Cass. Civile Sez. 1, Sentenza n. 12642 del 29/08/2002
Presidente: Grieco A. Estensore: Benini S. P.M. Golia A. (Conf.)
Siderurgica Ferrero SpA (Cogo) contro Reg. Valle d'Aosta (Cattelino)
(Rigetta, App. Torino, 24 maggio 2000).
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (O UTILITÀ) - OCCUPAZIONE TEMPORANEA E D'URGENZA - INDENNITÀ - Occupazione a fini di ricerca archeologica - Pregiudizio alla proprietà - Diritto all'indennità - Sussistenza - Risarcimento - Esclusione.
ANTICHITÀ E BELLE ARTI - DEMANIO PUBBLICO - ARCHEOLOGICO - MONUMENTI ED OPERE D'ANTICHITÀ - Occupazione a fini di ricerca archeologica - Pregiudizio alla proprietà - Diritto all'indennità - Sussistenza - Risarcimento - Esclusione.

La riparazione del pregiudizio arrecato alla proprietà privata dall'occupazione a fini di ricerca archeologica non può essere ispirata a caratteri di integralità, ma assume i connotati dell'obbligazione indennitaria che, in quanto riferita alla lesione dell'altrui interesse a prescindere dal contegno illecito e dalla colpa, si risolve nell'obbligo di versare un compenso inferiore al risarcimento, e, siccome ispirata a parametri elastici (perdita dei frutti, diminuzione del valore del fondo, durata dell'occupazione e tutte le altre valutabili circostanze), assume i caratteri della valutazione equitativa.
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANGELO GRIECO - Presidente -
Dott. ALESSANDRO CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. MARIO ROSARIO MORELLI - Consigliere -
Dott. MARIO ADAMO - Consigliere -
Dott. STEFANO BENINI - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
SIDERURGICA FERRERO SPA, incorporante la Alberghiera Corona a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA LARGO MESSICO 7, presso l'avvocato GIAMPAOLO MARIA COGO, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
REGIONE AUTONOMA DELLA VALLE D'AOSTA, in persona del Presidente della Giunta pro tempore domiciliato in ROMA presso LA CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato VINCENZO CATTELINO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 832/00 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 24/05/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2002 dal Consigliere Dott. Stefano BENINI;
udito per il ricorrente l'Avvocato Vicini per delega che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'Avvocato Cattelino che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio GOLIA che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 18.3.1988, la Società alberghiera Corona s.r.l., conveniva in giudizio la Regione autonoma Valle d'Aosta davanti al Tribunale di Torino, chiedendo condannarsi la convenuta al risarcimento del danno subito per effetto della forzata sospensione dei lavori di ristrutturazione di edificio alberghiero, di sua proprietà, situato in Aosta, in ottemperanza ad ordine intimato dall'Assessorato regionale per il turismo, antichità e belle arti, e della successiva occupazione dell'area da parte dell'amministrazione, al fine di eseguire ricerche archeologiche su strutture romane emerse nel corso delle opere edilizie; chiedeva anche il risarcimento dei maggiori danni ai sensi dell'art. 70 l. 25.6.1865 n. 2359.
Si costituiva in giudizio la Regione autonoma Valle d'Aosta, contestando il fondamento della domanda, di cui chiedeva il rigetto. Avverso la sentenza di primo grado, che accogliendo parzialmente la domanda condannava la regione al pagamento dell'indennizzo di L. 148.918.995, applicando il criterio dell'interesse legale sul valore del fondo, per la durata dell'occupazione, oltre a L. 99.414.000 per interessi, proponeva appello la Siderurgica Ferrero s.p.a., incorporante la Società alberghiera Corona s.r.l.
Con sentenza depositata il 24.5.2000, la Corte d'Appello di Torino rigettava il gravame, osservando che l'occupazione a fini archeologici costituisce attività lecita della pubblica amministrazione, da cui deriva un'obbligazione indennitaria, commisurata ai criteri dell'art. 68 l. 2359/1865, richiamato dall'art. 43 l. 1.6.1939 n. 1089, che comporta una liquidazione equitativa, restando escluso che il danno possa essere compensato, secondo la logica risarcitoria, nelle componenti delle perdite subite e del mancato guadagno; pur in tale ottica, mancava la prova che il pregiudizio derivante dai maggiori costi e oneri di esecuzione dell'appalto, per il blocco del cantiere, fosse attribuibile all'occupazione, piuttosto che all'obiettiva circostanza del ritrovamento di testimonianze storiche, da cui discende l'obbligo di conservazione dei reperti e di modifica progettuale; nel comportamento dell'amministrazione mancava il carattere dell'antigiuridicità.
