Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 830, del 12 febbraio 2013
Urbanistica.Illegittimo di un Piano di lottizzazione per insediamento turistico-rurale con realizzazione di 46 palazzine in area agricola

E’ illegittimo un Piano di lottizzazione di un insediamento turistico-rurale (e dei conseguenti permessi di costruire), che contempla la realizzazione di 46 palazzine di 4 unità immobiliari ciascuna, per complessivi 44.850 mc. e 448 abitanti potenziali, oltre al ulteriori 5200 mc. relativi ad un punto di ristoro; il tutto in piena campagna, nell’ambito di un territorio deputato (almeno sino al rilascio dei permessi di costruire) alla coltura dell’ulivo. Ciò che caratterizza la zona “E” non è tanto la immediata, presente (e futura) destinazione all’uso agricolo, quanto, in negativo, l’esclusione di destinazione ad utilizzazioni edificatorie, quali, in particolare, i “nuovi complessi insediativi”, che trovano la loro localizzazione nell’ambito della “zona C”, ovvero i “nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati”, che trovano la loro collocazione nell’ambito della”zona F”. Si intende, affermare che, se è vero che la “zona E” non caratterizza di per sé aree destinate necessariamente e direttamente all’uso agricolo, e che essa consente anche utilizzazioni edificatorie (come peraltro testimonia la previsione di un sia pur minimo indice di densità fondiaria), ciò che comunque non può ritenersi possibile in zona E è la utilizzazione delle aree della stessa in modo tale da “invadere” quello che è il contenuto tipizzante di altre destinazione di zona. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00830/2013REG.PROV.COLL.

N. 09238/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9238 del 2011, proposto da: 
Lorenzo De Raymondi, Vincenzo Settanni, Frantoio Oleario Settanni Vincenzo & C. S.a.s., Savino Antonio Arch. Carpagnano, S.R.L. il Borgo, Biagia Guacci, Maria Guacci, Ruggiero Fiorella, Francesco Fiorella, Giuseppe Fiorella, Severina Carmela Napoletano, rappresentati e difesi dagli avv. Lucio Ghia, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso Franco Gaetano Scoca in Roma, via G.Paisiello, 55; Cosimo Settanni;

contro

Carlo Emanuele Valperga Di Masino, rappresentato e difeso dall'avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso Eugenio Felice Lorusso in Roma, via Cola di Rienzo 271;

nei confronti di

Comune di Barletta, rappresentato e difeso dagli avv. Aristide Police, Domenico Cuocci Martorano, con domicilio eletto presso Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti n. 11; Regione Puglia, Giuseppe De Raymondi;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Monica Mascolo, Anna Vino, Francesco Mennea, Antonio Carone, Luigi Terrone, Giancarlo Roberto Gianfrancesco, Emmanuele Doronzo, Ruggero Acconciaioco, Angelo Roggio, Francesco Baldassarre, Savino Cariati, Mariano Dipalma, Maria Dibenedetto, Rosa Bruno, Giuseppe Depalma, Angela Frisario, rappresentati e difesi dall'avv. Vito Agresti, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 01416/2011, resa tra le parti, concernente PIANO DI LOTTIZZAZIONE DI UN INSEDIAMENTO TURISTICO-RURALE



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Carlo Emanuele Valperga Di Masino e di Comune di Barletta e gli appelli incidentali dagli stessi proposti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2012 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Andrea Pivanti in sostituzione di Lucio Ghia, Franco Gaetano Scoca, Felice Eugenio Lorusso, Vito Agresti, Domenico Cuocci Martorano ed infine Aristide Police;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Con l’appello in esame, i signori Lorenzo De Raymondi ed altri, come in epigrafe indicati, impugnano la sentenza 29 ottobre 2011 n. 1416, con la quale il TAR per la Puglia, sez. II, ha accolto il ricorso ed il ricorso incidentale proposti dal sig. Carlo Valperga di Masino e, per l’effetto, ha, tra l’altro, annullato:

- il Piano di lottizzazione relativo ad un insediamento turistico - rurale in località Montaltino di Barletta, nonchè le relative delibere del Consiglio comunale di adozione e di approvazione definitiva di detto Piano;

- i permessi di costruire rilasciati dal Comune di Barletta nn. 313/2010 (nonché il permesso di voltura del medesimo) e 723/2010, in favore della soc. Il borgo s.r.l.;

- ha accertato e dichiarato l’inefficacia della convenzione stipulata il 24 ottobre 2010.

La controversia in oggetto riguarda, in sostanza, la legittimità di un Piano di lottizzazione di un insediamento turistico – rurale (e dei conseguenti permessi di costruire), che contempla la realizzazione di 46 palazzine di 4 unità immobiliari ciascuna, per complessivi 44.850 mc. e 448 abitanti potenziali, oltre al ulteriori 5200 mc. relativi ad un punto di ristoro; il tutto (come affermato in sentenza: pag. 19) “in piena campagna, nell’ambito di un territorio deputato (almeno sino al rilascio dei permessi di costruire) alla coltura dell’ulivo”.

La sentenza appellata – rigettate eccezioni di carenza di legittimazione attiva e difetto di interesse del ricorrente, nonché di irricevibilità del ricorso per tardività (nella parte relativa all’impugnazione di alcune norme della variante al PRG approvata nel 2003) – afferma tra l’altro:

- “il Piano e la convenzione di lottizzazione, in definitiva, non prevedono altro che la realizzazione di un folto numero di villette residenziali sparse in un uliveto, un centro commerciale, un’area a verde e parcheggi. Insomma, un insediamento residenziale che nulla avrà a che vedere con l’attività agricola se non il fatto che è collocato in zona agricola” (pag. 27). In tal senso, “l’insediamento, una volta ultimato, avrà la configurazione giuridica di un supercondominio, con proprietà comune di tutti gli spazi diversi da quelli sui quali insistono gli edifici ed i giardini interni, e proprietà esclusiva delle varie unità immobiliari”;

- “i fondi inclusi nel Piano di lottizzazione oggetto di causa sono tipizzati in zona E destinata ad attività agricole” (pagg. 27 – 29);

- più precisamente, “allo stato attuale la tipizzazione risultante dagli elaborati grafici del PRG classifica i terreni compresi nel Piano di lottizzazione come agricoli, e tenendo conto di tale destinazione urbanistica vanno interpretate le norme tecniche di riferimento” (pag. 41). Ne consegue che l’art. 24 delle NTA del PRG del 1971, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio tecnico comunale di Barletta (pag. 36 sent.) e dalla perizia tecnica depositata dai resistenti (per la quale l’art. 24 NTA definirebbe in sostanza una “zona C”), non ha creato “una destinazione di zona autonoma rispetto alla destinazione agricola, e ciò per la semplice ragione che una tale zonizzazione non è stata definita e, di poi, riprodotta nella tavola di zonizzazione del vigente PRG”, dove i fondi continuano ad essere classificati come “zona E” (pag. 39);

- ritenere che l’art. 24 NTA istituisca una “zona C”, stante la sua “applicazione generalizzata a tutte le parti del territorio comunale non interessate da edificazione, cioè a tutte le zone extraurbane”, comporta: per un verso, l’illegittimità della previsione per contrasto con il D.M. n. 1444/1968 “in relazione alla mancata individuazione di zone agricole pure”, posto che detto D.M. “non autorizza affatto la istituzione di zone del territorio comunale in cui coesistano la destinazione E e C”; per altro verso, l’illegittimità della previsione perché “una tale estensione della zona C, apportando una modificazione sostanziale alla variante al PRG, ne imponeva una nuova pubblicazione” (pagg. 42 – 43 sent.);

