Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5453, del 18 novembre 2013
Urbanistica.Illegittimità norma PGT che introduce il divieto assoluto di edificazione in area agricola

È illegittima la norma del PGT “Destinazione di area agricola di tutela”, che introduce il divieto assoluto di edificazione in area agricola, in quanto non appare logico o coerente con le finalità legislative di sviluppo dell'impresa agricola. E’ illegittimità la previsione (art. 12.4) delle norme di attuazione comunali nella parte in cui contiene una disciplina della attività agricola che impone limiti volumetrici alle attrezzature ed alle infrastrutture produttive previste dalla norma, essendo previsto in modo imperativo, in senso contrario proprio il divieto di una previsione che inserisca tali interventi tra quelli da limitare (comma 4 dell’art. 59). (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05453/2013REG.PROV.COLL.

N. 02185/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2185 del 2010, proposto da: 
Comune di Besana in Brianza, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Colombo, con domicilio eletto presso Associati Srl Studio Grez E in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18;

contro

Azienda Agricola Sala Ornella, rappresentato e difeso dall'avv. Serafino Generoso, con domicilio eletto presso Maurizio Cucciola in Roma, corso Vittorio Emanuele II 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 00003/2010, resa tra le parti, concernente APPROVAZIONE DEFINITIVA P.G.T. DESTINAZIONE DI AREA AGRICOLA DI TUTELA.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Agricola Sala Ornella;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Serafino Generoso e Vittorio Chierroni (su delega di Claudio Colombo);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, l’Azienda Agricola Sala Ornella agiva lamentando l’inserimento di terreni di sua proprietà da parte degli strumenti urbanistici comunali tra le “Aree agricole di tutela”; pertanto chiedeva l’annullamento della delibera che aveva disposto tale inserimento, della definitiva approvazione (delibere del Consiglio Comunale di Besana in Brianza n.45 e n.46 del 2008) comprensiva della reiezione delle osservazioni, nonché del diniego del rilascio del permesso di costruire di cui alla pratica edilizia n.32 del 2008, motivato per contrasto con la normativa urbanistica vigente al momento della conclusione del procedimento relativo.

Venivano dedotti i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Il primo giudice in via preliminare respingeva l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune resistente, per mancata notifica ed evocazione in giudizio dell’ente approvante, Provincia di Milano, sulla base del c.d. principio di autoapprovazione in materia urbanistica introdotto dalla legislazione regionale.

Nel merito, il primo giudice così provvedeva: 1) rigettava il motivo relativo alla illogicità della scelta di inserire tali aree in Aree agricole di tutela; 2) rigettava il motivo con il quale si lamentava lesione dell’affidamento qualificato, non potendosi ritenere tale quello concretato dall’atto favorevole di un Ente diverso dal Comune quale l’Ente Parco, che aveva espresso un parere positivo; rigettava altresì il motivo sull’asserito difetto di motivazione in ordine alle osservazioni dei privati, che non sono altro che un apporto collaborativo; 3) rigettava anche il terzo motivo, attinente alle modalità di aggiornamento della cartografia, che ha funzione meramente ricognitiva e quindi non è tale da comportare una profonda modificazione dei criteri posti a base del piano stesso, escludendo quindi la necessità di una nuova pubblicazione.

Venivano invece accolti perché ritenuti fondati altri tre motivi di censura riguardanti: 1) la illegittimità della previsione di limitazione soltanto a favore dell’imprenditore agricolo già insediato sul posto con strutture stabili, vanificando la possibile conduzione di fondi agricoli, in modo contrastante con le previsioni della legge regionale, che stabilisce vincoli tassativi sullo statuto dell’imprenditore agricolo, che non possono essere ampliati; 2) la illegittimità dell’art. 12.4 delle n.d.a. comunali nella parte in cui contengono una disciplina dell’attività agricola che impone limiti volumetrici alle attrezzature e alle infrastrutture produttive previste dalla norma; 3) la illegittimità della previsione della distanza non superiore a metri 30 dagli edifici esistenti, perché eccessivamente limitativa.

Venivano assorbiti gli altri motivi di censura proposti (motivi settimo e ottavo) mentre veniva rigettata per mancanza di prova del danno sofferto la domanda risarcitoria.

