CONDONO EDILIZIO e CONCESSIONI A SANATORIA NULLE
(Commento alla sentenza n° 3845/2013 del Consiglio di Stato, depositata il 15 luglio 2013)

di MASSIMO GRISANTI

Un poco alla volta il Supremo Consesso amministrativo sta rivelando come doveva essere correttamente applicata, fin dall’inizio, la normativa sul condono edilizio (Legge n. 47/1985 e successive riproposizioni).

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato, confermando TAR Liguria n. 1221/2001, ha stabilito che giustamente il Comune di Rapallo ha negato la concessione edilizia a sanatoria ex art. 35 della Legge n. 47/1985 per un intervento di trasformazione del pianterreno di un edificio, già asservito a parcheggi, in un appartamento.

Il diniego di condono edilizio era stato motivato, dal Comune di Rapallo, sull’impossibilità giuridica di trasformazione degli spazi per parcheggio in quanto derivanti dall’applicazione di una norma imperativa.

Il Consiglio di Stato, dopo aver effettuato un excursus sulla vexata quaestio della natura dei parcheggi ex art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 e ss.mm.ii. (standard elevato a mq 1 ogni 10 mc da parte dell’art. 2 della Legge n. 122/1989) ha confermato la bontà dell’operato della P.A. rilevando che:

“(…) l'abuso consistente nel mutamento di destinazione d'uso dell'area in questione rientra tra le fattispecie di opere non suscettibili di sanatoria contemplate dall'art. 33, della l. n. 47/1985, perché in contrasto con un vincolo d'inedificabilità (sub specie della immodificabilità della destinazione d'uso) direttamente discendente dalla legge medesima. Detto art. 33 include, infatti, tra le opere non suscettibili di sanatoria quelle in contrasto tra l’altro, con i vincoli, comportanti inedificabilità e imposti prima della esecuzione delle opere stesse, stabiliti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi ambientali, nonché con ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree.

Quindi per tutti gli spazi a parcheggio, quale che sia la sorte del vincolo pertinenziale di stampo privatistico rispetto alle costruzioni servite, deve ritenersi indiscutibile la permanenza e la inderogabilità del vincolo pubblicistico di destinazione, quale connotazione necessaria dell'essere quegli spazi funzionali al perseguimento di primarie esigenze della collettività, legate alla stessa vivibilità degli spazi urbani. Ne consegue che in nessun caso potrebbe essere consentito il cambio di destinazione d'uso in relazione agli spazi predetti, dato che sarebbe contro ogni logica che il diverso uso individuale possa far premio sulla destinazione a parcheggio che partecipa dei suddetti caratteri di rilevanza pubblica.

Tale destinazione è pertanto volta ad orientare, come un vero e proprio vincolo, l'azione della pubblica amministrazione in sede di controllo e di conformazione dell'uso del territorio e costituire per la stessa un limite insuperabile anche nell'esercizio del potere di condono delle opere edilizie abusive.

Ritiene il Collegio che consentire, per il tramite della sanatoria, la sottrazione di spazi destinati a parcheggio, equivarrebbe ad infrangere un vincolo di inedificabilità, dato che in nessun caso l'opera edilizia sarebbe stata a suo tempo assentita se non proprio in considerazione della sua destinazione a parcheggio.

Sussiste pertanto l'onere della permanenza nel tempo di tale destinazione e della sua immodificabilità anche in sede di applicazione della normativa sul condono, non potendo quest'ultima tradursi - anche in ossequio al principio di non contraddizione che deve permeare il sistema ordina mentale - in uno strumento elusivo di un pregresso vincolo giuridico di destinazione nascente da altra normativa avente significativa valenza pubblicistica.

D'altra parte, poiché detta destinazione a parcheggio è presidiata, sul versante civilistico, a mezzo della espressa comminatoria di nullità degli atti dispositivi in deroga al vincolo di pertinenzialità, è da escludere che a detta tutela non si abbini, anche in sede di applicazione della normativa in tema di condono edilizio, la tutela della destinazione pubblicistica, e se ne possa consentire la distrazione, con evidente “vulnus” all'interesse collettivo sotteso alla richiamata normativa speciale in tema di parcheggi.”.

Il percorso logico-argomentativo dei Giudici amministrativi non fa una piega ed è pienamente condivisibile.

In definitiva, gli spazi per parcheggio (siano essi coperti come autorimesse, pilotis ecc. o scoperti) venuti ad esistenza quali pertinenze di edifici “costruiti” dopo l’entrata in vigore della Legge n. 765/1967 non potevano ope legis – e non possono – formare oggetto di provvedimenti di condono edilizio per mutamento di destinazione d’uso.

Il pensiero va all’enorme quantità di provvedimenti di condono edilizio, icto oculi NULLI, rilasciati dai Comuni con i quali quest’ultimi hanno acconsentito alla regolarizzazione delle trasformazioni di box auto in appartamenti et similia (le località di villeggiatura sono piene di siffatti abusi permanenti).

