TAR Abruzzo (PE) Sez. I n. 51 del 31 gennaio 2017
Urbanistica.Piano regolatore e principi di sussidiarietà funzionale, adeguatezza e prossimità

Il piano regolatore ha natura di atto amministrativo complesso di tipo "diseguale", che vede nel procedimento di formazione sotto un profilo sostanziale oltreché procedimentale un ruolo differenziato di Regione e Comune, nel quale occorre attribuire all'ente locale di primo livello una posizione preponderante nella regolazione degli interessi urbanistici comunali; e ciò al fine di rispettare i principi di rango costituzionale che assegnano la funzione primaria di pianificazione all'Amministrazione comunale, tanto più all’indomani della riforma degli artt. 117 e 118 Costituzione, e della valorizzazione del principio di sussidiarietà funzionale e di adeguatezza e prossimità della funzione al territorio e alla comunità amministrata. Tali principi evidentemente non verrebbero rispettati, e quindi si dovrebbe dubitare anche della coerenza e legittimità Costituzionale dell’impianto normativo, se si ritenesse che le destinazioni complementari e compatibili individuate dalle Regioni ai sensi dell’articolo 5 del d.l. n. 70 del 2011 possano essere non un mero presupposto per accedere ad una valutazione in deroga da parte del Consiglio comunale ex articolo 14 del d.p.r. n. 380 del 2001 ma addirittura un vero e proprio vincolo per la decisione comunale per ciò stesso del tutto vincolata nell’accogliere la domanda di variazione della destinazione d’uso.



Pubblicato il 31/01/2017

N. 00051/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00106/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 106 del 2015, proposto da:
Molino & Molino Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Roberto Cordisco, Sabatino Besca, con domicilio eletto presso lo studio Alessandro Calabrese in Pescara, via Pindaro 19;

contro

Comune di Vasto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Nicolino Zaccaria, Stefano Monteferrante, con domicilio eletto presso lo studio Lorenzo Passeri in Pescara, via Falcone e Borsellino,38;

per l'annullamento

della delibera n.4 del 26 gennaio 2015 con la quale il Consiglio Comunale di Vasto non autorizza la variazione di destinazione d'uso da residence turistico a residenziale ad uso privato delle unità immobiliari già edificate ed ubicate all'interno del villaggio turistico "Molino Village" in località San Tommaso di Vasto Marina; nonché di tutti gli atti prodromici, connessi e consequenziali.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Vasto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2017 il dott. Massimiliano Balloriani e uditi l'avv. Nicola Lotti, su delega degli avv.ti Sabatino Besca e Roberto Cordisco, per la società ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La ricorrente impugna la delibera di consiglio comunale n. 4 del 26 gennaio 2015, con la quale il Comune di Vasto ha negato ai sensi dell’articolo 5 della legge regionale n. 49 del 2012 il cambio di destinazione d’uso, di alcune unità immobiliari site all’interno di un villaggio turistico, appunto da uso turistico a residenziale.

Secondo la ricorrente, non si sarebbe dovuto pronunciare il Consiglio comunale, atteso che per il disposto combinato dei commi 9 e 11 dell’articolo 5 del d.l. n. 70 del 2011, attuato in Abruzzo con la legge regionale n. 49 del 2012, intervenuta la normativa regionale attuativa non sarebbe più necessario il procedimento di competenza consigliare di cui all’articolo 14 del d.p.r. n. 380 del 2001, di approvazione del progetto in deroga al vigente strumento urbanistico, residuando la competenza di approvazione diretta da parte del dirigente preposto ex articolo 20 comma 7 tuel; in particolare il comma 11 cit. prevedrebbe l’applicabilità dell’articolo 14 tuel “solo” sino all’entrata in vigore della normativa regionale e il legislatore regionale con la legge n. 49 del 2012 non avrebbe effettuato alcun richiamo all’articolo 14 cit. vale a dire alla procedura di competenza consigliare del cd. permesso in deroga al piano regolatore, richiamo quindi effettuato del tutto illegittimamente solo nella circolare della Regione n. 1511 del 2013; la necessità di una ulteriore scelta politica in ordine al cambio di destinazione d’uso, del resto, non avrebbe senso una volta individuate in linea generale ed astratta le destinazioni compatibili e complementari all’interno delle quali consentire le modifiche ex articolo 5 della legge regionale n. 49 del 2012; la legge regionale medesima del resto mentre consente ai Comuni di limitare le altre premialità dalla stessa previste, mediante delibera di Consiglio comunale, non consentirebbe a questi ultimi di limitare l’efficacia della previsione delle categorie complementari di destinazione d’uso di cui all’articolo 5 cit.; non avrebbe poi alcun rilievo il riferimento alla legge regionale n. 49/2012 laddove ha, a sua volta, stabilito (art. 1, comma 2°) che è compito dei Comuni, in base a specifiche valutazioni o ragioni di carattere urbanistico, edilizio, paesaggistico, ambientale, nonché in relazione alle caratteristiche proprie di ogni singola zona ed al loro diverso grado di saturazione edilizia e delle previsioni urbanistiche, di potersi avvalere delle misure previste incentivanti su tutto il territorio comunale o su parti di esse (cfr. Tar Pescara, sentenza n. 27 del 2014), e ciò poiché il Comune di Vasto non ha adottato alcuna delibera generale in tale senso e comunque tale possibilità non sarebbe più consentita dalle modifiche introdotte dalla legge regionale n. 62 del 2012, che comunque ha escluso qualsiasi discrezionalità da parte delle Amministrazioni comunale in ordine alle modifiche di destinazione d’uso complementari, salva la possibilità di continuare a vietare le altre premialità; nel merito e nella motivazione poi il diniego del Consiglio comunale sarebbe in contrasto con l’esito dell’istruttoria svolta dall’ufficio tecnico comunale, nonché intrinsecamente illogica.

