Cass. Civ. Sez. I sent. 11476 del 24 luglio
2003
Pres. Grieco; Rel. Genovese; P.M. (parz. conf.) Russo
Ric. Regione Puglia
Scarico con recapito finale nel sottosuolo.
Si ringrazia il dott. N. GIRARDI per la segnalazione
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza in data 4 novembre 1997, notificata il 19, la Regione Puglia
ingiungeva il pagamento della somma di 20.015.000, a titolo di sanzione
amministrativa per la violazione dell’articolo 21 della legge 319/76,
modificato dall’articolo 6 del decreto legge 79/1995 (convertito nella legge
172/95), a De Palma Angelo e Angela Zezza, per avere effettuato scarichi civili
nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione amministrativa.
2. I predetti si opponevano all’ordinanza, con ricorso depositato presso la
cancelleria del Tribunale di Trani - sezione distaccata di Molfetta.
3.Il giudice adito, con sentenza 65/1999, annullava l’ordinanza di ingiunzione
sulla base del presupposto interpretativo secondo il quale, per gli scarichi
civili nel sottosuolo, relativi al territorio regionale della Puglia, già
esistenti al momento dell’entrata in vigore della legge 319/76, non
sussisterebbe l’obbligo dell’autorizzazione di cui all’articolo 9 della
stessa legge, ma solo quello della denuncia all’autorità comunale, previsto
dall’articolo 15, e compensava le spese.
4. Ricorre per cassazione al Regione Puglia con tre motivi di diritto,
illustrati anche da memoria, contro cui non hanno spiegato difese gli opponenti.
Motivi della decisione
l. Con il primo motivo di ricorso (con cui si lamenta la violazione e/o falsa
applicazione dell’articolo 43 legge regionale 24/1983, degli articoli 9, 15 e
21 della legge 319/76, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3 cpc) la
Regione deduce il sentenza censurata la quale avrebbe affermato che, per gli
scarichi civili già esistenti al momento dell’entrata in vigore della legge
319/76, non sussisterebbe l’obbligo dell’autorizzazione di cui
all’articolo 9 della stessa legge ma solo quello della denuncia all’autorità
comunale, previsto dall’articolo 15. L’articolo 43 legge regionale sarebbe
stato erroneamente interpretato come se l’obbligo dell’autorizzazione,
previsto per tutti gli scarichi, non sia stato stabilito anche per quelli civili
preesistenti. Il riferimento all’articolo 9, ultimo comma, della legge Merli
confermerebbe tale interpretazione.
2. Con il secondo motivo di ricorso (con cui si lamenta la violazione e/o falsa
applicazione dell’articolo 43 legge regionale 24/1983, degli articoli 9, 15 e
21 della legge 319/76, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, cpc) la
Regione deduce che il giudice di prime cure avrebbe compiuto una erronea e falsa
applicazione dell’articolo 43 della legge regionale 24/1983, in relazione agli
articoli 9 e 15 della cosiddetta legge Merli, atteso che gli scarichi civili
compresi nel divieto di porli in essere senza l’autorizzazione sono erano
anche quelli preesistenti.
3. Con il terzo motivo di ricorso (con cui si lamenta la violazione e/o falsa
applicazione dell’articolo 23 legge 689/981, e l’insufficienza, la
confusione e l’inconferenza della motivazione con riguardo alle risultanze
documentali, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5, cpc, su un punto
decisivo della controversia) la Regione deduce che l’affermazione contenuta
nella sentenza circa la preesistenza dello scarico idrico, perché antecedente
agli anni ‘90, sarebbe stato motivato con riferimento ad una nota della
Polizia Urbana di Molfetta di cui non sarebbero state fornite né gli estremi né
i contenuti. Essa non risulterebbe neppure versata in atti. Inoltre non potrebbe
avere il significato che gli assegna il giudice perché sarebbe solo idonea a
dimostrare la preesistenza del fabbricato e non anche quella dello scarico.
