TAR Campania (NA) Sez. VIII n. 5278 del 28 agosto 2018
Urbanistica. Effetti della formazione del silenzio rifiuto sull’istanza di accertamento di conformità
L'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce sì significato provvedimentale di rigetto al silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di accertamento di conformità, ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere
Pubblicato il 28/08/2018
N. 05278/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03027/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3027 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Paride Luciano Grasso e Cristina Fabrizio, rappresentati e difesi dall'avv. Alfredo D'Onofrio, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Giuseppe Puorto in Napoli, Via Vicinale S. Severino, n. 2 - Villa Delizia e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Dragoni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Stefano La Marca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento,
previa sospensione dell'efficacia,
quanto al ricorso introduttivo:
“dei seguenti atti: a) Ordinanza di Demolizione di manufatti pertinenziali in ditta ai coniugi Grasso e Fabrizio prot. 1513 del 18.04.2016 notificata il 21.04.2016 ; 2) per quanto occorre del verbale di accertamento dei Vigili Urbani del 24.08.2012 in essa richiamato; 3) per quanto occorre dell’ordinanza di abbattimento n. 3733/12; 4) per quanto occorre dell’avviso di avvio del procedimento n. 3864 del 2012 richiamato nell’ordinanza; 4) per quanto occorra della diffida cautelativa della PM di Dragoni del 06.07.12; 5) di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali comunque lesivi dell’interesse del ricorrente”;
quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato il 29 gennaio 2018:
“della 6) “relazione sintetica sulle volumetrie riportate nella ce 21/92 e nel PC in sanatoria del 10/2012” a firma dell’UTC del Comune di Dragoni del 08/11/2017 depositata il 09/11/2017 mai notificata, né comunicate ai ricorrenti; 7) di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali comunque lesivi dell’interesse del ricorrente”
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Dragoni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2018 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Paride Luciano Grasso e Cristina Fabrizio espongono in fatto di essere proprietari di un fabbricato sito alla via Nocelle del Comune di Dragoni, realizzato giusta CE n. 21/92.
Tale immobile, identificato catastalmente al foglio 7 p.lla 129/c, era stato realizzato sottoponendo a vincolo di inedificabilità due fondi agricoli siti nel suddetto Comune, identificati catastalmente al foglio 20 p.lla 59 (di mq 4222) ed al foglio 7 p.lla 129/c (di mq 4480) divenuta poi p.lla 170, frazionata ulteriormente in p.lle 5060-5061. In particolare la citata concessione era stata rilasciata per l'edificazione sulla particella 129/c (oggi 5060-5061) ed in ragione del vincolo sopra richiamato, i volumi della particella n. 59, foglio 20, erano stati asserviti alla prima.
I coniugi ricorrenti riferiscono di aver realizzato, successivamente, delle opere da qualificarsi pertinenziali alla suddetta abitazione, ritenute abusive dal Comune di Dragoni con ordinanza prot. 4076/12 del 24 agosto 2012, all’esito del sopralluogo effettuato in pari data dai locali Vigili Urbani.
A fronte del citato ordine di demolizione essi ricorrenti avevano presentato istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, con cui avevano chiesto la sanatoria non solo dell’abuso contestato loro con la suddetta ordinanza di demolizione ma anche dello scavo di una piscina ancora da interrare e lievi difformità interne al fabbricato principale.
Il Comune di Dragoni, con nota prot. n. 429 del 29 gennaio 2014, aveva sospeso l’esame della pratica e chiesto chiarimenti circa il limite di cubatura di cui al vincolo di inedificabilità, nota alla quale essi ricorrenti avevano dato riscontro in data 8 agosto 2014 depositando una relazione tecnica nella quale veniva chiarita la situazione catastale e notarile dei terreni gravati dal citato vincolo e la ritenuta possibilità di realizzare nuovi corpi di fabbrica.