- l’art. 24 delle NTA del PRG del 1971 è “effettivamente vigente quale norma tecnica di attuazione”. Tuttavia, tale articolo, anche nel contesto del PRG del 1971 “non intendeva affatto disciplinare dei nuovi insediamenti residenziali”, bensì – anche alla luce della sua collocazione sistematica, non prossima a quella delle zone di nuova edificazione (artt. 13/15) ma successiva a quella delle zone rurali (art. 23) – esso intendeva “completare la disciplina delle zone rurali approntata, in via generale, dal precedente art. 23” e “era conclusivamente finalizzato a sopperire a determinate esigenze dell’agricoltura” (pagg. 45-49 sent.);

- il recepimento dell’art. 24 NTA del PRG 1971 da parte della variante del 2003 non ha comportato un mutamento del contenuto della norma “solo perché chi ne ha chiesto la introduzione nella variante del 2003 pensava di utilizzarla allo scopo di creare nuovi insediamenti residenziali e/o turistici”. Essa è e rimane una norma deputata alla disciplina delle zone agricole ed a salvaguardare determinate esigenze legate all’esercizio di attività agricole”;

- inoltre, l’art. 24 “è compatibile con il DM 1444/1968 e con la destinazione di zona agricola risultate dalla tavola di zonizzazione del vigente PRG, senza che vi sia bisogno di ipotizzare che il suo recepimento nell’ambito della variante del 2003 abbia determinato la creazione di una zonizzazione autonoma da quella agricola né la coesistenza di diverse destinazioni urbanistiche” (pagg. 49 – 51). Di modo che “i centri agricoli realizzati in base a tale norma “non possono e non devono essere dei meri centri residenziali o turistico – residenziali, dovendo in concreto servire alle esigenze di una produzione agricola che si estenda su una superficie minima di 300.000 mq”;

- solo nel caso in cui un centro agricolo rispetta i dettami dell’art. 24, “esso potrà anche prevedere che determinati volumi o spazi siano utilizzati al fine di creare attività turistico – ricettive, ed in tal senso esso si presterà a divenire anche uno strumento di promozione turistica. Ciò, tuttavia, nel quadro dell’art. 2.08, che a sua volta richiama gli artt. 2.06 e 2.07, in base ai quali: a) non sono ammissibili nuove costruzioni in zone agricole se non quelle destinate a soddisfare esigenze delle imprese agricole; b) le zone agricole sono deputate “in prevalenza” all’agricoltura e alla forestazione, e consentono, oltre a quelle agricole, anche attività con esse connesse o non incompatibili. In definitiva, “l’esercizio di attività di tipo turistico o turistico - residenziale costituisce una deroga introdotta dall’art. 2.08, che, per tale ragione, va considerata una norma di stretta interpretazione” (pag. 53);

- ne consegue che le attività turistico - residenziali non sono ammesse “sempre” in zona agricola, ma solo quando esse si prefigurino come “complementari”, evidentemente rispetto a quelle principali della zona (pag. 54);

- nel caso di specie, il piano di lottizzazione non prevede la realizzazione di un “centro agricolo attrezzato”, ma attraverso l’utilizzazione di un indice di fabbricabilità territoriale “enormemente superiore a quello (di 0,03 mc/mq) assentibile”, si realizzano nuove residenze che “vanno ad occupare, unitamente alle aree a standards, quasi metà del comprensorio, compromettendo in via irreversibile la produzione agricola del relativo sedime” (pag. 56 sent.);

- in definitiva, “il Piano di lottizzazione impugnato integra null’altro se non un nuovo insediamento residenziale, che nulla ha di agricolo se non il fatto che è ubicato in zona agricola, e che nulla ha di turistico se non il fatto che le unità immobiliari si prestano ad essere utilizzate quali seconde residenze o per essere date in affitto stagionale” (pagg. 57 -58).

Avverso tale sentenza, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

error in iudicando; violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 39 Cpa; violazione e falsa applicazione art. 24 NTA del PRG del 1971; dell’art. 2.08 delle NTA del vigente PRG, così come risultanti dalla variante approvata con delibera CC n. 31/2000 ed approvata con delibera GR n. 564/2003. Ciò in quanto:

a) il TAR “ha accolto il ricorso facendo leva . . . sul ritenuto contrasto del Piano di lottizzazione con l’art. 24 delle NTA del PRG del 1971 e con l’art. 2.08 sempre delle NTA del PRG secondo l’interpretazione delle stesse fornite dal giudice di primo grado”, tuttavia “tali specifici vizi . . . non risultano dedotti né in sede di ricorso, né in sede di motivi aggiunti”, poichè l’impugnazione è incentrata “sul ritenuto contrasto delle norme di PRG applicate dal Comune all’insediamento in parola rispetto alla legge urbanistica n. 1150/1942, alla l. reg. n. 56/1980, al PUTT ed al DM 2 aprile 1968 n. 1444”; ne consegue la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;

b) l’art. 2.08 NTA “consente tout court insediamenti turistico – residenziali, con alcune limitazioni volte a garantire il mantenimento delle caratteristiche paesaggistico – ambientali, ma senza alcuna prescrizione in ordine alla necessaria funzionalità delle relative attività a quelle agricole”; di modo che erra la sentenza, laddove ritiene che “la complementarietà delle attività di tipo turistico – residenziale insediabili in zona E . . . starebbe a significare che le stesse dovrebbero essere funzionali alle attività agricole”;

c) non vi è bisogno dell’adeguamento della cartografia a quanto previsto dall’art. 24 NTA, poiché “il recupero per l’area del borgo di Montaltino della destinazione di zona quale “centro agricolo” di cui all’art. 24 del PRG del 1971 non ha determinato alcun obbligo di precisazione nelle tavole di zonizzazione in quanto non si tratta della creazione di una nuova e diversa zonizzazione, ma soltanto dell’applicazione di un diverso e speciale regime (quello di cui all’art. 24) in un’area che resta zona E. Peraltro, l’art. 7 n. 2 l. n. 1150/1942 prescrive l’obbligo della precisazione per le sole zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano”. Inoltre, l’art. 1.01.4 delle NTA prescrive che, in caso di discordanza, “le indicazioni scritte prevalgono su quelle cartografiche”

d) “l’art. 24, così come letteralmente interpretato, estende al borgo di Montaltino ed ai fondi ad esso circostanti una destinazione di zona a centri agricoli diversa dalla normale zona agricola E”. A differenza dell’art. 23 (in base al quale i fabbricati non potranno sorgere se non in stretta relazione alla esigenza della conduzione dei fondi), l’art. 24 prevede centri agricoli organizzati dove “l’insediamento è al servizio del comprensorio”. Peraltro, le dimensioni previste (oltre all’indice 0,12 mc/mq) sottintendono “chiaramente la tipologia di edifici condominiali a due piani a destinazione residenziale, sottolineando quindi la diversa destinazione rispetto a quella eminentemente pubblica immaginata dal TAR sulla scorta di una civiltà contadina ormai completamente scomparsa”;

e) lo strumento urbanistico “non solo non contiene alcuna prescrizione che imponga l’esclusivo utilizzo produttivo agricolo nelle zone E, ma anzi espressamente consente insediamenti di tipo turistico-residenziale, nonché l’applicazione di un indice di fabbricabilità ben maggiore di quello considerato normale per dette zone agricole, a conferma della volontà dell’amministrazione comunale di agevolare il ripopolamento delle aree agricole, pur nel rispetto delle caratteristiche paesaggistico – ambientali della zona omogenea in questione”. Ciò costituisce una “legittima espressione del potere discrezionale dell’ente locale in tema di programmazione urbanistica”, che si sottrae al sindacato del giudice, salvo la manifesta illogicità, arbitrarietà ovvero evidente travisamento dei fatti;

