Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1526, del 14 marzo 2013
Urbanistica.Opere edilizie in cemento armato precluse alla progettazione dei geometri
Dalla esegesi sistematica del R.D. 11 febbraio 1929 n. 274, del R.D. 16 novembre 1939 n. 2229, della L. 2 marzo 1949 n. 144 e della L. 5 novembre 1971 n. 1086, è desumibile che non tutte le opere edilizie con impiego di cemento armato sono precluse alla progettazione dei geometri, ma solo quelle in cui, in relazione alla loro destinazione, il predetto impiego possa comportare pericolo per l'incolumità delle persone, il che tendenzialmente avviene per le costruzioni destinate a civile abitazione e progettate su più piani, con struttura portante in cemento armato, comunque destinata all'abitazione delle persone, intervento che deve ritenersi riservato ai tecnici laureati (ingegneri ed architetti). (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01526/2013REG.PROV.COLL.
N. 03750/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3750 del 2006, proposto da:
Vadala' Elvira, rappresentato e difeso dagli avv. Simona Gambini, Domenico Bonaccorsi Di Patti, con domicilio eletto presso Domenico Bonaccorsi Di Patti in Roma, via Federico Cesi, 72;
contro
Comune di Vermezzo, rappresentato e difeso dagli avv. Diego Vaiano, Claudio Venghi, con domicilio eletto presso Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
nei confronti di
Litta Luigi, Ippos S.r.l., rappresentati e difesi dagli avv. Giorgio Della Valle, Guido Salvatori Del Prato, con domicilio eletto presso Giorgio Della Valle in Roma, piazza Mazzini, 8 - Sc. C;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 00195/2006, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 00195/2006, resa tra le parti, concernente DIA EDILIZIA.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Domenico Bonaccorsi Di Patti, Giorgio Della Valle e Donella Resta (su delega di Diego Vaiano);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso al TAR Lombardia, la sig.ra Elvira Vadalà , premesso di essere proprietaria di un edificio di civile abitazione ubicato in v. Barelli del Comune di Vermezzo (in zona classificata RV dal PRG ed insistente catastalmente sul mappale n. 191/fg.3), esponeva che su due mappali (n. 216 e n. 192), entrambi confinanti con la sua proprietà (e confinanti tra loro) , il Comune assentiva, mediante due distinte D.I.A., due interventi edilizi in favore del sig. Luigi Litta (al quale, nella realizzazione degli interventi, subentrava poi la società Ippos); il primo intervento sulla particella n. 216, consistente nella nuova edificazione di 5 villette a schiera (DIA n. 18/2005), il secondo sulla particella n.192, costituito dalla ristrutturazione di un preesistente edificio di proprietà del sig. Litta (DIA n. 40/2005). L’esponente, ritenendo entrambi gli interventi integrare una grave lesione della normativa urbanistico edilizia, sollecitava il Comune (prima con due istanze e poi con una formale diffida) ad assumere i provvedimenti cautelari previsti dalla legge.
Non avendo ottenuto esito alcuno, la sig.ra Vadalà adiva il TAR Lombardia, chiedendo la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dal Comune (sull’istanza presentatagli e tesa all’esercizio dei poteri repressivi), ovvero del mancato esercizio del potere inibitorio, nonché l’annullamento dei provvedimenti taciti formatisi sulle summenzionate DIA, del silenzio formatosi nei confronti delle menzionate dichiarazioni di inizio di attività edilizia. La ricorrente proponeva altresì domanda di risarcimento del danno, costituito dal depauperamento del valore della proprietà per effetto delle costruzioni realizzate. L’interessata supportava il ricorso con motivi e censure così riassumibili:
a- quanto alla contestazione della DIA n. 18/2005:
- eccesso di potere sotto vari profili, violazione dell’art. 1 della legge n. 241/1990 e della normativa sulla DIA, sotto il profilo del mancato esercizio del potere inibitorio; violazione delle previsioni insediative del PRG;
- violazione ed errata applicazione degli artt. 12 del t.u. n.380/2001, degli artt. 8 e 15 delle NTA di PRG, sotto diversi profili;
- violazione dell’art. 36 del regolamento edilizio comunale ed altri profili di violazione di legge in materia di oneri concessori;
- violazione ed omessa applicazione degli artt. 16 r.d. n.274/1929, 23 e 64 t.u. edilizia, 4 legge reg.le n.22/99 e 42 legge reg. n.12/05, 4 legge n. 493/1993, sotto diversi profili;
- violazione dell’art. 19 della legge n. 241/1990;
- ulteriori profili di eccesso di potere e di violazione della normativa sulla DIA con riferimento ai poteri inibitori.