Ricorre per cassazione la Siderurgica Ferrero s.p.a., affidandosi a quattro motivi, al cui accoglimento si oppone con controricorso la Regione autonoma Valle d'Aosta.
La Siderurgica Ferrero s.p.a. ha anche depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la Siderurgica Ferrero s.p.a., denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 12 disp. prel. c.c., dell'art. 43 l. 1.6.1939 n. 1089, dell'art. 68 l. 25.6.1865 n. 2359, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver applicato alla fattispecie tipica dell'occupazione al fine di eseguire ricerche archeologiche, la quale soddisfa di per sè l'interesse pubblico, e si esaurisce alla scadenza, i principi elaborati in materia di occupazione d'urgenza preordinata ad esproprio, arrivando alla non corretta conclusione che il danno per l'occupazione può essere compensato con una semplice indennità, piuttosto che con un risarcimento commisurato alla diminuzione patrimoniale concreta ed al mancato reddito conseguente allo spossessamento del fondo.
Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 333, 343 e 346 c.p.c. e dell'art. 68 l. 2359/1865, ed omessa, falsa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso di poter considerare, anche sotto un profilo equitativo e non strettamente risarcitorio, i maggiori oneri sopportati dalla Corona s.r.l., per mancanza di prova sul nesso causale. In realtà, riguardo a tale eccezione, sollevata dalla regione in appello, le relative questioni potevano essere sollevate solo con appello incidentale, posto che il Tribunale aveva escluso tale voce di credito sotto il diverso profilo della mancanza di prova sulla sopportazione dei maggiori costi, con la conseguenza che la sussistenza del nesso causale era stata ritenuta sussistente; in proposito, inoltre, l'art. 68 cit. tipizza il nesso causale, di modo che "le altre valutabili circostanze" non sono un'autonoma voce di danno, ma un criterio di qualificazione dell'indennizzo, il cui obbligo discende dal fatto stesso dell'occupazione; e ancora, l'asserita imputabilità del ritardo fino al 23.12.1981, alla mancata presentazione di un progetto di variante dei lavori da parte dell'impresa, è il frutto di un equivoco, essendo in realtà stata autorizzata la prosecuzione dei lavori fin dal 20.12.1980 per effetto del provvedimento di revoca della sospensione, e avendo l'impresa, all'indicata data 23.12.1981, presentato in realtà il progetto per la sistemazione e conservazione dei reperti archeologici venuti alla luce; il maggior costo delle opere, a causa dei ritardi, non costituisce meccanismo per la rivalutazione dei costi, valido nei rapporti tra committente e appaltatore, ma reale, pregiudizio.
Con il terzo motivo, la Siderurgica Ferrero s.p.a., denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 2729 c.c., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, si duole che il giudice di appello abbia ritenuto non investita dal gravame la sentenza di primo grado nella parte in cui rigettava perché carente di prova la quantificazione dell'indennizzo con riferimento all'ipotizzabile reddito locativo, infatti tale richiesta rientrava nell'ambito "di tutte le altre valutabili circostanze" di cui all'art. 68 l. 2359/1865; peraltro l'oggetto sociale della Corona s.r.l. rendeva verosimile la presunzione di perdita economica.
Con il quarto motivo, la ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 70 l. 2359/1865 e dell'art. 2043 c.c., ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, si duole che la sentenza impugnata abbia considerato non dovuto il risarcimento del danno derivante dall'estensione dell'occupazione o comunque dal fatto illecito dell'amministrazione, per mancanza di prova sul nesso causale oltre per la non antigiuridicità della condotta: in realtà è proprio dalla documentazione prodotta, oltre che dalle risultanze di c.t.u., che risulta la dipendenza dei danni lamentati dalla reiterazione dell'ordine di sospensione dei lavori, dalla prescrizione di cautele che hanno paralizzato l'attività anche nelle residue aree del cantiere, dall'intermittenza delle operazioni di ricerca.
Il ricorso è infondato, e va rigettato.
Riguardo al primo motivo, la Corte d'appello di Torino non incorre in alcuna violazione di legge riguardo alla qualificazione in termini indennitari e non risarcitori, del compenso dovuto per l'occupazione a fini di ricerche archeologiche, disciplinata dall'art. 43 l. 1089/39 mediante il rinvio agli artt. 65 e ss. l. 2359/1865.
