TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 1597, del 18 giugno 2014
Urbanistica.Applicazione dell’articolo 9 del D.M. 1444/1968 alle finestre

E’ da ritenere condizione sufficiente per l’applicazione dell’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta, in quanto sono le pareti, non le finestre aperte in esse, a costituire dati di riferimento per il calcolo della distanza, di talché in relazione alla ratio della previsione (finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pubblico, sanitario a mantenere una determinata intercapedine degli edifici che si fronteggiano), il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01597/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00880/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 880 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Aldo Ruffini e Cara s.r.l., rappresentati e difesi dagli avv.ti Francesco Adavastro, Serena Filippi Filippi, Luca Torlaschi e Stefano Benvenuto, con domicilio eletto presso lo studio del primo difensore in Milano, via Cerva, 20;

contro

Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Rita Surano, Antonello Mandarano e Maria Giulia Schiavelli, con domicilio in Milano, via P. Andreani, 10;

nei confronti di

quanto ai motivi aggiunti depositati il 18 dicembre 2012: 
Magda Lumelli; Massimo Soldan; Girolama Tanzarella; Susanna Teresa Giannina Parente e Mario Rispoli;

per l'annullamento

> quanto al ricorso principale:

- del provvedimento del Comune di Milano PG 24955/2011, emesso in data 11 gennaio 2011 e successivamente notificato in data 13 gennaio 2011, con cui è stata ordinata la demolizione del fabbricato di Via Jorini n. 14;

- di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale o altrimenti connesso ed ancorché allo stato non conosciuto;

> quanto ai motivi aggiunti depositati in data 18 ottobre 2011:

- del provvedimento del Comune di Milano del 26 maggio 2011, PG 411340/2011 e PG 411331/2011 del 31 maggio 2011, notificato in data 16 giugno 2011;

- di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale o altrimenti connesso ed ancorché allo stato non conosciuto ivi compreso l'atto interno ed istruttorio protocollo n. 177.126/2011 del 21 marzo 2011;

> quanto ai motivi aggiunti depositati in data 18 dicembre 2012:

- del provvedimento del Comune di Milano dell’8 ottobre 2011, PG 633075/2012 e PG 633087/2012 del 9 ottobre 2012, notificato in data 19 ottobre 2012, di rigetto dell’istanza di sanatoria presentata relativamente al fabbricato di via Jorini, 14 e contestuale ordine di demolizione;

- di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale o altrimenti connesso ed ancorché allo stato non conosciuto ivi compresi:

provvedimento dirigenziale (Pratica n. 9993/2008) emesso il 5 aprile 2012, e successivamente notificato, di preavviso di diniego dell'istanza di sanatoria;

provvedimento dirigenziale PG 411340/2011 e PG 411331/2011 del 31 maggio 2011;

provvedimento dirigenziale PG 24955/2011 e PG 24952/2011, emesso in data 11 gennaio 2011 e successivamente notificato in data 13 gennaio 2011.



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2014 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. La ricorrente Cara s.r.l. ha realizzato, con direzione dei lavori affidata all’altro ricorrente, arch. Aldo Ruffini, interventi, qualificati come di ristrutturazione edilizia, su di un immobile sito in Milano, via Jorini n. 14.

Dopo il completamento delle opere, l’amministrazione comunale, con provvedimento del 13 aprile 2010, ha annullato in autotutela i titoli abilitativi rilasciati per l’esecuzione dell’intervento, in ragione della rilevata violazione delle disposizioni di cui all’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 in tema di distanze tra pareti finestrate.

Il provvedimento è stato impugnato innanzi a questo Tribunale che, con sentenza del 26 luglio 2010, n. 3262, ha respinto il ricorso. La pronuncia è stata gravata innanzi al Consiglio di Stato e il giudizio di appello risulta, allo stato, pendente.

2. Il Comune ha quindi adottato il provvedimento in data 11 gennaio 2011, impugnato nel presente giudizio, con il quale ha ordinato la demolizione del fabbricato di via Jorini n. 14.