L’ente locale resistente con l’ordinanza prot. n. 1513 del 18 aprile 2016, “VISTO il Permesso a Costruire in Sanatoria presentato in data 24.10.2012 prot. 5213 presentato dai proprietari Grasso Luciano e Fabrizio Cristina nel quale si chiedeva la sanatoria inerente:
- le difformità interne al fabbricato adibito a civile abitazione autorizzato con C.E. 21/92;
- il fabbricato relativo ad una pertinenza dell'abitazione riportato nella tavola 5 con un corpo principale delle dimensioni sopra riportate (di m. 18,30 x 5,35 x 2,35) ed un corpo secondario unito a questo delle dimensioni di m. 5,10 x 4,30;
- una piscina interrata di cui furono iniziate le sole operazioni di scavo;”, concludeva per la sanabilità della piscina e delle opere interne al fabbricato ma disponeva nel contempo la demolizione delle restanti opere sul presupposto che “… i fabbricati inerenti le pertinenze non possono essere sanati in quanto la particella su cui insistono è gravata da vincolo di inedificabilità, così come riportato nella “Dichiarazione Costitutiva di Vincolo di inedificabilità redatta in Dragoni il giorno 03.10.1993 e registrato a Piedimonte Matese in data 18.03.1993 al numero 634…”.
Paride Luciano Grasso e Cristina Fabrizio hanno quindi proposto il presente ricorso, ritualmente notificato in data 20 giugno 2016 e depositato in data 28 giugno 2016, con il quale hanno chiesto l’annullamento della suddetta ordinanza di demolizione prot. n. 1513 del 18 aprile 2016 nonché, per quanto possa occorrere, degli ulteriori atti specificati in epigrafe.
A sostegno del gravame sono stati dedotti vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Il Comune di Dragoni si è costituito a resistere in giudizio eccependo l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso per omessa impugnazione di atti presupposti e specificatamente del diniego sull’istanza di accertamento di conformità formatosi per silenzio, deducendone l’infondatezza e chiedendone, pertanto, il rigetto.
Alle camere di consiglio del 20 luglio 2016 e 7 settembre 2016, in accoglimento dell’istanza del difensore di parte ricorrente, è stato disposto il rinvio della causa.
Con ordinanza n. 1610 del 6 ottobre 2016, pronunciata da questa Sezione all’esito della camera di consiglio del 5 ottobre 2016, è stata respinta la domanda cautelare “CONSIDERATO che, ad un primo esame sommario proprio della fase cautelare, emergono profili che inducono a ritenere infondato il ricorso, tenuto conto in particolare del chiaro tenore della dichiarazione costitutiva di vincolo di inedificabilità del 3 ottobre 1993 che impone il vincolo di inedificabilità tout court a favore del Comune di Dragoni;”.
Con ordinanza n. 238 del 24 gennaio 2017 la Sezione VI del Consiglio di Stato, in riforma della predetta ordinanza, ha accolto l'istanza cautelare in primo grado “Considerato che la domanda cautelare, stante la necessità di approfondire la questione di fatto nei suoi esatti termini, ben può esser soddisfatta, previa sospensione dell’ordine di demolizione, con la sollecita fissazione della trattazione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 55, c. 10, c.p.a.;” ed ha ordinato la trasmissione dell’ordinanza stessa a questo TAR per la sollecita fissazione dell'udienza di merito, ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a..
Il Comune di Dragoni in data 9 novembre 2017 ha depositato in giudizio la “Relazione sintetica sulle volumetrie riportate nella ce 21/92 e nel PC in sanatoria del 10/2012” a firma del Responsabile dell’area tecnica, adottata in data 8 novembre 2017.
All’udienza pubblica del 20 dicembre 2017 è stato disposto il rinvio della trattazione della causa all'udienza pubblica del 13 giugno 2018, in accoglimento della richiesta del difensore di parte ricorrente, ai fini della proposizione di motivi aggiunti.
Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 4 gennaio 2018 e depositato il 29 gennaio 2018, Paride Luciano Grasso e Cristina Fabrizio hanno impugnato la suddetta “Relazione sintetica sulle volumetrie riportate nella ce 21/92 e nel PC in sanatoria del 10/2012” mai notificata, né loro comunicata dal Comune di Dragoni.
A sostegno di tale ricorso sono stati dedotti vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Il Comune di Dragoni, con la memoria depositata per l’udienza di discussione, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti in quanto la relazione oggetto di impugnazione non avrebbe natura di provvedimento amministrativo ma sarebbe stata prodotta unicamente al fine di chiarire e contestare il secondo e terzo motivo di ricorso del ricorso introduttivo.
All’udienza pubblica del 13 giugno 2018 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
Il Comune di Dragoni ha eccepito l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso per omessa impugnazione di atti presupposti e specificatamente del diniego sull’istanza di accertamento di conformità formatosi per silenzio.
Il Collegio deve innanzitutto qualificare il provvedimento prot. n. 1513 del 18 aprile 2016 oggetto di impugnazione.
