TAR Campania (NA) Sez.II n.2083 del 7 maggio 2012
Urbanistica.Prova dell’epoca di realizzazione di un manufatto

L'onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull'interessato, e non sull'amministrazione, la quale, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione. Trova integrale applicazione anche nel processo amministrativo la disciplina contenuta nell'art. 2697 c.c. (corrispondente, ora, all'art. 64, comma 1, d.lgs. n. 104/2010) secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti. Ciò implica che chi agisce in giudizio debba comunque fornire gli elementi probatori a favore delle proprie tesi.Conseguentemente nel giudizio di impugnazione dell’ordinanza repressiva di un abuso edilizio è onere del privato fornire la prova dello "status quo ante", in quanto la p.a. non può di solito materialmente accertare quale fosse la situazione dell'intero suo territorio. Pertanto chi realizza interventi, ritenuti abusivi, su immobili esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se intende evitare le misure repressive di legge, lo stato della preesistenza, proprio in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c.

N. 02083/2012 REG.PROV.COLL.

N. 06880/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6880 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da Maria Grazia De Rosa, rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Vergara, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Napoli, piazza Sannazaro n. 71;

contro

il Comune di Giugliano in Campania, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

a) dell’ordinanza n. 144/09, prot. n. 1107/N, del 30 settembre 2009, con la quale è stata ingiunta la demolizione di opere asseritamente abusive realizzate nel Comune di Giugliano in Campania, in via Ripuaria n. 18;

b) di ogni ulteriore atto preordinato, connesso ovvero consequenziale, tra cui il verbale di sopralluogo degli agenti della Polizia di Stato del 12 dicembre 2005 e dei tecnici comunali del 24 febbraio 2006 e le risultanze dell’istruttoria tecnica.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2012 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

A. Con atto di compravendita del 17 aprile 2000 Maria Grazia De Rosa ha acquistato la proprietà di un terreno sito nel Comune di Giugliano in Campania, in via Ripuaria n. 18, con annesso fabbricato rurale semidiruto composto da stalla, fienile e tre vani a piano terreno e da due stanze al primo piano.

B. In data 20 marzo 2002 la De Rosa ha presentato una denuncia di inizio attività avente ad oggetto internventi volti al recupero del suddetto fabbricato, consistenti nella demolizione dei solai in legno e rifacimento degli stessi in cemento, consolidamento di pareti verticali esterne di sostituzione di alcuni setti murari, formazione di vespaio, masso per la configurazione delle pendenze di copertura, tramezzature interne per nuova distribuzione funzionale, rifacimento dei servizi igienici, impianto elettrico e di riscaldamento, rifacimento di pavimentazione, sistemazione dei locali di pertinenza, impianti di scarico, rifacimento di intonaci e pitturazione interna ed esterna.

C. Nel corso dei lavori sono state eseguite opere in difformità dalla D.I.A. presentata.

D. Con provvedimento del 30 settembre 2009 l’amministrazione comunale, sul presupposto dell’edificazione dell’intero manufatto in assenza del necessario titolo edilizio, ne ha ingiunto la demolizione.

E. Successivamente, la De Rosa ha presentato un’istanza di accertamento di conformità urbanistica ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 in relazione alle opere eseguite in difformità dalla D.I.A., dettagliatamente descritte nella relazione tecnica allegata all’istanza (all. 2 delle produzioni documentali di parte ricorrente depositate, unitamente ai motivi aggiunti, in data 22 luglio 2010). In tale relazione, in particolare, viene evidenziato che l’intervento è consistito “nella realizzazione di più livelli e precisamente: piano cantinato da destinare a cantina; piano terra/rialzato da destinare in parte a porticato quale ricovero animali e attrezzi e in parte a uffici amministrativi (per l’attività agricola); piano primo da destinare ad uso dei lavoratori dell’azienda agricola (abitazione per i coloni); piano secondo da destinare ad abitazione del titolare dell’azienda agricola; piano sottotetto quale volume tecnico”.

