Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4234, del 21 agosto 2013
Urbanistica.Rapporto tra autorizzazione paesaggistica e titolo edilizio

L’autorizzazione paesaggistica non può essere intesa quale mero presupposto di legittimità del titolo legittimante l’edificazione, connotandosi piuttosto per una sua autonomia strutturale e funzionale rispetto al permesso di costruire. Il rapporto tra autorizzazione paesaggistica e titolo edilizio si sostanzia pertanto in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche ed urbanistiche, nel senso che questi due apprezzamenti si esprimono entrambi sullo stesso oggetto, ma con diversi e separati procedimenti, l’uno nei termini della compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio proposto e l’altro nei termini della sua conformità urbanistico-edilizia (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04234/2013REG.PROV.COLL.

N. 03851/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3851 del 2012, proposto da: 
Pisati Elisabetta, Mariani Pozzi Jole e Borella Gino, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Ercole Romano, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Giovanni Corbyons, via Maria Cristina, 2;

contro

Comune di Milano (Mi), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonello Mandarano e dall’Avv. Maria Rita Surano, entrambi dell’Avvocatura comunale, nonché dall’Avv. Raffaele Izzo, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Lungotevere Marzio, 3;

nei confronti di

Visconti Diego, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Luca Benzoni, dall’Avv. Nicola Cella e dall’Avv. Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Giovanni Paisiello, 55;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Milano, Sez. II, n. 957 dd. 29 marzo 2012, resa tra le parti e concernente il rilascio autorizzazione paesaggistica per intervento edilizio, la susseguente denuncia di inizio di attività e ogni altro atto presupposto e conseguente.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Milano e di Diego Visconti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Fulvio Rocco e uditi l’Avv. Ercole Romano per gli appellanti Elisabetta Pisati, Jole Mariani Pozzi e Gino Borella, l’Avv. Antonello Mandarano per l’appellato Comune di Milano e l’Avv. Franco Gaetano Scoca per l’appellato Diego Visconti.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellato, Sig. Diego Visconti, ha chiesto in data 10 giugno 2009, nella sua qualità di proprietario di immobile sottoposto a tutela paesaggistico ambientale (vincolo apposto con D.M. 1.6.1063 – Parco Sempione e Foro Bonaparte), il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ex artt. 146 e 159 del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42 per opere consistenti nel recupero del sottotetto di una sua proprietà, situato al quinto piano dello stabile di Corso Sempione n. 2, a Milano.

La Commissione edilizia comunale, integrata, come a quel tempo previsto, dagli esperti in materia di tutela paesaggistica, ha espresso al riguardo parere favorevole con la seguente motivazione: “Si ritiene l’intervento compatibile con l’ambito tutelato, in quanto la nuova soluzione appare sufficientemente innovativa e mitigata sia dai materiali vetrati, sia dal rispetto delle partiture delle facciate”.

In seguito a tale parere il Comune di Milano ha emesso l’autorizzazione paesaggistica n. 299 dd. 9 luglio 2009, della quale ha preso atto la Soprintendenza per i Beni Architettonici a’ sensi dell’allora vigente art. 159 del D.L.vo 142 del 1004.

Tale provvedimento è stato – altresì – comunicato anche alle Signore Elisabetta Pisati e Jole Mariani Pozzi, le quali avevano presentato una diffida stragiudiziale nei confronti del Comune di Milano, volta a contestare la legittimità dell’intervento progettato dal Visconti.

1.2. Questi, a sua volta, ha presentato in data 20 maggio 2010 al Comune di Milano una denuncia di inizio di attività (d.i.a.) avente ad oggetto il recupero del sottotetto esistente, a’ sensi dell’art. 63 e ss. della L.R. 11 marzo 2005 n. 12, mediante opere consistenti nella demolizione integrale della copertura a due falde e la sua ricostruzione con tipologia a copertura piana e altezza costante pari a m. 2,40.

Con comunicazione del 10 agosto 2010 l’Ufficio tecnico del Comune di Milano ha chiesto al Visconti di produrre documentazione integrativa con riferimento anche alla c.d. “verifica dei cortili” di cui all’art. 51 del Regolamento edilizio comunale, nonché nuove e migliori rappresentazioni di alcuni interventi previsti dal progetto.

In data 15 settembre 2010 la pratica è stata integrata.