Al riguardo è pacifico in giurisprudenza il principio, condiviso dal Collegio, secondo il quale gli atti amministrativi vanno interpretati non solo in base al tenore letterale, ma anche risalendo alla effettiva volontà dell'amministrazione ed al potere concretamente esercitato, cosicché occorre prescindere dal nomen iuris ad essi attribuito al momento della adozione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 giugno 2015, n. 2836, Consiglio di Stato, Sez. V, 28 giugno 2004, n. 4756, 15 ottobre 2003, n. 6316, Adunanza Plenaria Consiglio di Stato, 23 gennaio 2003, n. 3, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 26 marzo 2018, n. 1923 e 3 gennaio 2017, n. 60, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 18 settembre 2013, n. 2170).
Al riguardo occorre evidenziare che nel provvedimento impugnato il Comune resistente, dopo aver richiamato l’accertamento di violazione urbanistica edilizia del 24 agosto 2012 del Comando Vigili Urbani e dell'Ufficio Tecnico di Dragoni in riferimento alla “Costruzione di un manufatto in muratura con copertura in lamiera delle dimensioni di m. 18,30 x 5,35 x 2,35”, ritenuta abusiva, ha poi espressamente richiamato i singoli interventi di cui all’istanza di permesso di costruire in sanatoria prot. n. 5213 del 24 ottobre 2012: “- le difformità interne al fabbricato adibito a civile abitazione autorizzato con C.E. 21/92; - il fabbricato relativo ad una pertinenza dell'abitazione riportato nella tavola 5 con un corpo principale delle dimensioni sopra riportate (di m. 18,30 x 5,35 x 2,35) ed un corpo secondario unito a questo delle dimensioni di m. 5,10 x 4,30; - una piscina interrata di cui furono iniziate le sole operazioni di scavo;”. Ha, quindi, “RITENUTO che dei lavori sopra elencati, i fabbricati inerenti le pertinenze non possano essere sanate in quanto la particella su cui insistono è gravata da vincolo di in edificabilità, così come riportato nella "Dichiarazione Costitutiva di Vincolo di inedificabilità redatta in Dragoni il giorno 03.10.1993 e registrato a Piedimonte Matese in data 18.03.1993 al numero 634. La ricostruzione catastale ad oggi è chiaramente e sinteticamente riportata nella "Relazione Tecnica Integrativa" acquisita al Comune di Dragoni in data 08.08.2014 prot. 3594 a firma del Tecnico Incaricato Ing. Mariano Negri, dalla quale si deduce che la particella citata nella dichiarazione di inedificabilità era l'allora 129/c, divenuta poi 170 ed oggi frazionata nei mappali 5060 e 5061 del Foglio 7;”; ha inoltre “DATO ATTO che la richiesta di sanatoria per i motivi sopra esposti non può applicarsi ai fabbricati inerenti le pertinenze dell'abitazione principale;” e “CONSIDERATO che le opere sanabili potranno essere ultimate solo dopo la rimozione dei fabbricati abusivi, in quanto realizzate sulle medesime particelle catastali oggetto di abuso non sanabile;”. Infine ha posto a fondamento del provvedimento stesso non solo l’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ma anche la legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Alla luce del contenuto del provvedimento impugnato si ritiene che, seppure il Comune di Dragoni abbia qualificato il provvedimento quale “ordinanza demolizione opere abusive”, con esso il predetto ente locale abbia in via prioritaria disposto il rigetto dell’istanza di sanatoria, limitatamente ai “… fabbricati inerenti le pertinenze …” e specificatamente “- il fabbricato relativo ad una pertinenza dell'abitazione riportato nella tavola 5 con un corpo principale delle dimensioni sopra riportate (di m. 18,30 x 5,35 x 2,35) ed un corpo secondario unito a questo delle dimensioni di m. 5,10 x 4,30;” e nel contempo ne abbia disposto la relativa demolizione, avendo ingiunto con il medesimo provvedimento “… di provvedere, a propria cura e spese, alla demolizione delle opere indicati in premessa (pertinenze dell’abitazione principale) e al ripristino dell’area ...”.
Chiarito quanto sopra, occorre precisare che il decorso del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non consuma il potere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza.
La disposizione dell’art. 13 della L. n. 47 del 1985 (riprodotta dal successivo art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), invero, attribuisce sì significato provvedimentale di rigetto al silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di accertamento di conformità, ma non dispone espressamente che il decorso del termine ivi indicato rappresenti, sul piano procedimentale, la chiusura del procedimento e specularmente determini, sul piano sostanziale, la definitiva consumazione del potere, con conseguente cristallizzazione della natura abusiva delle opere (T.A.R. Campania -Napoli, Sez. VIII, 17 maggio 2018, n. 3249).