F. La suddetta ordinanza di demolizione è stata impugnata dalla De Rosa con il ricorso introduttivo del presente giudizio, con il quale ne è stata dedotta l’illegittimità per:

- violazione degli artt. 3, 6, 10, 31, 32, 33, 34, 36 e 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 2 della l.r. n. 19 del 2001, delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per inesistenza dei presupposti, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed illogicità, avendo l’amministrazione sanzionato un manufatto eseguito prima del 1967 dai danti causa della ricorrente – in epoca, dunque, nella quale non era necessario alcun titolo edilizio – in relazione al quale le opere successivamente eseguite, rese necessarie per il recupero del manufatto che versava in precarie condizioni ed oggetto anche di denuncia di inizio attività, non hanno determinato alcun aumento di volumetria. Parte ricorrente evidenzia, inoltre, che anche le modifiche poste in essere rispetto alla D.I.A. sono tali da escludere una loro qualificazione in termini di difformità essenziali, con la conseguenza che l’amministrazione avrebbe potuto irrogare la sola sanzione pecuniaria;

- violazione degli artt. 27 ss. del D.P.R. n. 380 del 2001, del principio del giusto procedimento ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, non avendo l’amministrazione comunale adeguatamente valutato la sussistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione demolitoria che, in ogni caso, non avrebbe potuto riguardare l’intero immobile;

- violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria, in quanto, nella fattispecie, il fabbricato è stato edificato in epoca risalente con conseguente necessità di un’esaustiva e puntuale motivazione esplicativa dello specifico interesse pubblico alla demolizione del manufatto;

- violazione degli artt. 33 e 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, delle N.T.A. del P.R.G. ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, violazione del giusto procedimento e disparità di trattamento, non avendo l’amministrazione valutato la sanabilità delle opere;

- violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per carenza di istruttoria, non essendo stata adeguatamente individuata l’area che sarà acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ordinanza di demolizione;

- violazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria ed illogicità, in quanto, contrariamente a quanto attestato nel provvedimento gravato, il Comune ha omesso la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio.

G. Successivamente, in data 12 maggio 2010, l’amministrazione comunale ha adottato anche il provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria presentata dalla ricorrente il 30 dicembre 2009, ritenendo l’intervento non compatibile in quanto “in contrasto con le norme tecniche di attuazione del P.R.G. per la suddetta zona” giacché “i parametri di progetto eccedono i limiti ammissibili per volumetria, numero di piani” e, inoltre, in quanto “dagli elaborati presentati, in modo insufficiente, si presume che non vengano rispettate le distanze dai confini”.

H. Il suddetto provvedimento è stato impugnato con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 dicembre 2010.

I. Con unico articolato motivo di ricorso la difesa della ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 3, 10, 20, 36 e 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, degli artt. 1 e 2 della l.r. n. 19 del 2001, delle N.T.A. del P.R.G., dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per inesistenza dei presupposti, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e perplessità, non avendo l’amministrazione comunale adeguatamente esplicitato le ragioni alla base della determinazione assunta, in specie in relazione all’asserito contrato con i limiti volumetrici ed i limiti nel numero dei piani prescritti dalla normativa comunale. Parte ricorrente evidenzia, tra l’altro, che le N.T.A. del P.R.G. consentono l’ampliamento fino al 20% del preesistente per necessità dell’azienda agricola, riportando anche i dati asseritamente idonei ad evidenziare la conformità dell’intervento alla normativa urbanistica ed edilizia vigente. Viene, infine, evidenziata la lacunosità della motivazione posta a fondamento della determinazione assunta nella parte in cui è stata solo supposta la violazione delle distanze dai confini.

L. In data 12 agosto 2010 la De Rosa ha, inoltre, presentato una nuova istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, precisando che il fabbricato insiste da sempre sulla medesima area di sedime e che il progetto comprende un sottotetto, oggetto di ridimensionamento nell’altezza.

M. Con provvedimento del 25 ottobre 2010 l’amministrazione comunale ha rigettato anche la suddetta istanza. Nel richiamare la relazione del tecnico istruttore, viene evidenziato che “l’intervento ricade in zona E/1 Agricola normale del vigente P.R.G. e lo stesso non è suscettibile di accoglimento in quanto i parametri di progetto eccedono i limiti stabiliti per la suddetta zona dalle N.T.A. e regolamento edilizio vigenti per: volumetria, numero di piani e altezza”. Viene, inoltre, rilevato che dagli “elaborati presentati, in modo insufficiente, si presume che non vengano rispettate le distanze dai confini; inoltre la destinazione d’uso dei locali a piano terra e primo non è compatibilecon le destinazione ammesse”.

