Sanzione amministrativa edilizia o paesaggistica se la violazione sia risalente: quale norma si applica?
di Paola MINETTI
Da tempo è stata affrontata dalla Giurisprudenza Amministrativa, ma non solo, il tema di quale sanzione amministrativa sia applicabile in caso di rilievo di una violazione delle disposizioni edilizie o paesaggistiche dopo molto tempo dalla sua commissione, peraltro, in alcuni casi, la violazione rilevata non era tale nel momento in cui fu commessa ma la fattispecie è stata creata ed individuata come violazione in epoca successiva; in particolare i Giudici hanno affrontato la questione se sia applicabile il principio del "tempus regit actum" anche alla disciplina sanzionatoria oppure se occorra comportarsi in modo diverso.
Per intenderci: è necessario applicare le disposizioni vigenti al momento del rilievo dell'abuso (o della difformità) oppure occorre chiedersi quali fossero le disposizioni vigenti al momento della commissione della violazione per valutare se violazione vi sia? Fino a pochi anni fa vigeva un orientamento giurisprudenziale che tendeva ad applicare la sanzione amministrativa anche nel caso di intervento che non era previsto come abuso nel momento in cui fosse stato commesso.
Questo orientamento nasceva dal fatto che la sanzione amministrativa edilizia, o paesaggistica, non era caratterizzata dalle garanzie previste dal sistema di depenalizzazione (secondo cui non sono applicabili retroattivamente le sanzioni) e dal fatto che il disvalore era l'abuso commesso sul territorio e la finalità quella del ripristino della legittimità del bene.
Non si sanziona la persona ma il bene e poi la disciplina sanzionatoria edilizia (e paesaggistica) è stata sempre considerata specialistica, per cui "avulsa" dai principi fissati dalla legge 689/1981.
Tuttavia qualcosa sta cambiando nella Giurisprudenza e vediamo cosa e come.
Il Consiglio di Stato, Sezione V, nella sua sentenza del 24 ottobre 2013 n. 5158 chiarisce che: " La giurisprudenza di questa Sezione ha invero già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. n. 47/1985 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 aprile 1991, n. 470).
Pertanto, le sanzioni amministrative previste da detta legge n. 47/1985 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso.
E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (Consiglio di Stato, Sezione V, 12 marzo 1992, n. 214).
Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (Consiglio di Stato, Sezione V, 27 settembre 1990, n. 695).
Aggiungasi che la riconosciuta irretroattività delle sanzioni previste dalla l. n. 47/1985 ( si sta parlando di una norma speciale N.d.A .) è maggiormente giustificata nel caso di specie, in cui il Comune ha inteso applicarle ad un evento verificatosi circa cinquanta anni prima, in violazione dell’affidamento eccezionalmente ingeneratosi, come in precedenza evidenziato, nella parte intimata e non responsabile dell’abuso accertato nel corso di tale lunghissimo arco di tempo, stante il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, in violazione del fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici.
Oltre che di dette disposizioni sanzionatorie, non è consentita infatti, l’applicazione retroattiva anche delle norme innovative, in assenza di adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i quali va inclusa anche la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei destinatari, in quanto principio connaturato allo Stato di diritto (Consiglio Stato, Sezione VI, 23 marzo 2010, n. 1689)."
Si tratta di una affermazione importante che getta una luce nuova sul comportamento che devono tenere le Amministrazioni che rilevino violazioni urbanistico edilizie o paesaggistiche.
Infatti, al momento della applicazione della sanzione, disposta dal legislatore, bisogna fare una seria analisi valutativa rispetto al fatto e alle disposizioni legislative e regolamentari domandandosi se:
1) il fatto era una violazione anche al momento in cui fu commesso oppure no? Certamente un errore può esservi perchè se lo stesso sia rilevato come violazione significa che non è stato autorizzato o lo è stato in maniera difforme, ma può anche significare che, pur non essendo stato rilevato, non dovesse essere espressamente autorizzato o che non fosse una violazione al momento in cui fu commesso;
2) se la sanzione amministrativa sia retroattiva;
3) se esistesse un divieto di commissione del fatto nel momento in cui lo stesso fu messo in atto;
4) quale sia il bene tutelato e come sia tutelato;
5) quale sia il disvalore che il legislatore intende sanzionare.
