TAR Piemonte Sez. II n. 339 del 20 aprile 2023
Urbanistica.Deposito di materiale inerte
Un deposito di materiali inerti determina una rilevante trasformazione del territorio quando compèorta la sensibile alterazione dell’originario piano di campagna e una notevole quantità di inerti ivi accumulati, che assume carattere di stabilità e durata permanente. La mera circostanza che i materiali in questione possano essere rimossi, invero, non è sufficiente per riconoscere al predetto deposito natura meramente transitoria, perché tale condizione ricorre solo laddove l’opera abbia, sin dall’inizio, una funzione limitata nel tempo e, comunque, si presti ad un uso non protratto oltre 180 giorni, secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 1, lett. e bis) del D.P.R. n. 380/2001 in tema di attività edilizia libera. Né tantomeno può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 6, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, che assoggetta al regime dell’attività edilizia libera “i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali”, mancando, evidentemente, il necessario rapporto di pertinenza richiesto dalla legge. Da ciò deriva l'applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.) del D.P.R. n. 380/2001, che qualifica come nuova costruzione – richiedendo dunque apposito titolo edilizio – “la realizzazione di depositi di merci o di materiali (…) ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”.
Pubblicato il 20/04/2023
N. 00339/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00079/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 79 del 2019, proposto da
Fondamenta Costruzioni Generali S.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Massimo Giavazzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Malesco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Andreis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via Pietro Palmieri, n. 40;
nei confronti
Dario Mattiuzzo e Sant'Anna S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Giorgio Orsoni e Pier Marco Rosa Salva, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
dell'ordinanza di “rimozione e ripristino dello stato dei luoghi” n. 23 del 22/6/2018, notificata alla curatela fallimentare il 25/6/2018.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Malesco, di Sant’Anna S.r.l. e di Dario Mattiuzzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 la dott.ssa Valentina Caccamo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il presente ricorso, la società Fondamenta Costruzioni Generali s.r.l. in liquidazione (di seguito solo “Fondamenta Costruzioni Generali”) ha impugnato l’ordinanza n. 23 del 22.06.2018, con cui il Comune di Malesco ha disposto a suo carico, unitamente agli odierni controinteressati, l’immediata sospensione dei lavori e la rimozione ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 di materiale proveniente dall’escavazione di alcuni fondi, in parte comunali e in parte di proprietà privata, identificati al catasto terreni rispettivamente al foglio 7, particelle 838-384 e foglio 7, particella 321.
2. In particolare, tale materiale sarebbe stato depositato non solo senza il consenso dei proprietari interessati, ma anche in assenza di autorizzazione su area a destinazione agricola, interessata dal vincolo paesaggistico ex art. art. 142, lett. c) del D.Lgs. n. 42/2004 e dal vincolo idrogeologico ai sensi della L.R. del Piemonte n. 45/1989, nonché ricadente nella fascia di rispetto dei corsi d’acqua di cui al R.D. n. 523/1904.
3. A sostegno del gravame, vengono dedotte censure di eccesso di potere per perplessità dell’azione amministrativa, violazione del combinato disposto degli artt. 3, 10 e 31 del D.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 per incompetenza del responsabile del servizio all’emanazione dell’atto, nonché insussistenza di profili di responsabilità del curatore fallimentare.
4. Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso il Comune di Malesco, nonché Sant’Anna Costruzioni s.r.l. (di seguito solo “Sant’Anna Costruzioni”) e l’ingegnere Dario Mattiuzzo in qualità di controinteressati.
5. Le parti hanno depositato scritti difensivi e documenti in vista dell’udienza dell’8.03.2022 fissata per la trattazione nel merito del ricorso, nel corso della quale la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Prima di scrutinare nel merito le doglianze articolate dalla ricorrente, occorre sinteticamente ricostruire la vicenda per cui è causa.
6.1. Sant’Anna Costruzioni è stata autorizzata dalla Provincia del Verbano Cusio Ossola alla realizzazione di un impianto idroelettrico sul territorio dei Comuni di Falmenta, Gurro e Cavaglio Spoccia, che include la costruzione di una galleria di derivazione della lunghezza di oltre 2 km.