Gli organi comunali che hanno rilasciato – e che verosimilmente continueranno a rilasciare – siffatti condoni hanno commesso, a mio avviso, una violazione gravissima, in quanto hanno finito per contribuire all’abusivo processo lottizzatorio di parte del territorio comunale.

Basti pensare che non solo l’abitazione o l’ufficio o il negozio originari non hanno più il necessario parcheggio privato (che costituisce standard aggiuntivo ex art. 3 e 5 del D.M. n. 1444/68), ma adesso il Comune deve anche procedere – a spese della collettività – nel reperimento di spazi ulteriori tanto per l’alloggio iniziale che per quello illecitamente derivato.

Ai Comuni si IMPONE sia l’obbligo giuridico di “annullare” le concessioni edilizie a sanatoria già rilasciate, sia il divieto di rilascio di ulteriori provvedimenti (nei casi in cui l’oggetto del condono edilizio riguardi i parcheggi obbligatori minimali).

I proprietari di appartamenti, negozi, uffici ecc. acquistati e derivanti da simili abusi – asseritamente sanati – sappiano che gli immobili sono giuridicamente incommerciabili e farebbero bene a procedere a chiedere la nullità del contratto (prima che non siano più in tempo per essere rimborsati dal venditore).

Ma la pronuncia del Consiglio di Stato, a mio sommesso parere va anche oltre, confermando implicitamente quanto già espresso in un mio precedente intervento su Lexambiente.

Infatti, dal momento in cui la trasformazione dei parcheggi obbligatori integra la violazione di un vincolo ex lege di immodificabilità assoluta (sub specie dell’inedificabilità), a fortiori il Consiglio di Stato dovrà estendere l’esito dell’analisi esegetica dell’art. 33 della Legge n. 47/1985 ai vincoli derivanti dall’art. 9 del D.M. n. 1444/68 (avente valore di legge, in quanto emanato in forza dell’art. 41-quinquies della Legge n. 1150/1942 e ss.mm.ii.).

In sostanza, una volta che all’indomani dell’approvazione di strumenti urbanistici comunali redatti dopo il 2/4/1968 è venuto ad esistenza un fabbricato, intorno ad esso si genera - ope legis – una fascia di rispetto, della profondità minima di 10 metri, comportante un vincolo di inedificabilità assoluta. Tale profondità è suscettibile di aumento sino a raggiungere la maggiore distanza pari all’altezza maggiore tra i due edifici che si fronteggiano (art. 9, terzo comma, del D.M. n. 1444/68).

Dal momento che la distanza tra fabbricati ex art. 9 del D.M. è inderogabile poiché posta a tutela della sicurezza e della salute pubblica, come è stato possibile – e come può continuare ad esserlo – che i Comuni abbiano rilasciato numerosissime concessioni edilizie a sanatoria per opere che non rispettano la distanza tra edifici?

Semplice. Per mezzo della superficialità degli Amministratori e dell’incompetenza dei Tecnici comunali, quest’ultimi spesso assunti dai primi a mezzo di apparenti concorsi pubblici selezionanti il più meritevole.

L’insano metodo di selezione utilizzato dai pubblici amministratori (clientelismo politico) ha finito per creare un tessuto urbano brutto, pericoloso e cagionevole (a cui saremo chiamati tutti noi a cercare di porre rimedio con le tassazioni quando si verificheranno terremoti o quando le persone dovranno curarsi per le malattie che contrarranno a forza di abitare in ambienti insalubri).

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 256/1996, aveva già detto che non possono essere rilasciati certificati di agibilità in violazione di norme primarie in tema di salute.

La stessa Corte, peraltro, con la sentenza n. 120/1996 aveva in precedenza statuito che “(…) Se l'ordinamento giuridico, pur prevedendo una serie di divieti e di altre reazioni negative per dissuadere dall'abusivismo edilizio e concedendo ai proprietari vicini di denunziare o impedire l'altrui illegalità, non toglie al frontista che ha costruito abusivamente il diritto di pretendere dal prevenuto il rispetto della distanza minima, ciò risulta ragionevole (oltre che per i motivi prima esposti), soprattutto per il rilievo specifico che le disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono giustificate dal fatto di essere preordinate, non solo alla tutela degli interessi dei due frontisti, ma, in una più ampia visione, anche al rispetto di una serie di esigenze generali, tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio.”.

Pertanto, se le disposizioni di legge in tema di parcheggi privati nelle “nuove costruzioni” hanno sempre costituito un limite insuperabile ex art. 33 L. n. 47/1985 alla concedibilità del condono edilizio, a fortiori lo costituiscono le disposizioni contenute nell’art. 9 del D.M. n. 1444/68 atteso che ineriscono la salute pubblica (valore costituzionalmente protetto ex art. 32 Cost.) e la pubblica incolumità.