Per vero, la previsione in subiecta materia di un’ipotesi di silenzio significativo è stata dettata nell’interesse precipuo del privato, cui è stata in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale; peraltro, il successivo, eventuale atto espresso di diniego, impugnabile con motivi aggiunti, non è inutiliter dato, posto che il relativo (e doveroso) corredo motivazionale individua le ragioni della decisione amministrativa e consente di meglio calibrare le difese dell’istante che ritenga frustrato il proprio interesse alla regolarizzazione ex post di quanto ex ante realizzato sì sine titulo ma comunque nel rispetto della disciplina urbanistica – cd. abusività formale – (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 2 ottobre 2017, n. 4574).
La condivisibile giurisprudenza amministrativa ha altresì chiarito che il provvedimento adottato dall’amministrazione successivamente al silenzio rigetto formatosi sull’istanza di sanatoria presentata ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 non può mai assumere le caratteristiche dell’atto meramente confermativo del precedente silenzio con valore legalmente tipico di diniego, ma costituisce atto di conferma in senso proprio a carattere rinnovativo, il quale – per la sua idoneità ad incidere sulla realtà giuridica, modificandola – non potrà che riaprire i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale da parte di quanti ne vogliano contestare la legittimità (TAR Lazio, Latina, 2 luglio 2012, n 528).
Andando ad applicare il riferito insegnamento giurisprudenziale al caso di specie, si evidenzia che l’impugnata ordinanza prot. n. 1513 del 18 aprile 2016 non richiama affatto il precedente silenzio, ma entra nel merito dell’istanza di sanatoria e la respinge, illustrandone le ragioni (come si vedrà infra, altra cosa è, se poi, tale motivazione sia esaustiva e giuridicamente convincente). Dunque, sussiste almeno il requisito dell’arricchimento della motivazione, che connota (insieme a quello della nuova istruttoria) l’atto di conferma in senso proprio e lo distingue nettamente dalla conferma mera, o atto meramente confermativo.
In definitiva, pertanto, si deve escludere che la mancata impugnazione nei termini del silenzio rigetto, formatosi sull’istanza di sanatoria presentata dal ricorrente il 24 ottobre 2012, dispieghi un’efficacia preclusiva nei confronti dell’impugnazione della nota comunale recante anche il (sopravvenuto) diniego espresso su detta istanza: la nota de qua, in quanto atto di conferma in senso proprio a carattere rinnovatorio, secondo ciò che si è appena illustrato, ha, infatti, inciso sulla preesistente realtà giuridica, modificandola, ed è dunque un atto autonomamente impugnabile. Essa, inoltre, ha comportato la riapertura dei termini di proposizione del gravame ed è stata tempestivamente impugnata.
Ne deriva la infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo sollevata dal Comune di Dragoni.
Deve altresì ritenersi ammissibile il ricorso per motivi aggiunti in quanto, ad avviso del Collegio, con la impugnata “Relazione sintetica sulle volumetrie riportate nella ce 21/92 e nel PC in sanatoria del 10/2012”, adottata in data 8 novembre 2017 e depositata in giudizio in data 9 novembre 2017, il Responsabile dell’area tecnica ha di fatto provveduto ad una vera e propria integrazione “ora per allora” della motivazione dell’atto dallo stesso funzionario a suo tempo adottato (e poi impugnato con il ricorso introduttivo). In particolare, dopo aver richiamato questa volta anche il provvedimento tacito di rigetto sull’istanza di sanatoria e la medesima motivazione riportata nell’ordinanza del 18 aprile 2016, egli ha fatto discendere il diniego di sanatoria dalla circostanza che parte ricorrente avrebbe erroneamente applicato un indice di fabbricazione che “ha portato alla discrasia di 261,40 mc in più calcolati quali realizzabili nella richiesta della Sanatoria, rendendo quindi la stessa non sanabile.” (così recita il provvedimento impugnato).
A sostegno del ricorso introduttivo i coniugi Grasso e Fabrizio hanno dedotto le seguenti censure:
I Violazione e erronea applicazione degli artt. 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, dell'art 1, commi 7 e 10 della norme di attuazione del PRG vigente nel Comune di Dragoni, eccesso e sviamento di potere, difetto di istruttoria, in quanto i manufatti oggetto di contestazione dovrebbero essere qualificati pertinenze, annoverabili tra quelle indicate nell'art. 1, comma 7, lett. a) ed f) delle N.T.A., e, pertanto, esse non costituirebbero superfici utili per la creazioni di volumi e quindi di cubatura atta ad incidere sul citato limite (e vincolo) di inedificabilità.
