L'allegra economia circolare all'italiana

di Gianfranco AMENDOLA

Le vie degli inquinatori sono infinite. Tanto più se si tratta della nostra povera Italia, il paese dei magliari.

Chi conosce la storia del nostro diritto ambientale sa bene di cosa parlo. La normativa sui rifiuti, ad esempio. Tutto inizia nel lontano 1982 quando, recependo con il DPR 915 le direttive del 1975 e del 1978, l'Italia traduce il verbo "disfarsi" in "abbandonare" per cui la nozione di rifiuto -con obblighi e divieti relativi- veniva ristretta solo ai rifiuti che non servivano più a nessuno, escludendone quindi, ad esempio, tutti i rifiuti recuperabili. E, sempre allo scopo di sottrarre rifiuti alla relativa regolamentazione, negli anni successivi, il nostro paese si inventava a raffica i "residui", "le materie prime secondarie" e i "materiali quotati in borsa" , giungendo addirittura, nel 2002, ad elaborare una "interpretazione autentica della nozione di rifiuto" (nozione che-si badi bene- è di origine comunitaria) che ne restringeva l'ambito alle sole operazioni codificate, escludendone anche le operazioni di riutilizzo.

Rinviando ad altre opere per chiarimenti ed approfondimenti [1], basta ricordare, in questa sede, che tutti questi penosi espedienti sono stati clamorosamente bocciati dalla Corte europea di Giustizia con numerose sentenze [2], che ci attribuivano il primato di paese d'Europa più condannato per violazione delle direttive comunitarie. Tanto che la Commissione UE il 5 luglio 2005, con una lettera indirizzata dal Commissario Dimas al Ministro Fini, dopo aver ricapitolato normativa e giurisprudenza comunitarie, concludeva che l’Italia ha << come prassi consolidata e persistente quella di adottare disposizioni volte a restringere l’ambito di applicazione della direttiva 75/442/CEE in Italia, con riferimento alla definizione di rifiuto di cui all’articolo 1, lettera a) della direttiva >>, sottraendosi ai suoi obblighi verso la UE.

Ma, chiusa una strada se ne apre un'altra. E così il partito del non rifiuto, che, nel frattempo si era organizzato con sue riviste, suoi siti e suoi consulenti aziendali (promotori di appositi "corsi di formazione" a pagamento), si buttava, ad esempio, sulle esenzioni dalla disciplina sui rifiuti, poi sulla categoria dei sottoprodotti e poi sulle condizioni per fine-rifiuto (end of waste): sempre con un unico, incrollabile obiettivo: sottrarre rifiuti alla regolamentazione comunitaria ed italiana. Con qualche incursione proficua in campi specifici appetitosi come le terre e rocce da scavo (dove si è arrivati a sancire che la terra inquinata da rifiuti non è un rifiuto), i rifiuti con codici a specchio, i fanghi da depurazione ecc. Tutti argomenti da noi trattati proprio (anche) in questo sito.

Spesso, diciamo la verità, con l'appoggio del Ministero dell'ambiente che, in un' apoteosi di potere, recentemente (prima dell'attuale governo) arrivava addirittura ad emanare alcune singolari (ovviamente benevole) direttive, note e circolari di interpretazione della legge, duramente (e giustamente) stigmatizzate come inutili e fuorvianti da chi è realmente deputato alla interpretazione delle leggi: in particolare Cassazione e Consiglio di Stato.

A questo punto, è bene specificare un punto importante. Chi elabora a ripetizione tesi "liberalizzatorie" in tema di rifiuti è, di solito, persona professionalmente qualificata che conosce bene tutta la materia e riesce a trovare i punti dubbi su cui far leva, approfittando della pessima qualità delle nostre leggi e della conseguente, estrema difficoltà per un non addetto ai lavori di capire talvolta anche solo quale sia la norma applicabile; quando, come spesso accade, la regola è in un comma, alcune eccezioni sono nel comma seguente, altre in altri articoli, spesso molto distanti, e altre subeccezioni negli allegati. Del resto, per capire subito quale sia lo stato confusionale della nostra normativa ambientale, basta ricordare che recentemente in questo sito è apparso un notevole studio da cui risulta, tra l'altro, che gli originari 318 articolo del TUA del 2006 sono ora diventati 397, con 26 abrogazioni e numerosi articoli bis, ter, quater ecc.; che di questi 397, 267 hanno subito almeno una modifica e 49 almeno 5, per un totale di 762 modifiche; e che le variazioni totali sono state 894[3].

