglio 1953 e risalenti a prima della guerra (anni ‘30-‘40).

Risulta dalla sentenza appellata che il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, ha respinto con compensazione delle spese i quattro motivi di ricorso introdotti dalle interessate, nei rilievi che la propria pregressa sentenza n. 1625 del 2011 aveva annullato la precedente ordinanza n. 302653 del 30 agosto 2010 nel presupposto della non sanzionabilità delle opere oggetto di demolizione sotto il profilo della rilevanza edilizia, senza tuttavia statuire sull’incidenza paesaggistica degli interventi stessi e sull’alterazione paesistica dello stato dei luoghi, non occorrendo pertanto alcuna ulteriore istruttoria nell’assenza di una istanza finalizzata alla compatibilità paesaggistica (art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004); che l’ordine di demolizione non comporti nessuna specifica motivazione circa l’interesse pubblico attuale alla rimozione degli interventi senza titolo e non sussista alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, anche se tollerata per inerzia dall’amministrazione comunale nel presupposto della loro precarietà in attesa della pulizia del giardino; che l’applicazione della alternativa sanzione pecuniaria consegua alla sanatoria ambientale ad istanza di parte; che, alla mancata prova in ordine all’anteriorità delle opere rispetto al momento di apposizione del vincolo, non si possa sopperire con dichiarazione di atto notorio carente di altri riscontri.

II.- Con l’appello in esame le attuali ricorrenti hanno criticato l’impugnata sentenza a mezzo di quattro doglianze, in sostanziale riproposizione deducendo l’errata interpretazione della sentenza del Tar Liguria n. 1625 del 2011 e del verbale ispettivo di data 27 aprile 2010 con riguardo alla reale censura sollevata dell’assenza del preliminare accertamento di una effettiva violazione paesaggistica e in relazione alla mancata dovuta istruttoria sulle asserite opere abusive, inserite nella fitta vegetazione e non visibili dall’esterno, con la conseguenza che le appellanti non sarebbero state messe nella condizione di verificare l’opportunità della presentazione dell’istanza di sanatoria; della quarta censura il Tar ne avrebbe limitata l’attenzione alle questioni dell’anteriorità degli abusi e dell’atto notorio, senza considerare gli altri elementi di riscontro e le modifiche allo stato dei luoghi intervenute dopo il primo provvedimento demolitorio (la già avvenuta eliminazione del pergolato metallico e l’articolato prospetto illustrativo documentante l’anteriorità della situazione di fatto delle passerelle e l’assenza di compromissione dei valori paesaggistici); la modestia delle opere, in ordine alle quali l’amministrazione comunale non ha svolto alcuna istruttoria, essendosi limitata a rieditare il provvedimento demolitorio senza altro presupposto diverso dal verbale ispettivo del 27 aprile 2010 della sentenza del Tar n. 1625 del 2011, erroneamente interpretata; le interessate possono chiedere la sanatoria solo allorchè sappiano di essere incorse in un abuso sulla scorta di un provvedimento congruamente motivato, nella specie carente perché privo di adeguata istruttoria e motivazione.

Il comune di Napoli, costituitosi in giudizio, con la memoria dell’11 ottobre 2013 ha eccepito come non possa essere invocata l'astratta sanabilità delle opere in esame ai sensi dell'art.167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004, essendo altrettanto pacifico che la sanabilità ambientale di alcuni abusi minori è subordinata alla presentazione di una richiesta in tal senso da parte della parte interessata, come appare chiaro dalla lettura del comma quinto dello stesso art.167; in assenza di un'istanza in tal senso, la civica amministrazione sia tenuta ad applicare la sanzione ripristinatoria oggetto di impugnazione, trattandosi di atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di questo ultimo con gli interessi privati.

III.-L’appellante ha replicato con la memoria conclusionale del 14 marzo 2014, nella quale sono state in sostanza ribadite le proprie tesi.

All’udienza del 15 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Sono materia di contendere opere edilizie minori senza titolo (talune passerelle e manufatti in tubi innocenti e materiali eterogenei), eseguite nel giardino della villa in zona paesaggistica di Sant’Ilario del comune di Genova, che la prospettazione assume realizzate in periodo anteriore al vincolo paesistico di cui al D.M. 4 luglio 1953 ed all’acquisto della villa da parte delle stesse appellanti.

