Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4482 del 6 agosto 2012
Urbanistica.Lotto minimo e asservimento del fondo contiguo

Due lotti confinanti che fanno capo a due proprietà distinte e ciascuno di consistenza inferiore a lotto minimo d’intervento edilizio, si pongono, invero, in una relazione di asservimento reciproco, per cui una sola delle suddette proprietà può integrare la dotazione minima richiesta grazie all’asservimento del fondo contiguo. Un solo lotto, grazie all’asservimento dell’altro, può ottenere il titolo aedificandum, non potendosi configurare una edificazione che interessi entrambe le aree con due costruzioni insistenti su lotti ascrivibili a distinte proprietà. Se così non fosse ci si potrebbe trovare di fronte ad un vero e proprio escamotage, in cui più proprietari di aree distinte, con le “modalità” dell’accorpamento, aggirerebbero l’ostacolo della dotazione minima di ciascun lotto per poter ivi essere consentita l’edificazione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04482/2012REG.PROV.COLL.

N. 07866/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7866 del 2010, proposto da:

Fallimento Le Serre srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Italo Tarquini, con domicilio eletto presso Paolo Panariti in Roma, via Celimontana, 38;

contro

Velda Ranalletta, rappresentata e difesa dagli avv. Giovanni Bafile e Francesco Bafile, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Conca D'Oro, 30;

nei confronti di

Comune di Ovindoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Colagrande, con domicilio eletto presso Studio Scoca in Roma, via Paisiello, 55;

Sebastiani, Danilo Sebastiani, Ersilia Sebastiani Angela, rappresentati e difesi dall'avv. Eleuterio Simonelli, con domicilio eletto presso Giulia Basile in Roma, via Sirte, 28;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA: SEZIONE I n. 00288/2009, resa tra le parti, concernente PERMESSO DI COSTRUIRE PER DUE FABBRICATI.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Velda Ranalletta, di Comune di Ovindoli, nonché di Angela Sebastiani, Danilo Sebastiani ed Ersilia Sebastiani;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2012 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Ardizzi in sostituzione dell’avv. Italo Tarquini) Roberto Colagrande e Eleuterio Simonelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

In relazione ad apposita istanza formulata dalla Società Le Serre e dai Sigg.ri Sebastiani Felice Onorino e D’Angela Marida, il Comune di Ovindoli rilasciava ai richiedenti due concessioni edilizia, l’una, la n.1012 del 25 settembre 1995 e, l’altra, la n.1013 del 1 ottobre 1993, per la realizzazione di due corpi di fabbrica insistenti in via Faelli, su aree confinanti di rispettiva proprietà, da adibire rispettivamente ad abitazione civile e a ristorante-pensione.

La sig.ra Ranalletta Velda impugnava innanzi al Tar per l’Abruzzo il secondo dei suindicati titoli edilizi e l’adito Tribunale con sentenza n.533/96, in accoglimento del denunciato contrasto con la norma delle NTA prescrittiva della superficie minima del lotto di mq 700, annullava la concessione edilizia n.1013 /93 rilasciata alla srl Le Serre.

Il primo giudice aveva rilevato che i due lotti per i quali erano state rilasciate le concessioni erano reciprocamente asserviti ai fini della costituzione del lotto minimo d’intervento, attesa la loro consistenza inferiore alla superficie minima richiesta, sicché il rilascio di due concessioni aveva implicato l’utilizzo per due volte ai fini edificatori di uno stesso lotto, il che non era consentito.

La sentenza del Tar testé indicata veniva confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n.1278/2003 di reiezione dell’appello.

Quindi, il Comune di Ovindoli annullava in autotutela la concessione edilizia n.1012/1993 e rilasciava alla Società Le Serre e ai Sigg.ri Sebastiani - D’Angelo la concessione edilizia n. 3 del 2003, quale unico atto di assenso per la realizzazione di due fabbricati.

Anche questa concessione era fatta oggetto di impugnativa da parte della sig.ra Ranalletta innanzi al Tar per l’Abruzzo, che con sentenza n.288/2009 accoglieva il ricorso, ritenendolo fondato.