f) quanto alla riconducibilità delle previsioni dell’art. 24 ad una zonizzazione di tipo “C”, tale equipollenza deve essere intesa nel senso che “nella zona omogenea E si dovrà adottare il valore ridotto dell’indice di fabbricabilità fondiaria massimo di 0,03 mc/mq, salvo la previsione di frazionamenti per insediamenti che avranno valori contenuti del rapporto di copertura e delle densità territoriali per formare semplici insediamenti residenziali, radi e disaggregati, per mantenere fermo il carattere agricolo di queste parti del territorio”. In definitiva., una cosa sono “nuovi complessi insediativi deputati all’espansione dell’aggregato urbano e che devono essere espressamente individuati e cartografati zone C all’uopo deputate”; altra cosa sono “insediamenti che mantengono fermo il carattere agricolo della zona”. Ciò comporta che tali insediamenti hanno “l’assimilazione alle zone C pur non essendo zone C, per consentire densità fondiarie maggiori”;

g) il progetto del centro turistico rurale “non comporta alcun impatto ambientale ma si integra perfettamente con l’ambiente circostante prevedendo . . . la conservazione e l’ampliamento della coltivazione degli alberi da ulivo” (e ciò si riscontra negli atti e pareri della Provincia di Bari, dell’Autorità di Bacino, dell’Ufficio del Genio Civile, della Regione Puglia e del Comune di Barletta, che ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica)

h) non appare corretto il significato di “nucleo” attribuito dal giudice di I grado al borgo di Montaltino e la delimitazione della superficie dello stesso per l’applicazione dell’indice di fabbricabilità territoriale, posto che il nucleo abitato (secondo l’ISTAT) ricorre anche nei casi di “insediamenti residenziali con popolazione non stabile, occupati, stagionalmente, a scopo di villeggiatura, di cura ecc., con almeno dieci abitazioni”. Da ciò risulta “perfettamente applicabile l’indice di fabbricabilità territoriale o comprensoriale di 0,12/mc/mq “che si compone del rapporto tra la volumetria insediabile e la superficie territoriale o comprensoriale che nell’art. 24 è fissata in minimo 30 ettari”.



2. Avverso la sentenza n. 1416/2011 del TAR per la Puglia, ha proposto appello incidentale il Comune di Barletta, che ha proposto i seguenti motivi di impugnazione:

a1) error in procedendo; violazione artt. 39 Cpa e 112 c.p.c., conseguente ad una pronuncia che esula dai motivi introdotti dal ricorrente; violazione art. 7 Cpa, per avere il TAR esercitato una giurisdizione estesa al merito in materia in cui è consentito il solo sindacato di legittimità; violazione artt. 29 e 40 Cpa, conseguente alla mancata dichiarazione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti dal sig. Valperga in data 12 novembre 2010. Ciò in quanto:

- la questione relativa al combinato disposto degli artt. 2.08 NTA del PRG del 2003 e art. 24 NTA del PRG del 1971 non è “mai stata prospettata dal ricorrente quale vizio inficiante l’esercizio del potere amministrativo di pianificazione del territorio nei termini poi esplicitati nella sentenza”;

- vi è stato da parte del giudice “esercizio di un potere sostitutivo delle valutazioni di merito contenute nelle determinazioni assunte dal Comune di Barletta; potere sostitutivo e valutazioni estranee al sindacato di legittimità;

- peraltro, il I giudice “avrebbe dovuto in ogni caso operare un confronto tra la scelta del Comune ed i generali criteri che presiedono le scelte di pianificazione nell’ambito di uno scrutinio di legittimità ab esterno, ossia limitato a verificare se la destinazione impressa non risulti abnorme o manifestamente irragionevole”. Al contrario, l’attività del I giudice non si è esaurita in una mera interpretazione del combinato disposto degli artt. 2.08 e 24, “ma è consistita piuttosto in una loro sostanziale riscrittura, alla luce di obiettivi di interesse generale diversi da quelli desumibili senza sforzo interpretativo dalla lettera delle conferenti disposizioni”;

- il Collegio di I grado non ha dichiarato l’irricevibilità dei motivi aggiunti tardivamente proposti dal Valperga in data 12 novembre 2010, posto che tale ricorso non contiene “alcuna indicazione degli atti oggetto di impugnazione, lasciando quindi intendere che si tratti di motivi nuovi rispetto ai provvedimenti già impugnati” e che quindi rappresentano contestazioni che “avrebbero dovuto essere allegate ai precedenti motivi aggiunti”;

b1) error in iudicando, per erroneità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione, con riferimento a profili essenziali e determinanti relativi alle disposizioni di natura urbanistica applicabili alla vicenda controversa. Ciò in quanto:

- posto che il DM n. 1444/1968 “distingue l’agglomerato urbano dalle parti libere, totalmente o parzialmente inedificate, coincidenti con il territorio rurale”, tale distinzione “non implica l’obbligatoria e necessaria identificazione della destinazione a verde agricolo di un’area fissata dal PRG con la realizzazione di finalità esclusivamente agricole, assolvendosi in via generale la destinazione agricola ad esigenze di un ordinato assetto del territorio e, fra queste, un equilibrato rapporto tra aree libere ed aree edificate”. Ne consegue che “ben può accadere che le amministrazioni comunali individuino zone non tipizzate espressamente che non siano comunque qualificabili nei termini residuali di aree agricole pure . . .” ma che siano aree di tipo diverso in cui non sono consentiti interventi di edificazione con gli indici tipici delle zone di espansione (ovvero fino a 1,5 mc/mq), ma la realizzazione di interventi di trasformazione edilizia caratterizzati da un indice di densità territoriale inferiore a 1,5 mc/mq e superiore al limite 0,03 mc/mq tipico delle zone agricole pure”. In questa prospettiva, il criterio decisivo di identificazione è dato non dall’assoggettamento dell’area ad uso agricolo, ma il mantenimento della superficie scoperta (ovvero del suolo mantenuto allo stato naturale) nella misura del 87,5%, ossia il limite delle aree esterne all’aggregato urbano.

- l’articolazione del D.M. n. 1444/1968 “non deve intendersi quale elencazione tassativa, rilevando il solo rispetto degli standards urbanistici”, di modo che “è consentito al Comune di disciplinare zone caratterizzate da indici di densità territoriale più bassi di quelli di espansione, fermo restando il carattere agricolo (desumibile dalla sussistenza di una superficie mantenuta nello stato naturale del suolo per l’87,5), ma caratterizzate da una possibilità edificatoria maggiore delle zone E pure (zone agricole pure)”;

- “la tipizzazione agricola pura dell’area non è individuata nella cartografia dell’ente locale”, di modo che “l’assenza di una tipizzazione cartografica dell’area da pare delle tavole del PRG, da un lato esclude la necessità di una pretesa correzione di un segno cartografico per la semplice ragione che di fatto proprio il segno grafico non era stato apposto né era necessario, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza; dall’altro, conferma l’espressa (e legittima) scelta del Comune di Barletta di provvedere ad una micro zonizzazione dell’area che si colloca in una posizione intermedia tra quelle agricole pure e quelle di espansione”. E’, dunque, “inconferente e comunque erroneo il riferimento operato nella sentenza di I grado alla presunta prevalenza dei segni grafici sulle prescrizioni normative del Piano”;