N. Il suddetto provvedimento è stato impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 25 gennaio 2011, con il quale ne è stata dedotta l’illegittimità sulla base delle medesime argomentazioni già sviluppate nel primo ricorso per motivi aggiunti.

O. Il Comune di Giugliano in Campania non si è costituito in giudizio per resistere al gravame.

P. All’udienza del 26 aprile 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione

DIRITTO

1. Il ricorso introduttivo non merita accoglimento.

2. Fondamentale rilevo assume, ai fini della definizione del presente giudizio, l’accertamento della legittimità dell’edificazione del fabbricato de quo, sanzionato dall’amministrazione comunale in quanto realizzato in assenza del necessario permesso di costruire.

2.1. Parte ricorrente asserisce che l’immobile è stato edificato prima del 1967 e, dunque, in epoca nella quale l’attività edilizia nell’area interessata dall’intervento era libera, non essendo, quindi, necessario alcun titolo edilizio.

2.2. La difesa della ricorrente non ha, però, fornito alcun elemento idoneo a comprovare tale circostanza.

2.3. Occorre chiarire, infatti, che, come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza, l'onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull'interessato, e non sull'amministrazione, la quale, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione (Cons. St., sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703; T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 02 luglio 2010, n. 16569).

2.4. Si sottolinea, sul punto, che trova integrale applicazione anche nel processo amministrativo la disciplina contenuta nell'art. 2697 c.c. (corrispondente, ora, all'art. 64, comma 1, d.lgs. n. 104/2010) secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti (cfr. Cons. St., sez. IV, 11.02.2011, n. 924; Cons. St., sez. IV, 27.01.2011, n. 618). Ciò implica che chi agisce in giudizio debba comunque fornire gli elementi probatori a favore delle proprie tesi. Conseguentemente nel giudizio di impugnazione dell’ordinanza repressiva di un abuso edilizio è onere del privato fornire la prova dello "status quo ante", in quanto la p.a. non può di solito materialmente accertare quale fosse la situazione dell'intero suo territorio. Pertanto chi realizza interventi, ritenuti abusivi, su immobili esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se intende evitare le misure repressive di legge, lo stato della preesistenza, proprio in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697 c.c. (in termini, Cons. St., sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 703).

2.5. Nella fattispecie la difesa della ricorrente si è limitata a produrre l’atto notarile di compravendita del terreno e del manufatto, stipulato in data 17 aprile 2000, dal quale emerge che la dante causa della ricorrente aveva, a sua volta, acquisito l’immobile con atto del 29 luglio 1999. Nell’atto di acquisto prodotto dalla ricorrente, però, non viene menzionato alcun titolo edilizio idoneo a legittimare l’edificazione, rinvenendosi esclusivamente una dichiarazione resa dalla venditrice, previa ammonizione da parte del Notaio delle responsabilità penali ad essa connesse, attestante l’avvio dell’edificazione in epoca precedente al 1° settembre 1967”.

2.6. Tale atto non è idoneo a dimostrare, in mancanza di ulteriori, significativi e concomitanti elementi, che l’edificazione sia realmente avvenuta prima della suddetta data, dovendosi anche rilevare che la circostanza che l’immobile sia iscritto al catasto non assume alcuna specifica valenza a tale scopo non essendo stata neanche indicata la data di accatastamento.

2.7. La circostanza che la ricorrente abbia ritenuto la dichiarazione rilasciata dall’alienante una garanzia sufficiente della legittimità dell’edificazione, se certamente assume rilievo nei rapporti tra le parti contrattuali, non può giustificare, di per sé considerata, la mancata produzione di sufficienti elementi di prova in merito alla preesistenza del manufatto, idonei a smentire i presupposti di fatto dell'ordinanza.

2.8. Alla stregua di tali considerazioni risulta privo di pregio il primo motivo di ricorso incentrato, appunto, sull’asserita ma non provata preesistenza del manufatto alla data del 1° settembre 1967.

2.9. Non è essendo stato provato il fondamentale elemento postulato dalla ricorrente vengono conseguentemente meno anche le ulteriori deduzioni articolate nella medesima censura e, in specie, la qualificazione dell’intervento successivo in termini di mera manutenzione straordinaria, la quale presuppone che le opere siano eseguite su un immobile legittimamente edificato.

3. Su tali basi va rigettato anche il secondo motivo di ricorso, incentrato sull’illegittimità dell’irrogazione della sanzione demolitoria in relazione all’intero immobile.