Avverso tale decisum, ritenuto errato ed ingiusto, è insorta la Società Fallimento Le Serre, deducendo a sostegno del proposto gravame i seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 comma 1 della legge 6 dicembre 1971n.1034, sul rilievo della tardività del ricorso di primo grado;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art.24 della legge 6 dicembre 1971 n.1034, per improcedibilità del gravame di primo grado in quanto tardivamente riassunto;

3) Erroneità nel merito della sentenza impugnata. Insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si è costituita in giudizio l’originaria ricorrente di prime cure Ranalletta Velda per resistere all’appello.

Il Comune di Ovindoli si è costituito in giudizio, aderendo alle tesi dell’appellante, con richiesta di riforma dell’impugnata sentenza.

Si sono altresì costituiti in giudizio i sigg.ri Sebastiani Angela, Sebastiani Danilo e Sebastiani Ersilia, in proprio e quali eredi di Sebastiani Felice Onorino e D’Angelo Marida, che hanno chiesto, in riforma della sentenza de qua, il rigetto o comunque la dichiarazione di improcedibilità del ricorso di primo grado proposto dalla sig.ra Ranalletta.

All’ udienza pubblica del 12 giugno 2012 la causa è stata introitata per la definitiva decisione.

 

DIRITTO

L’appello è infondato, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma.

Parte appellante (1° e 2° mezzo di gravame ) e le altre parti che sono intervenute ad adiuvandum delle ragioni della Società Fallimento Le Serre, eccepiscono l’irricevibilità per tardività e l’improcedibilità per mancata riassunzione nei termini del ricorso di primo grado proposto dalla sig.ra Ranalletta .

Le eccezioni sono infondate.

Quanto alla dedotta tardività del ricorso di primo grado, le difese avversarie dell’attuale appellata fanno decorrere il dies a quo per il computo del termine decadenziale di impugnazione dall’avvenuta pubblicazione all’albo pretorio della concessione gravata, ma l’atto in questione è stato comunicato dopo la sua adozione alla parte interessata, ed è indubbiamente dalla data di ricevimento di tale comunicazione che cominciano a decorrere i sessanta giorni ai fini della piena conoscenza dell’atto previsti dall’art.21 u.c. della legge n.1034/1971 per la contestazione giudiziale del provvedimento stesso.

E siccome non v’è prova (da fornirsi a cura di chi solleva la relativa eccezione) dell’avvenuta piena conoscenza in epoca anteriore, il ricorso deve considerarsi tempestivamente proposto (cfr, ex multis, Cons. Stato Sez. IV 13 luglio 2011 n. 4234).

Viene poi in rilievo l’eccezione di improcedibilità del ricorso di prime cure in relazione alla tardiva riassunzione del giudizio, già dedotta in prime cure e qui riproposta dalle parti interessate.

E’accaduto che durante il giudizio di primo grado è sopravvenuto il decesso di uno dei controinteressati, dandosi atto dell’interruzione del giudizio per tale motivo.

Il ricorso è stato successivamente riassunto dalla parte interessata, ma secondo gli attuali resistenti solo dopo l’avvenuta scadenza del termine previsto dall’art. 24 della legge n. 1034 del 1971 (sei mesi), che si deve fardecorrere, secondo la loro prospettazione, dalla data di dichiarazione in giudizio dell’evento e non già da quella del provvedimento con cui il giudice ha dato atto dell’interruzione.

Anche tale eccezione va disattesa, dovendosi convenire con la statuizione resa dal TAR circa la sussistenza delle condizioni per farsi luogo alla concessione dell’errore scusabile in favore della parte che aveva l’onere processuale di riassumere il giudizio.

L’errore scusabile è un istituto di generale applicazione (Cons. Stato Sez. V 21 giugno 2005 n. 3268) previsto, quanto al giudizio amministrativo, dagli artt.34 e 36 delle leggi sul Consiglio di Stato e dall’art.34 della legge TAR .