3. Il ricorso, notificato l’11 marzo 2011 e depositato il 23 marzo 2011, è affidato ai seguenti motivi:

I) carenza dei presupposti, eccesso di potere sotto plurimi profili, violazione di legge, violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e buon andamento e dell’art. 97 Cost., carenza istruttoria e difetto di motivazione, ingiustizia manifesta.

Ciò in quanto:

- la sanzione demolitoria irrogata sarebbe sproporzionata, atteso che la violazione delle distanze è addebitabile a mero errore materiale, è limitata a una porzione circoscritta dell’immobile ed è priva di effetti pregiudizievoli, in quanto in realtà nell’effettuare la ristrutturazione la distanza tra i due edifici è stata incrementata, passando dai precedenti 6,5 metri agli attuali 8,55 metri;

- sarebbe stato violato l’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale prescrive, in caso di annullamento in autotutela del titolo, di valutare la praticabilità della rimessione in pristino e di comminare una sanzione pecuniaria ove la demolizione non sia possibile, come nel caso di specie, in quanto la rimozione della parete che viola i limiti di distanza inciderebbe sulla staticità dell’edificio; nel caso oggetto del giudizio, inoltre, l’Amministrazione avrebbe omesso di considerare che l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria non avrebbe determinato alcun reale vulnus a interessi pubblici o privati;

- il provvedimento di annullamento in autotutela dei titoli edificatori reca anche l’avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, che si riferisce agli illeciti commessi nelle ristrutturazioni edilizie: l’Amministrazione, dunque, si sarebbe vincolata a incanalare l’iterprocedimentale nell’alveo di questa norma, che prevede l’irrogazione di una sanzione pecuniaria laddove la rimessione in pristino non sia possibile;

- la determinazione sanzionatoria, comportante la demolizione dell’intero edificio, sarebbe carente dei presupposti, in quanto l’autotutela era stata disposta solo relativamente alla parete realizzata in violazione della prescritta distanza.

II) Illegittimità derivata dell’ordinanza di demolizione rispetto al provvedimento di annullamento in autotutela dei titoli edificatori, a sua volta censurato dai ricorrenti in quanto:

- l’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 si riferisce alle nuove costruzioni, mentre nel caso di specie l’intervento è stato qualificato incontestatamente come di ristrutturazione edilizia;

- la violazione delle distanze è addebitabile a un precedente ampliamento dell’edificio confinante, avvenuto in violazione del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, mentre nell’edificio oggetto di ricorso la ristrutturazione ha comportato un arretramento di 2,17 metri dalla linea di confine, che avrebbe consentito di rispettare la distanza legale dall’edificio prospiciente, se non vi fosse stato l’illegittimo ampliamento del fabbricato confinante, all’epoca peraltro non ancora risultante in catasto;

- l’autotutela non poteva essere sorretta unicamente dalla violazione della norma sulle distanze tra pareti finestrate, in assenza di ogni ponderazione di interessi, richiesta invece dall’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990;

- nell’adozione del provvedimento di autotutela l’Amministrazione avrebbe illegittimamente rigettato la soluzione progettuale sanante proposta in accordo con il proprietario confinante (collegamento tra i due edifici).

4. Si è costituito il Comune di Milano, insistendo per il rigetto del ricorso.

5. In esito alla camera di consiglio del 7 aprile 2011, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 618 dell’8 aprile 2011, con la quale ha respinto l’istanza di misure cautelari, per difetto del presupposto del periculum in mora, in considerazione dell’avvenuta presentazione al Comune, da parte della Società ricorrente, di un’istanza di sanatoria ai sensi degli articoli 33 e ss. del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente l’ineseguibilità dell’ordinanza di demolizione.