Avverso tale sentenza propone appello il Comune di Besana di Brianza, affidandosi ai seguenti motivi: 1) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ravvisato la inammissibilità del ricorso originario per mancato coinvolgimento della Provincia quale Ente competente alla approvazione, ai sensi della legge regionale in materia; 2) legittimità della previsione sulle distanze ritenuta illegittima dal primo giudice (12.4) in considerazione della ratio della disposizione, che vuole impedire interventi sparsi e non ordinati sul territorio agricolo; 3) si contesta la conclusione del primo giudice sulla limitazione dell’attività agricola, rientrando tali poteri nella potestà pianificatoria comunale (come ammesso dallo stesso Tar nella sentenza 4749 del 2009) sui presupposti soggettivi ed oggettivi dell’attività agricola e lo stesso vale per l’affermata illegittimità dei limiti volumetrici e di rispetto delle distanze.

Avverso la stessa sentenza ha proposto appello incidentale l’Azienda Agricola Sala Ornella deducendo innanzitutto la fondatezza dei motivi di ricorso non accolti in primo grado, sulla legittimità della scelta discrezionale attribuibile all’amministrazione in sede di pianificazione, sulla lesione dell’affidamento (perché esistevano provvedimenti favorevoli dell’Ente Parco), sul difetto di istruttoria, sul difetto di motivazione sulle osservazioni, sulla esigenza che le modifiche apportate con retinatura dovessero comportare le conseguenze tipiche delle modifiche; con altro motivo di appello si contesta la pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria, chiedendosi una pronuncia almeno in via equitativa; l’appellante incidentale deduce in ordine alla infondatezza dei motivi dedotti dall’appello principale (da pagina 28 in poi dell’appello) e sulle deduzioni di inammissibilità sollevate dal Comune (perché i motivi accolti in primo grado atterrebbero ad aspetti non decisivi ai fini del diniego sulla richiesta di permesso di costruire); infine (da pagina 46 in poi dell’appello incidentale) ripropone i motivi dichiarati assorbiti, riguardanti la contraddittorietà tra previsioni e obiettivi del documento di piano e norme del piano delle regole e violazione della DGR N.VIII/1681 del 29 dicembre 2005, della legge regionale 12 del 2005, dell’art. 11 delle NTA di PTC del Parco Regionale della Valle del Lambro, della relazione generale al PTCP della Provincia di Milano, eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta, illegittimità derivata del diniego di permesso di costruire e violazione dell’art. 10 bis della l.n.241 del 1990.

Con atti successivamente depositati il Comune appellante ha fatto presente che era stato instaurato un procedimento teso a definire bonariamente il contenzioso attraverso un successivo rilascio del permesso di costruire, con rinuncia della impresa agricola agli effetti della sentenza di prime cure; tuttavia, anche tale procedimento aveva avuto esito negativo a causa del perdurante inserimento dell’area in questione nell’ambito boscato, che costituiva motivo di preclusione all’ottenimento del provvedimento favorevole.

L’appellante incidentale fa presente come lo stesso Comune aveva in modo formale ritenuto che non era emersa alcuna controindicazione sotto il profilo paesaggistico ed ambientale rispetto alla richiesta dell’opera in questione (trattasi di magazzino di 200 mq compreso il porticato del valore di circa 29 mila euro, come da polizze fideiussorie); produceva nota del Parco Regionale della Valle del Lambro, attestante conferma della validità della prima autorizzazione paesaggistica, con attestazione che dal corretto esame della cartografia l’area in questione non era da considerarsi bosco.

Con ordinanza cautelate del 9 aprile 2010 questa sezione ha disposto la sospensione della esecutività della sentenza di primo grado.

L’appellante incidentale, nella memoria in vista della udienza pubblica e nella memoria di replica eccepisce la tardività, per mancanza di indispensabilità, della produzione di documenti effettuata dal Comune in data 18 luglio 2013, che riguarderebbero mancanza di uniformità di vedute tra lo stesso Comune, la Regione e il Parco in merito alla correttezza della inclusione tra gli “Ambiti boscati”.

Alla udienza di discussione dell’8 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Prima di tutto va affrontata la questione relativa alla produzione documentale effettuata in data 8 luglio 2013 da parte del Comune appellante, che riguarda successivi provvedimenti e procedimenti tra le stesse parti.

Al riguardo la controparte ha eccepito la inammissibilità per mancanza del requisito della indispensabilità, ai sensi dell’articolo 104 secondo comma del cpa.