In conclusione, non potevano – e non possono – essere rilasciate concessioni edilizie a sanatoria sia in violazione dell’art. 41-sexies della Legge n. 1150/1942 e ss.mm.ii., sia in violazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444/68. Tali atti, a mio avviso, sono radicalmente nulli.

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Scritto il 12/08/2013

N. 03845/2013REG.PROV.COLL.

N. 02346/2002 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2346 del 2002, proposto da:
Gotelli Giulio e dalla società "Immobiliare Ponte S.r.l.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Umberto Dieci e Lucio Florino, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Oslavia, n. 14;

contro

Comune di Rapallo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Guido Francesco Romanelli e Piergiorgio Alberti, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Cosseria, n. 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 1221 del 30 novembre 2001, di declaratoria di irricevibilità, di inammissibilità e di infondatezza del ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento del provvedimento del 10.11.1994, prot. n. 50565 P.E. n. 787/1994, del Sindaco del Comune di Rapallo, di diniego di concessione edilizia in sanatoria richiesta in relazione alla realizzazione di nuova unità abitativa in Rapallo, alla Via Privata Aschieri, n. 27, nonché della deliberazione della Giunta comunale prot. n. 1456 del 25.8.1994 e della nota del citato Sindaco prot. n. 57207 del 21.12.1994;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rapallo;

Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;

Vista la propria ordinanza 30 aprile 2002 n. 1596;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e udito per la parte resistente l’avvocato Paoletti, per delega dell'Avv. Alberti;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Il sig. Giulio Gotelli presentò in data 12.11.1985 domanda di concessione in sanatoria prot. n. 28964, ex art. 35 della l. n. 47/1985, con riguardo ad una unità abitativa realizzata in Rapallo, alla Via Privata Aschieri, n. 27, (realizzata trasformando il pianterreno di un edificio, già asservito a parcheggi, in un appartamento) e successivamente sottopose al Comune, con istanza del 25.9.1989, un progetto di variante delle aree già asservite, comportante la sostituzione di queste ultime con nuove porzioni di aree viciniori, attigue e comprensive della maggiorazione di superficie richiesta dalla nuova cubatura realizzata, in adesione al disposto di cui all’art. 41 sexies della l. n. 1150/1942.

In seguito, con provvedimento del 10.11.1994, prot. n. 50565 P.E. n. 787/1994, il Sindaco del Comune di Rapallo ha respinto detta domanda di sanatoria nell’assunto che le opere risultavano edificate su area già asservita dallo stesso richiedente a “posti auto” ai sensi dell’art. 18 della l. n. 765/1967, visto il provvedimento n. 1456 del 25.8.1994 della Giunta comunale, di reiezione della domanda suddetta.

A seguito di nota del 5.12.1994 del suddetto interessato, con cui veniva invocato l’esercizio di poteri di autotutela in relazione alla presentazione del progetto di variante cui sopra è stato fatto cenno, detto Sindaco, con nota n. 57207 del 21.12.1994, ha comunicato che il diniego di condono era dovuto alla circostanza che il terreno proposto in alternativa non risultava di proprietà dell’instante e che sullo stesso vi erano aperture di locali che rendevano l’area inidonea alla proposta localizzazione a parcheggio.

Detto sig. Gotelli e la società "Immobiliare Ponte S.r.l.", nel frattempo divenuta proprietaria dell’immobile, hanno impugnato innanzi al T.A.R. della Liguria, dapprima con ricorso integrato da motivi aggiunti, il provvedimento di reiezione della istanza di condono del 10.11.1994 e gli altri atti in epigrafe indicati.

Il T.A.R., con la sentenza in epigrafe indicata, ha dichiarato irricevibili per tardività i motivi aggiunti e comunque li ha ritenuti infondati; inoltre ha valutato infondato il ricorso principale ed inammissibile la impugnazione della nota sindacale prot. n. 57207 del 21.12.1994.

Con l’atto introduttivo del giudizio in appello in esame è stato chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo i seguenti motivi:

1.- Erroneità ed illogicità della sentenza nella sua statuizione di irricevibilità del ricorso per tardività della proposizione dei motivi aggiunti.

Della delibera della Giunta municipale (G.M.) n. 1456 del 25.8.1994 è stata reiterata la impugnazione con motivi aggiunti solo in data 30.3.2001 perché all’epoca di proposizione del ricorso era conosciuta nei suoi estremi ma non nei contenuti e solo con il suo deposito in giudizio avvenuto in data 8.3.2001 la parte ricorrente è stata posta in grado di conoscerne il tenore e la incidenza sulla parte motiva del diniego.

Sussisteva comunque la incompetenza della Giunta comunale, ex art. 35 della l. n. 47/1985, in ordine alla adozione di provvedimenti di accoglimento o diniego delle concessioni edilizie in sanatoria.

2.- Erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 33 e 35 della l. n. 47/1985, in relazione all’art. 18 della l. n. 765/1967. Illogicità della motivazione per difetto di presupposto. Travisamento di fatti decisivi. Carenza motivazionale.