6. Il Comune ha quindi adottato il provvedimento del 26 maggio 2011, notificato il 16 giugno 2011, con il quale – premessa la qualificazione dell’istanza di Cara s.r.l. in data 9 marzo 2011 come proposta finalizzata alla rimozione dei vizi, e non già come domanda di sanatoria in senso proprio – ha esaminato le due soluzioni alternativamente proposte dalla Società, ritenendo praticabile unicamente la prima (c.d. “soluzione A”), consistente nella chiusura di tutte le finestre sul lato nord prospicienti l’edificio confinante (cieco), in modo da realizzare una parete completamente cieca e quindi conforme all’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, con traslazione delle stesse finestre su altro fronte. E’ stata invece respinta la “soluzione B”, avente ad oggetto l’irrogazione di una sanzione pecuniaria per la sola porzione della parete finestrata frontistante l’edificio del confinante. Conseguentemente, il Comune ha disposto l’inoltro, entro trenta giorni, di “istanza ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 380/2001 relativa alla soluzione A, sottoscritta da tutti i proprietari”, avvertendo che in mancanza la richiesta sarebbe stata respinta e si sarebbe proceduto alla demolizione.

7. I ricorrenti hanno riscontrato la richiesta del Comune con la nota P.G. 533.554/2011-0 del 15 luglio 2011, con la quale – per quanto qui rileva – si insisteva per l’accoglimento della “soluzione A”, pur non essendo in condizione di produrre l’atto di assenso espresso di tutti i proprietari, dovendo peraltro il consenso di questi ultimi ritenersi, in ogni caso, tacitamente acquisito a seguito di mancato riscontro dell’espressa richiesta loro rivolta. In subordine, i ricorrenti chiedevano l’accoglimento della “soluzione B”, ossia l’irrogazione della sanzione pecuniaria, eventualmente anche con riguardo all’intera parete interessata, e non solo quanto alla porzione frontistante l’edificio del confinante, come invece inizialmente richiesto.

8. Nelle more della conclusione del procedimento attivato con la propria istanza del 9 marzo 2011, i ricorrenti hanno, peraltro, gravato la nota comunale del 26 maggio 2011 con motivi aggiunti, notificati il 28 settembre 2011 e depositati il 18 ottobre 2011, deducendo:

I) travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, eccesso di potere sotto plurimi profili, violazione di legge, violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e buon andamento e dell’art. 97 Cost., carenza istruttoria e difetto di motivazione, ingiustizia manifesta.

Ciò in quanto:

- erroneamente il Comune avrebbe ritenuto applicabile all’istanza dei ricorrenti unicamente l’articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, posto che la c.d. “soluzione A” sarebbe idonea a realizzare la c.d. “doppia conformità” e, quindi, consentirebbe l’adozione di una positiva determinazione ai sensi dell’articolo 36 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001;

- in ogni caso, la nota comunale sarebbe illegittima per aver subordinato la regolarizzazione dell’edificio all’assenso di tutti i proprietari, non ritenendo sufficiente l’istanza presentata dai responsabili dell’abuso;

- illegittimamente sarebbe stata esclusa la praticabilità della “soluzione B”, ossia dell’irrogazione della sola sanzione pecuniaria, in quanto sussisterebbe, nella specie, il presupposto dell’impossibilità della riduzione in pristino e, inoltre, l’esclusione della praticabilità della sanzione pecuniaria non sarebbe giustificata sulla base della sola ritenuta natura di “norma inderogabile di carattere igienico sanitario” dell’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, peraltro in mancanza di qualsivoglia ponderazione dei contrapposti interessi;

- illegittimamente l’Amministrazione avrebbe omesso di istruire la subordinata richiesta di applicazione dell’articolo 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, ossia della disposizione riferita agli abusi commessi nelle ristrutturazioni edilizie, con applicazione della sola sanzione pecuniaria;

- illegittimamente il Comune avrebbe preavvertito che, in caso di decorso del termine, avrebbe dato corso alla demolizione, essendo in ogni caso onere dello stesso pronunciarsi espressamente sull’istanza di sanatoria.

Con il medesimo, articolato, motivo viene, altresì, rigettata qualunque interpretazione del provvedimento impugnato volta a mettere in discussione la regolarità dell’intero edificio, e non solo della parete in contestazione;

II) illegittimità derivata rispetto al presupposto atto di annullamento in autotutela dei titoli edificatori.