Le questioni di causa ruotano intorno all’errata interpretazione, sia da parte dell’amministrazione comunale che dei giudici di prima istanza, della pregressa sentenza del Tar Liguria n. 1625 del 2011 e del verbale ispettivo di data 27 aprile 2010 in riferimento alla riedizione dell’ordine di demolizione censurato, il quale sarebbe carente di istruttoria e di motivazione circa la effettiva violazione paesaggistica in quanto opere preesistenti, modeste, inserite nella fitta vegetazione e non visibili dall’esterno.

L’appello è infondato e la sentenza merita conferma con le motivazioni di seguito illustrate.

2.- In linea preliminare merita rilevare che il pregresso ordine di demolizione n. 302653 del 30 agosto 2010, che richiama la relazione ispettiva n. 147614 del 27 aprile 2010, era motivato in base alla considerazione che “le opere realizzate sono configurabili quali opere soggette a permesso di costruire e che le stesse integrano un intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 15, comma 1, della L.R. n. 16/08…prevedendo unicamente la sanzione ripristinatoria…altresì …vista la sussistenza del vincolo paesaggistico succitato…comunque prevalente rispetto all’affidamento al mantenimento della situazione di fatto ingeneratosi in capo al proprietario”.

La precedente sentenza del Tar Liguria n. 1625 del 2011 ha al riguardo statuito che le realizzazioni “non integrano l’adombrata natura di costruzioni edili che necessitano del permesso di costruire per il loro mantenimento; l’istruttoria ha permesso di acquisire documenti, da cui si ricava che già in altra occasione (nel 2001) la p.a. aveva scrutinato i manufatti per cui è lite, giungendo a dichiararli irrilevanti dal punto di vista urbanistico; sembra allora che la p.a. si sia mossa nella prospettiva dell’incongruità delle realizzazioni dal punto di vista paesistico, ed abbia cercato poi di individuare dei profili di contrasto con la normativa edilizia, spiegando per conseguenza detto potere; la natura e la consistenza dei beni per cui è lite escludono tuttavia la possibilità di aderire alla linea di condotta desumibile dall’atto impugnato, che va pertanto annullato, in accoglimento dei motivi esaminati… nei limiti di cui in motivazione”.

In fatto, alla stregua del predetto giudicato, si può allora concludere che i primi giudici si sono pronunciati relativamente all’inquadramento comunale della fattispecie sotto l’aspetto della rilevanza edilizia dell’abuso, senza minimamente affrontare i temi dell’incidenza paesaggistica e dell’anteriorità delle opere realizzate al decreto di vincolo, che costituiscono quindi oggetto legittimo del rieditato provvedimento di demolizione dal punto di vista paesaggistico in esame.

3.- In punto di diritto va invece osservato come l’autorizzazione paesistica, la quale è preordinata a garantire un armonioso sviluppo della zona protetta che si vuole tutelare per la particolarità ed unicità della sua bellezza, costituisca atto autonomo e presupposto del permesso di costruire, i cui lavori è onere della parte provare nella loro legittimità sulla base di precisi e persuasivi indizi.

La giurisprudenza di questo Consiglio è concorde nell’affermare che la produzione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio non può assurgere al rango di prova, seppure presuntiva, sull'epoca di anteriore realizzazione dell'abuso edilizio-paesaggistico rispetto al vincolo apposto, in assenza di minimi riscontri documentali o di altri elementi di prova eventualmente anche indiziari ma concordanti (Cons. St., sez. VI, 5 agosto 2013, 4075; Sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703; Sez. V, 6 giugno 2001, n. 3067).

Pertanto, in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c., chi realizza interventi ritenuti abusivi, su immobili esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se intende evitare le misure repressive di legge, lo stato della preesistenza, posto che, in tali casi, solo il privato dispone, ed è normalmente in grado di esibire, la documentazione idonea al fine di fornire utili elementi di valutazione quali fotografie con data certa dell'immobile, estratti delle planimetri catastali, il progetto originario e i suoi allegati, e quant’altro di utile.