E’ incondivisibile la tesi del T.A.R. che la pretesa del ricorrente di ottenere il condono di un immobile sorto su area asservita a parcheggi fosse inattuabile perché la inderogabilità del vincolo pubblicistico di destinazione di cui all’art. 18 della l. n. 765/1967 coinvolge anche gli atti della pubblica amministrazione (P.A.).

Il primo Giudice ha errato nel ritenere che una condizione di legittimità della licenza non potesse venire sanata a seguito di istanza ex art. 35 della l. n. 47/1985, nonché nel non rilevare che, poiché l’opera non rientrava nel disposto dell’art. 33 della l. n. 47/1985, essa doveva ritenersi ormai assentita “ope legis” e che la parte ricorrente aveva offerto una plausibile alternativa, presentando un progetto di sostituzione delle aree da asservire a parcheggio, con difetto di motivazione del provvedimento.

La circostanza che il lunghissimo lasso temporale trascorso dalla presentazione della domanda di sanatoria aveva ingenerato affidamento comportava che l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere alla comunicazione dell’avvio del procedimento.

3.-Erroneità ed illogicità della sentenza nella parte in cui dichiara l’inammissibilità dell’impugnativa della nota sindacale in data 21.12.1994, prot. n. 57207, dalla quale viene desunta l’inammissibilità del ricorso.

La impugnazione di detta nota è stata erroneamente dichiarata inammissibile, stante la sua inequivoca natura provvedimentale e la tempestività della sua impugnazione; comunque l’atto è frutto di travisamento ed è errato.

Con memoria depositata il 9.5.2002 si è costituito in giudizio il Comune di Rapallo, che ha eccepito la irricevibilità, la inammissibilità e la improcedibilità dell’appello, nonché ne ha dedotto la infondatezza, concludendo per la reiezione.

Con ordinanza 30 aprile 2002 n. 1596 la Sezione ha respinto la istanza di sospensione della sentenza impugnata “Ritenuto che, a un primo sommario esame, l’appello non sembra assistito dal prescritto fumus boni iuris, con particolare riguardo alla ravvisata irricevibilità dei motivi aggiunti proposti in prime cure”.

Con memoria depositata il 19.2.2013 il costituito Comune ha eccepito la inammissibilità, la irricevibilità e la improcedibilità dell’appello e ne ha dedotto la infondatezza nel merito, concludendo per la reiezione.

Alla pubblica udienza del 22.3.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza dell’avvocato della parte resistente, come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO

1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal sig. Giulio Gotelli e dalla società "Immobiliare Ponte S.r.l.", di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stata dichiarata la irricevibilità, la inammissibilità e la infondatezza del ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento del provvedimento del Sindaco del Comune di Rapallo, di diniego di concessione edilizia in sanatoria ex art. 35 della l. n. 47/1985, richiesta in relazione alla realizzazione di una nuova unità abitativa, nonché della deliberazione della Giunta comunale prot. n. 1456 del 25.8.1994 e della nota del citato Sindaco prot. n. 57207 del 21.12.1994.

2.- Con il primo motivo di appello, con riguardo alla declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti contenuta in sentenza, è stato dedotto che la delibera della G.M. n. 1456 del 25.8.1994 è stata impugnata con motivi aggiunti solo in data 30.3.2001 perché all’epoca di proposizione del ricorso era conosciuta solamente nei suoi estremi, ma non nei suoi contenuti, e solo con il suo deposito in giudizio, avvenuto in data 8.3.2001, la parte ricorrente era stata posta in grado di conoscerne il tenore e la incidenza sulla parte motiva del diniego; ciò considerato che la motivazione “per relationem” è legittima solo se l’atto richiamato, oltre che essere indicato in modo puntuale, è reso disponibile o allegato all’atto impugnato.

Con il motivo in esame è stato anche dedotto, con riguardo alla reiezione, disposta con la impugnata sentenza, delle censure formulate avverso il contenuto di detta delibera, che sussisteva comunque la incompetenza della Giunta comunale, ex art. 35 della l. n. 47/1985, in ordine alla adozione di provvedimenti di accoglimento o diniego delle concessioni edilizie in sanatoria. Non si trattava di mero apporto consultivo, perché le motivazioni poste a base della deliberazione della G.M. (richiamo al dispositivo del Tribunale di Chiavari e alla opposizione dei condomini) integravano la motivazione del provvedimento sindacale ed anzi ne costituivano la motivazione primaria, come confermato dalla nota sindacale n. 57207 del 21.12.1994 (con cui è stato affermato che la originaria istanza di variazione delle aree da asservire ai sensi di legge a parcheggio riguardava aree condominiali e quindi non di proprietà del sig. Gotelli).

Tutte le argomentazioni relative alla insussistenza del diritto di proprietà, in capo al suddetto proprietario, delle aree già asservite e di quelle offerte in sostituzione sarebbero comunque inconferenti sotto il profilo urbanistico, atteso che la sentenza del Tribunale di Chiavari ha solo confermato il fatto pacifico che le aree in questione risultavano già asservite a parcheggio in favore dei condomini del Condominio Colle Fiorito.