4. I primi due motivi del ricorso possono essere trattati congiuntamente, in
ragione della loro comune attinenza al regime giuridico degli scarichi idrici
che provenienti da insediamenti civili recapitano nel sottosuolo anziché
nelle pubbliche fognature, e che erano già in essere (cd. preesistenti) al
momento dell’entrata in vigore della legge Merli del 1976 (ora abrogata
dall’articolo 63 del decreto legislativo 152/99, ma nella specie applicabile
ratione temporis).
4.1. La tesi del Tribunale, censurata dalla Regione ricorrente nel ricorso per
cassazione, assume a suo presupposto interpretativo la considerazione secondo la
quale, sebbene la legge Merli (prima della sua abrogazione anche modificata
dalla legge 650/979 e poi, per quel che qui interessa, anche dal decreto legge
79/1995, convertito nella legge 172/95) obbligava i titolari di tali scarichi
soltanto a «denunciare la loro posizione all’autorità comunale nei modi e
nei tempi da essa imposti». Tale disposizione, con riferimento ai residenti
nell’ambito territoriale della Regione Puglia che fossero titolari di!
scarichi idrici nel sottosuolo, non sarebbe stata modificata (in pejus), come
invece assunte la Regione Puglia, nonostante l’emanazione della legge
regionale 24/1983 (Tutela ed uso delle risorse idriche e risanamento delle acque
in Puglia), la quale, all’articolo 43, primo comma, aveva disposto che: «tutti
gli scarichi devono essere autorizzati, ai sensi dell’ultimo comma
dell’articolo 9 della legge 319/76, e sue modifiche e integrazioni,
dall’autorità competente al controllo». Secondo il giudice di: merito,
infatti, la nozione di scarico soggetto ad autorizzazione, cui si riferisce tale
disposizione, è circoscrivibile ai soli scarichi autorizzabili alla stregua
della legge nazionale (la legge Merli) quale era in essere al momento della sua
entrata in vigore (1976) e, dunque, con esclusione di quelli che preesistevano
all’entrata in vigore della legge Merli e provenivano da insediamenti civili.
Tale interpretazione veniva fondata sia su ragioni di ordine giuridico formale
(il richiamo, contenuto nell’articolo 43, primo comma, della legge regionale
in questione, all’articolo 9 della legge statale) che di ordine giuridico
sostanziale (attinenti al regime degli scarichi civili, preesistenti alla legge,
non recapitanti in fognature, in relazione all’ambito dei poteri affidati alle
Regioni).
A tale ultimo proposito, il giudice del merito sembra sottolineare che la legge
statale, nel suo testo originario, si limitava semplicemente a stabilire che «la
disciplina degli scarichi degli insediamenti civili che non recapitano in
pubbliche fognature sarà definita dalle regioni con i rispettivi piani di
risanamento delle acque di cui all’articolo 4 della presente legge» (articolo
14, secondo comma, legge 319/76). Tale potere non avrebbe consentito alle
regioni di intervenire, diversamente da quanto sarebbe stato possibile fare a
partire dalla modifica apportata dal già menzionato decreto legge 79/1995
(convertito nella legge 172/95), la quale - per mezzo dell’articolo 6,
additivo del comma tredicesimo dell’articolo 15 e del comma quinto
dell’articolo 21, della legge Merli del 1976,avrebbe stabilito, da un lato,
che «il regime autorizzatorio degli scarichi civili e delle pubbliche
fognature, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, è definito dalle
regioni nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 14 conformandosi
alle disposizioni contenute nella direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21
maggio 1991,» e, da un altro, che «chiunque apre o comunque effettua scarichi
civili e delle pubbliche fognature, servite o meno da impianti pubblici di
depurazione, nelle acque indicate nell’articolo 1, sul suolo o nel sottosuolo,
senza aver richiesto l’autorizzazione di cui al tredicesimo comma
dell’articolo 15, ovvero continua ad effettuare o mantenere detti scarichi
dopo che la citata autorizzazione sia stata negata o revocata, è punito con la
sanzione amministrativa da lire dieci milioni a lire cento milioni».