6.2. Nell’ambito di detti lavori, la società ha affidato a Eva Energia Valsabbia S.p.A. la realizzazione dell’impianto, comprendente lo svolgimento dei servizi di ingegneria, approvvigionamento dei materiali e costruzione dell’opera, incluse le attività di escavazione e gestione del materiale di risulta degli scavi. Quest’ultima società, a sua volta, ha affidato a Fondamenta Costruzioni Generali e a Melezzo Calcestruzzi S.r.l. l’esecuzione dello scavo e la realizzazione della galleria di derivazione, nonché la gestione e l’utilizzo del materiale proveniente da tali attività.
6.3. Con rapporto amministrativo del 06.04.2018, i Carabinieri Forestali hanno comunicato al Comune di Malesco la presenza di un’ingente quantità di materiale da scavo in prossimità del sito di stoccaggio e deposito di Melezzo Calcestruzzi S.r.l., accumulato in parte su terreni comunali e in parte su fondi di proprietà privata, in assenza, oltre che del consenso dei titolari, delle necessarie autorizzazioni edilizie, paesaggistiche e idrogeologiche, trattandosi di aree agricole sottoposte a vincolo ex D.Lgs. n. 42/2004 e L.R. del Piemonte n. 45/1989.
6.4. L’amministrazione ha quindi inviato alla ricorrente e agli odierni controinteressati la comunicazione di avvio del procedimento prot. 1863/2018 per violazione di norme in materia urbanistica, edilizia e paesaggistica.
6.5. All’esito del contraddittorio endoprocedimentale, il Comune di Malesco ha emesso il provvedimento impugnato, già gravato dinanzi a questo Tribunale con ricorso n. r.g. 865/2018, definito con la sentenza n. 661/2022 che ha riconosciuto la legittimità dell’ordine di rimessione in pristino diretto a Sant’Anna Costruzioni s.r.l. e all’ingegnere Dario Mattiuzzo.
7. Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate in ricorso, si impongono due precisazioni di ordine preliminare.
7.1. In primo luogo, occorre immediatamente evidenziare come la succitata pronuncia n. 661/2022 non abbia effetti sull’odierno giudizio, in considerazione dell’autonomia della situazione sostanziale dell’odierna ricorrente e della specifica posizione della curatela fallimentare rispetto agli obblighi di rimessione in pristino imposti dal provvedimento impugnato, con conseguente piena cognizione di questo giudice sulla res litigiosa.
7.2. In secondo luogo, deve essere dichiarato inammissibile il contenuto della memoria depositata il 3.02.2023 dagli odierni controinteressati, nella quale vengono proposte argomentazioni di merito volte a dimostrare l’insussistenza di ogni responsabilità a loro carico in relazione al contestato deposito abusivo, ivi concludendosi con la richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati “fermo restando l’esclusione di ogni responsabilità in capo a Sant’Anna S.r.l. e all’ing. Mattiuzzo”. Sia le difese svolte che il petitum rivolto al giudice, infatti, non sono coerenti con la posizione di controinteressati assunta nel presente giudizio dalle predette parti, né possono surrettiziamente condurre a rimettere in discussione gli esiti della sentenza n. 661/2022 di questo Tribunale, che ha respinto l’autonomo gravame dagli stessi introdotto così riconoscendone la responsabilità per la vicenda oggetto del provvedimento impugnato.
Tanto precisato, si può passare all’esame del ricorso nel merito.
8. Con il primo mezzo, Fondamenta Costruzioni Generali deduce l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per perplessità dell’azione amministrativa, essendo stati ivi richiamati, a fondamento del potere esercitato, due riferimenti normativi inconciliabili, vale a dire l’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 relativo alla demolizione delle opere edilizie in assenza di permesso di costruire, e l’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006, con riguardo alla rimozione di rifiuti abbandonati.
Il motivo è infondato.
8.1. La lettura dell’ordinanza impugnata e degli atti ivi richiamati consente di affermare che la stessa sia stata adottata esclusivamente per la repressione di un’attività edilizia abusiva, consistente nel deposito di materiale inerte su aree in parte di proprietà pubblica e in parte di soggetti terzi, in assenza non solo del titolo edilizio, ma anche dell’autorizzazione paesaggistica e idrogeologica necessarie in ragione dei vincoli gravanti sul terreno, come riconosciuto, peraltro, anche dalla sentenza di questo Tribunale n. 661/2022. In tal senso depone il chiaro riferimento all’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 nell’epigrafe del provvedimento, nonché l’espresso richiamo in premessa ai contenuti del rapporto dei Carabinieri Forestali del 06.04.2018 “avente per oggetto la violazione alle norme urbanistico-edilizie vigenti” in relazione ai terreni di cui trattasi.