2.1.- Osserva la Sezione che il T.A.R., con riguardo ai motivi aggiunti proposti dopo sei anni dalla proposizione del ricorso introduttivo del giudizio (a seguito del deposito in giudizio della deliberazione della Giunta comunale prot. n. 1456 del 25.8.1994), ne ha non solo dichiarato la irricevibilità (per essere essa richiamata nel provvedimento impugnato, tanto che era stata sia pure solo formalmente impugnata, e per avere avuto la parte interessata il tempo necessario per estrarne copia in precedenza), ma ha anche respinto nel merito le censure con essi formulate.

La infondatezza dei motivi di appello volti a dimostrare la erroneità di detta reiezione esime la Sezione dal valutare, per assorbimento, la fondatezza delle censure volte contro la declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti.

Nel merito va infatti rilevato che, se è vero che la competenza ad adottare provvedimenti in materia di concessione edilizia in sanatoria spettava all’epoca esclusivamente al Sindaco ai sensi dell'art. 13 l. n. 47/1985, tuttavia ciò non vietava la partecipazione al procedimento di altri Organi o la acquisizione da parte del Sindaco di pareri consultivi espressi da essi.

Nel caso di specie il provvedimento sindacale risulta autonomamente motivato (con richiamo alla circostanza che le opere risultavano edificate su area già asservita dallo stesso richiedente a posti auto ai sensi dell’art. 18 della l. n. 765/1967) e, ai soli fini della esplicitazione dell’iter istruttorio seguito, contiene la locuzione “Visto il provvedimento n. 1456, adottato dalla Giunta Comunale di Rapallo, in data 25/08/1994, con il quale si respinge l’istanza di sanatoria richiesta…”.

E’ quindi pienamente legittimo e non viziato dal dedotto vizio di incompetenza detto provvedimento, atteso che esso non si limita esclusivamente a richiamare, facendolo proprio, l’atto adottato da organo non competente, ma motiva il proprio provvedimento con autonome considerazioni in diritto, limitandosi solo ad evidenziare che è stato in precedenza consultato al riguardo anche un diverso organo, utilizzato per acquisire ulteriori elementi di giudizio.

La tesi dell’appellante, che il richiamo al dispositivo del Tribunale di Chiavari e alla opposizione dei condomini contenuto nella adottata deliberazione della Giunta comunale integrerebbe la motivazione del provvedimento sindacale, è smentita dalla circostanza che questo si limita a dare atto della acquisizione del parere di detta Giunta e non fa ad esso richiamo “per relationem”, sicché la motivazione del provvedimento in questione non è da esso integrata, né ne costituisce la motivazione primaria.

Tanto esclude la necessità di valutare le contestazioni formulate con l’atto di appello alle motivazioni della deliberazione della Giunta comunale, non essendo esse recepite formalmente nel provvedimento finale adottato dal Sindaco di reiezione della domanda di sanatoria sulla base di autonoma motivazione e non essendo quindi idonee a determinarne in alcun modo la illegittimità.

Il motivo in esame non è quindi suscettibile di positiva valutazione.

3.- Con il secondo motivo di gravame è stata affermata la incondivisibilità della tesi del T.A.R. che la pretesa del ricorrente di ottenere il condono di un immobile sorto su area asservita a parcheggi era inattuabile perché la inderogabilità del vincolo pubblicistico di destinazione di cui all’art. 18 della l. n. 765/1967, che “non può subire deroga negli atti privati di disposizione degli spazi stessi”, coinvolgeva anche gli atti della P.A..

Infatti detto vincolo inderogabile avrebbe carattere squisitamente pubblicistico ed astrarrebbe dal diverso vincolo privatistico eventualmente imposto sull’immobile in via meramente pattizia, tanto da prevalere su di esso in caso di conflitto; le clausole pattizie, in assenza di un formale provvedimento di asservimento, non comportano la impossibilità di sanare, ex artt. 31 e segg. della l. n. 47/1985, la violazione dell’art. 18 della l. n. 765/1967 (che ha introdotto l’art. 41 sexies della l. n. 1150/1942), che ha natura “strictu sensu” urbanistica, e la immodificabilità della scelta da parte della P.A. delle aree da asservire a parcheggio, essendo ammessa la variante delle stesse.

In conclusione, secondo gli appellanti, la pertinenzialità del parcheggio rispetto all’edificio sarebbe inderogabile, ma solo nel caso che si verta in una ipotesi di operatività della norma di cui all’art. 18 della l. n. 765/1967.

Pertanto il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che una condizione di legittimità della licenza non potesse venire sanata a seguito di istanza ex art. 35 della l. n. 47/1985, che è invero accoglibile anche in caso di costruzione di un edificio in assenza assoluta di titolo edificatorio.