Il motivo è infondato.
Ed invero l’art. 1 delle N.T.A., al n. 7) “Superficie Utile (Su)”, comma 2, lett. a) ed f) rispettivamente prevede: “Non sono comprese nella definizione delle superfici utili le superfici destinate a: a) Cantine, legnaia e depositi in genere, indipendentemente dal numero e dalla stizza ma purché contenute parzialmente o totalmente entro terra;……f) I locali destinati ad autorimessa”.
Analizzando l’intervento oggetto di contestazione, dalla documentazione fotografica prodotta in atti, emerge che si tratta di opere né parzialmente e né totalmente interrate; inoltre parte ricorrente non ha provato, come era sua onere, trattandosi di prova rientrante nella sua piena disponibilità, ai sensi dell’art. 64 c.p.a., la destinazione ad autorimessa dell’intervento stesso ma si è limitata apoditticamente a qualificarlo quale intervento pertinenziale o genericamente manufatto accessorio (così al quarto motivo di ricorso). Né dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio dal Comune resistente è possibile dedurre la destinazione dell’intervento stesso.
Con il secondo e quinto motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto le seguenti censure:
II Stessa censura sub I sotto diverso profilo: violazione degli artt. 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001, eccesso e sviamento di potere, difetto di istruttoria per errore sui presupposti, in quanto il vincolo di inedificabilità gravante sull’area scaturente dalla cessione di cubatura per asservimento di altro fondo non determinerebbe una inedificabilità assoluta delle aree stesse, tenuto conto che essi ricorrenti all’epoca dell’edificazione del manufatto non avevano sfruttato l’intera cubatura a loro disposizione.
V Violazione ed erronea applicazione dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 3 e ss della l. n. 241/1990, eccesso di potere per violazione dei principi sul giusto procedimento.
Parte ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in quanto il provvedimento impugnato sarebbe privo di riferimenti tecnico giuridici volti a chiarire perché il citato vincolo determini una inedificabilità assoluta, nonostante che essi ricorrenti già in sede di permesso in sanatoria avevano argomentato (cfr. relazione integrativa n. 3594/14, pag. 3-4) che il vincolo in questione non comporterebbe un divieto assoluto di edificazione, sia dal punto di vista civilistico che urbanistico.
Il Collegio, all’esito di un vaglio più approfondito proprio della fase di merito, e alla luce della “relazione” depositata dall’amministrazione dopo l’adozione dell’ordinanza cautelare (“relazione” impugnata con il ricorso per motivi aggiunti), ritiene che si appalesino fondate le argomentazioni dei ricorrenti in riferimento al vincolo di inedificabilità.
Al riguardo occorre evidenziare che nella “relazione tecnica integrativa” acquisita al protocollo comunale n. 3594 dell’8 agosto 2014 (menzionata anche nel provvedimento impugnato con ricorso per motivi aggiunti), il tecnico incaricato ha specificato che il vincolo di inedificabilità di cui alla “Dichiarazione Costitutiva di Vincolo di inedificabilità”, redatta in Dragoni il giorno 3 ottobre 1993 in favore del Comune resistente (alla luce del rilascio della CE n. 21/92), traeva fondamento dalla legge regionale n. 14/1982 (Indirizzi programmatici e direttive fondamentali relative all'esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica, ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della L.R. 1° settembre 1981, n. 65); la medesima disposizione normativa è contenuta nell'art. 17, nella parte che disciplina le prescrizioni di zona delle N.T.A. del P.R.G. di Dragoni, circostanza espressamente confermata nella memoria difensiva dallo stesso Comune di Dragoni.
La suddetta legge regionale all’art. 1.8. - Zone agricole – del Titolo II Direttive - Parametri di pianificazione, al comma 7, prevede: “Per le necessità abitative dell'imprenditore agricolo a titolo principale è consentito l'accorpamento di lotti di terreni non contigui a condizione che sull'area asservita venga trascritto, presso la competente Conservatoria Immobiliare, vincolo di inedificabilità a favore del Comune da riportare successivamente su apposita mappa catastale depositata presso l'Ufficio tecnico comunale.”. Il successivo comma 10 dispone inoltre: “Tutte le aree la cui cubatura è stata utilizzata a fini edificatori restano vincolate alla inedificabilità e sono evidenziate su mappe catastali tenute in pubblica visione.”.