Il Comune di Besana in Brianza, al contrario, deduce come tali atti si siano formati successivamente al presente giudizio e durante il secondo grado, per cui era impossibile depositarli prima, perché non ancora esistenti.

Il Collegio osserva come tali documenti riguardino un preavviso di rigetto dello stesso Comune datato 30 novembre 2011, per contrarietà con gli strumenti urbanistici; verbale della conferenza di servizi del 27 ottobre 2011; nota della Regione del 26 ottobre 2011; nota del Parco Valle Lambro del 27 ottobre 2011; nota della Provincia di Monza Brianza; autorizzazione paesaggistica del Parco Valle Lambro.

Tali documenti rappresentano atti relativi ad un nuovo procedimento, che, logicamente, in caso di esito positivo finale, avrebbe potuto determinare una carenza di interesse sopravvenuta per la parte privata; d’altra parte, anche la posizione assunta dagli enti pubblici deve essere valutata dal Giudicante, al fine di valutare la modifica o la conferma rispetto alle determinazioni in precedenza assunte.

Pertanto, in definitiva, va ammessa la produzione documentale, che, in realtà, trae origine da un tentativo delle parti, seppure non riuscito, di superare le contrapposizioni che avevano generato il contenzioso.

2.Va ora esaminato il motivo di appello proposto dal Comune con cui si deduce la erroneità della pronuncia di prime cure, laddove non ha dichiarato la inammissibilità del ricorso per mancata evocazione in giudizio della Provincia, che costituisce l’ente deputato alla approvazione degli strumenti urbanistici.

Il primo giudice ha affermato il principio secondo cui a seguito della entrata in vigore della legge regionale 11 marzo 2005 n.12, la pianificazione urbanistica non si svolge più attraverso atti complessi ma consiste in un procedimento concentrato nell’ambito del solo Comune; ai sensi dell’art. 13 comma 1 l.r.n.12 del 2005, gli atti di P.G.T. sono adottati e approvati dal Consiglio Comunale.

Secondo la tesi di parte appellante, il parere di compatibilità espresso dalla Provincia ai sensi dell’art. 13 comma 7 legge regionale su citata, deve intendersi come vincolante e tale ente deve intendersi come autorità coemanante, che quindi doveva essere evocata in giudizio.

Sotto tale profilo, il motivo è infondato e va confermata la pronuncia di primo grado.

L’articolo 13 della legge regionale n.12 del 2005 prevede al comma 1 quanto segue con riguardo alla “Approvazione degli atti costituenti il piano di governo del territorio”: <<Gli atti di PGT sono adottati ed approvati dal consiglio comunale>>.

La norma conferma il superamento, già realizzato con la l.r.n.1 del 2000, della natura del piano urbanistico generale come atto complesso ad imputazione congiunta comunale e regionale, che trovava fondamento nell’art. 10 l.n.1150 del 1942.

La l.r.n.1 del 2000, infatti, all’art. 3 comma 13, aveva stabilito che sono trasferite ai Comuni le funzioni relative alla approvazione degli strumenti urbanistici comunali generali ed attuativi e relative varianti, prevedendo al comma 20 la semplice trasmissione del piano regolatore generale approvato, per conoscenza, alla Provincia e alla Giunta Regionale e tale disposizione è stata confermata dall’art. 13 comma 10 della l.r.n.12 del 2005.

Anche le successive disposizioni del medesimo articolo confermano la nuova impostazione.

Il comma 5 dell’art. 13 su menzionato, confermando la impostazione già introdotta dalla legge regionale previgente (n.1 del 2000) stabilisce che “Il documento di piano, il piano dei servizi e il piano delle regole, contemporaneamente al deposito, sono trasmessi alla provincia se dotata di piano territoriale di coordinamento vigente. La provincia, garantendo il confronto con il comune interessato, valuta esclusivamente la compatibilità del documento di piano con il proprio piano territoriale di coordinamento entro centoventi giorni dal ricevimento della relativa documentazione, decorsi inutilmente i quali la valutazione si intende espressa favorevolmente”. Il comma prosegue nel senso che solo “qualora il comune abbia presentato anche proposta di modifica o integrazione degli atti di pianificazione provinciale, le determinazioni in merito sono assunte con deliberazione di giunta provinciale”.