La tesi sarebbe confermata anche dalla circostanza che la l. n. 47/1985, pur intervenuta dopo la l. n. 765/1967, non ha contemplato, tra le condizioni di non condonabilità, l’inosservanza del disposto dell’art. 18 di quest’ultima legge.

Non potrebbe quindi mai ritenersi che la inderogabilità del vincolo di destinazione di un’area sia equivalente ad assoluta insanabilità dell’abuso compiuto sulla stessa, sia perché la destinazione di un’area a parcheggio non esclude che su di essa possano essere edificati box, o altri immobili compatibili con quell’utilizzo, e sia perché l’area asservita a parcheggio può indifferentemente essere edificabile o meno e la scelta è rimessa al richiedente, atteso che detto art. 18 stabilisce solo misure quantitative per la determinazione degli spazi da destinare a parcheggi, senza statuire alcuna formalità in ordine alla localizzazione delle aree da destinare a tale scopo.

3.1.- Osserva la Sezione che l'art. 41 "sexies" della legge urbanistica n. 1150/1942, il quale dispone che nelle nuove costruzioni debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi, stabilisce un vincolo di destinazione, in correlazione con la finalità perseguita di normalizzazione della viabilità urbana, che incide con effetti necessariamente inscindibili sia nel rapporto pubblicistico di concessione - autorizzazione edilizia, sia negli atti privati di disposizione degli spazi riservati al parcheggio, imponendo la destinazione di detti spazi ad uso diretto dei proprietari delle unità immobiliari comprese nell'edificio e dei loro aventi causa. Pertanto, sono nulle e sostituite "ope legis" dalla norma imperativa, ai sensi dell'art. 1419, comma secondo, del c.c., le clausole dei contratti di vendita che sottraggono le aree predette al loro obbligatorio asservimento all'uso ed al godimento dei condomini. Tale regime è rimasto immutato dopo l'entrata in vigore della l. n. 47/1985 (che all'art. 26, nello stabilire che gli spazi di cui all'art. 18 della l. n. 765/67 costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi degli artt. 817, 818 e 819 cod. civ., non ha portata innovativa, assolvendo soltanto alla funzione di conferire certezza alla già evincibile regola secondo cui detti spazi possono essere oggetto di atti e rapporti separati, fermo restando quel vincolo pubblicistico) ed ha trovato conferma nella l. n. 122/1989 che, nel raddoppiare la superficie minima obbligatoria degli spazi riservati a parcheggio nelle nuove costruzioni, contempla l'inderogabilità del vincolo suddetto, come connotazione necessaria del rapporto pertinenziale.

Detto art. 41 sexies opera come norma di relazione nei rapporti privatistici, ma anche come norma di azione nel rapporto pubblicistico con la P.A., non potendo quest'ultima autorizzare nuove costruzioni che non siano corredate di dette aree perché l'osservanza della norma costituisce condizione di legittimità della concessione edilizia (Cassazione civile, sez. II, 13 gennaio 2010, n. 378); pertanto un progetto privo di tali spazi presentato alla valutazione di competenza dei diversi organi amministrativi manca di un elemento costitutivo essenziale per la sua completa individuazione (Consiglio Stato, sez. VI, 10 dicembre 2010, n. 8706).

La citata norma pone quindi un vincolo pubblicistico inderogabile di destinazione degli spazi di parcheggio al servizio delle unità abitative dei condomini e un rapporto indissolubile di servizio tra le aree medesime e l'edificio cui esse accedono.

È evidente, dunque, che la finalità propria della normativa vincolistica in parola non può ritenersi rispettata in presenza di un comportamento del costruttore - proprietario che utilizzi l'area da destinare a parcheggio per la costruzione (come nel caso in esame) di locali ad uso residenziale.

Ed invero, in tal modo viene meno la relazione necessaria e permanente tra la cosa principale e la pertinenza (vincolo reale di destinazione).

Pertanto, il vincolo a parcheggio impresso sul suolo del ricorrente, proprio per il suo sicuro rilievo pubblicistico e per la natura reale e permanente che lo caratterizza (continuando a sussistere allorché la pertinenza sia in ipotesi oggetto di atti di cessione separati rispetto a quelli concernenti la cosa principale), è assolutamente inderogabile, non solo dall'autonomia pattizia dei privati ma anche dall'attività amministrativa posta in essere dalla Pubblica amministrazione.

Pertanto, l'abuso consistente nel mutamento di destinazione d'uso dell'area in questione rientra tra le fattispecie di opere non suscettibili di sanatoria contemplate dall'art. 33, della l. n. 47/1985, perché in contrasto con un vincolo d'inedificabilità (sub specie della immodificabilità della destinazione d'uso) direttamente discendente dalla legge medesima. Detto art. 33 include, infatti, tra le opere non suscettibili di sanatoria quelle in contrasto tra l’altro, con i vincoli, comportanti inedificabilità e imposti prima della esecuzione delle opere stesse, stabiliti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi ambientali, nonché con ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree.