1.3. Tuttavia, a seguito di una nota di contestazione del mancato rispetto dell’anzidetto art. 51 del Regolamento edilizio comunale e dell’avvenuto recapito di una comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’annullamento del titolo edilizio, il medesimo Visconti ha presentato al Comune una nuova domanda di autorizzazione paesaggistica e una contestuale variante al progetto originario, comportante l’arretramento di parte del vano scala lato cortile rispetto alla facciata del muro: e ciò al dichiarato fine di assicurare il pieno rispetto della disciplina contenuta nel predetto art. 51 del Regolamento edilizio.

In data 1 marzo 2010 è stata quindi emessa una nuova autorizzazione paesaggistica riguardante la variante progettuale e infine, in data 17 maggio 2010, il Visconti ha depositato una nota di inizio lavori.

1.4. Con ricorso proposto sub R.G. 1934 del 2010 innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, le anzidette Signore Elisabetta Pisati e Jole Mariani Pozzi, nonché il Signor Gino Borella,

hanno chiesto l’annullamento del parere della Commissione edilizia integrata reso in data 25 giugno 2009, dell’autorizzazione paesaggistica n. 299 dd. 9 luglio 2007, della d.i.a. datata 20 maggio 2010, dell’art. 19 bis, comma 5.5.2.2. delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Milano approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 33 del 6 giugno 2006, nonché di ogni ulteriore atto preordinato e connesso.

1.5. In seguito, in data 6 settembre 2010, i medesimi ricorrenti hanno anche proposto motivi aggiunti al ricorso e, in data 15 novembre 2010, un secondo atto di motivi aggiunti, con estensione dell’impugnativa alla nota comunale del 4 agosto 2010.

Da ultimo, in data 31 maggio 2011, gli stessi ricorrenti hanno pure proposto un terzo ordine di motivi aggiunti, estendendo l’impugnativa anche al provvedimento con il quale l’Amministrazione comunale ha dato atto della favorevole conclusione della procedura di d.i.a.

1.6. I motivi di impugnazione complessivamente proposti in primo grado dalla Pisati, dalla Mariani Pozzi e dal Borella possono essere così riassunti.

1) violazione dell’art. 63 e ss. della L.R. 12 del 2005; a tale riguardo i ricorrenti hanno contestato la legittimità dell’applicazione della disciplina derogatoria introdotta da tale fonte legislativa regionale, sostenendo che l’intervento del Visconti consisterebbe in una surrettizia sopraelevazione del sottotetto, in realtà non consentita dalla disciplina medesima e comunque lesiva della valenza architettonica dell’immobile, sul quale risulterebbero per contro ammissibili soltanto interventi edilizi sino alla ristrutturazione edilizia ex art. 66 comma 3.1. del Regolamento edilizio comunale, nonché a’ sensi dell’art. 19 bis 5.5. lett. d) delle N.T.A. del .R.G. vigente;

2) violazione dell’art. 19, punto 5.5.2.1. delle N.T.A. del P.R.G., in relazione all’art. 63 e ss. della L.R. 12 del 2005; i ricorrenti hanno sostenuto che l’intervento del Visconti violerebbe la norma che, per gli edifici di pregio architettonico o che presentino notevoli valori ambientali come da classificazione comunale - qual è quello in oggetto -, limita la consistenza delle modifiche del tetto, pur non escludendone il recupero a fini abitativi;

3) violazione, sotto ulteriore profilo, dell’art. 63 e ss. della L.R. 12 del 2005; i ricorrenti hanno affermato che neppure la prevista autorizzazione di cui all’art. 19 bis punto 5.5.2.3. delle N.T.A. del P.R.G. consentirebbe di derogare alle disposizioni generali di cui all’art. 63 e ss. della L.R. 12 del 2005, nella parte in cui escludono la sopraelevazione del tetto, e che, comunque, tale autorizzazione sarebbe illegittima sotto svariati profili, illustrati con altri motivi di ricorso;

4) violazione degli artt. 90, comma 2, e 93 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380; secondo i ricorrenti sarebbe stata violata la disciplina dettata in tema di verifica statica delle nuove costruzioni, mancando in particolare la certificazione del competente ufficio regionale prevista al riguardo;

5) violazione dell’art. 11 del T.U. 380 del 2001, nonché difetto di motivazione; il Visconti non sarebbe legittimato a chiedere la realizzazione dell’intervento, in quanto non assentito dall’assemblea condominiale;

6) violazione dell’art. 63 e ss. della L.R. 12 del 2005; eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento; secondo i ricorrenti l’atto impugnato riprodurrebbe le stesse considerazioni erronee che risulterebbero alla base del provvedimento che ha riconosciuto l’ammissibilità dell’intervento: ossia, in particolare, che la possibilità di modificare colmo e pendenza del tetto si ricollegherebbe espressamente al comma 6 dell’art. 63 unicamente al fine di assicurare i parametri ivi contemplati e che la volontà della relativa norma non sarebbe quella di consentire di modificare la tipologia del tetto, trasformandolo in lastrico solare, ma di consentirne il mantenimento con la sola limitata alterazione delle linee di pendenza delle falde e del colmo; e che risulterebbe altresì non veritiera l’affermazione del Visconti secondo la quale l’altezza interna della nuova costruzione si arresterebbe a m. 2,40 (media ponderale interna ) e non supererebbe i m. 2,70.

