TAR Toscana Sez. III n. 180 del 2 febbraio 2018
Urbanistica.Abuso edilizio e sanzioni pecuniarie

Il combinato disposto degli artt. 29, comma 1, e 31, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 va letto nel senso che il proprietario incolpevole, ancorché tenuto a prestare la sua collaborazione per la rimozione materiale dell’abuso in forza della sua relazione con la res, non può essere perciò stesso destinatario delle sanzioni pecuniarie previste nel Capo I del Titolo IV del medesimo testo normativo le quali sono dirette a colpire i responsabili dell’abuso così come in esso individuati. Tale regola vale, in particolare, anche nei confronti di coloro abbiano acquistato a titolo particolare la proprietà dell’immobile senza aver in alcun modo aver partecipato, conosciuto o beneficiato dell’illecito edilizio. Fermo restando che: a) l’acquirente di mala fede che conosceva l’abuso e/o ne ha tratto beneficio (scontandolo sul prezzo) si pone in una situazione di corresponsabilità che lo rende passibile del medesimo trattamento sanzionatorio previsto per i soggetti individuati dall’art. 29 del t.u.e.; b) in contesti in cui la buona fede non emerga ex actis la relativa dimostrazione compete al proprietario.


Pubblicato il 02/02/2018

N. 00180/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01455/2010 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1455 del 2010, proposto da:
Maria Luisa Pedon, Loretta Pedon, rappresentate e difese dagli avvocati Luca Casagni Lippi, Paolo Maria Cisa Asinari Di Gresy, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Firenze, via Masaccio 235;

contro

Comune di Cascina in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Bimbi, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria T.A.R. in Firenze, via Ricasoli 40;

nei confronti di

Soc. Ansa dell'Arno S.r.l., Soc. Immobiliare Vicarello S.r.l., Alberto Rocchi non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

dell'ordinanza dirigenziale del Comune di Cascina, a firma del Responsabile Sezione Uoso e Assetto del Territorio 30.06.2010 n. 11 avente ad oggetto "applicazione sanzioni ai sensi dell'art. 132 comma 9 della L.R.T. 01/2005 per illeciti edilizi realizzati sul fabbricato "A" in difformità dalla concessione edilizia n. 29 del 05/05/2004", comunicata a mezzo posta alle ricorrenti in data 08.07.2010;

di ogni ulteriore atto presupposto conseguente e conseguenziale anche non noto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cascina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2017 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il Comune di Cascina, con concessione edilizia n. 29/2004, rilasciata in favore della società Ansa dell’Arno s.r.l., autorizzava un intervento edilizio in località Badia, via San Donato consistente nella costruzione di n. 5 edifici a destinazione residenziale per un totale n. 18 unità abitative.

Ad ultimazione dei lavori terminati, la predetta società alienava alle ricorrenti una unità immobiliare, sita nel fabbricato A del complesso abitativo e ubicata nel sottotetto, dotata di servizi idonei alla destinazione abitativa, assicurando alla controparte la regolarità urbanistica ed edilizia delle stesse.

A seguito di accertamenti eseguiti dall’Ufficio tecnico comunale e dalla Polizia municipale, a conclusione dei lavori veniva rilevata (in particolare per gli edifici A-B-D-E) una situazione di grave difformità di quanto realizzato rispetto allo stato concessionato traducentesi nella realizzazione di una maggior volumetria ed un aumento delle unità immobiliari.

Rigettata l’istanza presentata dalla società per il rilascio di permesso di costruire in sanatoria per le opere eseguite in difformità dal titolo edilizio, e appurata l’impossibilità tecnica di procedere alla demolizione dei volumi abusivi, non attuabile senza pregiudizio per le parti conformi, il Comune irrogava alle ricorrenti, in solido fra loro e con la società costruttrice una sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione, ex art. 33, co. 2, DPR n. 380/2001, “pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere” e cioè € 96.161,76, unitamente alla richiesta del pagamento del contributo di cui al Titolo VII L.R.T. cit. per l'ammontare di € 21.201,42.

Veniva altresì ingiunto alle ricorrenti, con il medesimo atto il ripristino del sottotetto mediante la rimozione di tutte le componenti tali da renderli abitabili.

Avverso tali atti proponevano ricorso le sig.re Pedon lamentando il difetto di legittimazione passiva, non essendo esse responsabili dell’abuso ed avendo acquistato il bene in totale buona fede, con la garanzia da parte del venditore della conformità dello stesso alla normativa urbanistica ed edilizia.