Quindi per tutti gli spazi a parcheggio, quale che sia la sorte del vincolo pertinenziale di stampo privatistico rispetto alle costruzioni servite, deve ritenersi indiscutibile la permanenza e la inderogabilità del vincolo pubblicistico di destinazione, quale connotazione necessaria dell'essere quegli spazi funzionali al perseguimento di primarie esigenze della collettività, legate alla stessa vivibilità degli spazi urbani. Ne consegue che in nessun caso potrebbe essere consentito il cambio di destinazione d'uso in relazione agli spazi predetti, dato che sarebbe contro ogni logica che il diverso uso individuale possa far premio sulla destinazione a parcheggio che partecipa dei suddetti caratteri di rilevanza pubblica.

Tale destinazione è pertanto volta ad orientare, come un vero e proprio vincolo, l'azione della pubblica amministrazione in sede di controllo e di conformazione dell'uso del territorio e costituire per la stessa un limite insuperabile anche nell'esercizio del potere di condono delle opere edilizie abusive.

Ritiene il Collegio che consentire, per il tramite della sanatoria, la sottrazione di spazi destinati a parcheggio, equivarrebbe ad infrangere un vincolo di inedificabilità, dato che in nessun caso l'opera edilizia sarebbe stata a suo tempo assentita se non proprio in considerazione della sua destinazione a parcheggio.

Sussiste pertanto l'onere della permanenza nel tempo di tale destinazione e della sua immodificabilità anche in sede di applicazione della normativa sul condono, non potendo quest'ultima tradursi - anche in ossequio al principio di non contraddizione che deve permeare il sistema ordinamentale - in uno strumento elusivo di un pregresso vincolo giuridico di destinazione nascente da altra normativa avente significativa valenza pubblicistica.

D'altra parte, poiché detta destinazione a parcheggio è presidiata, sul versante civilistico, a mezzo della espressa comminatoria di nullità degli atti dispositivi in deroga al vincolo di pertinenzialità, è da escludere che a detta tutela non si abbini, anche in sede di applicazione della normativa in tema di condono edilizio, la tutela della destinazione pubblicistica, e se ne possa consentire la distrazione, con evidente “vulnus” all'interesse collettivo sotteso alla richiamata normativa speciale in tema di parcheggi.

La censura in esame è quindi insuscettibile di assenso.

4.- Il T.A.R. non ha inoltre rilevato, secondo gli appellanti, che, poiché l’opera in questione non rientrerebbe nel disposto dell’art. 33 della l. n. 47/1985, essa doveva ritenersi ormai assentita “ope legis” perché l’art 35, comma 18, della legge suddetta prevede tra le ipotesi impeditive della formazione del silenzio assenso solo quelle di cui al detto art. 33, sicché l’Amministrazione avrebbe prima dovuto procedere all’annullamento in autotutela del silenzio assenso formatosi e poi emettere l’eventuale atto di diniego.

4.1.- La Sezione non può aderire a dette tesi.

Va ribadito, infatti, che l'abuso consistente nel mutamento di destinazione d'uso dell'area in questione rientra tra le fattispecie di opere non suscettibili di sanatoria contemplate dall'art. 33, della l. n. 47/1985, perché in contrasto con un vincolo d'inedificabilità (nel caso di specie la immodificabilità della destinazione d'uso a parcheggio) direttamente discendente dalla legge medesima.

La giurisprudenza largamente prevalente in materia di domanda di sanatoria edilizia esclude perentoriamente la possibilità di formazione di silenzio assenso riguardo alla stessa nel caso di esistenza di vincoli di inedificabilità sull'area interessata dalla costruzione.

La mancata definizione del condono da parte del Comune entro il termine perentorio legalmente fissato e decorrente dalla presentazione della domanda di sanatoria è quindi inidonea a determinare “ope legis” la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, ove non sussistano i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma.

Il silenzio – assenso, di cui all'art. 35, l. n. 47/1985 sulle domande di sanatoria degli abusi edilizi richiede, infatti, per la sua formazione, quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente assolti dall'interessato gli oneri di documentazione (che si risolvono evidentemente anche nella sussistenza del requisito sostanziale).

Il principio del silenzio assenso, in materia di condono edilizio, postula perciò che l'istanza contenga tutti i presupposti di accoglibilità, fra cui, in particolare, oltre alla completa realizzazione del manufatto abusivo alla data normativamente predeterminata, anteriore rispetto alla data di presentazione dell'istanza e alla non dolosa e/o infedele rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi, la inesistenza di vincoli di inedificabilità sull'area interessata dalla costruzione (Consiglio di Stato, sez. atti norm., 31 agosto 2012 n. 871; sez. IV, 7 agosto 2012, n. 4525; sez. V, 2 febbraio 2012 n. 578; id., 12 settembre 2011 n. 5091), come, nel caso di specie, quello che preclude il mutamento di destinazione d’uso a parcheggio dell’area che interessa.