7) violazione dell’art. 51 del Regolamento edilizio del Comune di Milano; i ricorrenti hanno affermato che l’intervento del Visconti violerebbe tale fonte regolamentare laddove prescrive che “la superficie netta minima di corti o cortili deve essere non inferiore ad un quarto di quella delle pareti che li delimitano e che non possono avere lati inferiori a 4 metri” al fine di consentire “la ventilazione e l’aereoilluminazione di ambienti abitabili interni ai corpi di fabbrica” e che pertanto, l’ulteriore sopralzo di circa tre metri comporterebbe un peggioramento della situazione sia rispetto all’illuminazione che all’aereazione dei locali sottostanti.

8) violazione dell’art. 7 della L. 7 agosto 1990 n. 241, in quanto risulterebbe sia stata omessa la comunicazione dell’avvio del procedimento ai ricorrenti, con conseguente loro privazione di ogni utile partecipazione al medesimo;

9) violazione dell’art. 32 del T.U. 380 del 2001, in quanto la prima d.i.a. sarebbe stata modificata in misura tale da rendere necessario un nuovo nulla osta paesaggistico, la cui mancanza avrebbe determinato l’inefficacia della stessa d.i.a.;

10) violazione della regola del giusto procedimento, in quanto la modifica al progetto del c.d. “volume tecnico” costituirebbe variazione essenziale, con conseguente necessità per il Comune di esigere la presentazione di una nuova d.i.a.;

11) violazione dell’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, in quanto uno degli elementi oggetto di verifica in autotutela da parte del Comune avrebbe riguardato anche le distanze legali rispetto ad un corpo di fabbrica finestrato antistante, il cui esito si è concluso favorevolmente, senza peraltro che sia stata resa nota l’accertata rispondenza dell’intervento ai presupposti contemplati dall’art. 9 anzidetto;

12) difetto di legittimazione del Visconti all’intervento in questione, in quanto i comignoli collocati sul tetto, essendo di proprietà condominiale, non potevano essere coinvolti dai lavori senza il consenso del condominio medesimo.

1.7. In tale giudizio di primo grado si sono costituiti il Comune di Milano e il Visconti, i quali hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso, concludendo comunque per la sua reiezione.

1.8. Con sentenza n. 957 dd. 29 marzo 2012 la Sez. II dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, dichiarando peraltro irricevibile l’impugnativa proposta avverso l’autorizzazione paesaggistica n. 299 dd. 9 luglio 2009 e il presupposto parere della Commissione edilizia integrata n. 20 dd. 25 giugno 2009.

Lo stesso giudice di primo grado ha integralmente compensato tra le parti le spese del giudizio ivi definito.

2.1. Con l’appello in epigrafe i Signori Pisati, Mariani Pozzi e Borella chiedono la riforma di tale sentenza, contestando la declaratoria di irricevibilità dell’impugnativa proposta avverso l’autorizzazione paesaggistica n. 299 dd. 9 luglio 2009 e il presupposto parere della Commissione edilizia integrata n. 20 dd. 25 giugno 2009 e, per il resto, riproponendo sostanzialmente le censure già da loro dedotte nel primo grado di giudizio, ma riferendole al contenuto della sentenza impugnata.

Gli appellanti, inoltre, evidenziano che erroneamente il giudice di primo grado non avrebbe considerato il rilievo assunto, nell’economia di causa, dalla sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 309 dd. 21 novembre 2011, recante la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 22 della L.R. 5 febbraio 2010 n. 7 e dell’art. 27 della L.R. 12 del 2005, per contrasto con il principio fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio.

Gli appellanti in tal senso affermano che la disciplina espunta dall’ordinamento attiene segnatamente alla necessità del rispetto della sagoma preesistente nell’ambito dell’attività di ristrutturazione, qui - per l’appunto - riguardante il tetto dell’edificio.

2.2. Si è costituito nel presente grado di giudizio l’appellato Comune di Milano, replicando puntualmente ai motivi d’appello avversari e concludendo per la loro reiezione.