All’udienza del 13 gennaio 2017 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato.

L’articolo 5 comma 1 della legge regionale n. 49 del 2012 dispone che “Ai sensi della lettera a), del comma 13, dell’articolo 5, del D.L. 70/2011 convertito, con modificazioni, dalla L. 106/2011 le modifiche di destinazioni di uso, realizzate anche attraverso interventi di cui agli articoli 3 e 4, sono ammissibili purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari”.

La lettera a), del comma 13, dell’articolo 5, del D.L. 70/2011 convertito, con modificazioni, dalla L. 106/2011, a sua volta dispone che “a) e' ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purche' si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;”.

In sostanza la stessa legge regionale richiama per intero la disposizione della norma statale che a sua volta rinvia al procedimento del cd. permesso in deroga di competenza del Consiglio comunale.

Tale rinvio appare chiaro ed incondizionato sicchè non v’è motivo di ritenere che non debba applicarsi il procedimento di cui all’articolo 14 tuel.

Inconferente appare a tal fine la disposizione di cui al primo periodo del comma 13 dell’articolo 5 del d.l. n. 70 del 2011, secondo cui nelle Regioni a statuto ordinario si applica in via diretta e immediata la disciplina della lettera a) in questione, decorso il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all'entrata in vigore della normativa regionale di attuazione.

Siffatta previsione, infatti, lungi dal prevedere una disciplina intertemporale distinta ed eccezionale rispetto a quella regionale di attuazione, ha reso self executing un principio di carattere generale contenuto nella disciplina statale, ovverosia quello secondo cui i permessi in deroga agli strumenti urbanistici sono deliberati dal Consiglio comunale.

Peraltro la normativa statale di cui al d.l. n. 70 del 2011 ha previsto la deliberazione del Consiglio comunale ex articolo 14 tue “purchè” il mutamento avvenga tra destinazioni tra loro compatibili o complementari, vale a dire che la natura compatibile o complementare è una precondizione minima per l’ammissibilità del procedimento di cui all’articolo 14 tue e non un dato fattuale che rende vincolato e quindi inutile il passaggio in Consiglio comunale.

Né si può dire che con tale interpretazione si finisce per svuotare la portata innovativa della legislazione in esame, di favore per gli interventi edilizi.

Difatti, con le norme in commento, seppure nei soli casi di destinazioni d’uso definite e classificate dalla legge regionale come astrattamente compatibili o complementari, il procedimento di cui all’articolo 14 del Tue è stato esteso dalle opere pubbliche a quelle private, e non è certo poca cosa.

Del resto anche il comma 1bis dell’articolo 14 tue in commento, inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 11 novembre 2014 n. 164, nel prevedere che per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, e' ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, fa salva sempre la previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico.

Si tratta inoltre, quantomeno con riferimento all’articolo 5 della legge regionale abruzzese, n. 49 del 2012, di ipotesi di compatibilità e complementarità ben più estese e quindi di favore rispetto alle categorie di carattere generale di cui all’articolo 23 ter del Tue (introdotto dall'articolo 17, comma 1, lettera n), del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014 n. 164, e destinato ad avere efficacia diretta anche nelle Regioni, decorsi 90 giorni dalla sua entrata in vigore); e ciò avvalora il rilievo che si tratta di compatibilità e complementarità astratta, da valutare e verificare in concreto da parte dei Consigli comunali.

Peraltro, l’interpretazione qui accolta consente di non sottrarre del tutto al Consiglio comunale la valutazione in ordine al mutamento in deroga al PRG delle destinazioni d’uso degli interventi, che come noto può incidere profondamente sulle linee programmate di sviluppo economico e urbanistico del proprio territorio, specie nel caso di interventi rilevanti e di notevole impatto, come nella fattispecie in esame.