In questo quadro, oltre a una notevole preparazione, il partito degli inquinatori e del non rifiuto ha dato prova anche di abilità e di inventiva, appropriandosi immediatamente, ovviamente nella sua ottica, di parole d'ordine e di principi importanti e largamente condivisibili.

E' avvenuto, ad esempio, quando è comparso il concetto dello "sviluppo sostenibile", che veniva da costoro utilizzato non per subordinare lo sviluppo alla sostenibilità ambientale ma, al contrario, per piegare le esigenze di tutela ambientale alla "sostenibilità" economica delle aziende.

Lo stesso -anzi, di più- sta oggi avvenendo con l'importante concetto di "economia circolare", ormai evocato a ogni piè sospinto appena si parla di ambiente.

Ci si riferisce, ovviamente, a quella serie di misure e di normative elaborate dalla UE per aiutare le imprese e i consumatori a compiere la transizione verso un'economia più forte e più circolare, in cui le risorse sono utilizzate in modo più sostenibile per "chiudere il cerchio" del ciclo di vita dei prodotti: ricavare il valore e l'impiego massimi da tutte le materie prime, i prodotti e i rifiuti, favorendo il risparmio energetico e riducendo le emissioni di gas a effetto serra; e incrementando il riciclaggio e il riutilizzo a vantaggio sia dell'ambiente che dell'economia.

E' lo stesso art. 1 della nuova direttiva sui rifiuti, del resto, a precisare che "l a presente direttiva stabilisce misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana evitando o riducendo la produzione di rifiuti, gli effetti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli effetti generali dell’uso delle risorse e migliorandone l’efficienza, che costituiscono elementi fondamentali per il passaggio a un’economia circolare e per assicurare la competitività a lungo termine dell’Unione ".

Insomma, nessun rifiuto deve essere più disperso nell'ambiente ma deve rientrare in circolo; meglio ancora, se non viene prodotto.

Una vera e propria manna per un partito nato proprio con il fine di eliminare obblighi e doveri connessi con la gestione dei rifiuti utilizzando ogni possibile argomento idoneo a negare la esistenza di un rifiuto ovvero a sostenere che tale qualifica è cessata.

E che, quindi, si sta già entusiasticamente preparando per un recepimento delle nuove normative comunitarie tale da spazzar via una volta per tutte, in nome della "economia circolare", gli ostacoli che sinora, in nome della tutela dell'ambiente e della salute, erano stati frapposti dalla nostra retrograda magistratura alla loro ansia di liberalizzazione.

Particolarmente emblematico appare un articolo pubblicato qualche giorno fa su un importante giornale economico:

Si inizia premettendo che le nuove normative " spingendo su prevenzione della produzione di residui e recupero di quelli generati mirano ad una economia virtualmente priva di rifiuti ".

E si continua dando massimo risalto, tra l'altro, a due problematiche, già citate e di grande attualità per il nostro paese.

La prima riguarda, come prevedibile, la problematica del fine rifiuto oggi "compromessa" dalla famosa sentenza del Consiglio di Stato la quale, basandosi sul disposto della legge (art. 184ter D. Lgs. 152/06), pretende che la disciplina end of waste sia dettata da decreti governativi validi in tutto il territorio nazionale [4].

Ebbene, oggi, in nome dell'economia circolare, valorizzando la possibilità per gli Stati membri di decidere "caso per caso" (che, a dire il vero, c'era anche nella direttiva precedente) si dà per certo che tale disciplina verrà affidata alle Regioni. E, quindi, avremo che in una Regione un rifiuto si considererà "finito" a certe condizioni ed in un'altra Regione per lo stesso rifiuto vigeranno condizioni diverse. Con tutte le conseguenze facilmente immaginabili non solo per l'ambiente, ma anche in termini di concorrenza e di profitto per chi produce quel rifiuto.