Con un secondo ordine di censure le deducenti contestano che la sanzione demolitoria possa applicarsi alle sopraelevazioni prescrivendo l’art. 134 della l. reg. cit. solo l’irrogazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile e, dunque, non sarebbe possibile applicare cumulativamente, come avrebbe fatto l’amministrazione, la sanzione demolitoria e quella pecuniaria.

Sarebbe inoltre erronea la modalità utilizzate dal Comune per calcolare l’importo della sanzione pecuniaria irrogata alle stesse ai sensi dell’art. 134 l.r. 1/2005.

Da ultimo viene contestata la parte del provvedimento impugnato recante l’ingiunzione di pagamento del contributo di costruzione per i vani sottotetto di proprietà delle ricorrenti per contraddittorietà con il capo del provvedimento che dispone la demolizione dal momento che l’eventuale rimessione in pristino del sottotetto renderebbe assolutamente non abitabile tale locale, elidendo qualunque potenzialità di incremento del carico urbanistico.

Si costituiva in giudizio il Comune di Cascina opponendosi all’accoglimento del gravame.

Nella pubblica udienza del 12 dicembre 2017 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

Il ricorso merita parziale accoglimento come di seguito precisato.

Quanto alla sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione il Collegio ritiene fondata ed assorbente la doglianza relativa al difetto di legittimazione passiva dei ricorrenti atteso che il Comune di Cascina avrebbe erroneamente individuato gli acquirenti delle unità immobiliari come codestinatari della sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione nonostante la loro totale estraneità agli abusi perpetrati dalla Società costruttrice.

La giurisprudenza suole affermare che in caso di abuso edilizio, la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 33 comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001 in alternativa alla misura demolitoria, avrebbe anch'essa natura reale in quanto diretta all'eliminazione della situazione obiettivamente antigiuridica data dalla permanenza di un'opera contrastante con la vigente disciplina urbanistica e seguirebbe perciò l'immobile nei suoi successivi trasferimenti di proprietà (fra le tante T.A.R. Bari, sez. III, 16/11/2016, n. 1290).

Il Collegio non concorda, tuttavia, con tale ricostruzione essendo la stessa, ben vedere, non coerente con il sistema sanzionatorio degli abusi edilizi configurato dal D.P.R. 380 del 2001.

La posizione del proprietario incolpevole non può, infatti, essere assimilata a quella del responsabile dell’abuso.

Invero, ai sensi dell’art. 29 del t.u.e. responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica sono il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore che, in ragione di ciò, sono tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso.

Il coinvolgimento del proprietario che non rivesta alcuna delle qualifiche previste dall’art. 29 è previsto dall’art. 31 comma 2 del medesimo t.u. ai sensi del quale lo stesso insieme ai responsabili dell’abuso è destinatario della ingiunzione di demolizione delle opere eseguite in assenza o in totale difformità dal permesso.

La giurisprudenza ha, tuttavia, chiarito che la demolizione può essere ingiunta al proprietario non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio (che ricade sui soggetti di cui all’art. 29) ma in ragione del suo rapporto materiale con la res che lo rende, agli occhi del legislatore, responsabile della eliminazione dell’abuso commesso da altri.

A tale titolo egli è investito di situazioni giuridiche passive di tipo sussidiario (Cons. Stato, VI 10/07/2017 n. 3391) consistenti in un pati (non potendosi opporre alla demolizione di quanto abusivamente realizzato) ed in obblighi di collaborazione attiva (T.A.R. Firenze, sez. III, 13/02/2017, n. 234) da adempiersi mediante iniziative dirette, come la rimozione dell’abuso a spese dei responsabili, o indirette, come diffide di carattere ultimativo rivolte verso eventuali soggetti terzi che detengano l’immobile (Cons. Stato, VI, 4/05/2015 n. 2211).

L’obbligo di ripristino (o di collaborazione al ripristino) posto a carico del proprietario attraverso l’ordinanza di demolizione ha, quindi, un diverso fondamento rispetto al corrispondente obbligo posto a carico dei responsabili dell’abuso contemplati dall’art. 29 del t.u.e.

Questa diversità di situazioni sottostanti all’ingiunzione a demolire non consente di assimilare le due posizioni allorché in luogo di tale misura per scelta del legislatore o dell’amministrazione sia comminata una sanzione pecuniaria.

Non si vede, infatti, come la cooperazione alla rimozione dell’abuso richiesta al proprietario in forza del suo diretto o indiretto rapporto con la res possa automaticamente tradursi in una corresponsabilità o in una posizione di garanzia a favore dei responsabili dell’illecito quando non si tratti più di agire materialmente sull’immobile ma di corrispondere una somma di danaro.