8.2. Infine, anche la stessa comunicazione di avvio del procedimento è riferita esclusivamente alla violazione del D.Lgs. n. 42/2004, per esecuzione di interventi in assenza di autorizzazione paesaggistica, della L.R. del Piemonte n. 45/1989, per opere in assenza di autorizzazione idrogeologica, e del D.P.R. n. 380/2001 per interventi eseguiti senza permesso di costruire. In sostanza, l’intero procedimento si è svolto per l’accertamento e la repressione di illeciti edilizi e paesaggistici, rimanendo ad esso estranei i profili relativi a un’eventuale responsabilità sul piano ambientale. Né è sufficiente a smentire tale conclusione la circostanza che nelle premesse del provvedimento impugnato si dia per visto anche l’art. 192, comma 3 del D.lgs. n. 152/2006, poiché tale isolato riferimento non conforma il potere amministrativo esercitato nella fattispecie e non modifica in alcun modo il contenuto oggettivo dell’atto.
9. Con il secondo mezzo, la ricorrente lamenta che il deposito di materiali da scavo contestato dall’amministrazione avrebbe carattere meramente temporaneo, trattandosi di uno stoccaggio provvisorio nell’attesa di trasferire i predetti materiali all’interno dell’impianto di frantumazione di Melezzo Calcestruzzi.
La censura non è condivisibile.
9.1. Le caratteristiche del deposito, così come risultanti dalla documentazione e dalla produzione fotografica in atti, sono certamente tali da determinare una rilevante trasformazione del territorio, attesa la sensibile alterazione dell’originario piano di campagna e la notevole quantità di inerti ivi accumulati, che assume carattere di stabilità e durata permanente. La mera circostanza che i materiali in questione possano essere rimossi, invero, non è sufficiente per riconoscere al predetto deposito natura meramente transitoria, perché tale condizione ricorre solo laddove l’opera abbia, sin dall’inizio, una funzione limitata nel tempo e, comunque, si presti ad un uso non protratto oltre 180 giorni, secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 1, lett. e bis) del D.P.R. n. 380/2001 in tema di attività edilizia libera. Nella fattispecie, al contrario, non solo manca ogni prova della transitorietà del deposito, ma quest’ultimo era ancora presente al momento delle verifiche e dei sopralluoghi effettuate dai Carabinieri nel 2018 e nel 2019, che ne hanno dunque confermato il carattere non temporaneo.
Né tantomeno può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 6, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, che assoggetta al regime dell’attività edilizia libera “i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche agro-silvo-pastorali”, mancando, evidentemente, il necessario rapporto di pertinenza richiesto dalla legge.
9.2. Da ciò deriva che il caso in esame risulta regolato dall’art. 3, comma 1, lett. e.) del D.P.R. n. 380/2001, che qualifica come nuova costruzione – richiedendo dunque apposito titolo edilizio – “la realizzazione di depositi di merci o di materiali (…) ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato”. La giurisprudenza ha poi chiarito che “le opere di scavo e movimento terra di una certa rilevanza, necessitano (…) di permesso di costruire, ciò tanto più in quanto la zona in questione era soggetta a vincolo” (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 18.04.2018, n. 2520), com’è appunto nella fattispecie, in cui il terreno interessato è vincolato paesaggisticamente e ha una classe idrogeologica tale da richiedere, per l’attività costruttiva, il rilascio di apposita autorizzazione.
10. Con il terzo motivo di ricorso, Fondamenta Costruzioni Generali deduce l’incompetenza del dirigente nell’emanazione dell’ordinanza impugnata, trattandosi, a suo dire, di atto emesso ai sensi dell’art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 e riservato alle attribuzioni del Sindaco.
La censura è infondata poiché, come già evidenziato ai paragrafi precedenti, il provvedimento in questione è stato assunto ai sensi dell’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 e, dunque, rientra pienamente nelle attribuzioni del dirigente comunale.
11. Con il quarto mezzo, la ricorrente lamenta che l’ordinanza impugnata sarebbe stata erroneamente notificata al curatore fallimentare, poiché quest’ultimo, non essendo successore del fallito, non potrebbe essere tenuto all'adempimento di obblighi facenti carico originariamente all'imprenditore, ancorché relativi a rapporti pendenti all'inizio della procedura concorsuale.