4. Con il terzo motivo di ricorso è stata dedotta la carenza di motivazione del provvedimento gravato in quanto, in considerazione del lungo tempo decorso dall’edificazione del fabbricato, l’amministrazione avrebbe dovuto dettagliatamente indicare la sussistenza dello specifico interesse pubblico alla demolizione del manufatto;

4.1. La censura è priva di pregio.

4.2. Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale che pur escludendo, in linea generale, che il tempo costituisca fattore “ex se” sufficiente a legittimare la conservazione di una situazione di fatto abusiva (in termini, T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 09 febbraio 2011, n. 240), attribuisce rilievo al tempo decorso tra la realizzazione delle opere e la contestazione della loro abusività in quelle fattispecie nelle quali emergano circostanze specifiche ed ulteriori idonee ad evidenziare la sussistenza di una posizione di legittimo affidamento del privato.

4.3. Tali circostanze non possono ritenersi sussistenti nella fattispecie, in quanto non solo la ricorrente non ha provato l’epoca di effettiva realizzazione dell’abuso – l’atto di compravendita del manufatto è stato, infatti, stipulato nel 2000 e, attraverso esso, è possibile risalire solo all’atto di trasferimento immediatamente precedente del 4 agosto del 1999, emergendo, dunque, un arco temporale scarsamente significativo anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale di cui la ricorrente invoca l’applicazione – ma certamente è da escludere, in mancanza di ulteriori circostanze, un affidamento legittimo della De Rosa, dovendo tale condizione conseguire, ai fini dell’aggravamento dell’obbligo di adeguatamente motivare il provvedimento demolitorio, a situazioni comunque correlate all’azione dell’amministrazione, risultando, dunque, del tutto estranee le vicende che hanno caratterizzato l’acquisizione del diritto di proprietà dell’immobile, integralmente ascrivibili a rapporti tra privati, e, segnatamente, la circostanza che la De Rosa abbia ritenuto di acquistare un immobile legittimamente edificato nel 1967 sulla base della sola dichiarazione rilasciata dalla venditrice.

5. Anche il quarto motivo di ricorso va disatteso in quanto infondato.

5.1. Secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 28 dicembre 2009, n. 9638; Sez. VI, 9 novembre 2009, n. 7077; Sez. VII, 4 dicembre 2008, n. 20987), infatti, l'adozione dell'ordine di demolizione di opere abusive presuppone soltanto la constatata esecuzione di un intervento edilizio in assenza del prescritto titolo abilitativo, con la conseguenza che, essendo tale ordine un atto dovuto, esso è sufficientemente motivato con l'accertamento dell'abuso, e non necessita di una particolare motivazione in ordine all'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso stesso - che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell'assetto urbanistico violato - ed alla possibilità di adottare provvedimenti alternativi.

6. Con il quinto motivo di ricorso la difesa della ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, nonché censurato il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria, non essendo stata adeguatamente individuata l’area oggetto della successiva ed eventuale acquisizione al patrimonio comunale.

6.1. La censura non merita accoglimento.

6.2. Da un lato, l'intervento edilizio realizzato è puntualmente descritto nel provvedimento gravato, dall'altro la legittimità dell'ordinanza comunale non è inficiata dalla mancata specificazione delle aree eventualmente da acquisire al patrimonio comunale. Per consolidata giurisprudenza tale omissione non costituisce motivo di illegittimità dell'ordinanza di demolizione, in quanto a tale incombente l'amministrazione potrà procedere anche in sede di emanazione del successivo ed eventuale atto di acquisizione

7. Destituito di fondamento risulta il sesto motivo incentrato sulla violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990 in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell'avvio del procedimento (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 12 aprile 2005, n. 3780; 13 gennaio 2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime. Seppure si aderisse all'orientamento che ritiene necessaria tale comunicazione anche per gli ordini di demolizione, troverebbe comunque applicazione nel caso in esame l'art. 21 octies, comma 2 della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15/2005), nella parte in cui dispone che "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento..qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Infatti, posto che l'ordine di demolizione è atto dovuto in presenza di opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo, nel caso in esame risulta palese che il contenuto dispositivo delle impugnate ordinanze di demolizione non avrebbe potuto essere diverso se anche fosse stata data al ricorrente l'opportunità di interloquire con l'amministrazione.