Sicchè si tratta, ad avviso del Collegio, di un’interpretazione rispettosa della natura del piano regolatore, quale atto amministrativo complesso di tipo "diseguale", che vede nel procedimento di formazione sotto un profilo sostanziale oltreché procedimentale un ruolo differenziato di Regione e Comune, nel quale occorre attribuire all'ente locale di primo livello una posizione preponderante nella regolazione degli interessi urbanistici comunali (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 2985 del 2015); e ciò al fine di rispettare i principi di rango costituzionale che assegnano la funzione primaria di pianificazione all'Amministrazione comunale (Consiglio di Stato, sentenza n. 8682 del 2010), tanto più all’indomani della riforma degli artt. 117 e 118 Costituzione, e della valorizzazione del principio di sussidiarietà funzionale e di adeguatezza e prossimità della funzione al territorio e alla comunità amministrata (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 1346 del 2016).

Tali principi evidentemente non verrebbero rispettati, e quindi si dovrebbe dubitare anche della coerenza e legittimità Costituzionale dell’impianto normativo in questione, se si ritenesse che le destinazioni complementari e compatibili individuate dalle Regioni ai sensi dell’articolo 5 del d.l. n. 70 del 2011 possano essere non un mero presupposto per accedere ad una valutazione in deroga da parte del Consiglio comunale ex articolo 14 del d.p.r. n. 380 del 2001 ma addirittura un vero e proprio vincolo per la decisione comunale per ciò stesso del tutto vincolata nell’accogliere la domanda di variazione della destinazione d’uso.

Accertato quindi per i motivi illustrati che il Comune resistente ha ritenuto correttamente che nella fattispecie in quesitone sussistesse la competenza del Consiglio comunale e quest’ultimo conservasse un potere discrezionale, occorre passare all’esame delle altre censure afferenti il merito della decisione di rigetto del cambio di destinazione.

Ai sensi dell’articolo 5 comma 5 della legge regionale n. 49 del 2012 “Salva la possibilità delle Amministrazioni comunali di individuare ulteriori casi, sussiste complementarietà reciproca tra le seguenti destinazioni: a) destinazioni residenziali integrabili: con esercizi commerciali di vicinato; studi professionali; artigianato di servizio, ricettività di tipo albergo diffuso; b) destinazioni produttive quali: industriali, artigianali, direzionale e servizi, integrabili con: commerciali di vicinato, ricettività alberghiera ed extra - alberghiera, cultura e comunicazione; c) destinazioni turistico- ricettive, integrabili con: ricettività alberghiera ed extra alberghiera, residenze o alloggi turistici anche ad uso privato, stabile o stagionale, residenze per il personale addetto; d) destinazioni direzionali integrabili con: artigianato, servizi, commerciale nella forma di esercizio di vicinato; e) destinazioni agricole integrabili con: attività agrituristica in ogni forma, somministrazione alimenti e bevande.

Rientrando quindi l’intervento nell’ambito della categoria c) il Comune ha ritenuto di poter analizzare in concreto la possibilità di concedere il mutamento di destinazione da turistico a residenziale, pur rientrando l’intervento in zona D4 del PRG che contempla solo usi turistici e non residenziali.

Il diniego tuttavia risulta ben motivato ed immune da censure, tanto più ove si consideri che le destinazioni d’uso impresse nel PRG sono espressione di discrezionalità molto lata sulla quale il sindacato del Giudice deve mantenersi esterno e limitato a vizi sintomatici manifesti (quali illogicità e travisamento di fatto) e non sostitutivo di valutazioni ontologicamente opinabili (cfr. Tar Lecce, sentenza n. 958 del 2007; Tar Trento, sentenza n. 220 del 2013).

Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, la scelta appare logica e coerente con l’intenzione evidenziata nel provvedimento di incrementare quel tipo di interventi prettamente turistici in aree che già possiedono quella vocazione per essere in zona marina e in prossimità di un sito d’interesse naturalistico comunitario.

Appare altresì logico e coerente anche il rilievo secondo cui lo sviluppo prettamente turistico potrebbe essere ostacolato da una massiccia presenza di abitazioni residenziali, non sempre conciliabili con tale vocazione turistica (es: impatti acustici ed emissioni varie; autorizzabilità di spettacoli anche nelle ore di riposo, ecc…); nonché il rilievo della mancanza, anche in ragione del notevole numero di nuclei abitativi di cui si vorrebbe cambiare la destinazione, di adeguate opere di urbanizzazione non solo primaria ma soprattutto secondaria (es: scuole, asili, ecc…) e di un’organizzazione dei trasporti e servizi vari per abitanti residenziali e non meramente turistici e vacanzieri.

Tutto ciò peraltro a fronte di un’istruttoria positiva dell’ufficio tecnico che appare prima facie più generica e meno approfondita, soprattutto con riferimento alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

Appaiono queste del resto considerazioni di politica del territorio e di sviluppo economico-urbanistico della comunità, come tali rimesse, come ricordato, alla discrezionale competenza dell’organo politico dell’Ente locale; considerazioni che nel caso di specie appaiono altresì autonome e idonee a giustificare l’impugnato diniego.

Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, della somma complessiva di euro 4.000, 00, oltre iva, cpa e accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Amedeo Urbano, Presidente

Alberto Tramaglini, Consigliere

Massimiliano Balloriani, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Massimiliano Balloriani        Amedeo Urbano