Si tratta di quesiti che l'operatore amministrativo probabilmente non si pone e che non sono espressamente oggetto di disposto legislativo, ma di interpretazione giurisprudenziale, necessaria per comprendere come agire in maniera corretta. Per comprendere quale sia il comportamento da tenere e, soprattutto, il giusto procedimento amministrativo da attuare.
Soprattutto quando si verte in tema di sanzioni e l'agire amministrativo colpisce in maniera diretta un bene o il suo proprietario.
Vale la pena ricordare anche quanto dicono i Giudici Penali di Cassazione sez III n. 5435 del 6 febbraio 2017 secondo cui: " Il principio di retroattività della legge più favorevole non trova applicazione in riferimento alla successione di leggi amministrative che abbiamo a regolare le procedure per lo svolgimento di attività, il cui carattere criminoso dipenda dall'assenza di autorizzazioni; in detta ipotesi rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente commesso, sicché il relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei divieti esistenti ai momento del fatto".
Ancora può essere portata ad esempio l'affermazione della Giurisprudenza Amministrativa di secondo grado con la sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, n. 4486, del 3 settembre 2014 che dispone quanto segue: " la sanatoria, ex artt. 31 e ss. legge 47/95, i quali devono invece tener conto della circostanza che la costruzione è già eseguita, nonchè dell’esigenza che la misura dell’oblazione non venga a dipendere dai tempi e dalla discrezionalità delle singole amministrazioni." Nel caso particolare si trattava di contributi concessori per il rilascio della autorizzazione in sanatoria e, in particolare, del pagamento esigibile per il rilascio di un condono che l'Amministrazione aveva tardato a concludere.
In questo caso i Giudici chiariscono che: " l’orientamento di questo Consiglio secondo il quale il principio tempus regit actum è applicabile solo ai titoli autorizzatori preventivi e non a quelli in sanatoria, ex artt. 31 e ss. legge 47/95, i quali devono invece tener conto della circostanza che la costruzione è già eseguita, nonchè dell’esigenza che la misura dell’oblazione non venga a dipendere dai tempi e dalla discrezionalità delle singole amministrazioni (Cfr. Sez. V. 6 settembre 2002, n. 4562).
Nel caso di specie, poi, come correttamente rilevato dal TAR, non ricorre l’ipotesi prefigurata dall’art. 39 comma 10 della l. 729/1994, il quale ha riferimento alle domande di concessione in sanatoria “non definite per il mancato pagamento dell’oblazione”, mentre qui, la somma auto liquidata è stata interamente corrisposta dall’originario istante, salvo il conguaglio chiesto dal Comune in sede di rilascio del titolo in sanatoria.
Quanto agli interessi, l’aporia, segnalata dal Comune appellante, secondo la quale all’applicazione della “vecchia” tariffa, favorevole per l’istante, si sarebbe aggiunta la “beffa” del computo degli interessi solo a far data dal rilascio del titolo in sanatoria, essa dipende dalla tardiva definizione del procedimento di condono, il quale, costituendo esercizio di potere autoritativo, è nel dominio dell’amministrazione (ben avrebbe potuto, l’amministrazione, anche in caso di inerzia dell’istante, imporre termini perentori per l’integrazione istruttoria, al fine dell’adozione di una celere decisione)."
Più recentemente sempre il Consiglio di Stato, con la propria sentenza della IV sezione, del 10 febbraio 2017 n. 576, dispone che: " Costituisce principio generale costantemente pre dicato dalla pacifica giurisprudenza amministrativa quello per cui la legittimità di un provvedimento amministrativo si deve accertare con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del tempus regit actum, con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi.
La giurisprudenza civile di legittimità, a propria volta, ritiene il detto canone valutativo principio di imprescindibile applicazione.
La materia urbanistica e quella edilizia non fanno certo eccezione a detta regola generale, sicché per il principio tempus regit actum la legittimità del rigetto del permesso di costruire deve essere rapportata alla situazione di diritto riscontrabile alla data della relativa emanazione." 1
Anche nel caso di valutazione della sanzione amministrativa applicabile all'accertamento di compatibilità paesaggistica e alla valutazione se sia, addirittura, ammissibile tale accertamento, che, come è noto, oggi non è tale se siano stati creati nuovi volumi o superfici utili, il Consiglio di Stato assume un orientamento "possibilista".