Ma la Regione Puglia non avrebbe ottemperato alla previsione stabilita nel nuovo
comma tredicesimo dell’articolo 15 della legge 319 (che avrebbe dovuto essere
dettato conformandosi alle previsioni della direttiva 91/271/CEE che non avrebbe
dovuto enunciare soltanto il principio autorizzatorio ma prevedere procedure,
tempi, competenze, attribuzioni, ecc.). Essa avrebbe solo stabilito
genericamente il principio di autorizzabilità di tali scarichi civili, senza
adeguarsi, al momento giusto, a quanto stabilito dal legislatore nazionale.
4.2. Alla luce di quanto già enunciato da questa Corte (Sezioni unite penali
7673/91) e dalla Corte costituzionale (sentenza 168/93), la tesi del giudice di
merito va respinta.
Non ignora quest’ultimo che la Corte di cassazione penale, nell’autorevole
formazione delle Sezioni unite, ebbe ad enunciare il principio di diritto
secondo il quale gli scarichi nuovi provenienti da insediamenti civili che non
rifluiscono in pubbliche fognature sono soggetti all’obbligo,
dell’autorizzazione di cui all’articolo 9 della legge 319/76. Tale obbligo
non sussiste per gli scarichi provenienti da insediamento civile esistente
all’atto dell’entrata in vigore della citata legge 319/76 per i quali è
prevista la sola denuncia all’Autorità comunale, salvo che le Regioni o i
Comuni, nel definire la disciplina degli scarichi da insediamenti civili,
abbiano previsto l’obbligo di chiedere l’autorizzazione anche per quelli già
esistenti, provenienti da detti insediamenti.
Tale principio, era ricavato dagli articoli 14 e 15 della legge del 1976 e
sanzionato, in via penale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 e
25 della stessa legge.
Successivamente, la Corte costituzionale, nella sentenza 168/93, chiamata a
decidere della legittimità costituzionale dell’articolo 7 della legge
regionale del Lazio 41/1982, che prevedeva, anche per gli scarichi provenienti
da insediamenti civili preesistenti all’entrata in vigore della legge 319/76
l’obbligo dell’autorizzazione, in difformità dalla disciplina nazionale
(che si limitava a prevedere solo quello della denuncia della loro posizione
all’autorità comunale nei modi e nei tempi dalla stessa stabiliti: articolo
15, primo comma), ha avuto modo di assegnare al principio dell’autorizzazione
regionale un ampio fondamento legislativo.
Secondo la Corte, «gli articoli 2 e 4 della suddetta legge 319/76 prevedono le
competenze dello Stato e delle Regioni in materia. In sintesi, può affermarsi
che allo Stato sono demandate l’attività di indirizzo, di promozione, di
coordinamento generale e la emanazione di norme tecniche generali; alle Regioni,
la normativa integrativa e di attuazione dei detti criteri e delle norme
generali, nonché la normativa integrativa e di attuazione dei programmi degli
enti locali. Inoltre, successivamente alla citata legge 319/76, lo Stato ha
trasferito alle Regioni le funzioni concernenti la disciplina degli scarichi, la
programmazione degli interventi di conservazione e di depurazione delle acque,
dello smaltimento dei rifiuti liquidi ed idrosolubili, la programmazione degli
interventi per la prevenzione ed il controllo del suolo (articolo 101 del D.p.r.
616/77) e ha poi ulteriormente precisato le competenze delle stesse (articolo 6
del D.p.r. 915/82)». Sulla base di tale complesso normativo fondante il potere
dell’autonomia regionale, la Regione Lazio, nell’esercizio delle funzioni e
dei compiti affidatile con le suddette norme, avrebbe legittimamente «emanato
la legge impugnata e provveduto con essa a disciplinare gli scarichi da
insediamenti civili preesistenti al momento dell’entrata in vigore della legge
319/76, la quale, in via meramente provvisoria, aveva previsto per essi solo
l’obbligo della denuncia in attesa della regolamentazione definitiva, di
spettanza delle Regioni anche in base alla legge stessa. La determinazione delle
conseguenze della mancata autorizzazione può essere stabilita dal giudice
ordinario competente per il merito».