2.3. Si è parimenti costituito nel presente grado di giudizio anche l’appellato Diego Visconti, rassegnando analoghe conclusioni.

3. Alla pubblica udienza del 26 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, il Collegio innanzitutto non può che confermare la declaratoria di irricevibilità dell’impugnativa proposta avverso l’autorizzazione paesaggistica n. 299 dd. 9 luglio 2009 e il presupposto parere della Commissione edilizia integrata n. 20 dd. 25 giugno 2009.

Il T.A.R. è pervenuto a tale conclusione, rilevando che i ricorrenti in primo grado, sin dal 17 marzo 2010, avevano avuto notizia, mediante nota del Comune di Milano dd. 11 marzo 2010 – inoltrata in esito ad una diffida da loro proposta il 23 dicembre 2009 – degli estremi dell’autorizzazione rilasciata al Visconti, con la precisazione che “in ogni caso il provvedimento non abilita all’esecuzione delle opere edilizie, per le quali la parte deve richiedere idoneo titolo edilizio”. Lo stesso T.A.R. ha inoltre evidenziato: a) che l’autorizzazione paesaggistica su accennata – contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti medesimi - non è atto endoprocedimentale in senso proprio, perché attiene ad un subprocedimento autonomo e distinto rispetto alla domanda di permesso di costruire; b) che essa era riguardabile come immediatamente lesiva dell’interesse dei ricorrenti, in quanto consentiva, sia pure sotto lo stretto profilo della compatibilità paesaggistica, la realizzazione del progetto di sottotetto da loro contestato; c) che, pertanto, la notifica dell’impugnazione di tale autorizzazione, proprio poiché avvenuta in data 4 agosto 2010, ossia quasi dopo 5 mesi dalla conoscenza degli estremi della stessa, in luogo del termine decadenziale di 60 giorni inderogabilmente contemplato al riguardo, non poteva che qualificarsi come tardiva.

Pare evidente che la conoscenza degli estremi dell’autorizzazione stessa onerava per certo coloro che ne avevano avuto notizia ad attivarsi al fine di chiedere l’accesso alla stessa, a’ sensi dell’art. 22 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modifiche: il che, viceversa, non è avvenuto entro il lasso di tempo conveniente per la proposizione in termini del ricorso in sede giurisdizionale.

4.2. Gli appellanti, a loro volta, hanno rilevato nel presente grado di giudizio che la tardività affermata dal giudice di primo grado potrebbe riguardare soltanto la Pisati e la Mariani Pozzi, sottoscrittrici dell’anzidetta diffida dd. 23 dicembre 2009 e che – per l’appunto – sono state rese destinatarie della predetta nota del Comune di Milano dd. 11 marzo 2010, ma non il ricorrente e qui appellante Borella; e che, ad ogni buon conto, la copia della nota comunale medesima era stata depositata agli atti del giudizio di primo grado senza copia di una relata di notifica o di avviso di ricevimento.

Il Collegio evidenzia che, a fronte di ciò, risulta dirimente la produzione probatoria del Comune nel presente grado di giudizio (da reputarsi indispensabile ai fini della decisione della causa, a’ sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm.) non solo per quanto attiene alla materialità della circostanza dell’avvenuta ricezione in data 17 marzo 2010 della predetta nota comunale dell’11 marzo 2010 da parte delle predette Signore Pisati e Mariani Pozzi (cfr. doc. 4 del fascicolo del Comune qui depositato), ma anche – e soprattutto – per quanto attiene alla parimenti documentata esistenza di un’istanza sottoscritta in data 9 ottobre 2009 dall’Amministratore del condominio di Piazza Sempione n. 2 e anche dalle predette Signore Pisati e Mariani Pozzi, oltreché dal predetto Borrella, indirizzata al Comune di Milano e con la quale si sollecitava l’annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione anzidetta: con il che, pertanto, risulta che anche il Borella a tale ben risalente data conosceva l’esistenza dell’autorizzazione e ne aveva inteso la lesività per il proprio interesse.

4.3. I medesimi appellanti hanno – altresì – ribadito nel presente giudizio la tesi della valenza di atto endoprocedimentale dell’autorizzazione paesaggistica rispetto al procedimento di rilascio del titolo edilizio.

Il Collegio – per parte propria – ribadisce che il procedimento di rilascio del permesso di costruire ha un rapporto di autonomia e non di interdipendenza rispetto al rilascio del parere ambientale, posto che l’art. 159 del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42, in via transitoria sino al 31 dicembre 2009 e, susseguentemente a tale data, in via definitiva, l’art. 146 del medesimo D.L.vo, egualmente dispongono nel senso che “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti ‘'intervento urbanistico edilizio” e che “i lavori non possono essere iniziati in difetto di essa”.