Al riguardo deve ritenersi risolutiva la circostanza che, mentre al comma 7 la suddetta disposizione normativa fa riferimento ai lotti di terreni, il successivo comma 10 limita il vincolo di inedificabilità alle aree utilizzate ai fini edificatori. Il vincolo, quindi, non comporta una inedificabilità assoluta, ma una inedificabilità relativa, e cioè circoscritta all’àmbito territoriale la cui volumetria è stata effettivamente impiegata.
Peraltro nello stesso provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, l’Amministrazione comunale, seppure richiamando a fondamento delle proprie conclusioni negative il vincolo di inedificabilità, laddove analizza l’indice di volume realizzabile implicitamente ammette che trattasi di vincolo di inedificabilità relativa; altrimenti tale specificazione non avrebbe avuto ragion d’essere, in quanto sarebbe stato sufficiente richiamare l’esistenza del vincolo di inedificabilità assoluta.
Tuttavia, ai fini della verifica della legittimità del provvedimento di diniego di sanatoria e della conseguente ordinanza di demolizione, occorre andare a verificare se residuasse o meno la volumetria necessaria ai fini della realizzazione dei relativi interventi edilizi. E ciò alla luce della motivazione contenuta nel provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, nonché delle censure formulate dagli interessati.
Devono, pertanto, ritenersi assorbite dal ricorso per motivi aggiunti le doglianze proposte con il terzo motivo del ricorso introduttivo, ovvero:
III Stessa censura sub I – II: violazione ed erronea applicazione dell'art 17 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Dragoni.
Parte ricorrente sostiene che residuerebbe cubatura ancora utilizzabile ed edificabile, data dalla differenza tra quella calcolata sull'intera superficie dell'area (sia nella parte edificata che in quella libera) e quella realizzata, pari cioè a 54,06 mc di volume residenziale e mc 265,51 di volume pertinenziale, con conseguente possibilità dell’ente locale resistente di concedere la sanatoria richiesta.
Con il quarto e ultimo motivo di ricorso sono state dedotte le seguenti censure:
IV Violazione ed errata applicazione degli artt. 6, 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001, eccesso e sviamento di potere, difetto di istruttoria per errore sui presupposti in quanto gli abusi contestuali costituirebbero pertinenze e, quindi, manufatti accessori assentibili con DIA; pertanto, in caso di abuso, si applicherebbe la disciplina del citato art. 37 e, conseguentemente, tali opere sarebbero sanabili previo pagamento della sola sanzione pecuniaria.
Il motivo è infondato.
Ed invero in urbanistica ed edilizia la nozione di pertinenza è meno ampia di quella definita dall'art. 817 c.c.; secondo la condivisibile giurisprudenza la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (cfr. ex multis T.A.R. Catania n. 4564/2010), sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto edilizio preesistente, determinano un aumento del carico urbanistico e devono pertanto ritenersi sottoposti a permesso di costruire (cfr. T.A.R. Bari, Sezione III, n. 245 e n. 429 del 10 marzo 2011, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, n. 26788/2010).
Ed invero la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).
Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame alla luce della sopra chiamata giurisprudenza, occorre innanzitutto evidenziare che parte ricorrente ha solo apoditticamente dedotto ma non ha provato, come era suo onere, trattandosi di prova rientrante nella sua piena disponibilità, ai sensi dell’art. 64 c.p.a., la natura pertinenziale delle opere oggetto di contestazione.
Il Collegio ritiene, comunque, che le opere per cui è causa, analiticamente descritte nell’ordinanza di demolizione, non possano avere natura pertinenziale già solo per le loro dimensioni richiamate nell’ordinanza stessa del “corpo principale delle dimensioni sopra riportate (di m. 18,30 x 5,35 x 2,35)” - “Costruzione di un manufatto in muratura con copertura in lamiera delle dimensioni di m. 18,30 x 5,35 x 2,35”, corrispondente, quindi, a 97 mq. (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 30 maggio 2017, n. 2870 e 28 agosto 2017, n. 4121).
Passando ad analizzare il ricorso per motivi aggiunti, con il primo e secondo motivo, che si ritiene di poter affrontare unitariamente, i ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure:
I Violazione ed erronea applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 e dell'art 17 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Dragoni.