In sintesi la ricorrente ha contestato la realizzazione delle opere in essenziale difformità dai progetti assentiti per effetto della DIA, essendo stati realizzati, con particolari accorgimenti volti ad occultarli, volumi abitativi non consentiti poiché superiori agli indici regolanti l’area, una parte della cui volumetria risulterebbe utilizzata per la costruzione in precedenza assentita (conc n.236 del 16.4.1974) eretta sulla particella confinante dei controinteressati Litta-Ippos); il cennato asservimento urbanistico e comunque la previsione tipologica imposta dal PRG per gli insediamenti previsti nella zona precludeva il legittimo rilascio della dia per i volumi in questione.
b- contro la DIA n. 40/2005:
- violazione dell’art. 9 del DM n.1444/1968 e 872 cod. civ., in merito alla distanza dell’edificio oggetto di ristrutturazione;
- violazione degli artt. 16 del t.u. sull’edilizia, 43 e 44 della legge regionale n. 12/2005; violazione del principio del buon andamento dell’azione amministrativa ed eccesso di potere per ingiustizia manifesta;
- violazione degli artt. 4 legge regionale n.22/1999, 19 della legge n.241/1990 , 4 della legge n.493/1993, 23 del t.u. sull’edilizia e 42 della legge regionale n.12/2005.
La ricorrente ha contestato l’apertura al primo piano di una finestra su parete in origine sprovvista, ciò in contrasto con la DIA o in violazione da parte di quest’ultima della normativa civilistica ed urbanistica sulle distanze tra le costruzioni.
c- avverso il silenzio formatosi sulla diffida:
- invalidità derivata da quella inerente le DIA;
- violazione per errata o mancata applicazione degli artt. 4 della legge regionale n. 22/99, 41 e 42 della legge regionale n. 12/2005, 11, 22 e 23 del t.u. sull’edilizia, 19 e 20 della legge n. 241/1990 e diversi profili di eccesso di potere.
2.- Con la sentenza epigrafata il TAR dichiarava inammissibile il ricorso in quanto cumulativamente proposto avverso due atti ritenuti distinti ed autonomi e non connessi fra loro, nonché per aver introdotto due differenti azioni (annullamento e silenzio-inadempimento) col medesimo atto introduttivo del giudizio.
3.- La sig.ra Vadalà ha tuttavia impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma, argomentando a favore della piena ammissibilità del ricorso (ed in via subordinata la eccessiva latitudine della sentenza impugnata) e domandando quindi a questo giudice d’appello di definire nel merito l’impugnativa di primo grado.
3.1- Si sono costituiti nel giudizio il Comune di Vermezzo ed i controinteressati in primo grado Luigi Litta e srl Ippos, odierni appellati, resistendo al gravame ed esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive, che si hanno qui per riportate.
3.2.- Con ordinanza n. 3379/2006 questa Sezione, considerato l’appello non sprovvisto di “fumus”, ma rilevato anche che l’intervento edilizio risultava già ultimato nelle linee strutturali (non residuando perciò spazio per misure inibitorie urgenti), ha disposto il rigetto della istanza di sospensione della sentenza impugnata, avanzata dall’appellante.