La seconda riguarda la classificazione dei rifiuti in quanto, si dice, " c on l' adeguamento all' Ue arriverà anche il riordino dell' elenco dei rifiuti e delle loro caratteristiche di pericolo, provvedendo all' allineamento dei testi normativi nazionali al regolamento Ue n. 1357/2014 e alla decisione 2014/955/Ue ". Ovviamente, il riferimento è alla problematica dei rifiuti con codici a specchio, ma risulta veramente incongruo. Infatti, il nostro legislatore, già con l' art. 9 del decreto legge n. 91 del 20 giugno 2017 aveva modificato la premessa all'allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sostituendone buona parte con la dizione che " la classificazione dei rifiuti e' effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014 "[5]; ed ha quindi già provveduto ad allineare i testi normativi nazionali proprio a quelli comunitari che vengono invocati. Bisogna dire, allora, che, in realtà, ciò che si vuole non è un "allineamento" di questi testi ma una loro interpretazione secondo cui, in violazione della lettera della legge, la distinzione, per i rifiuti con voce a specchio, tra pericolosi e non, deve essere discrezionale e non improntata al principio di precauzione. Interpretazione che, peraltro, molto opportunamente, la suprema Corte ha già sottoposto, trattandosi, appunto, di normativa comunitaria, alla Corte europea di giustizia[6].

Potremmo continuare ma ci sembra sufficiente, a questo punto, citare una ulteriore, recentissima conferma di questa singolare interpretazione, tutta italiana, del concetto di "economia circolare".

Come è noto, nel 2017 la Cassazione ( Sez. 3 Pen., 6 giugno 2017, n. 27958), occupandosi di fanghi toscani pieni di idrocarburi, rilevava che " è impensabile che una regolamentazione ad hoc... avente lo scopo di disciplinare l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo,incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione, possa ammettere un uso indiscriminato di sostanze tossiche e nocive.." e precisava che, trattandosi di rifiuti, sono applicabili anche i limiti previsti dalla normativa generale in tema di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati in funzione della specifica destinazione d'uso del sito; in quanto, se così non fosse, " un rifiuto può essere impiegabile nello spandimento su un terreno agricolo sebbene abbia valori di contaminazione ben superiori ai limiti di accettabilità per aree industriali "[7]. Con la conseguenza che per il parametro degli idrocarburi di regola il limite è 50mg/Kg.(sul secco).

Sentenza che gettava nel panico numerosi agricoltori e "fanghisti", specie della Lombardia e della Toscana, i quali, sino a quel momento avevano conseguito ingenti profitti con discariche di rifiuti industriali mascherate con la utilizzazione agronomica.

Per superare questa sentenza, l'attuale governo inseriva inopinatamente nel decreto legge 28 settembre 2018, n. 109, recante disposizioni urgenti per il disastro di Genova, un art. 41 il quale, " al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi da depurazione " (cioè, la sentenza della suprema Corte), aumenta a 1000 (" tal quale"[8]) il limite di 50 per idrocarburi nei fanghi; cui si aggiungeva un emendamento della maggioranza che amplia i limiti anche per idrocarburi, diossine, furani, PCB, toluene, selenio, berillio, cromo e arsenico.

Di modo che rifiuti che dovrebbero, per legge, avere come unica destinazione una discarica di rifiuti industriali scompaiono (con tutti gli obblighi e divieti) in quanto vengono "riutilizzati" in agricoltura per concimare i cibi che troveremo sulle nostre tavole.

Ebbene, sapete quale è stata la giustificazione? Anche questa è "economia circolare".



[1] Cfr. per tutti il nostro Gestione dei rifiuti e normativa penale, Giuffrè, Milano 2003, pag. 59 e segg.

[2] Fra cui, citiamo la Vessoso e la Zanetti del 1990, la n. 422 del 1995, la Tombesi del 1997, la Niselli del 2004 ecc ecc.

[3] FRANCO, Forse non tutti sanno che....Dodici anni di TUA, in questo sito, 9 aprile 2018

[4] Si rinvia, anche per approfondimenti e richiami, da ultimo al nostro End of waste, recupero di rifiuti e Consiglio di Stato. Chiariamo le responsabilità ., in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell'ambiente (www.rivistadga.it ) 2018, n. 3, pag. 1 e segg.

[5] cfr. il nostro Codici a specchio. Il miracolo estivo che elimina i rifiuti pericolosi , in www.industrieambiente 2017

[6] Per approfondimenti e richiami, si rinvia, da ultimo, ai nostri Rifiuti, codici a specchio.Meno male che la Cassazione c'è, e Rifiuti, codici a specchio e Cassazione in attesa della Corte Europea. Ogni critica è legittima purché non travisi la realtà in questo sito, 1 agosto 2017 e 13 aprile 2018.

[7] cfr. il nostro Utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura e Cassazione , in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell'ambiente (www.rivistadga.it) 2018, n. 1

[8] e non sulla sostanza secca, di modo che, per la presenza di acqua, il limite può aumentare anche a oltre 10.000 sul secco.