In primo luogo, diversamente da quanto la ricorrente prospetta, il giudice di merito non compie alcuna commistione tra l'occupazione temporanea tipizzata dall'art. 64 l. 2359/1865 e quella preordinata ad esproprio, di cui all'ultima parte dell'art. 71. La sentenza dichiara espressamente che i criteri di liquidazione dell'indennizzo per l'occupazione archeologica si distaccano dalla prassi applicativa dell'occupazione in vista di successiva espropriazione, apparendo indicati dall'art. 68, in modo autonomo, i vari elementi utili a determinare il quantum della rifusione.
L'occupazione a fini di ricerca archeologica costituisce attività lecita della pubblica amministrazione, mirante a realizzare l'interesse pubblico alla conservazione del patrimonio storico- artistico e alla promozione della cultura e della ricerca (art. 9 Cost.), essendo d'altro canto giustificati, per ragioni d'interesse culturale, anche il sacrificio definitivo della proprietà privata (art. 56 l. 1089/39), o, più in generale, la limitazione all'uso, al godimento, alla disponibilità (artt. 3 e 21).
La proprietà delle cose che rivestono l'interesse storico, artistico, archeologico, nasce vincolata, e la connotazione culturale del bene è un carattere che incide sulla valutazione economica dello stesso, comportando, ad esempio, che in caso di esproprio, dell'eventuale minusvalore che il vincolo determini sul bene, a causa della sua limitata utilizzabilità, si debba tener conto in sede di determinazione dell'indennizzo.
Tali considerazioni, inerenti, da un lato, alla qualificazione dell'attività di ricerca archeologica condotta dagli enti preposti (istituzionalmente lo Stato: art. 43; la regione autonoma della Valle d'Aosta sul proprio territorio: art. 38 l. 16.5.1978 n. 196, norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta), dall'altro al particolare statuto della proprietà dei terreni il cui sottosuolo contenga testimonianze di antiche civiltà, inducono alla corretta interpretazione del combinato disposto degli artt. 43 l. 1089 (vedi ora l'art. 85 d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali) e 68 l. 2359/1865: la riparazione del pregiudizio arrecato alla proprietà privata dall'occupazione a fini di ricerca archeologica non può essere ispirata a caratteri di integralità, bensì assume i connotati dell'obbligazione indennitaria che, in quanto riferita alla lesione dell'altrui interesse a prescindere dal contegno illecito e dalla colpa, si risolve nell'obbligo di versare un compenso minore, per lo più limitato alla perdita. Nell'ipotesi di occupazione temporanea, l'art. 68 fissa alcuni parametri, validi anche per indennizzare l'occupazione archeologica, la cui elasticità, desumibile dall'essere chiamato il giudice a considerare, oltre alla perdita dei frutti, alla diminuzione del valore del fondo, alla durata dell'occupazione, anche "tutte le altre valutabili circostanze", non può che assumere i caratteri della valutazione equitativa. La conferma della sentenza di primo grado comporta che l'occupazione è stata compensata con il criterio degli interessi legali sul valore del fondo per la durata dell'occupazione, che appare certamente più remunerativa dell'occupazione preespropriativa, commisurata, com'è noto, agli interessi sul valore espropriativo, pur se l'occupazione sia seguita dalla restituzione del fondo (Cass. 26.1.2001, n. 28): è stata esclusa
l'indennizzabilità in via equitativa, anche sotto la specie di altra valutabile circostanza, dei maggiori oneri derivanti dal committente dal contratto di appalto, per il blocco totale o parziale del cantiere.
Venendo al secondo motivo, è da escludere, in primo luogo, che la circostanza dell'esistenza di nesso causale tra il protrarsi dell'occupazione archeologica ed i maggiori oneri subiti dalla società proprietaria abbia acquisito efficacia di giudicato per effetto dell'omessa pronuncia, sull'eccezione, da parte del giudice di primo grado: il che avrebbe comportato l'onere di appello incidentale e non della semplice riproposizione dell'eccezione. Non è in alcun modo rilevabile dalla sentenza di primo grado (indagine consentita al giudice di legittimità, essendo invocato un error in procedendo: Cass. 21.5.1996, n. 4676) che il rigetto della domanda per la mancanza di prova sulla sopportazione dei maggiori danni comporti implicitamente la ritenuta sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento, essendo al contrario logicamente plausibile che l'esame sulla fondatezza della domanda si arresti, ove solo manchi la prova del danno.