3.3.- Alla pubblica udienza del 18 ottobre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
3.4.- Con sentenza interlocutoria (n. 8252/2010) questa Sezione ha accolto parzialmente l’appello, ritenendo errata la pronunzia di inammissibilità del ricorso di primo grado ed ha pertanto riformato la decisione, ritenendo la cognizione della controversia nel merito. Al fine di decidere quest’ultima, la Sezione ha contestualmente ordinato all’ufficio tecnico comunale di redigere e depositare documentata relazione, recante le caratteristiche edilizie degli interventi realizzati sul mappale n. 216 (DIA n.18/2005), e chiarimenti in particolare su misura e numero di piani inerenti sia le superfici residenziali che quelle non abitabili o accessorie.
3.5.- La relazione è stata depositata in data 23.12.2010.
3.6.- In vista dell’udienza di discussione, le parti, con due memorie e rispettive repliche, hanno svolto le proprie osservazioni.
3.7.- Alla pubblica udienza dell’ 8 gennaio 2013, l’appello è stato definitivamente trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- La controversia in esame attiene alla legittimità, contestata dall’appellante, di due interventi edilizi, in fatto specificati, assentiti dal Comune appellato, in favore dei soggetti controinteressati, mediante due procedure avviate da altrettante dichiarazioni di inizio di attività. Completa il quadro contenzioso, introdotto dalle azioni di annullamento sopra indicate, l’azione risarcitoria proposta in ragione della sostenuta illegittimità dei cennati interventi, assentiti sull’area confinante alla proprietà della ricorrente.
1.2.- Per effetto dei principi affermati dalla sentenza interlocutoria (n. 8521/2010), questa Sezione, con detta pronunzia, ha annullato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso in ragione della pluralità delle azioni proposte dalla sig.ra Vadalà innanzi al TAR. Con la predetta decisione parziale si è affermata la necessità di privilegiare, e quindi di considerare ammissibile, l’azione alla quale il ricorrente risulta avere maggiore interesse (cfr. C.d.S., VI, n. 893/1987 e, più recentemente, C.d.S, VI, n.6896/2004). Tale selezione, ad avviso del Collegio, e considerati natura ed effetti della procedura DIA (come chiariti da Cons. di Stato, a.p., n.15/2011 anche se solo successivamente ai ricorsi in esame), deve essere espressa nei confronti delle azioni di annullamento dei provvedimenti taciti negativi, equiparati dalla legge ad atti espressivi, da parte dell’ Amministrazione, di diniego di esercizio del potere inibitorio ad essa attribuito. Le azioni stesse vanno quindi trattate nel merito, in ragione di ciascuna delle procedure DIA di riferimento.
2. Muovendo dalle problematiche inerenti la DIA n. 18/2005, che riguarda l’intervento di nuova edificazione (costituito dalle cinque villette a schiera), occorre preliminarmente esaminare le eccezioni sollevate dal Comune (mem. 14.12.2012).
2.1.- La prima sostiene l’inammissibilità dell’azione per carenza di interesse, poiché le contestazioni mosse dalla ricorrente non sarebbero formulate a tutela di alcun diritto, ma contro l’attività edificatoria quale elemento di deprezzamento del paesaggio e della sua proprietà; l’eccezione è infondata.
L’azione giurisdizionale di annullamento è in via generale preposta alla tutela non di diritti soggettivi, bensì di interessi legittimi, i quali risultino lesi dalla violazione di tutte le norme che, nel pubblico interesse all’ordinato sviluppo urbanistico, presiedono alla corretta progettazione e realizzazione degli edifici. Quanto al riferimento alla svalutazione della proprietà della ricorrente, si tratta di un contenuto lesivo tipico che, lungi dal dimostrare alcuna inammissibilità, per contro sostanzia l’interesse legittimo azionato col ricorso giurisdizionale.
2.2.- Analogo trattamento negativo va riservato alla eccezione di mancata impugnazione del PRG del Comune; le censure formulate dalla ricorrente tendono ad affermare e non a contrastare le norme di PRG che si assumono violate, la cui impugnazione dunque risulterebbe del tutto illogica e contraddittoria.
2.3.- Le eccezioni opposte alle domande risarcitorie sono invece trattate nella sede ad essa riservata (v. infra punto n.4.3).