Di conseguenza, va ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento che, a fronte di un abuso edilizio-paesaggistico, ne ordina la demolizione con richiamo al verbale di sopralluogo dei tecnici comunali dato che, com'è noto, il provvedimento sanzionatorio in materia edilizia ha natura del tutto vincolata giacché è conseguente ad un accertamento tecnico della consistenza delle opere abusive realizzate.

Infatti, il verbale redatto e sottoscritto dagli agenti e dai tecnici del comune a seguito di sopralluogo, attestante l'esistenza di manufatti abusivi, costituisce atto pubblico, fidefaciente fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 c.c., delle circostanze di fatto in esse accertate, sia relativamente allo stato di fatto e sia rispetto allo status quo ante.

Ciò comporta che in questa sede, tanto l’atto impugnato in primo grado quanto la sentenza criticata, si configurino esenti dalle censure mosse, in particolare da quelle di difetto di istruttoria e di motivazione perché, nella mancanza di allegazioni idonee a smentire i presupposti di fatto dell'ordinanza e in assenza della querela di falso, erroneamente le ricorrenti pretendono, con inammissibile inversione dell'onere della prova, che sia l'Amministrazione a provare giudizialmente i fatti posti a base della sua azione.

4.- Infine, le appellanti lamentano l’omesso preventivo accertamento della compatibilità paesaggistica e l’assenza di una valutazione dell’interesse pubblico specifico alla rimozione dei modesti ed eterogenei interventi di specie.

Sul punto, in via assorbente e dirimente, vale subito precisare che l’invocata sanatoria paesaggistica implica la preliminare dichiarazione di illegittimità del titolo originario, altrimenti la (postuma) compatibilità paesaggistica non può essere assentita, in difetto di tale logico suo presupposto che rileva ai fini normativi e procedimentali, e nell’assenza dell’apposita istanza di parte in tal senso.

Inoltre, relativamente all’addotta mancata valutazione dell’interesse pubblico specifico alla rimozione delle opere in questione, va solo notato che l’accertamento della realizzazione di lavori senza titolo in zona paesaggistica determina l’obbligo per l'autorità comunale di ripristino dell’interesse pubblico paesaggistico violato (costituzionalmente protetto dall’art. 9 quale valore prioritario e assoluto) sotto l’aspetto della legittimità dell'intervento edilizio eseguito rispetto ai valori paesaggistici compendiati nel vincolo.

Infatti, a termini dell’art. 149 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, anche per i lavori c.d. minori è prescritta l’autorizzazione paesaggistica se “alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici”; d’altronde, come traspare dalle relative difese, l’amministrazione comunale non nega la sanabilità ambientale ove le interessate presentino istanza in tal senso.

Sotto i predetti aspetti è pertanto anche adombrabile difetto d’interesse all’impugnazione dell’ordine di demolizione in esame, spettando alle appellanti adeguarsi o meno e non pretendere di conservare il giardino nella situazione di fatto attuale che, come da documentazione fotografica, impatta sul paesaggio da recuperare, anche per la tipologia e la consistenza dei materiali utilizzati.

5.- Le considerazioni che precedono hanno illustrato con ampiezza come il comune abbia correttamente operato nella specifica vicenda, senza eccedere e senza alcun travisamento dei fatti sottesi, ragione per la quale può ritenersi che i profili principali di infondatezza riscontrati siano sufficienti a sorreggere il rigetto dell’appello in esame.

Invero, il principio di sinteticità che deve permeare la redazione degli atti del giudice (art. 3 codice del processo amministrativo), al pari di quelli delle parti, non implica la necessità di una motivazione che, in modo meccanico e pedissequo, assuma partitamente a riferimento ogni singolo profilo argomentativo della parte.

L’appello deve essere dunque respinto siccome infondato e la sentenza va confermata per le argomentazioni innanzi sviluppate.

Attesa la particolarità della vicenda di causa, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti anche nell’odierno grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto (ricorso numero: 6749 del 2013), respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata come da motivazione.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Vito Carella, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Carlo Mosca, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)