- “le caratteristiche del nucleo di Montaltino sono state annotate sulla base della definizione dello stesso nucleo data dall’ISTAT, distinto dal centro abitato e dalle case sparse”. Ne consegue che “il riferimento al nucleo operato nel PRG mira alla sola esclusione dell’autorizzazione di interventi edificatori che si sostanzino in realizzazioni di case sparse”. In definitiva, poiché le previsioni del PRG per i nuclei, consentono di conservare una superficie scoperta pari al 96% della superficie complessiva, in modo decisamente maggiore della percentuale minima dell’87,5% prevista dagli standards minimi inderogabili ex D.M. n. 1444/1968, appare legittimo il riferimento alla nozione di nucleo presente nella pianificazione urbanistica del Comune di Barletta. E la “proporzionalità e la ragionevolezza dell’operato dell’amministrazione” avrebbe dovuto essere valutato dal I giudice (che ha invece omesso tale valutazione) con l’unico parametro di riferimento possibile, e cioè quello delle “zone C di completamento”. Infatti, “solo così sarebbe stato possibile accertare se le peculiari caratteristiche del Borgo di Montaltino, tali da collocarlo in posizione intermedia tra le masserie (o case sparse) ed i centri abitati veri e propri, fossero state correttamente trasportate nello strumento urbanistico”. Da tutto ciò è conseguita una “indebita assimilazione” del regime speciale di cui all’art. 24 delle NTA a quello generale di cui al’art. 23 ed agli artt. 2.06 e seguenti del PRG;

- peraltro, assumendo che l’edificazione dell’area è posta “ a servizio di comprensori di almeno trenta ettari”, il Comune “senza certo voler individuare alcun vincolo di natura funzionale, ha solo inteso ribadire la necessità di mantenere il rapporto tra l’edificato ed il suolo lasciato allo stato naturale (“a servizio”) attraverso la concentrazione dell’edificazione nell’ambito di più ampie superfici di almeno trenta ettari”. L’assenza del vincolo di funzionalità trova conferma nell’art. 2.08 che ammette insediamenti turistico –residenziali che, fermo restando io carattere agricolo dell’area, non sono comunque funzionalizzati allo svolgimento dell’attività agricola, e che proprio per questo (a differenza di quanto previsto negli artt. 2.06 e 2.07 per le attività agricole, subordina l’intervento all’approvazione del progetto in Consiglio Comunale;

- in conclusione, la sentenza impugnata “si rivela afflitta da erronea e contraddittoria motivazione per avere confuso la natura eminentemente descrittiva dei centri agricoli organizzati con una di tipo funzionale, ossia tesa all’insediamento di attività agricole”; né le finalità indicate dall’art. 24 NTA sono interpretabili cumulativamente;

c1) error in iudicando per erroneità della motivazione della sentenza in punto di fatto con riguardo alla posizione del nuovo acquirente rispetto al procedimento di rilascio del permesso di costruire; falsa applicazione art. 78 d, lgs. n. 267/2000 e dei principi generali in tema di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa; ciò in quanto nella sentenza, pur dichiarandosi improcedibile un ricorso per motivi aggiunti, si è ritenuta “singolare” la coincidenza relativa alla compravendita dell’area e si è disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica “così implicitamente ritenendo come fondata la censura del sig. Valperga”, in relazione alla circostanza che l’arch. Savino, amministratore e socio unico della società acquirente, è il fratello di un componente del Consiglio Comunale di Barletta. Al contrario, al momento del voto sul piano di lottizzazione, “la titolarità dell’area, oggetto dello stesso strumento attuativo, era dei sig.ri De Raymondi e Settani”, con esclusione quindi di alcun obbligo di astensione (e sua eventuale violazione);

d1) error in iudicando della sentenza per non avere rilevato l’inammissibilità del ricorso introduttivo di I grado di giudizio per difetto di interesse; ciò in quanto “nell’impugnazione dei piani urbanistici (anche attuativi) e dei permessi di costruire l’resistenza di una relazione di vicinanza tra i suoli se giustifica la sussistenza della legittimazione al ricorso non esaurisce la certezza della presenza dell’interesse all’impugnazione, nei limiti in cui non sia individuato quali possano essere i concreti benefici connessi all’accoglimento del ricorso sulla posizione giuridica del ricorrente”. Nel caso di specie, pur volendo riconnettere l’interesse ad agire al “deterioramento del carico urbanistico di zona”, considerato il rapporto percentuale tra l’edificabile e quanto rimarrà allo stato naturale, vi è in concreto “scarsa incidenza del piano sull’attuale vocazione naturale delle aree”.



3. Si è costituito nel presente giudizio di appello il sig. Carlo Emanuele Valperga di Masino, il quale ha concluso richiedendo il rigetto degli appelli, stante la loro infondatezza, e l’accoglimento del “ricorso di I grado per tutti i motivi proposti” e riprodotti nel presente grado di giudizio.

A tal fine, il sig. Valperga , posto che “al giudice d’appello la controversia va devoluta in tutti i suoi aspetti problematici, sicchè lo stesso possa prendere cognizione dell’intera materia”, ripropone “tutte le ragioni di doglianza, così come prospettate al TAR, necessariamente nella forma dell’appello incidentale, con espressa riproposizione dei motivi di gravame disattesi o anche solo assorbiti” (pag. 3, memoria del 7 dicembre 2011).



4. Hanno spiegato “atto di intervento ad adiuvandum” nel presente giudizio i signori Monica Mascolo ed altri, i quali precisano di essere alcuni tra “i firmatari di numerosi contratti preliminari aventi ad oggetto la compravendita di alcune delle unità abitative realizzate all’interno del Borgo”, e di essere stati “del tutto ignari di quanto accaduto in sede giurisdizionale dinanzi al TAR”.

I medesimi concludono richiedendo l’accoglimento dell’appello proposto dai signori De Raymondi ed altri.



5. Con memoria del 10 gennaio 2012, gli appellanti De Raymondi ed altri, oltre ad insistere per l’accoglimento del proprio ricorso in appello hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello incidentale del signor Valperga “per difetto del requisito della specificità dei motivi di impugnativa”, ed hanno comunque concluso per il rigetto del medesimo, stante la sua infondatezza.

Anche il Comune di Barletta, con memoria del 13 gennaio 2012, ha eccepito l’inammissibilità dell’appello incidentale, sia in quanto esso “si limita a riproporre in modo pedissequo le censure articolate in primo grado”, sia in quanto conferma “l’inammissibilità del ricorso introduttivo per evidente tardività”. Il Comune ha comunque richiesto il rigetto dell’appello incidentale del sig. Valperga, stante la sua infondatezza.

Dopo ulteriori memorie e memorie di replica, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

6. L’appello e l’appello incidentale del Comune di Barletta sono infondati e devono essere, pertanto, rigettati, con conseguente conferma della sentenza impugnata, per le ragioni e con le precisazioni in ordine alla motivazione della stessa, come di seguito esposte.

In primo luogo, il Collegio ritiene infondati i motivi con i quali, in entrambi i ricorsi in appello, vengono riproposte eccezioni di inammissibilità (sotto diversi profili) del ricorso instaurativo del giudizio di I grado.

Ambedue i ricorsi denunciano, innanzi tutto, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (e, quindi, degli artt. 112 Cpc e 39 Cpa). Ciò in quanto:

- secondo l’appello principale (sub a) dell’esposizione in fatto), il TAR “ha accolto il ricorso facendo leva . . . sul ritenuto contrasto del Piano di lottizzazione con l’art. 24 delle NTA del PRG del 1971 e con l’art. 2.08 sempre delle NTA del PRG secondo l’interpretazione delle stesse fornite dal giudice di primo grado”, tuttavia “tali specifici vizi . . . non risultano dedotti né in sede di ricorso, né in sede di motivi aggiunti”;

- secondo l’appello incidentale (sub a1) dell’esposizione in fatto), la questione relativa al combinato disposto degli artt. 2.08 NTA del PRG del 2003 e art. 24 NTA del PRG del 1971 non è “mai stata prospettata dal ricorrente quale vizio inficiante l’esercizio del potere amministrativo di pianificazione del territorio nei termini poi esplicitati nella sentenza”.