2.4.- Nel merito, tra i motivi di ricorso proposti e per i quali la ricorrente sostiene l’illegittimità del mancato esercizio dei poteri repressivi della DIA, il Collegio ritiene, in ordine procedimentale, di dover dare la priorità alla censura (rubricata al n.7 del ricorso) che, in base alle disposizioni ivi invocate, evidenzia la redazione del progetto da parte di un tecnico, quale il geometra, non abilitato a redigerlo; la doglianza è fondata. Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo affermato, con orientamento dal quale non sussistono ragioni per discostarsi, che “Dalla esegesi sistematica del R.D. 11 febbraio 1929 n. 274, del R.D. 16 novembre 1939 n. 2229, della L. 2 marzo 1949 n. 144 e della L. 5 novembre 1971 n. 1086, è desumibile che non tutte le opere edilizie con impiego di cemento armato sono precluse alla progettazione dei geometri, ma solo quelle in cui, in relazione alla loro destinazione, il predetto impiego possa comportare pericolo per l'incolumità delle persone, il che tendenzialmente avviene per le costruzioni destinate a civile abitazione e progettate su più piani, ……. con struttura portante in cemento armato, comunque destinata all' abitazione delle persone”, intervento che deve ritenersi riservato ai tecnici laureati (ingegneri ed architetti )” (v., fra le altre, Cons. di Stato, sez. V, n.25/1999).
Pertanto, avendo riguardo al criterio basilare cui fare riferimento e costituito (come riconosce lo stesso Comune) dalla valutazione di struttura e modalità costruttive di un edificio di più piani, non possono essere condivise le argomentazioni dell’amministrazione secondo le quali l’intervento edilizio sarebbe di assai modesta dimensione e rientrerebbe quindi nella competenza professionale del geometra.
2.5.- L’accoglimento dell’esaminato motivo, non può tuttavia costituire ragione per aderire altresì alla domanda di risarcimento e ciò per le ragioni più innanzi indicate (v. infra punti 4.1 e 4.2.B). Cionondimeno, la proposizione della domanda risarcitoria, in quanto potenzialmente legata, nel caso in esame, ad una pluralità di censure di illegittimità, comporta la necessità di esaminare tutte le altre doglianze di questa natura (formulate con i motivi da 1 a 6 ed con il motivo 8), che risultano, però, prive di fondamento.
2.5.1.- Il primo motivo lamenta difetto di istruttoria per non avere il Comune rilevato che l’intervento prospettatogli era diverso da quello rappresentato dagli atti progettuali. La censura non è, però, ipotizzabile in un sistema come quello della DIA, nel quale il silenzio sul progetto presentato determina l’oggettiva coincidenza con quello assentito.
2.5.2.- Si sostiene poi (secondo motivo) che il mappale (n. 216) oggetto della costruzione delle villette risulterebbe parzialmente asservito sotto il profilo plano-volumetrico dalla costruzione realizzata dallo stesso proprietario sul contiguo mappale n. 192, sicché non sussisterebbe la superficie necessaria per assentire il volume autorizzato e realizzato. La censura è formulata in maniera meramente ipotetica ed in particolare non fa riferimento ad atti di concessione od altri atti che dimostrino il pregresso utilizzo, in favore della volumetria realizzabile sul lotto contiguo, di parte della superficie del lotto utilizzata per costruire le villette.
Tali indicazioni sono invece fornite dalla memoria del Comune, che nel riferirsi alla concessione edilizia n. 216/1974 evidenzia come la costruzione assentita si sia mantenuta nella volumetria disponibile senza necessità di utilizzo nemmeno in parte di quella in dotazione del lotto confinante.