Per motivare l’esborso richiesto al proprietario viene talvolta evocato l’argomento secondo cui la misura pecuniaria non sarebbe diretta a punire un colpevole ma a sterilizzare l’aumento di valore dell’immobile conseguente all’abuso da cui il primo trarrebbe un “obiettivo” beneficio.

Tale giustificazione non appare, tuttavia, coerente con il dato normativo e con la realtà economica.

Infatti, sia la sanzione pecuniaria semplice prevista dall’art. 37 comma 1 del t.u.e., che quella sostitutiva di cui all’art. 33 comma 1 sono commisurate al doppio dell’aumento del valore dell’immobile e, quindi non si limitano alla neutralizzazione del maggior valore conseguente all’abuso ma mirano a reprimere e dissuadere dalla commissione di illeciti edilizi ben al di là di quello che può essere il vantaggio derivante dalla sua realizzazione. E, d’altro canto, l’acquirente in buona fede non beneficia affatto del maggior valore economico dell’abuso in quanto ne ha già pagato il valore al suo dante causa confidando dichiarazione di regolarità edilizia che questi è tenuto (a pena di nullità) a rendere nell’atto di trasferimento ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 380 del 2001.

In forza di tali elementi il Collegio ritiene di pervenire ad una lettura del combinato disposto degli artt. 29, comma 1, e 31, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 secondo la quale il proprietario incolpevole, ancorché tenuto a prestare la sua collaborazione per la rimozione materiale dell’abuso in forza della sua relazione con la res, non può essere perciò stesso destinatario delle sanzioni pecuniarie previste nel Capo I del Titolo IV del medesimo testo normativo le quali sono dirette a colpire i responsabili dell’abuso così come in esso individuati.

Tale regola vale, in particolare, anche nei confronti di coloro abbiano acquistato a titolo particolare la proprietà dell’immobile senza aver in alcun modo aver partecipato, conosciuto o beneficiato dell’illecito edilizio. Fermo restando che: a) l’acquirente di mala fede che conosceva l’abuso e/o ne ha tratto beneficio (scontandolo sul prezzo) si pone in una situazione di corresponsabilità che lo rende passibile del medesimo trattamento sanzionatorio previsto per i soggetti individuati dall’art. 29 del t.u.e.; b) in contesti in cui la buona fede non emerga ex actis la relativa dimostrazione compete al proprietario.

In tal senso, pare evidente al Collegio che, ove non si voglia configurare una responsabilità oggettiva degli aventi causa (estranea, in linea di principio al nostro ordinamento) questi possono fornire, come nel caso di specie, la prova non solo della loro totale estraneità alla commissione dell’abuso, ma anche quella dell’incolpevole ignoranza del fatto.

Ne segue che va annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui viene irrogata, ex art. 33, co. 2, DPR n. 380/2001, la sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione, “pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere”.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi quanto al motivo di ricorso con il quale viene contestata la richiesta di pagamento in via solidale degli oneri di cui al Titolo VII della l. reg. n. 1/2005.

Infatti, anche a prescindere dal fatto che la scelta di irrogare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria non costituisce una forma di sanatoria, secondo la costante giurisprudenza del g.a. il pagamento di siffatti oneri non ha come presupposto la proprietà, ma la titolarità e la fruizione del permesso edilizio mediante l’esercizio dell’attività costruttiva autorizzata (Cons. Stato, sez. V, 30/11/2011, n. 6333).

Va per contro rigettata la domanda di annullamento relativa al divieto di utilizzo a fini abitativi dell’unità immobiliare realizzata senza titolo nel sottotetto.

Invero, come condivisibilmente rilevato dalla difesa del Comune tale capo del provvedimento impugnato non costituisce affatto una duplicazione della sanzione pecuniaria di cui si è diffusamente argomentato.

Invero, l’ordine di rimozione delle opere, contenuto nel provvedimento impugnato si pone al di fuori del profilo sanzionatorio di ordine edilizio­ urbanistico, trattandosi, all’evidenza, di una misura inibitoria conseguente al mancato rispetto dei requisiti minimi di ordine igienico sanitario stabiliti dall’art. 96 del Regolamento edilizio comunale vigente e dallo stesso d.m. D.M. 5 luglio 1975.

Di qui l'ordine recato dal provvedimento avversato "di non utilizzare a fini abitativi tali unità immobiliari...stante l'assenza dei requisiti igienico-sanitari" e conseguentemente di rimuovere le opere edilizie "relative al servizio igienico sanitario ed al locale cottura e di tutti gli impianti ed apparecchi ad essi connessi".

La novità della impostazione giuridica seguita e la parziale reciproca soccombenza giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte come in motivazione precisato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Rosaria Trizzino, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere, Estensore

Raffaello Gisondi, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Bernardo Massari        Rosaria Trizzino