Una specie di nuova costruzione

di MASSIMO GRISANTI

 

 

La pubblicazione della sentenza TAR Lombardia, MI, n. 2563 del 19 ottobre 2012 che riguarda un intervento di riuso di un capannone artigianale/industriale in residenze e direzionale mi stimola a ritornare sopra ad una tematica che mi è particolarmente cara: il mutamento di destinazione d’uso tra categorie urbanistiche in edifici esistenti quale intervento di nuova costruzione.

 

Il caso portato all’attenzione dei Giudici ambrosiani riguarda la trasformazione di un capannone in abitazioni ed uffici con modificazione dei lotti, in comune di Monza. Intervento qualificato come di “ristrutturazione urbanistica” dai tecnici comunali, senza che il proponente avesse reperito i maggiori standards urbanistici, e per questo impedito con apposita diffida.

 

Ma l’interesse, ora, è di analizzare il caso più frequente costituente la stragrande maggioranza degli interventi sul patrimonio edilizio esistente ovverosia il mutamento di destinazione d’uso (con o senza opere) che fa migrare l’edificio su cui si interviene tra le categorie urbanistiche del D.M. n. 1444/68 (residenziale, artigianale-industriale, commerciale, direzionale – con l’avvertenza che il legislatore, con evidente previsione di favor connessa alla funzione di presidio ambientale e paesaggistico, non ha fatto urbanisticamente pesare la categoria agricola).

 

Nonostante la III^ sezione penale della Suprema Corte di Cassazione lo abbia più volte ribadito (di una chiarezza esemplare sono le sentenze redatte dai magistrati Aldo Fiale e Luca Ramacci), l’insediamento di persone e/o di attività sul territorio comporta un aggravio del carico urbanistico inteso come necessità di dotazione di servizi (cfr. Cassazione penale, SS.UU., n. 12878/2003).

 

L’aumento del carico urbanistico non è pertanto legato tanto alla materiale presenza di un edificio, quanto all’utilizzazione che di esso ne viene fatta.

Di talché non vi è alcuna differenza tra il carico indotto dalla realizzazione di un nuovo edificio o dal riutilizzo di uno esistente; sempre una nuova costruzione è sotto il profilo della necessità di reperimento degli standards di servizio.

 

Purtroppo è comune sentire - specie nelle Amministrazioni comunali, che sotto il profilo dei principi urbanistici sono generalmente arretrate, volenti o nolenti [da qui la loro ricorrente presa di posizione, insieme a taluni soggetti “sviluppisti” che insegnano nelle università, in merito all’asserito fallimento della Legge Urbanistica n. 1150/1942, in realtà mai veramente attuata] – che il mutamento di destinazione d’uso con opere sia sempre un intervento di ristrutturazione edilizia.

E’ tale se il mutamento di destinazione d’uso avviene all’interno della stessa categoria urbanistica, mentre non lo è se comporta aumento degli standards perché a quel punto la ristrutturazione non è più meramente “edilizia” ma comporta la realizzazione di opere pubbliche (verde, parcheggi, scuole, centri sociali, uffici pubblici, ecc.).

 

Allorquando, poi, l’intervento va ad incidere sulla conformazione plano volumetrica degli edifici e sulla conformazione di lotti ed isolati siamo in presenza di una ristrutturazione urbanistica.

 

Una delle più importanti novelle normative del D. Lgs n. 378/2001 (trasfuso nel D.P.R. n. 380/2001) è stata la definizione della categoria d’intervento della “nuova costruzione”, prima assente:

“e) "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. (…)”.

 

Allorquando un intervento che comporti “… il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti” – e quindi solamente opere materiali sul fabbricato – imponga alla Pubblica Amministrazione di attivarsi (preventivamente o entro la fine dei lavori) mediante sia il reperimento di aree a standards che mediante la concreta realizzazione dell’opera pubblica di servizio, l’intervento non è più limitato al patrimonio edilizio esistente, esulando dalla ristrutturazione edilizia.

E’ sussumibile, invece, nella nuova costruzione, la cui definizione, si badi bene, prevale su quella diversa contenuta negli strumenti urbanistici generali e nei regolamento edilizi.

 

Di talché allorquando il Comune voglia acconsentire al mutamento di destinazione d’uso degli edifici esistenti comportante la migrazione tra categorie urbanistiche deve indicare negli strumenti urbanistici, quale intervento consentito, una species del più ampio genus della nuova costruzione.

Fino a quando gli strumenti urbanistici non vengono adeguati alla nuova definizione di “nuova costruzione” gli eventuali permessi di costruire rilasciati o gli interventi diversamente assentiti saranno tutti illegittimi per violazione dell’art. 12 del D.P.R. n. 380/2001 (con correlati ipotizzabili reati di abuso d’ufficio).

 

 

 

Scritto il 28 ottobre 2012