2.5.3.- Con una terza censura, argomenta la ricorrente la violazione dell’art. 7 delle NTA di PRG, che prevede la realizzazione di un piano abitabile e di due non abitabili, mentre nella specie l’intervento è stato realizzato consentendo due piani abitabili ed uno non abitabile. In tal modo, in violazione della normativa urbanistica, si sarebbe occultata la realizzazione di un carico urbanistico maggiore di quello formalmente consentito per effetto della DIA. Ma sul punto non trova smentita l’obiezione del Comune, il quale sottolinea che con una terza e non impugnata DIA (n.16/2006) uno dei due piani non abitabili (il sottotetto) è stato, in considerazione dell’altezza, oggetto di titolo che ne ha permesso il recupero a fini abitativi. Ne deriva che la fattispecie edilizia che i controinteressati erano chiamati a realizzare, pur non essendo più rispondente né al progetto presentato ed assentito, né alla descrizione dell’art. 7, non può venire qui in rilievo, in quanto l’istanza di esercizio del potere inibitorio di cui si controverte non ha investito la procedura DIA che detta modificazione ha assentito.
2.5.4.- Neppure può ritenersi sussistere la violazione (ipotizzata dal motivo n. 4) dell’art. 15 delle NTA, in tema di altezza parametrica dell’edificio, stabilita, nel caso di edifici su tre piani fuori terra, in 9 metri. Come ricorda la stessa ricorrente, va osservato che detto limite è fissato con riferimento ad edifici composti di due piani abitabili e di uno accessorio (non abitabile), sicché a tale indicazione è pienamente conforme l’altezza dell’edificio nella composizione assentita per effetto del perfezionamento della cennata e non impugnata DIA n.16/2006.
2.5.5.- Non sussiste poi il mancato rispetto della distanza di 5 m.l. dal confine tra le proprietà e dal perimetro dell’edificio, vizio sostenuto (motivo n.5) per effetto della realizzazione di un balcone che trovasi a m.l. 3,45 dal confine. Infatti nella valutazione della distanza, secondo la norma che viene in rilievo (art. 7 nta), deve valutarsi anche la struttura a sbalzo orizzontale (nella specie il balcone) la cui sporgenza non superi il 30%. E poiché non è contestato che il balcone realizza uno sbalzo di m.l. 1,5, si tratta di sporgenza che il semplice calcolo aritmetico dimostra essere contenuta in detta percentuale.
2.5.6.- Non realizza poi la violazione dell’art. 36 del R.E. (sostenuta col sesto motivo) il fatto di avere consentito e realizzato i locali accessori con un’altezza di m.l. 2,39, inferiore ai m.l. 2,40; detta norma prevede per i cennati locali un altezza inferiore ai m.l. 2,40, sicché l’altezza progettata per i locali accessori risulta rispettosa della disposizione.
2.5.7.- L’ottava censura ha carattere derivato, argomentando dai precedenti vizi che l’asseverazione complessivamente emessa sulla DIA viola le norme di legge; l’assenza dei vizi originari ne palesa quindi l’infondatezza.
2.6.- Va in conclusione affermata l’illegittimità del titolo edilizio formatosi per effetto della DIA n. 18/2005, sulla particella n. 216, e che ha permesso la nuova edificazione di 5 villette a schiera, nella sola parte che ne ha affidato la progettazione a professionista geometra.
3.- Occorre ora esaminare i motivi formulati contro l’intervento di ristrutturazione attuato in forza della DIA n. 40/2005, traendo anche qui le debite conclusioni con riferimento alla istanza risarcitoria. Anche in questo caso nessuna delle censure formulate può trovare accoglimento.
3.1.- Al riguardo il Collegio ritiene in primo luogo infondato il motivo che evidenzia come, nella realizzazione della contestata ristrutturazione del preesistente edificio, sia stata aperta una finestra (a fronte del lato nord ovest dell’immobile della ricorrente) non prevista dagli atti progettuali, e comunque non realizzabile, stante la necessità, di cui all’art. 9 del d.m. n.1444/1968, di rispettare l’inderogabile distanza minima di m.l. 10 imposta dalla norma tra pareti finestrate. Il Comune, tuttavia, si richiama all’analisi plano-volumetrica ed all’allegato alla DIA, dai quali risulta in effetti che, dal confine tra le proprietà, la distanza dell’edificio contestato è di m.l. 7,16 e la distanza dell’edificio della ricorrente è di m.l. 6,84. Anche qui la somma delle due distanze, e che rende la misura dello spazio esistente tra le due pareti degli edifici che si fronteggiano, eccede la predetta distanza minima e non può pertanto oggettivamente violare l’art. 9 del cennato decreto.