9. Il Comune di Milano ha successivamente emesso il provvedimento in data 8 ottobre 2011, PG 633075/2012 e PG 633087/2012 del 9 ottobre 2012, notificato il 19 ottobre 2012, con il quale è stata respinta l’istanza di Cara s.r.l. del 9 marzo 2011, in ragione della mancata sottoscrizione della proposta di regolarizzazione da parte di alcuni proprietari di unità immobiliari presenti nel fabbricato, ed è stato confermato l’ordine di demolizione dell’11 gennaio 2011.

10. La nuova determinazione comunale è stata gravata dai ricorrenti con ulteriori motivi aggiunti, notificati il 18 dicembre 2012 e depositati in pari data, con i quali si deduce:

I) travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, eccesso di potere sotto plurimi profili, violazione di legge, violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e buon andamento e dell’art. 97 Cost., carenza istruttoria e difetto di motivazione, ingiustizia manifesta.

Ciò in quanto illegittimamente il Comune avrebbe omesso di considerare l’ulteriore soluzione, espressamente assentita da tutti i proprietari interessati dai relativi lavori, consistente nel c.d. “oscuramento” delle finestre del primo e secondo piano dell’edificio, ossia della sola parte del fabbricato frontistante la parete cieca della costruzione del confinante; soluzione che non avrebbe richiesto il consenso di ulteriori condomini, in quanto le relative unità immobiliari non sarebbero state interessate dai lavori.

Con lo stesso motivo vengono inoltre riarticolate contro il provvedimento conclusivo del procedimento attivato con l’istanza del 9 marzo 2011 censure corrispondenti a quelle già proposte con i primi motivi aggiunti contro la nota comunale del 26 maggio 2011.

Infine, ulteriori ragioni di doglianza attengono alla reiterazione dell’ordine di demolizione con riferimento all’intero edificio.

II) Illegittimità derivata rispetto al provvedimento di autotutela.

11. La Sezione, in accoglimento dell’istanza cautelare formulata con i nuovi motivi aggiunti, ha disposto la sospensione degli effetti del provvedimento comunale del 9 ottobre 2012, dapprima – con ordinanza n. 28 in data 11 gennaio 2013 – solo interinalmente, nelle more del decorso del termine prescritto rispetto alla notifica in favore di tutti i controinteressati, e poi – con successiva ordinanza n. 128 del 28 gennaio 2013 – fino alla pronuncia di merito.

12. Le parti hanno successivamente depositato memorie e documenti.

13. All’udienza pubblica dell’8 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Rileva preliminarmente il Collegio che l’ordine di demolizione in data 11 gennaio 2011 e il successivo provvedimento dell’8 ottobre 2012 di rigetto dell’istanza di Cara s.r.l. e di reiterazione del medesimo ordine sono stati altresì impugnati da alcuni proprietari e promissari acquirenti di unità immobiliari del fabbricato di via Jorini n. 14. Il relativo giudizio è stato definito con la sentenza della Sezione del 10 ottobre 2013, n. 2273, con la quale sono stati respinti il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.

La pronuncia, tuttavia, non presenta alcun rilievo ai fini del presente giudizio, in quanto le censure respinte da questo Tribunale attenevano esclusivamente a profili procedimentali specificamente relativi ai ricorrenti in quel giudizio, che lamentavano la mancata comunicazione nei loro confronti delle determinazioni adottate dal Comune con riferimento allo stabile di via Jorini n. 14.

2. Venendo all’esame delle questioni oggetto di causa, ritiene il Collegio di dover accogliere l’eccezione formulata dal Comune nella memoria del 10 giugno 2013 (pag. 4), laddove ha evidenziato il venir meno di ogni interesse dei ricorrenti alla decisione del ricorso introduttivo, in quanto avente ad oggetto la prima ordinanza di demolizione, ormai sostituita dal provvedimento confermativo dell’8 ottobre 2012, adottato a seguito di una nuova istruttoria, che ha condotto al rigetto dell’istanza presentata dai ricorrenti il 9 marzo 2011 e delle loro ulteriori allegazioni.