8. Il Collegio può a questo punto procedere all’esame del primo e del secondo ricorso per motivi aggiunti, con i quali la difesa della ricorrente ha impugnato i provvedimenti di rigetto delle domande di sanatoria presentate ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, rispettivamente il 30 dicembre 2009 ed il 12 agosto 2010.

8.1. Essendo stato dedotto avverso i suddetti provvedimenti il medesimo articolato motivo di ricorso ed in considerazione dell’unitarietà dei presupposti dai quali muovono le argomentazioni della ricorrente, si ritiene di poter procedere ad una trattazione unitaria della censura.

8.2. Il Collegio rileva, in primo luogo, che da quanto sopra esposto emerge che, non essendo stata fornita la prova della preesistenza del manufatto, tutti gli interventi successivi risultano eseguiti su un immobile abusivo mai sanato.

8.3. Entrambi i provvedimenti di rigetto gravati sono sostenuti da un adeguato substrato motivazionale.

8.4. Si evidenzia, infatti, che l’amministrazione comunale ha posto a giustificativo delle determinazioni assunte il contrasto dell’intervento con le disposizioni delle N.T.A. del P.R.G. che prescrivono specifici parametri, volumetrici, di altezza e quanto a numero di piani dei fabbricati.

8.5. Entrambi i provvedimenti, inoltre, recano una motivazione che, sia pure di sintesi delle relazioni del tecnico istruttore (rispettivamente del 9 febbraio 2010 e del 6 settembre 2010), consente di ricostruire le ragioni che hanno determinato tale esito.

8.6. Tale motivazione è evidentemente riferita all’intero immobile ( tra le premesse dei due provvedimenti figura, infatti, il riferimento all’istanza “intesa ad ottenere il permesso di costruire (…) per l’immobile sito in via Repuaria n.18”) già sanzionato con l’ordinanza di demolizione gravata con il ricorso introduttivo del presente giudizio lì dove, per contro, le deduzioni della difesa della ricorrente considerano esclusivamente una parte delle opere e, cioè, quelle eseguite successivamente al 20 marzo 2002.

8.7. Si osserva, peraltro, che le opere ulteriori eseguite appaiono tutt’altro che esigue; come emerge dalla relazione tecnica allegata all’istanza (all. 2 delle produzioni documentali di parte ricorrente depositate, unitamente ai motivi aggiunti, in data 22 luglio 2010) l’intervento è consistito “nella realizzazione di più livelli e precisamente: piano cantinato da destinare a cantina; piano terra/rialzato da destinare in parte a porticato quale ricovero animali e attrezzi e in parte a uffici amministrativi (per l’attività agricola); piano primo da destinare ad uso dei lavoratori dell’azienda agricola (abitazione per i coloni); piano secondo da destinare ad abitazione del titolare dell’azienda agricola; piano sottotetto quale volume tecnico”, mentre dall’atto di compravendita risulta che il fabbricato era originariamente composto da un piano terreno ed un primo piano, con porcile e cantina annesse.

8.8. Le valutazioni svolte dalla difesa della ricorrente ed i calcoli prodotti muovono tutti dal presupposto della legittima edificazione del fabbricato “originario” che, si ribadisce, non è stata provata sicché tali calcoli si palesano inidonei a contestare i giustificativi alla base dei provvedimenti gravati.

8.9. La difesa della ricorrente non ha, peraltro, contestato che la valutazione svolta dall’amministrazione sia stata riferita all’intero immobile e non alle sole modifiche ulteriori.

8.10. Priva di pregio si palesa, inoltre, la dedotta perplessità della motivazione nella parte in cui viene solo supposta la violazione delle distanze dai confini; tale giustificativo, infatti, in entrambi i provvedimenti è stato indicato quale elemento ulteriore, essendo le altre motivazioni di per sé sufficienti a sostenere la determinazione assunta.

In conclusione, per le ragioni sopra esposte sia il ricorso introduttivo sia il primo ed il secondo ricorso per motivi aggiunti vanno rigettati in quanto infondati.

9. Non si dispone in ordine alle spese di lite in ragione del comportamento processuale dell’intimata Amministrazione, non costituita in giudizio.

P.Q.M.

Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul giudizio in epigrafe, rigetta sia il ricorso introduttivo sia il primo ed il secondo ricorso per motivi aggiunti.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:

Carlo D'Alessandro, Presidente

Leonardo Pasanisi, Consigliere

Brunella Bruno, Referendario, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/05/2012