Il principio della esigenza della mera trasmissione a Provincia e Regione, salve le ipotesi diverse previste dalla normativa, era stabilito anche dal comma 10 dell’art. 13 (oggi sostituito dall' articolo 14 della L.R. n. 4 del 13 marzo 2012, che confermava quanto previsto già dalla legge regionale n. 1 del 2000).

3. Con gli altri due motivi di appello il Comune deduce la erroneità della sentenza nei punti in cui ha ritenuto illegittime le previsioni che prevedevano: la possibilità di costruire solo all’imprenditore agricolo già insediato sul posto con strutture stabili; la imposizione di limiti di distanze (nel senso che si può costruire solo non oltre una certa distanza da costruzioni già esistenti); la imposizione di limiti volumetrici alle attrezzature e alle infrastrutture produttive previste dalla normativa.

Il primo giudice ha al riguardo statuito la illegittimità di tali previsioni restrittive, in quanto la legge regionale n.12 del 2005 agli articoli 59 e seguenti prevede già uno statuto dell’imprenditore agricolo, sicchè la limitazione soggettiva è ultronea rispetto alla legge regionale e anche la delimitazione di tipo volumetrico ivi prevista deve ritenersi in contrasto con i vincoli tassativi della legge regionale, limitata al solo rapporto di copertura.

Il Comune appellante sostiene la logicità delle previsioni, che hanno la finalità di evitare interventi sparsi e disordinati sul territorio agricolo, sostenendo che la delimitazione soggettiva richiamata rientra nella potestà pianificatoria comunale.

L’articolo 59 della legge regionale su citata prevede quanto segue sugli interventi ammissibili:

“1.Nelle aree destinate all'agricoltura dal piano delle regole sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dall'articolo 60.

2. La costruzione di nuovi edifici residenziali di cui al comma 1 è ammessa qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente.

3. I relativi indici di densità fondiaria per le abitazioni dell'imprenditore agricolo non possono superare i seguenti limiti:

a) 0,06 metri cubi per metro quadrato su terreni a coltura orto-floro-vivaistica specializzata;

b) 0,01 metri cubi per metro quadrato, per un massimo di cinquecento metri cubi per azienda, su terreni a bosco, a coltivazione industriale del legno, a pascolo o a pratopascolo permanente;

c) 0,03 metri cubi per metro quadrato sugli altri terreni agricoli.

4. Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma I, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici; esse comunque non possono superare il rapporto di copertura del 10 per cento dell'intera superficie aziendale, salvo che per le aziende orto-floro-vivaistiche per le quali tale rapporto non può superare il 20 per cento e per le serre per le quali tale rapporto non può superare il 40 per cento della predetta superficie; le tipologie costruttive devono essere congruenti al paesaggio rurale.

4 bis. Per le aziende esistenti alla data di prima approvazione del PGT, i parametri di cui ai commi 3 e 4 sono incrementati del 20 per cento.

5. Al fIne di tale computo è ammessa l'utilizzazione di tutti gli appezzamenti, anche non contigui, componenti l'azienda, compresi quelli esistenti su terreni di comuni contermini.

6. Su tutte le aree computate ai fini edificatori è istituito un vincolo di non edificazione debitamente trascritto presso i registri immobiliari, modificabile in relazione alla variazione della normativa urbanistica.

7. I limiti di cui al comma 4 non si applicano nel caso di opere richieste per l'adeguamento a normative sopravvenute che non comportino aumento della capacità produttiva.

7 bis. Gli edifici ricadenti nelle aree destinate all'agricoltura, dei quali sia prevista la demolizione ai fini della realizzazione di infrastrutture per la mobilità di rilevanza nazionale e regionale, possono essere ricostruiti anche in deroga alle previsioni del presente articolo, nonché dello strumento di pianificazione comunale, previo accertamento della loro effettiva funzionalità”.

L’interprete deve osservare che la legislazione regionale sull'edificazione nelle aree agricole (artt. da 59 a 62, l. rg. n. 12 del 2005, che ricalcano l'abrogata l. rg. n. 93 del 1980), é ispirata da una duplice finalità: da una parte la preservazione delle aree agricole e dei valori che le stesse rappresentano nell'economia e nella società lombarda, dall'altra la salvaguardia e lo sviluppo delle imprese agricole, per un concreto sostegno di tale settore economico.