Il Collegio non ritiene fondati tali motivi poiché i ricorrenti in I grado hanno proposto, attraverso il ricorso instaurativo del giudizio ed ulteriori ricorsi per motivi aggiunti, una pluralità di censure avverso gli atti impugnati, che sostanzialmente attengono sia a vizi di violazione di legge (per contrasto degli atti impugnati con gli strumenti di pianificazione urbanistica, le norme di legge in materia – in primis la l. n. 1150/1942 – ed il D.M. n. 1444/1968), sia al vizio di eccesso di potere sotto diversi profili..

A fronte di ciò, il giudice di I grado ha correttamente proceduto ad una verifica delle norme afferenti la pianificazione urbanistica del Comune di Barletta, rilevando – alla luce dell’interpretazione offerta delle medesime – l’illegittimità degli atti impugnati, per contrasto (non solo e non tanto) con dette norme così come interpretate, quanto con i principi e le disposizioni in tema di pianificazione urbanistica, contenute sia nella citata legge urbanistica del 1942, sia nel D.M. n. 1444/1968.

Ciò che la sentenza impugnata effettua – in corretta applicazione delle regole che presiedono allo scrutinio dei motivi di ricorso – è stata dapprima una operazione di interpretazione delle NTA vigenti per l’intervento edificatorio in esame (segnatamente gli artt. 2.08 NTA PRG 2003 e 24 NTA PRG 1971), quindi l’affermazione di una loro coerenza (così come interpretate) con le norme di fonti sovraordinate, e dunque – ponendosi il contenuto normativo (come individuato) delle NTA citate in senso impeditivo all’emanazione degli atti amministrativi oggetto di impugnazione – la rilevazione della illegittimità degli atti impugnati per violazione di legge ed eccesso di potere (oltre che delle medesime NTA).

D’altra parte, gli stessi appellanti principali affermano che il ricorso introduttivo si fonda “sul ritenuto contrasto delle norme di PRG applicate dal Comune all’insediamento in parola rispetto alla legge urbanistica n. 1150/1942, alla l. reg. n. 56/1980, al PUTT ed al DM 2 aprile 1968 n. 1444”; il che non esclude (ma contiene) che il contrasto degli atti amministrativi impugnati possa essere, omisso medio, direttamente con le norme indicate.

In altre parole, se il contenuto normativo delle NTA citate fosse quello fatto proprio dal Comune di Barletta, allora saranno anche tali norme (unitamente agli atti adottati in applicazione di esse) ad essere in contrasto con le fonti sovraordinate. Ma se tali norme vengono diversamente interpretate, allora tale contrasto (con conseguente illegittimità) si pone direttamente tra atti adottati e fonti sovraordinate (e quindi con le NTA con questi coerenti), quanto al vizio di violazione di legge e fermi i dedotti profili del vizio di eccesso di potere.

A fronte di tali due ipotesi, rientra nei poteri del giudice, in corretta applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 Cpc, e secondo evidenti ragioni di continenza, verificare se l’illegittimità di un atto amministrativo, già denunciata, unitamente ad una norma di PRG come interpretata ed applicata dall’amministrazione, per contrasto con fonti sovraordinate, non si “riduca” ad un contrasto dell’atto amministrativo (direttamente) con dette fonti, posto che una diversa e più corretta interpretazione delle NTA per un verso preserva queste ultime dal sospetto di illegittimità, per altro verso accentua l’illegittimità dell’atto amministrativo impugnato in relazione alle fonti evocate quale parametro.

Per le medesime ragioni sin qui esposte, è infondato l’ulteriore profilo del motivo sub a1) dell’esposizione in fatto, con il quale l’appellante incidentale lamenta una violazione dell’art. 7 Cpa, per avere il TAR esercitato una giurisdizione estesa al merito in materia in cui è consentito il solo sindacato di legittimità.

Secondo il Comune di Barletta, l’attività del I giudice non si è esaurita in una mera interpretazione del combinato disposto degli artt. 2.08 e 24, “ma è consistita piuttosto in una loro sostanziale riscrittura, alla luce di obiettivi di interesse generale diversi da quelli desumibili senza sforzo interpretativo dalla lettera delle conferenti disposizioni”.

Al contrario, il Collegio ritiene che il I giudice abbia proceduto, nei limiti propri della giurisdizione di legittimità, all’interpretazione delle NTA, onde estrarne il corretto contenuto normativo, ai fini della verifica della legittimità degli atti impugnati.

Nulla esclude, in ipotesi, che tale operazione interpretativa risulti viziata, o comunque non corretta, ma ciò (ove fosse) si riverbererebbe sul giudizio di legittimità (o meno) effettuato sugli atti impugnati, e, laddove non condiviso, sorregge un ordinario motivo di impugnazione, ma certo non rappresenta uno straripamento dai limiti della giurisdizione di legittimità.

Quanto all’ulteriore profilo del motivo di appello sub a1) dell’esposizione in fatto, in relazione alla (denunciata) mancata dichiarazione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti dal Valperga in data 12 novembre 2010, lo stesso appare del tutto ininfluente (e quindi inammissibile per difetto di interesse), alla luce delle ragioni di seguito esposte, che sorreggono la reiezione dell’appello e dell’appello incidentale, e dunque la conferma della sentenza impugnata.

Infine, l’appellante incidentale, con il motivo sub d1) dell’esposizione in fatto, lamenta un error in iudicando della sentenza per non avere rilevato l’inammissibilità del ricorso introduttivo di I grado di giudizio per difetto di interesse.

Ciò in quanto “nell’impugnazione dei piani urbanistici (anche attuativi) e dei permessi di costruire l’esistenza di una relazione di vicinanza tra i suoli se giustifica la sussistenza della legittimazione al ricorso non esaurisce la certezza della presenza dell’interesse all’impugnazione, nei limiti in cui non sia individuato quali possano essere i concreti benefici connessi all’accoglimento del ricorso sulla posizione giuridica del ricorrente”. Nel caso di specie, pur volendo riconnettere l’interesse ad agire al “deterioramento del carico urbanistico di zona”, considerato il rapporto percentuale tra l’edificabile e quanto rimarrà allo stato naturale, vi è in concreto “scarsa incidenza del piano sull’attuale vocazione naturale delle aree”.

Anche questo motivo di appello è infondato.

L’interesse ad agire, in relazione a provvedimenti che consentono l’edificazione, non si fonda solo sul rapporto di vicinanza dell’immobile del ricorrente (e della persona del ricorrente medesimo) con il luogo in cui deve essere effettuata l’edificazione.

Tale aspetto, come è stato già condivisibilmente osservato (Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2010 n. 9537), inerisce alla legittimazione ad agire che si fonda, oltre che sul titolo del soggetto, anche sulla relazione intercorrente tra la cosa oggetto del diritto (o, più in generale, della posizione giuridica) e il provvedimento che produce effetti pregiudizievoli per il patrimonio giuridico del ricorrente.

La sussistenza dell’interesse ad agire, richiede una lesione effettiva della posizione giuridica del ricorrente, della quale occorre che vi sia prova in giudizio.

Orbene, nel caso di specie il ricorrente in I grado è proprietario di immobili in una zona (classificata “E” dal PRG del Comune di Barletta), posti ad una sufficiente vicinanza (aspetto non contestato dall’appellante incidentale) con un sito in cui devono sorgere 184 unità immobiliari distribuite in 46 palazzine.

Appare, dunque, evidente il mutamento dell’equilibrio complessivo della zona ed i diversi profili di carico urbanistico sulla stesa gravanti, tali da rendere del tutto comprovata la sussistenza dell’interesse ad agire avverso atti amministrativi che, consentendo un serio intervento di edificazione, incidono proprio sulla classificazione come “zona agricola E” delle aree in cui si collocano sia gli immobili dei ricorrenti, sia i terreni oggetto dell’intervento.