5.- Neppure ha rilevato il T.A.R., prosegue il motivo in esame, che il ricorrente aveva offerto una plausibile alternativa presentando un progetto di sostituzione delle aree da asservire a parcheggio con altre di sua proprietà allocate nelle immediate vicinanze, senza che ad esso il Comune abbia dato riscontro, con difetto di motivazione del provvedimento di diniego impugnato, che non reca alcuna valutazione degli apporti forniti dal privato in sede procedimentale ai sensi dell’art. 10, lettera b), della l. n. 241/1990.

5.1.- Osserva la Sezione che il sig. Gotelli, con atto del 25.9.1989, ha inviato al Comune un progetto di variante delle aree già asservite, comportante la sostituzione di queste ultime con nuove porzioni di aree viciniori, attigue e comprensive della maggiorazione di superficie richiesta dalla nuova cubatura realizzata.

Ma ciò che rileva ai fini dell'ammissibilità della domanda di condono edilizio è la condizione di obiettiva abusività in cui l'opera deve trovarsi alla data dell'1 ottobre 1983; pertanto la sussistenza dei requisiti e condizioni di legge per l'accesso alla sanatoria edilizia andava effettuata con riferimento alla situazione fattuale esistente alla data ultima dell'1 ottobre 1983 (per esigenze di certezza ed imparzialità nell'applicazione della norma) e non certo con riguardo all'epoca futura.

Non poteva quindi il Comune de quo valutare, ai fini della accoglibilità della istanza di condono di cui trattasi, la istanza in questione, successiva a detta data, volta al mutamento dello stato giuridico dei luoghi, peraltro priva di riscontro.

6.- Infine, deduce il motivo in esame, la circostanza che il lunghissimo lasso temporale trascorso dalla presentazione della domanda di sanatoria aveva ingenerato affidamento comportava che l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere alla comunicazione dell’avvio del procedimento per consentire la proposizione di difese già in sede procedimentale.

6.1.- La censura non è, secondo il Collegio, suscettibile di accoglimento, a prescindere dalla eccepita sua novità, atteso che i provvedimenti di diniego del condono edilizio non devono essere preceduti dalla comunicazione dell'avvio del procedimento perché i procedimenti finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi sono avviati su istanza di parte (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 luglio 2012, n. 3969).

7.- Con il terzo motivo di appello è stato affermato, quanto alla declaratoria di inammissibilità della impugnazione della nota sindacale prot. n. 57207 del 21.12.1994, che la decisione sarebbe erronea, stante la inequivoca natura provvedimentale dell’atto e la tempestività della sua impugnazione.

Comunque sarebbe frutto di travisamento l’asserzione contenuta in detto atto circa la condominialità delle aree interessate dalla proposta di variazione dell’atto di asservimento, atteso che l’originario ricorrente se ne era riservata la proprietà per la parte già asservita ed era proprietario delle aree offerte in sostituzione.

Con riguardo al rilievo che l’area era inidonea ad assolvere alla sua funzione perché sullo stesso terreno vi erano aperture di locali che la rendevano inidonea alla localizzazione è stato osservato che non ne è stata provata la sussistenza, che non è stato specificato di quali locali si tratti e che la normativa urbanistica del Comune non vietava che sulle aree adibite a parcheggio potessero affacciarsi aperture di locali.

7.1.- Osserva la Sezione che, dopo la reiezione della domanda di sanatoria, il sig. Gotelli, con atto del 5.12.1994, ha invocato l’esercizio di poteri di autotutela in relazione alla presentazione del progetto di variante cui sopra è stato fatto cenno; il Sindaco, con nota n. 57207 del 21.12.1994, ha comunicato che il diniego di condono era dovuto alla circostanza che il terreno proposto in alternativa non risultava di proprietà dell’istante e che sullo stesso vi erano aperture di locali che rendevano l’area inidonea alla proposta localizzazione a parcheggio.

Deve, al riguardo, condividersi la tesi del primo Giudice che detta nota sindacale atteneva a profilo della vicenda autonomo rispetto al procedimento di sanatoria.

Posto infatti che oggetto sostanziale del presente giudizio è l’ottenimento del provvedimento di sanatoria invocato, nessuna valenza a tal fine possono assumere i chiarimenti forniti dal Comune in merito a richiesta di variante volta a mutare lo stato giuridico dei luoghi interessati dalla originaria richiesta successivamente alla data del 1.10.1983, mentre la sanatoria non poteva che far riferimento allo stato dei luoghi esistente a detta data.

Tanto comportava effettivamente la inammissibilità della censura per carenza di interesse.

8.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la decisione impugnata.

9.- Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, respinge l’appello in esame.

Pone in solido a carico degli appellanti, con ripartizione interna in parti uguali, le spese e gli onorari del presente grado, liquidate, a favore del Comune di Rapallo, nella misura di € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), di cui € 1.000,00 (mille/00) per esborsi, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)