Spiegando meglio questa affermazione, prendo lo spunto dalla recente sentenza del Consiglio di Stato - sezione VI - n 922 del 2017, che dispone in merito ad una richiesta di accertamento avanzata in tempi "non sospetti", ossia prima delle modifiche intervenute al Codice Urbani che vietano il procedimento di autorizzazione in sanatoria (si parla, dunque, di epoca antecedente il 2006) e, dunque, in un periodo di ammissibilità e conclusasi, in ritardo, nel periodo in cui era già entrata in vigore la disposizione più restrittiva, per cui negata dal Comune interessato per il principio "tempus regit actum" ed impugnata dal privato non convinto di tale comportamento amministrativo.
La reiezione del ricorso da parte del Giudice di primo grado non è confermata dal Consiglio di Stato che conclude in modo opposto argomentando doviziosamente il ragionamento seguito.
Sul procedimento avviato prima del divieto e sull'affidamento del privato a veder concluso tale procedimento con le normative vigenti, il Consiglio di Stato ricorda, nella parte motiva della sentenza citata: " Ad avviso del Tar, l’avvenuta presentazione della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica nel 2005, vale a dire nella vigenza della precedente, meno restrittiva disciplina, deve considerarsi irrilevante in ragione del principio “tempus regit actum” 2 e della conseguente applicazione della normativa vigente al tempo dell'adozione del provvedimento lesivo, ancorché si tratti di normativa introdotta dopo la presentazione della istanza del privato e anche se l'Amministrazione abbia provveduto oggettivamente in modo tardivo sulla istanza, attesa oltretutto la non applicabilità, in questa materia, dell’istituto del silenzio -assenso . ...................
Ancora i Giudici sottolineano che, tuttavia, " occorre perciò distinguere sul punto il piano sanzionatorio penale da quello amministrativo ."
.... L’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica risale al giugno del 2005, sotto la vigenza del t. u. n. 42 del 2004, come modificato dall’art. 1, comma 36, lett. c) della l. n. 308 del 2004 il quale, nell’integrare l’art. 181 del d. lgs. n. 42 del 2004, stabiliva che “ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative ripristinatorie o pecuniarie di cui all'articolo 167, qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 (sulla irrogazione della sanzione penale prevista dall’art. 20 della l. n. 47 del 1985) non si applica:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380…” .
Tale disciplina trova applicazione anche dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 157 del 2006 che, quanto all’art. 181 del d. lgs. n. 42 del 2004, sopprime il riferimento alle “sanzioni ripristinatorie”, sicché non può condividersi l’affermazione del Comune per la quale l’entrata in vigore del d. lgs. n. 157 del 2006 ha integralmente riscritto gli articoli 146, 159 e 167 del codice escludendo la possibilità di procedere al rilascio dell’accertamento di compatibilità paesaggistica qualora i lavori realizzati in difformità dall’autorizzazione assentita abbiano comportato una variazione della volumetria; così come è erroneo non condividere il rilievo per cui l’art. 159 posticipa a un momento successivo alla conclusione della fase transitoria (1° maggio del 2008) l’applicabilità del divieto del rilascio delle autorizzazioni paesistiche in sanatoria previsto dall’art. 146, comma 12.
Ciò, alla stregua del principio della irretroattività delle disposizioni che inaspriscono la disciplina sanzionatoria : dal che discende, in riforma , sul punto, della decisione del Tar, che ha invece inteso applicare in modo rigoroso il principio “tempus regit actum”, l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, da considerarsi come detto “indisgiungibili” nel loro insieme, e la necessità, per l’Amministrazione, nel “riesercizio conformativo” delle proprie funzioni, secondo quanto stabilito in sentenza, di compiere, “ora per allora”, le verifiche prescritte allo scopo di valutare l’esistenza delle condizioni per potere commutare la restituzione in pristino con la irrogazione di una sanzione pecuniaria ."
Ho sottolineato e messo in grassetto questa parte perchè la sentenza mi pare di particolare rilevanza e oltremodo innovativa nella lettura di disposizioni che erano state pacificamente interpretate, sinora, come talmente rigorose da non potersi discostare dal disposto dell'articolo 167 comma 4 (nella stesura attuale); tanto da comportare il conseguente rigetto dell'accertamento di compatibilità, eseguito in qualsiasi tempo e modo, se comportasse un aumento di volume o di superfici, addirittura, talvolta, senza il necessario passaggio, obbligatorio, al vaglio del parere della Soprintendenza.