I “concreti benefici connessi all’accoglimento del ricorso sulla posizione giuridica dei ricorrenti”, che l’appellante incidentale ritiene debbano essere presenti nell’impugnazione di piani urbanistici, anche attuativi (pag. 46), consistono proprio nel mantenimento di una destinazione di zona ad usi agricoli, o, comunque, nel non vedere diversamente utilizzate aree di detta zona per edificazione, così consentendo una collocazione dei propri immobili in un contesto non urbanizzato (in coerenza con quanto si assume essere disposto dal PRG).



7. Ai fini dell’esame degli ulteriori motivi dell’appello e dell’appello incidentale, occorre innanzi tutto osservare come due circostanze siano del tutto pacifiche tra le parti (né per tali aspetti è oggetto di contestazione la sentenza impugnata).

In primo luogo, è acclarato che oggetto dell’intervento edificatorio (e quindi della presente controversia, in relazione agli atti amministrativi che ciò autorizzano), è la realizzazione di un complesso, definito “insediamento turistico – rurale”, che contempla 46 palazzine di 4 unità immobiliari ciascuna, per un totale di 184 appartamenti e per complessivi 44.850 mc. e 448 abitanti potenziali, oltre al ulteriori 5200 mc. relativi ad un punto di ristoro.

In secondo luogo, è acclarato che, nel caso di specie, trovano applicazione l’ art. 2.08 delle NTA del Piano regolatore del 2003, e l’art. 24 delle NTA del piano regolatore del 1974, che è ritenuto come pacificamente richiamato dal nuovo Piano, e quindi vigente.

Alla luce di ciò, l’oggetto della presente controversia è dato, in sostanza, dallo stabilire se le disposizioni del Piano regolatore ora indicate consentano un intervento del tipo e della consistenza sopra considerata in zona “E”, quindi agricola, dallo strumento urbanistico vigente.

In sostanza, questo Collegio, per il tramite dei motivi di impugnazione è dunque chiamato a stabilire:

- innanzi tutto, se in aree rientranti in “zona E”, siano possibili, in generale, interventi edificatori, e, in caso affermativo, di quale genere e consistenza;

- in secondo luogo, e sempre che venga fornita risposta affermativa alla prima questione, se le NTA del PRG di Barletta consentano, nello specifico, e per il territorio di quel Comune, interventi del genere e della consistenza di quello oggetto di causa.

E’ del tutto evidente (come si è già affermato innanzi, per negare la lamentata violazione dell’art. 112 cpc), che, in caso di risposta in tutto o in parte negativa in ordine al primo punto, potrà porsi (o meno) un profilo di totale o parziale illegittimità delle NTA, laddove queste, in contrasto con le norme generali, consentano invece interventi edificatori in zona E, non compatibili con tale destinazione.

Al contrario, tale contrasto è escluso laddove si stabilisca (ad abundantiam, ai fini del presente giudizio) che anche le NTA del Piano regolatore di Barletta non consentono interventi (quanto meno del tipo considerato) nella detta zona E.



8. Come è noto, ai sensi dell’art. 7 della l. 17 agosto 1942 n. 1150, il Comune disciplina, con il Piano regolatore generale, l’assetto urbanistico dell’intero territorio comunale, in particolare prevedendo “la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”.

Le previsioni del Piano, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (da ultimo, sez. IV, 9 luglio 2011 n. 4134), “servono a conformare l’edificazione futura e non anche le costruzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore del Piano o di una sua variante” (Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009 n. 4009), ciò facendo con prescrizioni tendenzialmente a tempo indeterminato, in quanto conformative delle destinazioni dei suoli (Cons. Stato, sez. II, 18 giugno 2008 n. 982).

L’art. 41-quinquies, comma 8, della l. n. 1150/1942 prevede che “in tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici, o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”; e ciò (comma 9) “per zone territoriali omogenee”

A tali fini, l’art. 2 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, prevede:

“Sono considerate zone territoriali omogenee, ai sensi e per gli effetti dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765:

A ) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestino carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;

B ) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A ): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq.

C ) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l'edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B );

D ) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;

E ) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C );

F ) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale”.

Il successivo art. 7 del D.M:, prevede, in particolare, che nelle zone E, la massima densità fondiaria prescritta è pari a mc. 0,03 per mq.

Orbene, con particolare riguardo alla zona E, questo Consiglio di Stato deve senza dubbio ribadire che essa, pur individuata dal D.M. n. 1444 cit. come “destinata ad usi agricoli”, non deve essere immediatamente ed esclusivamente destinata a tali usi; e ciò in quanto – pur senza giungere a ritenerla “residuale” rispetto alle altre – tale zona può essere considerata più in generale come identificativa di una parte del territorio non destinata ad edificazioni intense per indici di utilizzazione o particolari per tipo di destinazione.

Inoltre, essa, comunque, non è tale da escludere forme limitate di edificazione, che si caratterizzino per la loro inerenza all’uso agricolo del suolo o che, per il loro minimo impatto, si presentano non invasive del territorio e comunque tali da proporsi – quale diretta conseguenza del forte divario tra superficie coperta e scoperta – come strumentali al fondo non edificato o “verde”.

Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2004 n. 4466) “la destinazione a verde agricolo di un'area stabilita dallo strumento urbanistico generale non implica necessariamente che l'area soddisfi in modo diretto ed immediato gli interessi agricoli, potendo giustificarsi con le esigenze dell'ordinato governo del territorio, quale la necessità di impedire un'ulteriore edificazione o un congestionamento delle aree, mantenendo un equilibrato rapporto tra aree libere ed edificate o industriali (cfr. fra le recenti IV Sez. 21 giugno 2001 n. 3341)”.

In tal senso, si è già affermato che la destinazione di aree a zona E ben può essere utilizzata per esigenze di salvaguardia del paesaggio e del’ambiente, e ciò anche derogando alle denominazioni di cui al D.M. n. 1444/1968 (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2009 n. 4308).

Ciò che caratterizza, dunque, la zona “E” non è tanto la immediata, presente (e futura) destinazione all’uso agricolo, quanto, in negativo, l’esclusione di destinazione ad utilizzazioni edificatorie, quali, in particolare, i “nuovi complessi insediativi”, che trovano la loro localizzazione nell’ambito della “zona C”, ovvero i “nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati”, che trovano la loro collocazione nell’ambito della”zona F”.

E che la “zona E” si caratterizza quale zona in assenza di possibilità edificatorie (salvo i minimi interventi consentiti dall’indice di densità fondiaria), si evince anche da quanto affermato dalla giurisprudenza in tema di cd,”zone bianche”, quelle zone cioè dove le previsioni vincolistiche degli strumenti di edificazione primaria siano decadute ex lege per decorso del tempo, ovvero per annullamento in sede giurisdizionale, attesa la riconducibilità delle medesime agli indici di densità fondiaria delle zone E.

Pur in presenza, dunque, di aperture giurisprudenziali, tali da escludere sia una applicazione rigida della cd. “zonizzazione”, di cui al D.M. n. 1444/1968, sia la stessa denominazione delle zone prescritta dal D.M., ciò che resta ferma è, per un verso, la necessità di disciplinare le destinazioni del territorio comunale per il tramite della pianificazione; per altro verso, il “discrimine” della identificazione delle zone del territorio comunale in relazione alla loro suscettività ad essere utilizzate o meno per la futura edificazione.

Si intende, in definitiva, affermare che, se è vero che la “zona E” non caratterizza di per sé aree destinate necessariamente e direttamente all’uso agricolo, e che essa consente anche utilizzazioni edificatorie (come peraltro testimonia la previsione di un sia pur minimo indice di densità fondiaria), ciò che comunque non può ritenersi possibile in zona E è la utilizzazione delle aree della stessa in modo tale da “invadere” quello che è il contenuto tipizzante di altre destinazione di zona.