Il motivo è fondato.
11.1. Occorre muovere dall’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza secondo cui il fallimento non è rappresentante, né successore dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare, ma soltanto terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge (Cons. di Stato, Sez. V, 27.07.2003, n.4328; Cons. di Stato, Sez. V, 16.06.2009, n.3885). La società dichiarata fallita, infatti, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, perdendone soltanto la facoltà di disposizione per effetto dello spossessamento in favore del fallimento. Quest’ultimo, correlativamente, non acquista la titolarità dei beni dell’impresa fallita, ma, come anzidetto, ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, in forza del munus publicum rivestito dagli organi della procedura (cfr. TAR Milano, Sez. III, 27.04.2022, n. 911, - Cons. St. 30 giugno 2016, n.3274)
11.2. Ne consegue che la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente o al ripristino dello stato dei luoghi collegate al precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, “non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo, per tal via, alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi” (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, sentenza 05.01.2016).
11.3. Nella fattispecie, peraltro, non ricorre alcuna delle particolari ipotesi in cui è ammessa l’emanazione di provvedimenti di rimozione di rifiuti o ripristino dello stato dei luoghi a carico della curatela. Ciò accade, in particolare, quando il curatore fallimentare è autorizzato all’esercizio dell’attività dell’impresa fallita da cui origina la compromissione dei luoghi, poiché tale circostanza determina a favore della procedura – e, tramite essa, ai suoi creditori – un beneficio economico cui devono associarsi anche i correlati costi delle esternalità negative prodotte (T.A.R. Lombardia 3.03.2017, n.520, T.A.R. Trentino-Alto Adige 20 marzo 2017, n.93).
Parimenti, l’imputazione della responsabilità a carico della curatela ricorre laddove risulti accertata l’“univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare" (T.A.R. Campania 18 ottobre 2010, n.11823, T.A.R. Lombardia 5 gennaio 2016, n.1 e T.A.R. Basilicata 4 aprile 2017, n.293), poiché la condotta da cui deriva la compromissione dei luoghi occorre in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento e a causa della gestione del Fallimento.
11.4. Nel caso in esame, al contrario, non vi sono elementi per ritenere che il contestato accumulo di materiali da scavo sia riconducibile all’operato della curatela o sia imputabile alla responsabilità di quest’ultima, né una tale conclusione si ricava in alcun modo dal contenuto del provvedimento impugnato; la condotta contestata è da ricondurre direttamente all’attività dell’impresa in bonis svolta antecedentemente all’apertura del fallimento, il quale, pertanto, rimane del tutto estraneo alle conseguenze che da essa sono derivate.
11.5. Non vale a smentire quanto sopra, infine, il contenuto della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2021, che ha ritenuto sussistente la responsabilità del fallimento nel caso in cui esso subentri nella detenzione dell’immobile ove sono allocati i rifiuti abbandonati. In questo caso, “la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare” non in riferimento ai rifiuti, ma in relazione al bene immobile inquinato su cui gli stessi insistono. Pertanto, come chiarito dall’Adunanza Plenaria, “l’unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall'impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento”.
11.6. Al contrario, nella vicenda sub iudice, il fallimento non risulta possessore o detentore dei siti interessati dall’accumulo di rifiuti, né è stato in alcun modo immesso nella disponibilità di detti beni, trattandosi di aree che, come chiaramente riconosciuto nello stesso provvedimento impugnato, non solo risultano di proprietà del comune e di soggetti terzi, ma sono state anche utilizzate per l’accumulo dei materiali di risulta senza alcun consenso dei titolari o titolo negoziale.
Non sussistono ragioni, pertanto, sulle quali poter fondare la responsabilità della curatela ai fini dell’esecuzione delle misure di ripristino imposte dall’ordinanza impugnata.
12. In definitiva, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato per quanto di interesse del ricorrente e limitatamente alla sua posizione, fermi e impregiudicati gli effetti dell’atto medesimo nei confronti degli altri destinatari.
13. Le spese di lite, in ragione della particolarità della controversia, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:
Gianluca Bellucci, Presidente
Valentina Caccamo, Referendario, Estensore
Martina Arrivi, Referendario