Le norme legislative di cui sopra sono immediatamente prevalenti sulle contrastanti disposizioni del PGT (così espressamente, l'art. 61, l. rg. n. 12 del 2005), sicchè la giurisprudenza ha da tempo stabilito che eventuali divieti assoluti di edificazione nelle aree agricole richiedono una specifica e particolare motivazione, in quanto le stesse ledono la legittima aspettativa dell'imprenditore agricolo allo sviluppo della propria attività.

È quindi illegittima la norma del PGT che introduce il divieto assoluto di edificazione, in quanto non appare logico o coerente con le finalità legislative di sviluppo dell'impresa agricola.

La potestà pianificatoria comunale preesiste alla disciplina legislativa e concorre con quella (e con la potestà pianificatoria provinciale) a dettare la disciplina delle aree agricole, così come confermato dall'art. 10 comma 4, lett. a), l. reg. n. 12 del 2005, che attribuisce al Piano delle Regole il compito di dettare, per le aree destinate all'agricoltura la disciplina d'uso, di valorizzazione e di salvaguardia, in conformità con quanto previsto dal titolo terzo della parte seconda (art. 59 e ss., l. reg. n. 12 del 2005).

Tale potere comunale quindi non è senza limiti, in particolare quando disciplina l'attività agricola come produzione.

Infatti, la legge regionale stabilisce alcuni vincoli tassativi che costituiscono elemento imprescindibile dello statuto delle aree agricole e come tali non possono essere derogati.

Alla stregua di tali affermazioni di principio, debbono essere confermate, in quanto infondati i motivi di appello che le contrastano, le statuizioni del primo giudice laddove ha ritenuto illegittima la previsione di consentire la costruzione soltanto all’imprenditore agricolo già insediato sul posto con strutture stabili, in quanto prevede requisiti soggettivi ultronei rispetto a quelli, già stringenti, stabiliti dalla legge regionale.

Deve confermarsi, ritenendo immune dalle censure di appello la statuizione del primo giudice al riguardo, anche la valutazione di illegittimità della previsione (art. 12.4) delle norme di attuazione comunali nella parte in cui contiene una disciplina della attività agricola che impone limiti volumetrici alle attrezzature ed alle infrastrutture produttive previste dalla norma, essendo previsto in modo imperativo, in senso contrario proprio il divieto di una previsione che inserisca tali interventi tra quelli da limitare (si veda il comma 4 dell’art. 59: “Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma I, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici”).

Il primo giudice ha anche ritenuto illegittima la previsione che prevede la distanza massima di edificazione di metri 30 dagli edifici esistenti, ritenendola impossibile da realizzare, come condizione di non riduzione degli indici e al contempo come condizione per svolgere qualsiasi attività agricola.

Il Comune sostiene al riguardo la logicità della scelta, in quanto in via generale è ammessa la realizzazione di nuove costruzioni, con riduzione dell’indice al 50% rispettando la distanza massima di metri 30 dagli edifici esistenti; è possibile evitare il dimezzamento dell’indice edificatorio provvedendo alla sistemazione boschiva; non corrisponderebbe al vero la valutazione di impossibilità di rispettare tale previsione, in quanto chi rispetta la distanza di metri 30 e assicura la sistemazione boschiva con le previste modalità evita la riduzione degli indici.

Questo Giudicante osserva che, al di là della valutazione di impossibilità piuttosto che di estrema difficoltà o sconvenienza a rispettare tali previsioni, il punto centrale è – avendo l’appellante incidentale riproposto e ribadito tutti i motivi di censura originari – la legittimità di tali previsioni ulteriormente limitative in presenza di previsioni stabilite a livello regionale che già da sole sono riduttive e compressive dell’attività agricola e per ciò già ritenute giustamente tassative nella loro delimitazione dell’attività edificatoria in zona agricola, che quindi difficilmente può accettare nuove, diverse e maggiori compressioni.

4. Vanno rigettati i motivi proposti con l’appello principale.

In generale, non merita accoglimento la generica censura che vorrebbe negare la discrezionalità in generale delle scelte di piano del Comune, già stigmatizzate nelle previsioni più delimitative dalle sopra esposte considerazioni.

Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità, sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico- discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (tra tante, Consiglio di Stato sez. IV 16 novembre 2011, n. 6049); in sostanza le uniche evenienze, che richiedono una più incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali, sono date dal superamento degli standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con riferimento alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; dalla lesione dell'affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.