Ciò detto, nel processo amministrativo come nel processo civile, ai fini dell’applicabilità dell’istituto dell’errore scusabile, rilevano per le parti del processo le regole di condotta di diligenza nel compimento dei singoli atti, assumendo, in particolare, rilevanza quella che può essere definita la colpa processuale: non a caso, il riferimento alla colpa viene fatto proprio nella prima sentenza con cui il Consiglio di Stato si è occupato dell’errore scusabile, la n. 154 del 27 maggio 1892.

Orbene, alla luce della ratio di cui è animato l’istituto, non pare possa rinvenirsi a carico dell’attuale appellata un comportamento processualmente colpevole : invero il Tar con l’ordinanza n.1/2003 dichiarativa dell’interruzione del giudizio aveva affermato che il processo andava riassunto entro sei mesi dalla data di comunicazione dell’ordinanza stessa e se così è, può ragionevolmente ritenersi che la parte interessata ha fatto affidamento su quanto dallo stesso giudice

Precisato; e comunque da tanto ben può evincersi una situazione di incertezza che manda esente da colpa il comportamento processuale tenuto dalla parte (cfr Cons. Stato Ad. Pl.2 dicembre 2010 n.3).

Passando al merito della fondamentale quaestio juris sottesa alla controversia all’esame, infondati si appalesano i profili di doglianza dedotti dalla parte appellante, come ribaditi dalle altre parti intervenute in favore della Società Fallimento Le Serre.

La problematica è costituita dal fatto che vi sono due lotti confinanti, che fanno capo a due proprietà distinte e ciascuno dei quali di consistenza inferiore alla superficie di 700 mq (lotto minimo d’intervento edilizio) .Detti lotti si pongono, invero, in una relazione di asservimento reciproco, di guisa che una sola delle suddette proprietà può integrare la dotazione minima richiesta grazie all’asservimento del fondo contiguo.

In relazione alle caratteristiche tipologiche delle aree in questione come sopra descritte, un solo lotto, grazie all’asservimento dell’altro, può ottenere il titolo aedificandum, non potendosi configurare una edificazione che interessi entrambe le aree con due costruzioni insistenti su lotti ascrivibili a distinte proprietà.

Parte appellante sostiene che nella specie si sarebbe verificato solo l’accorpamento di due lotti edificabili in un solo lotto, ma ciò non è possibile dal momento che le aree sono urbanisticamente distinte, potendo avvenire l’unificazione invocata solo ove si fosse in presenza di un unico bene assoggettate al regime giuridico di un’unica, indivisa proprietà, il che non è.

Se così non fosse ci si potrebbe trovare di fronte ad un vero e proprio escamotage, in cui più proprietari di aree distinte, con le “modalità” dell’accorpamento, aggirerebbero l’ostacolo della dotazione minima di ciascun lotto per poter ivi essere consentita l’edificazione.

I due fondi messi insieme hanno capacità edificatoria sufficiente per un solo intervento insistente su uno dei due lotti (di uno o dell’altro proprietario) e questo perché una delle due aree reciprocamente asservite ha “caricato” l’altra della superficie minima necessaria , con la conseguenza che, una volta stabilita ed effettuata l’operazione di asservimento, non residua per il lotto asservito la potenzialità edificatoria sufficiente a realizzare su di esso un altro fabbricato, avendo appunto esaurito, con l’asservimento, la capacità di edificazione (Cons. Stato Sez. V 10 febbraio 2000 n. 749; idem 7 novembre 2002 n. 6128 ).

Sul punto, le osservazioni formulate dal Tar appaiono convincenti ed esaustive e vanno pertanto confermate.

In forza delle suestese considerazioni, l’appello si appalesa infondato e va perciò respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono individuate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna le parti soccombenti al pagamento in favore della resistente Ranalletta Velda delle spese e competenze del presente grado del giudizio, che si liquidano complessivamente in euro 6.000,00 oltre IVA e CPA, di cui euro 2.000, 00 a carico di Fallimento Le Serre s.r.l., altri euro 2.000,00 a carico del Comune di Ovindoli e i rimanenti 2.000,00 a carico dei siggri Sebastiani Angela, Sebastiani Danilo e Sebastiani Ersilia, in solido tra loro.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

Fulvio Rocco, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/08/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)