Da ciò pertanto discende che l’autorizzazione paesaggistica non può essere intesa quale mero presupposto di legittimità del titolo legittimante l’edificazione, connotandosi piuttosto per una sua autonomia strutturale e funzionale rispetto al permesso di costruire; e che il rapporto tra autorizzazione paesaggistica e titolo edilizio si sostanzia pertanto in un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche ed urbanistiche, nel senso che questi due apprezzamenti si esprimono entrambi sullo stesso oggetto, ma con diversi e separati procedimenti, l’uno nei termini della compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio proposto e l’altro nei termini della sua conformità urbanistico-edilizia (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8260).

5.1. Per il resto l’appello in epigrafe va accolto, avuto riguardo all’avvenuta deduzione dell’illegittimità del mancato accoglimento, da parte del giudice di primo grado, delle censure illustrate al § 1.6., nn. 4 e 5, secondo le quali – rispettivamente – sussisterebbe nella specie la violazione degli artt. 90, comma 2, e 93 del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, difettando la certificazione del competente ufficio regionale prevista per la verifica statica delle nuove costruzioni, nonché il difetto di legittimazione del Visconti a chiedere la realizzazione dell’intervento, in quanto non assentito dall’assemblea condominiale.

5.2.1. A tale ultimo riguardo nella sentenza impugnata si legge che - a fronte della contestazione dei condomini circa la mancanza da parte del Visconti dell’assenso da parte dei condomini alla realizzazione del proprio progetto - “in realtà la parte resistente ha documentato di avere un titolo esclusivo alla presentazione della d.i.a. in forza del contratto d’acquisto dell’immobile del 1951 … che attesta la proprietà esclusiva del sottotetto e il diritto del Visconti a realizzare il suo recupero anche eseguendo un eventuale sopralzo, “trasformando l’attuale sottotetto in un piano abitabile senza corrispondere indennità di sorta agli altri condomini …eseguendo le opere necessarie anche nelle porzioni di stabile di proprietà individuale, salvo il risarcimento dei danni eventualmente arrecati””. (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata) e che “il Collegio ritiene che la possibilità di eseguire le opere in questione rientri nella disponibilità della proprietà esclusiva del sottotetto … e comunque che esse rientrino tra le opere necessarie eseguibili anche nelle porzioni di stabile di proprietà individuale senza obbligo di corrispondere indennità (ovviamente se sostenute in proprio dall’odierno controinteressato) e salvo il risarcimento dei danni eventualmente arrecati, che costituiscequestione meramente civilistica estranea al presente giudizio” (cfr. ibidem, pag. 20).

In sostanza, quindi, il giudice di primo grado ha fatto propria la tesi proposta dal Visconti sin dal momento della sua costituzione innanzi al T.A.R., ossia che:

1) con atto di compravendita a rogito del dott. Cesaris, notaio in Milano, Rep. n. 18328/6447 dd. 31 dicembre 1951, ivi registrato il 18 gennaio 1952, l’Arch. Alfonso Orombelli ha acquistato la proprietà di diverse porzioni dello stabile di Piazza Sempione n. 2, complessivamente composto da quattro piani più il sottotetto, “tutto … tinteggiato in rosa nel tipo come sopra controfirmato qui allegato sotto R coerenziato” (cfr. doc. 3 del fascicolo Visconti depositato in primo grado, pag. 8);

2) nel piano sottotetto non vi sono parti comuni, dovendo pertanto il piano medesimo ricondursi all’allora proprietario esclusivo Arch. Orombelli, con la seguente, testuale precisazione contenuta nello stesso contratto di compravendita: “la parte venditrice trasferisce a quella acquirente che lo acquista il diritto di trasformate l’attuale sottotetto in un piano abitabile senza corrispondere indennità di sorta agli altri condomini ed in particolare le indennità previste dall’art. 1127 c.c., eseguendo le opere necessarie anche nelle porzioni di stabile di proprietà individuale, salvo il risarcimento dei danni eventualmente arrecati. Eseguita che sia tale trasformazione per ogni successivo eventuale sopralzo avrà pieno vigore l’art. 1127 Codice Civile” (cfr. ibidem, pag. 11);

