TAR Campania (NA) Sez. IV n. 1921 del 10 aprile 2017
Urbanistica.Realizzazione di una veranda

La chiusura di una veranda, a prescindere dalla natura dei materiali all’uopo utilizzati, costituisce comunque un aumento volumetrico, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, atteso che, in materia urbanistico - edilizia, il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati

Pubblicato il 10/04/2017

N. 01921/2017 REG.PROV.COLL.

N. 04559/2005 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4559 del 2005, proposto da:
Iorio Lucia, rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Soprano, Giovanni Sellitto, con domicilio eletto presso lo studio Riccardo Soprano in Napoli, via Toledo, n. 156;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Avvocatura Municipale, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Municipale - palazzo S. Giacomo;

per l'annullamento

- della disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n. 308 del 17 marzo 2005 con la quale si è ordinata la demolizione delle opere abusive (veranda in alluminio preverniciato di m 4 x 2) realizzate al quinto piano (scala B, interno 43) dell’ immobile sito in Napoli, via Lepanto, n. 78;

- di ogni altro atto connesso, ivi compresi il verbale di sopralluogo e l’istruttoria tecnica.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2017 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente lucia Iorio, nella qualità di proprietaria dell’abitazione al quinto piano (scala B, interno 43) dell’immobile sito in Napoli, via Lepanto, n. 78, ha impugnato l’ordine di demolizione con eliminazione delle opere abusive (veranda in alluminio preverniciato di m 4 x 2).

La ricorrente, premesso che si tratta di mere opere minori, deduce violazione della normativa urbanistica ed edilizia e violazione delle norme sul giusto procedimento; censura infine il vizio di motivazione e l’erroneità delle acquisizioni istruttorie, trattandosi di ristrutturazione consentita dagli strumenti urbanistici. Il Comune si è costituito e conclude per l’infondatezza del ricorso.

Revocato il decreto di perenzione n. 4260 del 2014 con decreto presidenziale n. 6068 del 2016, all'udienza pubblica del 5 aprile 2017 il ricorso è trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Occorre premettere che a seguito di accertamenti effettuati da parte dei vigili urbani si è constatato che la ricorrente ha proceduto alla chiusura di un balcone con una verandatura in alluminio (per 4 x 2 metri).

3. Giova a questo punto evidenziare che l’intervento costituisce una vera e propria ristrutturazione, che necessitava del titolo abilitativo del permesso di costruire. In tal senso, sul piano qualificatorio, precipuo rilievo assume la creazione di un nuovo volume, incidente anche sotto il profilo della alterazione dei prospetti e della sagoma dell’edificio.

La realizzazione di una veranda rappresenta un intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio con incremento delle superfici e dei volumi, come tale, subordinato a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co., D.P.R. n. 380 del 2001, non essendosi, al riguardo, in giurisprudenza mai dubitato che: << Gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumentrica e architettonica dell'immobile nel quale vengono realizzati, quali le verande edificate sulla balconata di un appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire. Ciò in quanto, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico - giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata a non sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile >> (T.A.R. Napoli sez. IV, 15/01/2015, n. 259). In particolare la chiusura di una veranda, a prescindere dalla natura dei materiali all’uopo utilizzati, costituisce comunque un aumento volumetrico, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, atteso che, in materia urbanistico - edilizia, il presupposto per l'esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati (Cfr. T.A.R. Napoli sez. IV, 15/01/2015, n. 259).

4. Secondo la tesi attorea la verandatura sarebbe stata presente fin dagli anni cinquanta (ed allega all’uopo autocertificazioni sul punto) e quindi l’intervento sanzionato sarebbe costituito semplicemente dalla sostituzione della precedente finitura.

Questa impostazione non appare persuasiva per due ordini, concorrenti, di ragioni.

In primo luogo la pre-esistenza di un’opera, ove non sorretta da adeguato titolo edilizio abusiva, non vale a legittimare le successive opere di sostituzione o manutenzione, poché l’opus mantiene inalterato il carattere abusivo.

A nulla rileva, a tali fini, l’allegazione di autodichiarazioni attestanti il periodo di completamento dell’opera originaria.

Si è, invero, affermato in giurisprudenza che l'onere per il privato di dimostrare che l'opera è stata completata entro una data utile, comporta che anche la dichiarazione sostitutiva di atto notorio non è sufficiente a tal fine, essendo necessari ulteriori riscontri documentali, eventualmente anche indiziari, purché altamente probanti (Consiglio di Stato sez. VI 27 luglio 2015 n. 3666 ; Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 2008 , n. 2010;T.A.R. Napoli, Sez. VI, 14/09/2016, n. 4279).

In secondo luogo, quand’anche fosse provata la pre-esistenza della struttura, per le costruzioni da realizzare nel territorio del Comune di Napoli, infatti, l’obbligo per gli interessati di richiedere la licenza edilizia è stato introdotto dall’art. 1 del Regolamento Edilizio del Comune di Napoli del 1935, con la conseguenza che, ai fini della legittimità, sotto il profilo urbanistico-edilizio di un’opera, non è sufficiente dimostrarne la realizzazione in data antecedente al 1967, ma è necessario provare che la stessa sia stata eseguita in epoca anteriore al 1935 (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. IV, 13 maggio 2008, n. 4255; C.d.S., Sez. IV, 21 ottobre 2008, n. 5141, in motivazione).

5. Su tali premesse anche le altre censure prospettate non meritano positivo apprezzamento.

5.1. In particolare si censura l’omissione di qualsiasi valutazione e motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico attuale alla demolizione.