Per questo motivo vale la pena di sottolineare quanto dispongono i Giudici di Appello amministrativi, che sostengono la necessità di valutare il caso con gli occhiali del passato, perchè esistono i presupposti per poterlo fare.
Pertanto il principio fondamentale espresso dai Giudici di Palazzo Spada e richiamato come cardine del nostro Ordinamento è quello che le sanzioni amministrative che inaspriscono la disciplina rispetto al passato vanno trattate allo stesso modo delle sanzioni penali e NON POSSONO ESSERE RETROATTIVAMENTE APPLICATE.
Ancora i Giudici Amministrativi ricordano, sempre in una pronuncia del 2017, sezione VI, n 1566 che: " Invero, per consolidato orientamento del Giudice amministrativo:
- “allorché, con la legge 24 novembre 1981 n. 689, il legislatore dettò una disciplina unitaria per tutte le sanzioni amministrative, mutuando la maggior parte delle norme generali dai principi generali del diritto penale, venne sancito il principio di legalità , secondo il quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione (art. 1); con tale disciplina, tuttavia, il legislatore ha preso in considerazione un solo aspetto della irretroattività e cioè quello della norma incriminatrice che sia entrata in vigore successivamente alla commissione dell’illecito, trascurando l’altro aspetto della questione e cioè l’ipotesi della norma che successivamente disciplini in maniera più favorevole il comportamento illecito soggetto alla sanzione amministrativa o, addirittura, non lo consideri più punibile”;
- “nell’applicazione dell’art. 1 della legge n. 689, la giurisprudenza costante della Suprema Corte e del Consiglio di Stato hanno dunque costantemente negato che, per le sanzioni amministrative, possa trovare applicazione la regola del favor rei (cfr. Cass. civ., sez. lav., 17 agosto 1998, n. 8074, Cons. Stato, V sez., 29 aprile 2000, n. 2544)”;
- “si è consolidato, pertanto, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’illecito amministrativo va assoggettato alla legge del tempo del suo verificarsi e rimane inapplicabile la disciplina posteriore più favorevole” (T.A.R. Campania, Napoli, IV, sent. n. 418/2013).
E ciò anche nel caso in cui tale più favorevole disciplina sia entrata in vigore anteriormente alla ordinanza con la quale è disposta la sanzione."
Dunque la normativa sanzionatoria amministrativa edilizia e paesaggistica, pur essendo specialistiche rispetto a quella disposta dalla legge di depenalizzazione, citata dai Giudici nell'ultima sentenza richiamata, trae la sua legittimazione, per la parte ordinaria, dai principi generali dell'ordinamento sanzionatorio che non prevedono la retroattività di sanzioni più gravi.
Pertanto se il momento della commissione del fatto non prevedesse lo stesso come sanzionabile non si può sanzionarlo successivamente applicando la normativa esistente al momento in cui il fatto venga scoperto e accertato, se lo stesso non fosse previsto come violazione all'ordinamento.
Ci sono voluti alcuni anni di decisioni ondivaghe da parte del Consiglio di Stato (e talvolta ancora ancorate a questa visione rigida, da parte dei Giudici di primo grado), ma oggi l'orientamento che appare consolidato è quello sopra richiamato.
Paola Minetti
2 maggio 2017
1 La sentenza è tra quelle massimate e pubblicate nella rivista Ufficio Tecnico di aprile 2017 ed Maggioli Rimini.
2 Analogamente si pronuncia il Tar Campania (NA) Sez. VIII n. 3312 del 30 giugno 2016 che espone: " Ancorchè sia passato un lasso di tempo lunghissimo dalla domanda di autorizzazione paesaggistica sanatoria la normativa applicabile non può che essere quella vigente al momento dell’adozione dell’atto, non potendosi ammettere un rilascio dell’autorizzazione con riferimento alla disciplina vigente al momento della domanda, secondo il principio dell’ “ora per allora”
pubblicato su Ufficio Tecnico di Maggioli, Si ringraziano Autrice ed Editore