E ciò sia in quanto ogni possibile interpretazione del “contenuto” della destinazione di zona, come normativamente disposto, incontra il proprio limite nel contenuto di altra destinazione di zona; sia in quanto – con specifico riguardo alle zone E - è la stessa norma che consente, in via di eccezione e a precise condizioni (quali il frazionamento della proprietà), di individuare, nell’ambito della più ampia zona E, “insediamenti . . . come zone C”, (in tal modo completando e delimitando il contenuto precettivo della norma anche con la previsione della sua eccezione).

Quanto affermato, comporta che, una volta che uno strumento di pianificazione (piano regolatore o variante al medesimo) abbia definito la destinazione di aree quali “zona E”, ogni plausibile interpretazione delle possibilità di utilizzazione di tali aree incontra un limite sia logico sia normativo, costituito dalla impossibilità, in dette zone, di realizzare insediamenti che, per natura, standard e proprie particolari caratteristiche, siano riconducibili a quelli che costituiscono il contenuto tipico di altre forme di zonizzazione.



9. Da quanto esposto consegue che non può trovare adesione quanto sostenuto dall’appellante incidentale Comune di Barletta (pag. 21), laddove afferma che “nulla osta a che lo strumento primario di pianificazione del territorio preveda, oltre alle zone tipiche, destinate alla realizzazione di complessi insediativi, anche aree di tipo diverso in cui non sono consentiti interventi di edificazione con gli indici tipici delle zone di espansione . . . ma la realizzazione di interventi di trasformazione edilizia caratterizzati da un indice di densità territoriale inferiore ad 1,5 mc/mq e superiore al limite 0,03 mc/mq tipico delle zone agricole pure”.

Appare infatti evidente, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, che tale previsione affidata al PRG non può essere ritenuta legittima sia in quanto essa contrasta con il principio stesso di tipizzazione delle aree; sia in quanto il limite “tipico” di aree a destinazione agricola (per quanto “flessibile” possa essere ritenuta tale destinazione), è rappresentato proprio dal non avere le medesime la possibilità di una utilizzazione edilizia; sia in quanto per le stesse “zone C” ben può essere previsto un indice di densità fondiaria più basso di quello costituente il massimo normativamente previsto, il che colloca comunque “nuovi complessi insediativi” in zona C e non in zona E.

Alla luce di quanto sin qui affermato, appaiono del tutto irrilevanti le risultanze cartografiche (o l’esigenza – o meno – di provvedere a modifiche delle tavole di zonizzazione), anche in relazione ad un difforme contenuto normativo, nonché la necessità di stabilire la prevalenza tra risultanze difformi, posto che è del tutto pacifico tra le parti che l’intervento per cui è controversia si colloca in zona E. Ed infatti:

- secondo gli appellanti in via principale, nel caso di specie, “non si tratta della creazione di una nuova e diversa zonizzazione, ma soltanto dell’applicazione di un diverso e speciale regime (quello di cui all’art. 24) in un’area che resta zona E” (v. sub c) dell’esposizione in fatto);

- secondo l’appellante incidentale, “è consentito al Comune di disciplinare zone caratterizzate da indici di densità territoriali più bassi di quelli di espansione, fermo restando il carattere agricolo . . . ma caratterizzate da una possibilità edificatoria maggiore delle zone E pure (zone agricole pure)” (sub b1 dell’esposizione in fatto).

Allo stesso modo:

- non possono trovare accoglimento le ricostruzioni operate a sostegno dei motivi di appello, di cui alle lettere d) e), f) dell’appello principale, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, non sono possibili in zona E “insediamenti che mantengono fermo il carattere agricolo della zona”;

- non può trovare accoglimento il motivo sub b1) dell’esposizione in fatto, perché, contrariamente a quanto sostenuto, non può essere “consentito al Comune di disciplinare zone caratterizzate da indici di densità territoriali più bassi di quelli di espansione, fermo restando il carattere agricolo . . . ma caratterizzate da una possibilità edificatoria maggiore delle zone E pure (zone agricole pure)”.

In conclusione, deve essere condivisa la sentenza appellata, laddove essa afferma che il ritenere che l’art. 24 NTA istituisce una “zona C” comporta, stante la sua “applicazione generalizzata a tutte le parti del territorio comunale non interessate da edificazione, cioè a tutte le zone extraurbane”, l’illegittimità della previsione per contrasto con il D.M. n. 1444/1968 “in relazione alla mancata individuazione di zone agricole pure”, e ciò dato che detto D.M. “non autorizza affatto la istituzione di zone del territorio comunale in cui coesistano la destinazione E e C”.

In punto di fatto, ed alla luce delle considerazioni sin qui svolte, appare difficile sostenere che un intervento edificatorio, pur denominato “insediamento turistico – rurale”, che contempla 46 palazzine di 4 unità immobiliari ciascuna, per un totale di 184 appartamenti e per complessivi 44.850 mc. e 448 abitanti potenziali, oltre al ulteriori 5200 mc. relativi ad un punto di ristoro, possa essere compatibile con una (pur flessibile) individuazione delle destinazioni ammissibili in zona E, ovvero possa costituire – come sostenuto dagli appellanti – “semplici insediamenti residenziali, radi e disaggregati”, come tali compatibili con il carattere agricolo delle aree impresso dalla zonizzazione “E”.



10. La affermata indisponibilità di aree destinate ad uso agricolo (localizzate in “zona E”), a rendere possibili interventi edificatori del tipo oggetto della presente controversia, è già sufficiente ad escludere la fondatezza dell’appello principale e dell’appello incidentale proposto dal Comune di Barletta.

Ciò comporta l’ulteriore conseguenza che, laddove gli artt,. 2.08 e 24 delle NTA del PRG di Barletta, consentissero – ferma restando la zonizzazione E – interventi di tale tipo e dimensione, occorrerebbe concludere per l’illegittimità degli stessi (ferma la possibilità o meno del loro annullamento in relazione al petitum del ricorso instaurativo del giudizio di I grado).

Il Collegio ritiene, peraltro, che gli articoli citati non rendano affatto possibile la realizzazione di insediamenti del tipo di quello (insediamento turistico – rurale) oggetto della presente controversia.

Orbene, l’art. 2.08, (rubricato “Attività complementari insediabili nelle zone E”), prevede:

“1. Le attività complementari di tipo turistico-residenziali, di tipo turistico, di tipo sportivo/tempo libero, finalizzate al mantenimento delle caratteristiche paesaggistico/ambientali, alla integrazione delle attività agricole ed al mantenimento/recupero di strutture esistenti, sono insediabili nelle zone agricole E.

2. La edificazione connessa con dette attività é subordinata alla approvazione in Consiglio Comunale del relativo progetto (corredato da apposita relazione esplicitante gli aspetti paesaggistico/ambientali ed economici della iniziativa); detta edificazione va considerata all’interno di quella realizzabile con i parametri di cui al punto 4 dell’articolo precedente ma con il solo volume destinabile alla residenza (0,03 mc/mq), rimanendo escluso l’accorpamento di aree di terreni non confinanti.”.

L’art. 24 del PRG 1971 previgente (ma da ritenere tuttora applicabile) prevede:

“Centri agricoli organizzati (come quello in Montaltino), a servizio di comprensori di almeno 30 ettari, potranno attuarsi su iniziativa e cura e spese di proprietari, singoli o associati, previa autorizzazione del Comune.

Il nucleo del centro agricolo avrà un indice di fabbricabilità territoriale di 0,12 mc/mq aumentato del 12% per edifici di uso pubblico.

I fabbricati avranno le seguenti caratteristiche:

altezza massima m. 8,00;

larghezza massima m. 12,00;

lunghezza massima m. 24,00;

distacchi da strade e da latri edifici m. 8,00.