Ciò anche e soprattutto in relazione al significativo lasso di tempo trascorso dalla realizzazione del presunto abuso sino al suo accertamento (a seguito della presentazione e poi del rigetto dell’istanza di condono edilizio), e successivamente sino all’adozione dell’ordine di demolizione, anche in considerazione del legittimo affidamento che tale situazione avrebbe ingenerato nella società ricorrente.

Le censure sono infondate, in relazione al generale tema dell’influenza del passaggio del tempo sul contenuto dell’obbligo di motivazione delle sanzioni demolitorie.

5.1.1. In materia di misure demolitorie il principio generale è che non sia necessaria alcuna specifica motivazione sull’esistenza di un interesse pubblico in quanto è pacificamente riconosciuto che l'abusività di un'opera edilizia, costituisce già di per sé presupposto per l'applicazione della prescritta sanzione demolitoria.

Per costante giurisprudenza, infatti, la diffida a demolire manufatti abusivi è atto vincolato (ex multis Cons. Stato, VI, 28 giugno 2004, n. 4743; Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 2003, n. 4107; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 617; 15 luglio 2003, n. 8246) e come tale non necessita di una puntuale valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né di un bilanciamento di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né di una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (Cons. Stato Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 496; Cons. Stato Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6702).

Stante questo principio generale, è stata in giurisprudenza dibattuta la particolare ipotesi in cui sia trascorso un notevole lasso di tempo tra la commissione dell’abuso, il suo accertamento e l’adozione della misura sanzionatoria, in quanto alcune pronunce hanno ritenuto di poter fare una eccezione al suindicato principio generale richiedendo, a tutela dell’affidamento del privato, una specifica motivazione sulla sussistenza ragioni di interesse pubblico che giustifichino la misura demolitoria, tanto che il provvedimento che non specifichi tali ragioni risulta affetto dal vizio di difetto di motivazione.

5.1.2. Il Collegio ritiene di aderire alla prevalente tesi che non richiede alcuna specifica motivazione sull’interesse pubblico indipendentemente dal passaggio del tempo dall’abuso o dal suo accertamento e il provvedimento sanzionatorio.

La giurisprudenza si è, infatti, più volte espressa, anche in tempi recenti (Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4907), nel senso che il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 496; Cons. Stato Sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; Cons. Stato Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6702, Cons. Stato Sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1813; Cons. Stato Sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5758; Cons. Stato Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4403; Cons. Stato Sez. V, 27 aprile 2011, dalla n. 2497 alla n. 2527; Cons. Stato Sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 8 settembre 2011, n. 2183; T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 23 giugno 2011, n. 5582;; T.A.R. Campania Napoli Sez. III, 16 giugno 2011, n. 3211; T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 9 giugno 2011, n. 3029; Cons. Stato Sez. V, 9 febbraio 2010, n. 628) e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013, n. 3010; Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781).

In particolare, nel caso di abusi edilizi vi è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza.

In queste ipotesi il fattore tempo non agisce in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse (Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4907; Cons. Stato, IV, 4 maggio 2012, n. 2592).

Al riguardo, il Collegio rileva come di affidamento meritevole di tutela si possa parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente ed in senso compiuto reso nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato non già nel caso, come quello di specie, in cui si commetta un illecito a tutta insaputa della stessa (Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5509).

Inoltre, l’abuso edilizio rappresenta un illecito permanente integrato dalla violazione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare in conformità a diritto lo stato dei luoghi, di talché ogni provvedimento repressivo dell’Amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, bensì interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento (T.A.R. Brescia, Sez. I, 22 febbraio 2010, n. 860).

Si rileva infine che, da un lato, consentire la possibilità di non sanzionare gli abusi edilizi per effetto del mero decorso di un notevole lasso di tempo, non determinato con precisione, significherebbe introdurre nel sistema un pericoloso elemento di indeterminatezza, perché la repressione di un dato abuso nel caso concreto sarebbe rimessa all’apprezzamento del singolo funzionario, oltretutto pressoché impossibile da sindacare nella presente sede giurisdizionale, con intuibile possibilità di strumentalizzazioni (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 22 maggio 2013, n. 2679).

Dall’altro, a fronte dalla serie di condoni edilizi concessi negli ultimi decenni, ammettere la sostanziale estinzione di un abuso per il mero decorso del tempo significherebbe costruire una sorta di sanatoria di fatto che opererebbe anche quando l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi del corrispondente istituto previsto dalla citata normativa premiale, e quindi senza nemmeno la necessità di versare le oblazioni da essa previste.

Per altro verso, poi, si deve comunque escludere che si possa parlare di affidamento tutelabile nel momento in cui di detta normativa l’interessato non abbia ritenuto di avvalersi (T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 19 marzo 2013, n.1535; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 19 marzo 2013, n.1536).

Per quanto indicato la censura è già per un profilo generale da rigettare, senza contare che l’asserita vetustà dell’opera non è stata affatto dimostrata.

5.2. Infine, va respinto il motivo che si appella a pretese carenze procedimentali. Esse, in realtà, non sussistono, in quanto i procedimenti iniziati ad istanza di parte non abbisognano di comunicazione di avvio del procedimento, così che non è stato violato l’art. 7 L. 241\1990.

6. In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del resistente Comune di Napoli, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente

Michele Buonauro, Consigliere, Estensore

Maria Barbara Cavallo, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Michele Buonauro        Anna Pappalardo