4.3. Una volta riconosciuta la legittimità della disciplina regionale, in
genere, e della previsione di cui all’articolo 43 della legge regionale Puglia
24/1983, in specie, si pone il problema della consistenza e
dell’interpretazione di tale dettato.
Esso, secondo il giudice del merito, si limiterebbe a ribadire i contenuti
propri della legislazione nazionale. Ma, sia per le ragioni letterali poste in
luce dalla Regione ricorrente («Tutti gli scarichi devono essere autorizzati»:
è il tenore dell’articolo 43, primo comma, della legge 24/1983), sia per
quelle che sono deducibili proprio dal richiamo all’articolo 9 della legge
Merli (la quale al sesto comma stabilisce nel suo testo in vigore ratione
temporis che «Tutti gli scarichi debbono essere autorizzati. L’autorizzazione
è rilasciata dalle autorità competenti al controllo», e cioè che l’ampia e
onnicomprensiva formula stabiliva proprio l’obbligo dell’autorizzazione in
via generale e senza eccezioni), si deve concludere per la vigenza, nel
territorio regionale pugliese, del regime autorizzatorio con riferimento a tutti
gli scarichi civili, anche per quelli esistenti al momento dell’entrata in
vigore della legge Merli. Sia ancora (di contro a quanto assume il giudice di
prime cure), per la previsione, nel pur scarno articolo 43 della Legge Regionale
della Puglia, di una, per quanto elementare, procedimentalizzazione
dell’autorizzazione (la cui disciplina insoddisfacente non può certo essere
oggetto di critica in questa sede).
La legittimazione della Regione a provvedere in tal senso, infatti, alla luce
dello scrutinio costituzionale del 1993 (la sentenza 168), risulta legittima (e
ben suscettibile di essere esercitata in via ampiamente discrezionale), proprio
sulla base della ripartizione dei compiti tra lo Stato e le Regioni.
4.4. Alla luce di tale interpretazione non v’è posto per un restringimento
del significato del precetto contenuto nell’articolo 43 dalla legge regionale
pugliese del 1983, sicché esso si palesa come il prius della sanzione
amministrativa pecuniaria (che ne è posterius), stabilita dal legislatore
nazionale a partire dal 1995 (con il decreto legge 79, citato), con riferimento
sia alle condotte di apertura che a quelle di “effettuazione” degli scarichi
civili non autorizzati, anche sul suolo e nel sottosuolo, sia con riguardo a
comportamenti di “mantenimento” di scarichi non autorizzati per negazione o
revoca del provvedimento amministrativo. In particolare, l’“effettuazione”
di scarichi di tal fatta comporta l’applicabilità della sanzione alle
condotte di coloro che, pur avendo in essere uno scarico idrico da insediamento
civile non autorizzato, continuano ad alimentarlo nonostante siano sprovvisti
dell’autorizzazione regionale.
In tal modo, la cooperazione tra la legislazione nazionale e quella regionale ha
finito per dar luogo ad un illecito amministrativo caratterizzato dalla
previsione di una condotta in parte disegnata dalla legislazione nazionale e in
parte da quella regionale, con una sanzione comminata dalla legislazione
nazionale (l’articolo 21, ultimo comma, della legge 319/76, come modificato
dal decreto legge 79/1995, più volte citato).
5. I primi due motivi di ricorso vanno dunque accolti, mentre il terzo va
dichiarato assorbito, essendo irrilevante - per il ricorrente - censurare
l’esatto accertamento della data di apertura dello scarico civile.
Non essendo necessari altri accertamenti in fatto, la causa va decisa nel
merito, ai sensi dell’articolo 384 cpc, e - in ragione degli argomenti sopra
svolti - va rigettata l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione proposta con
il ricorso introduttivo.
6. Non avendo gli intimati svolto attività difensiva, non v’è da provvedere
sulle spese.
PQM
La Corte, accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il
terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi
dell’articolo 384 Cpc, rigetta l’opposizione all’ordinanza ingiunzione.