I proprietari, singoli o associati, dovranno stipulare una convenzione con il Comune impegnandosi all’esecuzione, a loro cura e spese, delle opere di urbanizzazione primaria: rete stradale, fognatura, pubblica illuminazione, rete di distribuzione dell’acqua potabile e dell’energia elettrica. Dette opere e le aree da esse impegnate dovranno essere cedute al Comune senza corrispettivo ed a scomputo della parte di valore delle aree edificabili assoggettabili a contributo di migliorìa.

Il piano plani-volumetrico del centro agricolo dovrà essere preventivamente approvato dal Provveditorato Regionale alle OO.PP di Bari.”.

Orbene, il Collegio ritiene che gli artt. 2.08 delle NTA del PRG del 2003 e l’art. 24 del PRG del 1971 disciplinano interventi affatto diversi, contrariamente a quanto hanno ritenuto dapprima il Comune in sede di adozione degli atti oggetto di impugnazione, ed attualmente gli appellanti principali e il medesimo Comune, quale appellante incidentale, secondo i quali , sostanzialmente, le due previsioni normative risulterebbero “cumulabili” tra loro.

Al contrario:

- mentre l’art. 2.08 è destinato a disciplinare la possibilità di realizzazione, in aree agricole “E”, di “attività complementari di tipo turistico-residenziali, di tipo turistico, di tipo sportivo/tempo libero, finalizzate al mantenimento delle caratteristiche paesaggistico/ambientali, alla integrazione delle attività agricole ed al mantenimento/recupero di strutture esistenti”,

- l’art. 24 consente l’attuazione di “centri agricoli organizzati”, indicando specificamente (come paradigmatico) quello “in Montatino”.

Si tratta, a tutta evidenza, di due distinte tipologie di interventi, oggetto di due distinte norme e conseguenti regolamentazioni.

Nel caso disciplinato dall’art. 2.08, l’edificazione in zona E è consentita solo nella misura in cui gli interventi di tipo considerato siano “complementari”, rispetto alla destinazione primaria della zona (cioè rispetto alla zona agricola). Tale “complementarietà” è testimoniata anche dal preciso richiamo all’indice di edificabilità di cui al precedente art. 2.07 “con il solo volume destinabile alla residenza (0,03 mc/mq)”.

Nel caso di cui all’art. 24, è invece disciplinata la attuazione di “centri agricoli organizzati”, a servizio di comprensori di almeno 30 ettari, “come quello in Montaltino”. Già tale indicazioni pone in sé un problema interpretativo, posto che il richiamo al centro “in” Montaltimo è indicativo, più che di una localizzazione di un possibile nuovo intervento in detta località, della esemplarità di un caso esistente sul quale parametrare gli eventuali, ulteriori interventi.

Orbene, il Collegio non ritiene che – sulla base di una normale esegesi delle norme - le due disposizioni possano essere considerate nel senso di recepirsi dalla prima (art. 2.08), la possibilità di realizzazione di insediamenti “turistico-residenziali”, e dalla seconda (art. 24), invece, il più favorevole indice (0,12 mc/mq), previsto per i “centri agricoli organizzati”.

In primo luogo, occorre affermare che se due distinte norme disciplinano (con indici di fabbricabilità diversi) la prima gli insediamenti turistico – residenziali ed altri (ma non i “centri agricoli organizzati”) e la seconda proprio questi ultimi, non appare possibile ridurre ad unità i primi ed i secondi, applicando ai primi l’indice di fabbricabilità (più favorevole) previsto per i secondi, e ritenendo di assimilare (laddove le norme invece distinguono) i “centri agricoli organizzati” agli insediamenti turistico –residenziali.

In sostanza, si intende affermare che, quale che sia la definizione di “centro agricolo organizzato”, è almeno certo che esso è qualcosa di diverso dalle tipologie di insediamenti di cui al distinto art. 2.08. Né a diversa conclusione si giunge osservando che, nel caso di specie, si discorre di un “insediamento turistico – rurale” e non”turistico-residenziale”.

In secondo luogo, occorre osservare che, mentre gli interventi contemplati dall’art. 2.08 costituiscono evidenti “deroghe” alla destinazione agricola delle aree, di modo che se ne richiede la “complementarità” per ritenerli assentibili, e comunque si applicano loro indici meno favorevoli; al contrario, i “centri agricoli organizzati”, proprio perché sono insediamenti edilizi comunque destinati a supporto dell’agricoltura su aree di estensione normativamente stabilita (30 ettari), non costituiscono “deroga” alla destinazione di zona, e proprio per la loro strumentale specificità all’agricoltura, possono usufruire di un indice di densità fondiaria più favorevole.

Alla luce di quanto esposto, deve essere condivisa la sentenza impugnata:

- sia laddove essa afferma che il recepimento dell’art. 24 NTA del PRG 1971 da parte della variante del 2003 non ha comportato un mutamento del contenuto della norma “solo perché chi ne ha chiesto la introduzione nella variante del 2003 pensava di utilizzarla allo scopo di creare nuovi insediamenti residenziali e/o turistici”. Infatti, essa “è e rimane una norma deputata alla disciplina delle zone agricole ed a salvaguardare determinate esigenze legate all’esercizio di attività agricole”;

- sia laddove essa afferma che i centri agricoli realizzati in base a tale norma “non possono e non devono essere dei meri centri residenziali o turistico – residenziali, dovendo in concreto servire alle esigenze di una produzione agricola che si estenda su una superficie minima di 300.000 mq”;

- sia infine laddove essa afferma che solo nel caso in cui un centro agricolo rispetta i dettami dell’art. 24, “esso potrà anche prevedere che determinati volumi o spazi siano utilizzati al fine di creare attività turistco – ricettive, ed in tal senso esso si presterà a divenire anche uno strumento di promozione turistica”.

Per le stesse ragioni, risulta infondato l’appello principale, anche per i profili con i quali si ritiene ammissibile un intervento turistico – rurale in zona E, e si contesta la sentenza laddove questa ritiene che “la complementarietà delle attività di tipo turistico – residenziale insediabili in zona E . . . starebbe a significare che le stesse dovrebbero essere funzionali alle attività agricole”.

Allo stesso modo, non assume alcun rilievo che il centro turistico rurale “non comporta alcun impatto ambientale ma si integra perfettamente con l’ambiente circostante”, come asseverato da una pluralità di organi amministrativi, posto che è la previsione stessa di tale centro (secondo gli standard previsti) ad essere incompatibile urbanisticamente con la zona E.

Né assume alcun rilievo stabilire quale sia il corretto significato di “nucleo” (v. sub h) dell’esposizione in fatto), essendosi già escluso in ogni caso la riconducibilità dell’intervento a tipologie “turistiche” o “turistico-residenziali”.

Per le stesse ragioni, risulta infondato l’appello incidentale del Comune di Barletta, in relazione al motivo sub b1) dell’esposizione in fatto, con assorbimento del motivo sub c1 (e ciò a prescindere dalla verifica della sua ammissibilità).

Il rigetto dell’appello principale e dell’appello incidentale proposto dal Comune di Barletta, comporta la declaratoria di inammissibilità per difetto di interesse dell’appello incidentale proposto dal sig. Valperga di Masino, potendosi così prescindere dalla verifica delle eccezioni di inammissibilità dello stesso, proposte dalle altre parti appellanti.

Dal rigetto degli appelli, per le ragioni sopra esposte, consegue la conferma della sentenza impugnata. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da De Raymondi Lorenzo ed altri, come in epigrafe indicati (n. 9238/2011 r.g.):

- rigetta l’appello;

- rigetta l’appello incidentale proposto dal Comune di Barletta;

- dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dall’appellato Carlo Emanuele Valperga di Masino;

- per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;

- condanna gli appellanti principali e l’appellante incidentale Comune di Barletta, in solido, al pagamento, in favore dell’appellato Carlo Valperga di Masino, delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 (diecimila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)