Ad avviso di parte ricorrente la relazione oggetto di impugnazione conterrebbe una nuova motivazione all’ordine di demolizione che, oltre ad essere ininfluente rispetto alle deduzioni avverse, risulterebbe normativamente inesatta in quanto l’indice di fabbricabilità applicabile al caso di specie sarebbe pari a 0,10, previsto dalla suddetto art 17 per gli accessori rurali, e non 0,7, come rappresentato dal Comune resistente.
II Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, difetto di motivazione, eccesso e sviamento di potere.
Parte ricorrente lamenta che il Comune di Dragoni, nella relazione tecnica impugnata, avrebbe introdotto un ulteriore motivo a supporto dell’ordine di demolizione del 18 aprile 2016, aggiungendo all’asserito vincolo di inedificabilità dell’area l’errore del Consulente di Parte nell’istanza di sanatoria relativo all’indice di fabbricabilità praticabile sull’area oggetto dell’intervento edilizio (0,10 in luogo di 0,7), che avrebbe comportato l’edificazione di volumi superiori a quelli assentibili.
Tale argomentazione, ancorché infondata e comunque ininfluente per quanto detto sub 1), costituirebbe una inammissibile integrazione postuma della motivazione con conseguente illegittimità del provvedimento stesso.
Deve innanzitutto ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso laddove parte ricorrente lamenta l’integrazione postuma della motivazione. E’ pur vero che la giurisprudenza nega costantemente l’ammissibilità di una motivazione postuma resa con argomentazioni difensive in sede giudiziale, ma ciò quando le nuove argomentazioni vengono proposte dai difensori dall’Amministrazione e non anche se vi provvede l’organo competente di quest’ultima con atti aventi valenza amministrativa; invero, come è noto, una motivazione incompleta può sempre essere integrata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento amministrativo, così come è possibile che l’Amministrazione convalidi il provvedimento integrandone in un secondo momento la motivazione carente (v. Cons. Stato, Sez. VI, 19 agosto 2009 n. 4993), essendo la “convalida” una figura del sistema amministrativo riconducibile al più ampio fenomeno dell’autotutela, potere in virtù del quale l’Amministrazione ha la facoltà di sanare i propri atti da vizi di legittimità in applicazione del principio di economia dei mezzi giuridici e di conservazione degli atti, e potere suscettibile di esercizio anche nella pendenza di un giudizio per ovviare all’insufficiente motivazione attraverso l’integrazione in parte qua del provvedimento sub iudice (v. Cons. Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5538). Se, quindi, l’organo originariamente pronunciatosi, senza violare principi posti a tutela del buon andamento dell’azione amministrativa o a protezione dei consociati – quali la par condicio e la segretezza –, successivamente esplicita le ragioni sottese all’iniziale determinazione, di cui resta ferma la portata finale, nulla si oppone a che, sotto forma di convalida, questo ampliamento della motivazione legittimamente operi nei rapporti con il privato, purché ne resti integro il diritto di difesa, nel senso che egli non veda compromessa la possibilità di far valere integralmente le proprie ragioni in sede giudiziale, così come è poi accaduto nella fattispecie con la proposizione di un atto di motivi aggiunti preordinato a censurare quella “relazione”. Che si tratti, del resto, di un intervento riparatorio, ascrivibile all’astratto schema della sanatoria – pur senza l’utilizzo del relativo nomen iuris –, è insito nell’evidente volontà di rendere percepibili le ragioni del diniego originariamente non rese chiare, mentre è indubbio che le ragioni di pubblico interesse coincidono proprio con il rispetto del principio di conservazione degli atti e di economia dei mezzi giuridici, proiezione dei concetti di trasparenza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (v. TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 8 giugno 2015 n. 542).
Deve altresì ritenersi infondato il primo motivo di ricorso per la risolutiva circostanza che parte ricorrente commette un errore nel considerare che il volume pertinenziale residuo sarebbe di 265, 51 mc.
Nella concessione edilizia n. 21/92 risulta Volume realizzabile pertinenze mc. 628,60 (8.980 X 0,07 = 628,60) a fronte del volume progetto pertinenze di mc. 473,91; residuavano quindi mc. 154,69. Considerato che già solo il manufatto definito principale, oggetto di contestazione, qualificato pertinenza nell’istanza di sanatoria richiamata nell’ordinanza prot. n. 1513 del 18 aprile 2016, misura metri 18,30 x 5,35 x 2,35, il volume è pari a metri cubi 230 e, quindi, > di 154,69. Se sommiamo ai mc. 473,91, realizzati con la concessione edilizia n. 21/92, i mc 230 corrispondenti al predetto manufatto descritto nell’ordinanza di demolizione, il volume totale è di mc 703,91 e, quindi, superiore a mc 628,60, corrispondenti alla volumetria complessiva pertinenziale realizzabile.