3.2.- Non ha poi rilievo in questa sede la questione se la assentita ristrutturazione debba o meno essere assoggettata ad oneri concessori; si tratta infatti di problematica inerente diritto soggettivo rilevante nel rapporto tra i soggetti denunzianti e l’Amministrazione comunale.
3.3.- Infine, anche in questa sede non può sostenersi che l’asseverazione complessivamente emessa sulla DIA viola le norme di legge. Come al punto n. 2.5.7., l’assenza dei vizi sopra esaminati palesa quindi l’infondatezza del motivo.
4.- La domanda di risarcimento dei danni è stata proposta dal ricorso con riferimento ad entrambe le DIA e, in ambedue i casi, in via principale in forma specifica ed in subordine per equivalente.
4.1. – In relazione alla illegittimità della DIA n. 18/2005 non risulta praticabile anzitutto la domanda di risarcimento in forma specifica, se si considera il tenore dell’art. 2058, secondo comma, codice civile; il rimedio specifico, a fronte di una istanza di esercizio di poteri repressivi, dovrebbe infatti essere individuato nella demolizione dell’immobile in contrasto con la normativa; ma certamente questa forma di reintegrazione risulterebbe eccessivamente sproporzionata per la prima DIA, se si considera che l’unico vizio a suo carico accertato riguarda il profilo della predisposizione del progetto da parte del geometra in luogo di un ingegnere.
La domanda per equivalente non può trovare accoglimento poiché nella specie non emerge un danno effettivo dalla redazione progettuale da parte del geometra; appare infatti difficilmente dimostrabile (e non è in effetti dimostrato) che, al contrario di quanto accade nel caso di costruzione in violazione di altezze, distanze e volumi (che determinano un detrimento della fruibilità a carico della proprietà limitrofa) , la predisposizione da parte di tecnico non abilitato di un progetto di intervento poi realizzato possa di per sé arrecare un danno al soggetto confinante. Diversa sarebbe l’ipotesi in cui l’illegittimo affidamento al tecnico non abilitato avesse condotto a vizi progettuali poi tradottisi in carenze strutturali della costruzione realizzata, poiché in tal caso questa situazione rappresenterebbe oggettivamente una minaccia per l’incolumità di beni e persone posti ed operanti nella confinante proprietà ricorrente, riducendone conseguentemente, quanto incontestabilmente, il valore.
4.2.- La domanda risarcitoria è infondata anche con riguardo alla DIA n. 40/2005, e sotto entrambi i profili tipologici proposti, poiché, con particolare riferimento all’elemento dell’antigiuridicità della condotta, non è stata accolta nessuna censura che possa costituire un presupposto minimale per affermare la responsabilità civile del Comune.
4.3.- Quanto sopra osservato assorbe la rilevanza delle eccezioni sollevate del Comune, secondo il quale l’istanza sarebbe inammissibile in quanto abbandonata (per la non riproposizione in questa sede d’appello) e per mancata prova dell’esistenza del danno.
5.- Conclusivamente, nel completare la definizione dell’appello in trattazione, deve affermarsi che il medesimo ed il ricorso di primo grado risultano meritevoli di accoglimento relativamente alla procedura DIA n. 18/2005, con conseguente annullamento del titolo implicito formatosi per effetto della stessa.
L’appello deve invece essere respinto:
- con riguardo al titolo formatosi per effetto della DIA n. 40/2005;
- con riferimento, in entrambe le procedure DIA, alla domanda risarcitoria.
6.- Le spese dei giudizi seguono il principio della soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto ed in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il titolo formatosi per effetto della DIA n. 18/2005.
Respinge il ricorso con riferimento alle restanti domande proposte.
Condanna gli appellati in solido al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida complessivamente in Euro cinquemila (5.000) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’ 8 gennaio 2013 , dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con l’intervento dei signori:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
Fulvio Rocco, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)