2.1 Deve, conseguentemente, dichiararsi l’improcedibilità del ricorso introduttivo, ai sensi dell’articolo 35, comma 1, lett. c) cod. proc. amm.

3. Non è invece improcedibile – contrariamente a quanto affermato dal Comune – il primo ricorso per motivi aggiunti, diretto contro il provvedimento comunale del 26 maggio 2011, recante sostanzialmente una parziale pronuncia in merito all’istanza presentata dai ricorrenti il 9 marzo 2011 e, in particolare, il rigetto di una delle soluzioni da essi proposte (ossia la c.d. “soluzione B”). Le relative determinazioni non risultano, infatti, essere state successivamente riesaminate dall’Amministrazione con una nuova istruttoria. Rispetto ad esse, quindi, il provvedimento dell’8 ottobre 2012 si pone come atto meramente confermativo (pur essendo, invece, dotato di efficacia lesiva propria nella parte in cui respinge anche l’altra soluzione proposta dai ricorrenti). Di talché deve riconoscersi, a tal riguardo, la perdurante efficacia lesiva della nota comunale del 26 maggio 2011.

4. Passando, quindi, all’esame nel merito delle censure dedotte, va respinto il secondo motivo contenuto sia nei primi che nei secondi motivi aggiunti, ossia l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in dipendenza dei vizi da cui sarebbe affetto il presupposto annullamento in autotutela dei titoli edificatori.

Il Collegio deve invero confermare, in proposito, le conclusioni già raggiunte con la sentenza di questa Sezione n. 3262 del 2010, resa tra le stesse parti e non sospesa, con la quale le censure già dedotte dagli odierni ricorrenti contro il predetto provvedimento di autotutela sono state respinte.

Si fa, pertanto, rinvio a quanto ivi statuito con riferimento ai vizi dell’atto presupposto al fine di rigettare le medesime censure, dedotte nel presente giudizio quali vizi di illegittimità derivata delle determinazioni comunali conseguenti.

5. Il primo motivo del primo e del secondo ricorso per motivi aggiunti, recanti doglianze in buona parte analoghe, possono essere trattati congiuntamente.

Al riguardo, giova anzitutto delimitare i contorni della fattispecie di cui è causa e chiarire i parametri normativi ad essa applicabili, stante la contrapposta invocazione, ad opera delle parti, di differenti disposizioni legislative ritenute rilevanti.

5.1 In tale prospettiva, la previsione normativa da prendere in considerazione è da rinvenire nell’articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto disposizione che specificamente contempla la situazione residuante a seguito dell’annullamento in autotutela del titolo edificatorio.

L’articolo in questione stabilisce, in particolare, al comma 1 che “ (...) qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale.”. Tale previsione comporta, quindi, la necessità di valutare anzitutto la possibilità di rimozione dei vizi delle procedure o la restituzione in pristino e, in subordine, ove ciò non sia possibile, sulla base di adeguata motivazione, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

6. Con riferimento al caso oggetto del presente giudizio, il Comune ha ritenuto – secondo quanto si evince dalla motivazione della nota del 26 maggio 2011, gravata con i primi motivi aggiunti – che non potesse farsi luogo all’irrogazione della sanzione pecuniaria, in quanto:

- la riduzione in pristino non sarebbe impossibile, poiché “come da soluzione A sembra percorribile”;

- “la norma violata (art. 9 del D.M. 1444/1968) è norma inderogabile di carattere igienico sanitario”.

In sostanza, le determinazioni comunali sul punto appaiono sorrette da una duplice valutazione: da un lato, la possibilità di operare la rimozione dei vizi appare comprovata dalla stessa presentazione, da parte dei ricorrenti, di apposite soluzioni progettuali, mentre, d’altro canto, l’irrogazione della sanzione pecuniaria viene ritenuta non praticabile in considerazione della natura stessa della norma violata, che è posta a presidio di rilevanti interessi pubblici e, in particolare, di esigenze di carattere igienico-sanitario.