Nella specie, quindi le scelte, laddove non ritenute illegittime per altri motivi nei loro contenuti, rientrano in generale nella capacità discrezionale del Comune.

Sotto il profilo della lesione dell’affidamento in sede di pianificazione urbanistica - come si è visto delimitato per esempio alla lesione dell'affidamento qualificato del privato, derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di concessioni edilizie - nessuna valenza può derivare da una autorizzazione rilasciata a titolo precario da un ente diverso (l’Ente Parco) da quello (il Comune di Besana in Brianza) nei cui confronti si invoca l’affidamento e sulla base di una disciplina di piano diversa da quella applicata dal Comune con gli atti contestati.

Va respinto anche l’altro motivo di appello incidentale di difetto di istruttoria e motivazione nei confronti delle osservazioni, dovendosi ritenere per giurisprudenza costante che le osservazioni hanno natura collaborativa e non costituiscono un rimedio in senso proprio che possa limitare il potere del Comune di apportare le modifiche ritenute necessarie al piano adottato, senza necessità di specifica motivazione con riferimento a tutte le richieste del privato (da ultimo, tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, 24 maggio 2013, n. 2836, secondo cui le osservazioni formulate dai proprietari interessati costituiscono un mero apporto collaborativo alla formazione degli strumenti urbanistici e non danno luogo a peculiari aspettative, con la conseguenza che il loro rigetto non richiede una dettagliata motivazione , essendo sufficiente che siano state esaminate e ragionevolmente ritenute in contrasto con gli interessi e le considerazioni generali poste a base della formazione del piano regolatore o della sua variante).

Va respinto anche l’altro motivo di appello incidentale, dovendosi ritenere che le modifiche e gli aggiornamenti della cartografia di piano abbiano una valenza e funzione meramente ricognitiva, non potendosi quindi essi ritenere alla stregua di modifiche del piano tali da comportare una profonda modificazione dei criteri posti a base del piano stesso, con necessità di una nuova pubblicazione e conseguente raccolta di nuove osservazioni.

5. Va anche rigettato il motivo di appello incidentale riproposto a pagina 27 e 28 dell’appello.

Il motivo si fonda in sostanza sulla possibilità, anche per il giudice amministrativo, di liquidare i danni in via equitativa.

Al riguardo va però osservato che in generale (tra tante, Consiglio Stato sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2435) non può riconoscersi il diritto al risarcimento del danno sulla base di sole generiche asserzioni, in quanto l'azione risarcitoria non è soggetta alla regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, bensì al principio dell' onere della prova (art. 2697 c.c. e 115 c.p.c.) in quanto inerente a processo avente ad oggetto diritti (risarcitori).

Invero, trattandosi di giudizio che verte principalmente sull'esistenza delle condizioni perché un danno possa ritenersi ingiusto, occorre innanzitutto la prova della sua esistenza e del suo ammontare, consistente nella verifica positiva degli specifici requisiti e, in particolare, nell'accertamento di una effettiva lesione alla propria posizione giuridica soggettiva tutelata ovvero la violazione della norma giuridica che attribuisce la protezione a tale interesse. Soltanto una volta comprovato il danno, sarebbe possibile, nella determinazione quantitativa, definirlo e liquidarlo in via equitativa.

Il giudizio di equità (art. 1226 codice civile, richiamato dall’art. 2056) sopperisce alla impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno, ma presuppone la prova da parte del danneggiato dell’evento dannoso, che nella specie difetta.

6. Questo Collegio giudicante può quindi esimersi dall’esaminare i motivi dichiarati assorbiti dal primo giudice, riguardanti la contraddittorietà tra previsioni e obiettivi del documento di piano e norme del piano delle regole e violazione della DGR N.VIII/1681 del 29 dicembre 2005, della legge regionale 12 del 2005, dell’art. 11 delle NTA di PTC del Parco Regionale della Valle del Lambro, della relazione generale al PTCP della Provincia di Milano, eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta, illegittimità derivata del diniego di permesso di costruire e violazione dell’art. 10 bis della l.n.241 del 1990.

7. Sulla base delle sopra esposte considerazioni, vanno respinti sia l’appello principale che quello incidentale, con conferma dell’appellata sentenza.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge sia l’appello principale che quello incidentale, con conferma dell’appellata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)