3) tale disciplina di fonte contrattuale escluderebbe, pertanto, qualsiasi coinvolgimento del condominio nell’intervento edilizio del sottotetto esistente, posto che nel titolo d’acquisto originario della proprietà dell’immobile è – per l’appunto – stabilito che il sottotetto di proprietà esclusiva può essere trasformato in un quinto piano abitabile, sempre di proprietà esclusiva, in conformità alla disciplina urbanistico-edilizia esistente e corrispondendo la c.d. “indennità di sopralzo”;

4) con atto dd. 13 ottobre 1951 del medesimo Notaio dott. Cesaris è stato costituito il condominio di Piazza Sempione n. 2, con allegazione all’atto medesimo di due tabelle di millesimi condominiali la prima presupponente 4 piani dell’edificio e la seconda 5 piani, da intendersi quindi applicabile“dopo il sopralzo trasformazione del sottotetto in locali abitabili” (cfr. doc. 4 del fascicolo Visconti depositato in primo grado);

5) il medesimo Visconti ha acquistato dagli eredi Orombelli in data 28 maggio 2009 con atto a rogito del dott. Guido Peregalli, Notaio in Milano, ivi registrato il 17 giugno 2009, la porzione immobiliare del sottotetto di cui trattasi, compreso pertanto il sopradescritto diritto di renderlo abitabile.

5.2.2. Il Collegio, per parte propria, rileva che, a’ sensi dell’art. 11, comma 1, e dell’art. 23, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, la domanda di rilascio del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio di attività possono essere presentate dal proprietario dell’immobile ovvero da chi ne abbia titolo.

Tali disposizioni riproducono nella sostanza l’art. 4, primo comma, della L. 28 gennaio 1977 n. 10, in forza del quale “la concessione (edilizia) è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”, e sono a loro volta recepite in Lombardia dall’art. 35, comma 1, della L. R. 12 del 2005, laddove – per l’appunto – analogamente si dispone che il permesso di costruire sia rilasciato “al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.

Va precisato che l’espressione “titolo per richiederlo” è correntemente intesa dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2001 n. 2882 e 15 marzo 2001 n. 1507, nonché Sez. IV, 15 febbraio 1985 n. 47), ammettendosi in tal senso che la posizione legittimante enunciata nella disposizione normativa in esame non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull’immobile.

A fronte di ciò, il Collegio reputa che l’Amministrazione comunale era ed è per certo chiamata a svolgere un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante di colui che chiede il rilascio del titolo edilizio, anche mediante d.i.a., competendo in tal senso all’Amministrazione medesima la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile allegato da colui che presenta l’istanza (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 4 febbraio 2004 n. 368).

Significativo – del resto – è al riguardo anche l’art. 42, comma 8, lett. a), della L. R. 12 del 2005, laddove si dispone che il dirigente o il responsabile dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla d.i.a., “la regolarità formale e la completezza della documentazione”.

La verifica del possesso del titolo a costruire costituisce pertanto un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione comunale di procedere oltre nell’esame del progetto, anche se deve escludersi un obbligo dell’Amministrazione comunale stessa di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile.

Nel caso di specie il titolo proprietario esclusivo del sottotetto abilita per certo il Visconti, in forza di quanto si legge nell’originario acquisto del suo dante causa, a trasformare l’attuale sottotetto in un piano abitabile senza corrispondere indennità di sorta agli altri condomini ed in particolare le indennità previste dall’art. 1127 c.c., segnatamente relative alla sopraelevazione dello stabile.

In sostanza, quindi, il titolo di proprietà esclusiva del sottotetto comporta nella specie che, nell’ipotesi di trasformazione di quest’ultimo in appartamento abitabile mediante un incremento di altezza dello stabile, il proprietario del sottotetto medesimo è esonerato dall’obbligo di corrispondere agli altri condomini l’indennità contemplata dal quarto comma dell’art. 1127 c.c., pari al valore attuale dell’area occupata dalla nuova costruzione e che va suddivisa per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, con ovvia esclusione della quota spettante a colui che procede alla nuova edificazione.

Dalla lettura della surriportata disciplina contrattuale, che ha assistito l’acquisto dell’Orombelli e che connota ad oggi il titolo del Visconti, risulta pure che la trasformazione del sottotetto in piano abitabile, se attuata dal proprietario esclusivo del titolo medesimo, abilita questi ad eseguire le opere al riguardo necessarie “anche nelle porzioni di stabile di proprietà individuale” (a fortiori, quindi, anche nelle porzioni di stabile di proprietà condominiale), “salvo il risarcimento dei danni eventualmente arrecati”.

La disciplina stessa si chiude, quindi – come si è visto innanzi – con la clausola in forza della quale “eseguita che sia tale trasformazione per ogni successivo eventuale sopralzo avrà pieno vigore l’art. 1127 Codice Civile”.