Ritiene il Collegio che tale valutazione non appaia né irragionevole né arbitraria e debba, conseguentemente, ritenersi immune dalle censure dedotte dai ricorrenti.

Deve, pertanto, concludersi nel senso che legittimamente il Comune abbia escluso l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria. Vanno, conseguentemente, respinte le doglianze dei ricorrenti articolate al riguardo avverso la nota comunale del 26 maggio 2011, recante l’esclusione dell’accoglimento della c.d. “soluzione B”, confermata dal successivo provvedimento dell’8 ottobre 2012.

7. A diverse conclusioni deve, invece, pervenirsi quanto alla determinazione assunta dal Comune con riferimento alla proposta di regolarizzazione dell’intervento, allorché – stante la mancata acquisizione dell’assenso di tutti i proprietari dell’immobile alla chiusura di tutte le finestre presenti sulla parete interessata e alla loro traslazione su altro fronte – l’Ente ha rigettato l’istanza dei ricorrenti e reiterato l’ordine di demolizione dell’intero fabbricato.

7.1 Devono condividersi, al riguardo, le doglianze espresse dai ricorrenti, poiché l’operato comunale non appare sorretto, sul punto, dalla disposizione del richiamato articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, che regola – come detto – la fattispecie di cui è causa.

In particolare, non risulta correttamente inteso il riferimento contenuto nella disposizione in esame alla “rimozione dei vizi delle procedure” o della “rimessione in pristino”.

Nel caso di specie, infatti, l’illegittimità accertata attiene unicamente al mancato rispetto delle distanze tra pareti finestrate prescritto dall’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968. Disposizione, quest’ultima, che non vieta in termini assoluti l’edificazione a una distanza inferiore a dieci metri rispetto al fabbricato del confinante, ma preclude solo l’apertura di finestre sulla parete eventualmente costruita a una distanza inferiore.

Ciò comporta che – pur rivestendo la disposizione carattere di rilevante interesse pubblico, in quanto posta a presidio di esigenze di ordine igienico-sanitario – essa presenta una portata nettamente differente rispetto alle altre previsioni normative che, sulla base di esigenze parimenti di rilevante interesse pubblico, prescrivono l’osservanza di specifiche distanze riferite ai fabbricati nella loro interezza, come avviene ad esempio – per limitarsi a un solo caso – con riguardo al divieto di edificazione in prossimità degli argini dei fiumi di cui all’articolo 96, lettera f) del R.D. n. 523 del 1904.

E invero, in tale seconda ipotesi è evidente che, a seguito della violazione della norma, la piena soddisfazione dell’interesse ad essa sotteso può essere effettivamente conseguita solo mediante la demolizione dell’intera costruzione posta a distanza inferiore a quella prescritta.

Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, il vizio dei titoli edilizi, rimossi mediante l’adozione del provvedimento di autotutela, non atteneva all’illegittimità dell’assentita collocazione spaziale del fabbricato, ma risiedeva solo nella previsione dell’apertura di finestre su una parete posta a distanza inferiore a dieci metri rispetto al fabbricato del confinante.

7.2 Di conseguenza, nel procedimento aperto ai sensi dell’articolo 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente all’annullamento in autotutela dei titoli edificatori, ben avrebbe potuto il Comune limitarsi ad ordinare la rimozione del vizio riscontrato, prescrivendo la chiusura delle finestre aperte in violazione del limite legale, apparendo, invece, non sorretta dalla stessa previsione normativa invocata, oltre che sproporzionata e irragionevole, l’adozione di un ordine di demolizione dell’intero edificio interessato.

8. Neppure può condividersi la scelta del Comune di subordinare l’adozione di una sanzione limitata alla rimozione dei vizi relativi alla parete interessata allo spostamento delle finestre su altra parete, previamente assentito da tutti i condomini.

8.1 Ciò in quanto il provvedimento Comunale, nel rispetto della richiamata previsione normativa, avrebbe dovuto limitarsi ad assumere determinazioni in merito alla parte in questione, ordinandone la regolarizzazione.