Né può ritenersi applicabile nel caso di specie l’indice di fabbricabilità pari a 0,10, previsto per gli accessori rurali dall’art. 17 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Dragoni, per la risolutiva circostanza che parte ricorrente non ha provato, come era sua onere, trattandosi di prova rientrante nella sua piena disponibilità, ai sensi dell’art. 64 c.p.a., che l’intervento oggetto di contestazione rientrasse tra gli accessori rurali, così come definiti dal suddetto articolo.
Ed invero, come condivisibilmente sostenuto dal Comune resistente, l’art 17 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Dragoni, prodotto dalla stessa parte ricorrente, nell’ambito delle prescrizioni di zona, dispone: “Si intende per accessori rurali: le stalle, i fienili, i locali per ricovero attrezzi agricoli, i locali deposito materiali e derrate agro - alimentari e materiali zootecnici”.
Per potervi rientrare, non solo sarebbero dovuti apparire strutturalmente come tali, ma avrebbero dovuto essere funzionalmente correlati all'attuale ed effettivo espletamento di attività agricola in loco da parte dei ricorrenti.
A ciò aggiungasi la contraddizione in cui è incorsa parte ricorrente laddove nel primo motivo del ricorso introduttivo, al quale si rinvia, al fine di concludere nel senso che le opere contestate non costituirebbero superfici utili per la creazioni di volumi e quindi di cubatura atta ad incidere sul limite (e vincolo) di inedificabilità, aveva essa stessa ritenuto, seppure apoditticamente, come detto, che i manufatti oggetto di contestazione avrebbero dovuto essere qualificati pertinenze, annoverabili tra quelle indicate nell'art. 1, comma 7, lett. a) ed f) delle N.T.A. e, quindi, rispettivamente, cantine, legnaia e depositi in genere, o locali destinati ad autorimessa, mentre poi nel terzo motivo del ricorso introduttivo e nel primo motivo del ricorso per motivi aggiunti qualifica gli interventi, seppure apoditticamente, quali accessori rurali.
Con il terzo e ultimo motivo di ricorso i coniugi Grasso e Fabrizio hanno dedotto:
III Violazione ed errata applicazione degli artt. 31 e 36 del d.P.R. n. 380/2001 e della legge n. 241/1990, difetto di motivazione, eccesso e sviamento di potere - sotto diverso profilo.
Parte ricorrente, premesso che nella relazione impugnata l’ente locale resistente ha ripercorso sommariamente l’istruttoria relativa al permesso di costruire in sanatoria, lamenta il vizio procedurale dell’istruttoria stessa in quanto solo in tale relazione avrebbe fatto riferimento agli indici di fabbricabilità utilizzati per i calcoli volumetrici, indici già noti fin dal 2012 ma mai contestati ad essi ricorrenti nel corso del procedimento conclusosi con l’ordine di demolizione impugnato; pertanto il provvedimento impugnato avrebbe introdotto argomenti nuovi, privi di valore normativo, ed in spregio alle regole di partecipazione al procedimento che governano l’azione amministrativa ( art 97 Cost e legge n. 241/1990), il che costituirebbe motivo di annullamento anche dell’ordinanza di demolizione.
Il motivo è infondato.
Per giurisprudenza costante, anche di questo Tribunale, qualora le riscontrate violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, la trasgressione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell'atto risultano irrilevanti allorché il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (Cons. Stato Sez. III, 4 settembre 2017, n. 4184) come nel caso di specie. Ciò alla luce dell’art. 21 octies della L. 7 agosto 1990, n. 241 in base al quale, laddove sia dedotto un vizio di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, conseguentemente, di non annullare l'atto nell'ipotesi in cui la dedotta violazione formale non abbia inciso sulla legittimità sostanziale dei provvedimenti impugnati (cfr. ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, 27 marzo 2017, n. 1645, Sez. VII, 7 gennaio 2014, n. 1).
Conclusivamente, per i su esposti motivi, il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti, devono essere respinti.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Quanto alle spese, si ritiene che sussistano i motivi che ne giustificano la compensazione integrale tra le parti, tenuto conto della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge, nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Italo Caso, Presidente
Michelangelo Maria Liguori, Consigliere
Rosalba Giansante, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Rosalba Giansante Italo Caso