Orbene, da quest’ultimo assunto di fonte contrattuale si ricava la conseguenza che nella futura ipotesi di un eventuale, ulteriore sopralzo sussisterà ancora al riguardo il diritto del proprietario esclusivo dell’ultimo piano a lui peraltro attribuito dalla legge e non più dal titolo contrattuale: questi potrà quindi ulteriormente “elevare nuovi piani o nuove fabbriche” ma corrispondendo in tale evenienza le indennità di cui al predetto quarto comma dell’art. 1127 c.c. proprio in quanto il sopralzo ex contractu - ossia quello attualmente progettato dal Visconti - non conferisce comunque al proprietario dell’ultimo piano, reso abitabile, anche la proprietà del tetto.

Né, comunque, la deroga alla disciplina dell’art. 1127 cod. civ. contenuta nel titolo d’acquisto che attualmente interessa la proprietà esclusiva del Visconti può ragionevolmente essere intesa come derogatrice anche di quanto disposto dal secondo e dal terzo comma dello stesso articolo, ossia – rispettivamente - che “la sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell’edificio non la consentono” e che “i condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l’aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti”.

Discende quindi da ciò che risulta ben possibile per l’assemblea condominiale opporre un veto per tali motivi, finalizzato – per l’appunto – a far adeguare il progetto del proprietario del sottotetto sia alle esigenze di staticità dell’edificio, sia alle necessità di aria e di luce dei piani sottostanti, per certo non potendosi – sotto questi specifici profili – configurare il diritto di rendere abitabile il sottotetto medesimo, scaturente dal suo titolo d’acquisto, come una sorta di diritto potestativo esercitabile anche a prescindere dalle esigenze della sicurezza dell’intero stabile e dei concomitanti diritti primari degli altri condomini, correlati alle condizioni di vivibilità all’interno dei loro appartamenti e, in definitiva, riconducibili a quello fondamentale alla salute (art. 32 Cost.).

L’Amministrazione comunale, allorquando inizia l’istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio formale (nonché, ora, allorquando svolge l’istruttoria conseguente all’avvenuta presentazione di una segnalazione certificata di inizio di attività – s.c.i.a. edilizia, a’ sensi dell’art. 19 della L. 7 agosto 1990 n. 241 nel testo ad oggi in vigore), non è per certo obbligata ad acquisire informazioni sulla circostanza che l’assemblea condominiale abbia eventualmente inibito al singolo condomino di realizzare le opere sostanzianti un sopralzo dell’edificio: ma il richiedente il titolo edilizio ovvero chi presenta la s.c.i.a. è comunque onerato, prima di iniziare i lavori, ad impugnare la deliberazione dell’assemblea condominiale lesiva del proprio diritto, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 1137, secondo comma, cod. civ., essendo anche ammesso al riguardo l’incidente di sospensione cautelare della deliberazione medesima (cfr. ivi, nonché la corrispondente disciplina contenuta nel nuovo testo dell’articolo medesimo, conseguente alla novella introdotta al riguardo dall’art. 15 della L. 11 dicembre 2012 n. 220, che trova peraltro applicazione solo a decorrere dal 18 giugno 2013).

Non consta che nella specie la deliberazione adottata dall’assemblea condominiale sia stata sospesa.

Risulta altrettanto assodato che il condominio, ove abbia adottato una deliberazione che vieti l’esecuzione dei lavori al singolo condomino, può pure incidere nella sfera giuridica di quest’ultimo e – segnatamente – sulla sua posizione di interesse legittimo intervenendo a’ sensi dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 nel procedimento relativo al rilascio del permesso di costruire ovvero in quello conseguente alla presentazione della s.c.i.a. e chiedendo quindi all’Amministrazione comunale di non accogliere le richieste del condomino medesimo conformemente al predetto deliberato assembleare, ovvero anche l’adozione di ogni possibile provvedimento in autotutela.

Correlativamente, il condominio non potrà che rispondere dei danni da esso arrecati al condomino per il ritardo causato ai lavori in caso di deliberazione annullata dal giudice ordinario.

5.3. Come detto innanzi, l’Amministrazione comunale è tenuta ex lege al controllo circa “la regolarità formale e la completezza della documentazione”.

Nel caso di specie tale controllo non è stato congruamente esercitato, posto che dall’esame della pratica del Visconti ben emerge che il progetto da lui presentato sostanzia di fatto, a’ sensi dell’art. 90 del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, una sopraelevazione dello stabile, riconducibile alla realizzazione di un ulteriore piano dello stesso, stante anche la modificazione del preesistente tetto a falde attuata mediante la sua trasformazione a lastrico, con conseguente recupero di un consistente spazio utile in altezza.