In secondo luogo, non sembra corretta la prospettiva della ricorrente, secondo cui l'obbligo dell'indennizzo conseguirebbe dal semplice fatto dell'occupazione, discendendo dai principi, invece, che di qualsiasi pregiudizio di cui si chiede la riparazione, debba essere fornita la prova dell'esistenza e della riconducibilità alla condotta dell'occupante, nell'ambito di una valutazione complessiva che tiene conto degli elementi indicati dall'art. 68, ivi comprese "tutte le altre valutabili circostanze".
Sul punto dell'accertamento del nesso causale, le doglianze della ricorrente appaiono invocare una nuova, non consentita valutazione dei fatti da parte di questa Corte. L'accertamento della efficienza causale nella determinazione dell'evento dannoso, è demandato al giudice del merito, la cui valutazione, ove congruamente motivata, è insindacabile in Cassazione (Cass. 17.5.2001, n. 6767), come pure, più in generale, l'attività di valutazione delle prove (Cass. 5.11.2001, n. 13635; 17.7.2001, n. 9662; 8.9.2000, n. 11859). Nei limiti in cui è ammissibile il sindacato di legittimità, logica e condivisibile appare la motivazione della Corte d'appello, posto che indipendentemente dalla durata del provvedimento cautelare di sospensione, previsto dall'art. 20 l. 1089/39, l'obbligo di conservazione, nonché di astenersi da ogni manipolazione delle cose rinvenute (art. 68, secondo comma, in relazione all'art. 48), che appartengono allo Stato o alla regione (art. 44 l. 1089/39; art. 822, secondo comma, c.c.; art. 38 l. 196/78), discende dalla legge, e che la possibilità concessa al proprietario di proseguire nelle opere, oltre che presentarsi come eventuale e soggetta a valutazioni tecniche dell'amministrazione, deve a maggior ragione considerarsi limitata dalle operazioni tecniche svolte e dalle prescrizioni impartite dagli organi preposti alla tutela dei beni culturali, ai fini della scoperta, conservazione, valorizzazione, delle testimonianze storiche.
Infine, sempre riguardo al secondo motivo, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto assorbita la questione connessa all'attendibilità, sotto il profilo della valutazione indennitaria, delle previsioni contrattuali sui maggiori prezzi ed oneri dell'appalto.
Anche il terzo motivo appare inammissibile, inerendo sostanzialmente a questioni di merito: in tema di prova presuntiva è incensurabile, in sede di legittimità, l'apprezzamento del giudice del merito circa lo stesso ricorso a tale mezzo di prova, e l'unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità è sulla coerenza della relativa motivazione (Cass. 19.9.2000, n. 12422). Nella specie non può sindacarsi l'apprezzamento negativo del giudice di merito circa la diretta riconducibilità di una ipotetica anticipata disponibilità dei manufatti edilizi al loro collocamento sul mercato delle locazioni, anche per la genericità del motivo riguardo al fatto noto (l'attività della proprietaria), da cui dovrebbe ricavarsi la presunzione. Oltre al fatto che ogni questione di quantificazione del danno, appare assorbita dalla riscontrata mancanza di nesso causale rispetto all'occupazione. Anche il quarto motivo è infondato. Il giudice di merito ha correttamente dedotto che la reiterazione dei decreti di sospensione dei lavori non costituisce di per sè indice di illegittimità del comportamento amministrativo, e non appare idoneo a tradire la buona fede del proprietario nell'aspettativa che si trattasse, ogni volta, dell'ultima sospensione. Va aggiunto che l'intralcio ai lavori privati, attribuito al blocco parziale dei cantieri per le contemporanee operazioni condotte dall'amministrazione, non può essere qualificato come comportamento illecito, corrispondendo agli obblighi funzionali connessi alla tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico. Quanto alla dedotta inerzia del personale della Soprintendenza in alcuni momenti dell'occupazione, essa non è risultata provata: deve tenersi conto, peraltro, che il carattere demaniale degli immobili d'interesse archeologico rinvenuti comporta che la presenza sul luogo del personale soprintendentizio, lungi dal configurare un'indebita ingerenza in alienum, è esercizio della facoltà inerente al diritto dominicale, anche pubblico. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in Euro 7.077,47 di cui Euro 7.000,00, per onorari.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2002.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2002