Appare, invece, questione del tutto distinta e non di pertinenza dell’Ente la sorte delle unità immobiliari interessate, rimanendo rimessa ai rispettivi proprietari l’eventuale successiva presentazione di autonome istanze, corredate dai dovuti assensi, finalizzate a conseguire il rilascio dei titoli autorizzatori necessari per l’eventuale apertura di luci o vedute su altra parete.

8.2 Né a ciò potrebbe obiettarsi che la sola chiusura delle finestre, senza contestuale riapertura su altro fronte, potrebbe astrattamente incidere sull’abitabilità di singole unità immobiliari.

Anzitutto, una tale affermazione proverebbe troppo, in quanto l’eventuale inabitabilità di alcuni appartamenti costituisce certamente una conseguenza di gran lunga meno pregiudizievole rispetto alla demolizione dell’intero immobile, che non appare, nella specie, giustificata.

In secondo luogo, l’effettivo perdurare delle condizioni di abitabilità delle singole unità immobiliari dovrebbe, semmai, costituire oggetto di una successiva e autonoma valutazione da parte del Comune. E ciò ferma restando la possibilità per gli interessati di attivare, come detto, tutte le iniziative eventualmente necessarie per evitare – beninteso, ove se ne presentasse il caso – la compromissione dei dovuti rapporti di aeroilluminazione degli ambienti.

9. Appaiono invece non censurabili le determinazioni del Comune – contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti – quanto alla ritenuta necessità di chiusura di tutte le finestre presenti sulla parete interessata, e non esclusivamente di quelle collocate nella sola porzione frontistante l’edificio del confinante.

E invero, la giurisprudenza è saldamente orientata nel ritenere che la disposizione dell’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 trovi applicazione con riferimento alle pareti nella loro interezza, a prescindere dalla collocazione delle finestre.

In particolare, la Corte di Cassazione, con la sentenza della Sezione II civile 20 giugno 2011, n. 13547, ha autorevolmente chiarito che è da ritenere condizione sufficiente per l’applicazione dell’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, “che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta (Sez. 2^, 28 settembre 2007, n. 20574)”, in quanto “sono le pareti, non le finestre aperte in esse, a costituire dati di riferimento per il calcolo della distanza (Sez. 2^, 28 agosto 1991, n. 9207)”, di talché “in relazione alla ratio della previsione (finalizzata alla salvaguardia dell'interesse pubblico - sanitario a mantenere una determinata intercapedine degli edifici che si fronteggiano), il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre”.

9. In definitiva, meritano accoglimento, nei sensi e nei termini sopra esposti, il primo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti e il primo motivo del secondo ricorso per motivi aggiunti.

Deve, pertanto, pronunciarsi l’annullamento del provvedimento del Comune di Milano del 9 ottobre 2012 (PG 633075/2012 e PG 633087/2012), nella parte in cui ordina la demolizione dell’intero fabbricato, in luogo di disporre la sola rimozione dei vizi in esso presenti, nonché dello stesso provvedimento, unitamente alla nota comunale del 26 maggio 2011 (PG 411340/2011 e PG 411331/2011), nella parte in cui subordinano la possibilità di ordinare la sola chiusura delle finestre illegittimamente aperte all’assenso di tutti i proprietari per la traslazione delle medesime aperture su altra parete.

10. La complessità delle questioni affrontate e l’accoglimento parziale delle censure dedotte dai ricorrenti giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

- dichiara improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio;

- accoglie, nei sensi e nei termini di cui in motivazione, il primo e il secondo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti del Comune di Milano del 26 maggio 2011 (PG 411340/2011 e PG 411331/2011 del 31 maggio 2011) e dell’8 ottobre 2012 (PG 633075/2012 e PG 633087/2012 del 9 ottobre 2012), nella parte specificata in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Giovanni Zucchini, Presidente FF

Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario

Floriana Venera Di Mauro, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/06/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)