Tale conclusione risulta avvalorata non solo dalla medesima documentazione fotografica prodotta dal Visconti, ma anche dalla stessa relazione illustrativa della d.i.a. in questione, laddove significativamente si legge che risultava “necessario procedere comunque con una verifica della consistenza delle murature ai piani dell’edificio all’interno della proprietà”, nonché “provvedere almeno ad una prova con martinetti piani singoli e doppi nel muro di spina a piano interrato, per il controllo della sollecitazione attuale e del valore di rottura della specifica muratura”.

L’ammessa necessità di tali accertamenti rivela, quindi, che la modificazione qui apportata all’edificio assume una valenza sicuramente importante per l’insieme dello stesso, essendo ben diverso il carico originario del sottotetto e quello comportato dal suo consistente innalzamento al fine di ricavare ulteriori locali abitabili anche mediante la trasformazione della stessa tipologia del tetto: operazioni, queste – giova ribadire – complessivamente del tutto equivalenti alla realizzazione di un nuovo piano, utilizzabile - per l’appunto - a fini residenziali; dimodoché l’interpretazione dell’art. 90, comma 1, lett. a), del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001 non può essere – come inteso dal giudice di primo grado – meramente letterale (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata: “l’art. 90 del D.P.R. 380 del 2001 si riferisce alla sopraelevazione di nuovi piani dell’edificio, laddove nella specie si tratta di recupero di sottotetto e dunque di un inconferente richiamo alla norma anzidetta”), ma improntata - a tutela della stessa pubblica incolumità - al risultato concretamente perseguito con il progetto, ben potendo il recupero del sottotetto equivalere, come nella specie, al materiale innalzamento di un piano dell’edificio.

Discende da tutto ciò, quindi, che il rilascio del titolo edilizio non poteva nella specie prescindere dal previo rilascio dell’autorizzazione da parte del competente ufficio tecnico regionale, a’ sensi dell’art. 90, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001.

5.4. Per completezza espositiva va precisato che dall’accoglimento della censura dianzi riferita al n. 5 del § 1.6. della presente sentenza non discende anche l’accoglimento della censura descritta al n. 12 del medesimo § 1.6., ancorché ad essa apparentemente accessiva: e ciò in quanto, come detto innanzi, la formulazione del titolo contrattuale d’acquisto del sottotetto abilita il suo proprietario a comunque intervenire sulle parti di edificio appartenenti ad altri condomini (e, per quanto prima già rilevato, a fortiori sulle parti di proprietà condominiale), senza obbligo di corrispondere indennità e salvo il risarcimento dei danni eventualmente arrecati: questione che – come rettamente osservato dal giudice di primo grado – è“meramente civilistica”, e pertanto, “estranea al presente giudizio” (cfr. pag. 20 della sentenza impugnata).

5.5. L’accoglimento delle due censure nn. 4 e 5 descritte nel predetto § 1.6 della presente sentenza, già dedotte in primo grado e puntualmente riproposte in sede d’appello, assume valenza assorbente nell’economia di causa e determina, pertanto, l’annullamento della d.i.a. P.G. 415799000/2010 – pratica edilizia n. 3927/2010 depositata in data 20 maggio 2010, nonché della determinazione con la quale lo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Milano ha confermato l’operatività della d.i.a. medesima.

Non va – viceversa – annullato l’art. 19-bis delle N.T.A-. del P.R.G. di Milano, in quanto, come esattamente rilevato dallo stesso giudice di primo grado, il relativo motivo di ricorso ivi proposto atteneva all’asseritamente erronea applicazione della disciplina in esso contenuta, per cui la relativa impugnazione risultava – e risulta – solamente apparente (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

6. Le spese e gli onorari di entrambi di giudizio sono integralmente compensati tra tutte le parti.

Il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per entrambi i gradi di giudizio va, peraltro, posto solidalmente a carico del Comune di Milano e di Diego Visconti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie parzialmente il ricorso di primo grado e annulla la d.i.a. P.G. 415799000/2010 – pratica edilizia n. 3927/2010 depositata in data 20 maggio 2010, nonché la determinazione con la quale lo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune di Milano ha confermato l’operatività della d.i.a. medesima.

Compensa integralmente le spese e gli onorari di entrambi i gradi di giudizio.

Pone – altresì – solidalmente a carico del Comune di Milano e di Diego Visconti il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche corrisposto per entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/08/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. a