Cass. Sez. III n. 2292 del 24/1/2007 (Ud.13/12/2006)
Presidente: Papa E. Estensore: Squassoni C.  Imputato: Caruso.
(Annulla in parte s. r.,Trib.Salerno, sez.dist.Eboli, 21 Maggio 2004)
ACQUE - Tutela dall'inquinamento - Allevamento di bestiame - Nuove disposizioni di cui al D.Lgs n. 152 del 2006 - Assimilabilità dei reflui a quelli domestici - Condizioni - Connessione tra attività di allevamento e coltivazione della terra.

In tema di disciplina degli scarichi, anche dopo la entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, la assimilazione alle acque reflue domestiche dei reflui delle imprese dedite all'allevamento di bestiame è subordinata, tra l'altro, al dato che l'attività di allevamento si svolga in connessione con la coltivazione della terra a disposizione, e che questa sia in grado di smaltire, nell'ambito di un ciclo chiuso, il carico inquinante delle deiezioni.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 13/12/2006
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 2070
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 008751/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CARUSO ORESTE N. IL 18/06/1941;
avverso SENTENZA del 21/05/2004 TRIB. SEZ. DIST. di EBOLI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 21 maggio 2004, il Tribunale di Salerno ed Eboli ha ritenuto Caruso Oreste responsabile delle contravvenzioni previste dall'art. 674 c.p., dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, comma 1 e - concesse le attenuanti generiche ed uniti i reati con il vincolo della continuazione - lo ha condannato alla pena di Euro milleduecento di ammenda.
Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha reputato irrilevante ai fini difensivi una imprecisione contenuta nel capo di imputazione circa il luogo dei commessi reati. Indi, ha ritenuto provato in fatto che, a causa delle abbondanti piogge, i liquami provenienti dalla azienda di allevamento di bestiame dello imputato fossero confluiti in un fosso ed avessero raggiunto alcune abitazioni. In diritto, il Giudice ha rilevato che l'insediamento, per il rapporto tra il numero di capi di bestiame e l'estensione del fondo, doveva considerarsi industriale per cui lo scarico delle relative acque reflue necessitava di autorizzazione carente nel caso concreto. Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
1) che l'errore del capo di imputazione sul locus commissi delicti andava corretto con la procedura dell'art. 130 c.p. e non in sentenza con violazione dell'art. 522 c.p.p.;
2) che i reflui della impresa, dedita esclusivamente allo allevamento del bestiame e usufruente di un ettaro di terreno, dovevano considerarsi domestici con conseguente non configurabilità del reato di cui alla L. n. 152 del 1999;
3) che la condotta per cui è processo (sversamento occasionale, dipendente dalle acque piovane) non è più prevista come reato a sensi del D.Lgs. n. 258 del 2000;
4) che la contravvenzione codicistica non è configurabile sia perché il versamento non è stato cosciente e volontario sia perché le persone non sono state molestate.
Le deduzioni sono meritevoli di accoglimento nei limiti in prosieguo precisati.
Per quanto concerne la prima censura, si rileva come il Pubblico Ministero abbia l'onere di formulare la contestazione in modo chiaro, preciso e completo sotto il profilo materiale e soggettivo in modo da consentire allo imputato di comprendere l'accusa e di predisporre una completa e concreta azione defensionale.
Tale è il caso concreto : l'enunciazione del fatto era specifica ed era possibile collocare con certezza nello spazio l'episodio per cui è processo dal momento che l'imputazione faceva riferimento alla azienda agricola di cui era titolare il Caruso.
La circostanza che fosse precisata la località di accertamento dei reati e non il luogo di commissione degli stessi non era idonea ad ingenerare confusioni ed a diminuire le possibilità di difesa;
pertanto, non è riscontrabile alcun errore nella formulazione del capo di imputazione.
Relativamente alla seconda censura, è il caso di ricordare come, per qualificare una impresa agricola come insediamento civile, i criteri vigenti all'epoca dei fatti non siano modificati dalla recente novazione legislativa in materia ambientale.
Sia per il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 28, comma 7, sia per il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7 necessita fare riferimento alla tipologia dei reflui per cui la legge equipara gli effluenti da allevamento di bestiame alle reflue acque domestiche a determinate condizioni; una di queste, riferita al rapporto tra peso vivo degli animali ed estensione del fondo, è significativa della circostanza che la attività di allevamento si svolga in connessione con la coltivazione della terra e che questa sia in grado di smaltire, nello ambito di un ciclo chiuso, il carico inquinante delle deiezioni. In carenza del richiesto rapporto tra terreno agricolo e quantità di bestiame, l'allevamento perde il suo coordinamento funzionale con la coltivazione e lo sfruttamento del fondo e deve considerarsi diretto allo esercizio di una autonoma impresa commerciale al cui esercizio l'allevamento del bestiame è subordinato; in tale caso, i reflui sono assimilabili alle acque industriali.
Ora, avendo come referente il citato parametro, i Giudici di merito sono pervenuti alla conclusione circa la natura non domestica dei reflui con motivazione congrua, completa, corretta e, pertanto, non sindacabile in questa sede.
Meritevole di accoglimento è il terzo motivo di gravame. Il D.Lgs. n. 152 del 1999 nella sua originaria formulazione distingueva tra scarico di acque reflue collegato ad un determinato ciclo produttivo (scarico che può essere continuo o discontinuo, vale a dire, qualificato dai requisiti della irregolarità, intermittenza o saltuarietà) ed immissioni occasionali che sono caratterizzate dalla eccezionalità o causate da un evento fortuito o accidentale. Solo per il primo tipo di scarico era riscontrabile una definizione normativa (art. 2) incentrata sulla convogliabilità (lo sversamento doveva avvenire tramite condotta oppure a mezzo di un sistema stabile di canalizzazione non necessariamente costituto da tubazione).
Lo scarico occasionale non era previsto come reato con riguardo alla mancanza di autorizzazione, mentre aveva ancora rilevanza penale in relazione al superamento dei limiti di accettabilità per espressa previsione dell'art. 59, comma 5; il riferimento alle immissioni occasionali è stato espunto dal testo legislativo con il D.Lgs. n. 258 del 2000.
In questo contesto normativo, alcuni ritenevano che la condotta di scarico occasionale non fosse più punibile penalmente sia nelle ipotesi di carenza di autorizzazione sia in quella di superamento dei limiti tabellari. Altri ritenevano che, anche dopo la ricordata modifica legislativa, le immissioni occasionali di reflui liquidi collegate con un ciclo produttivo fossero sottratte alla disciplina del D.Lgs. n. 152 del 1999 solo se del tutto estranee alla nozione legislativa di scarico.
Tutta questa problematica (e quella della sua attualità dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006 che ha eliminato dalla nozione di scarico il requisito della convogliabilità) non riguarda il caso in esame nel quale è pacifico che lo sversamento dei reflui sul suolo non è avvenuto tramite condotta o con un sistema di deflusso duraturo; è pure accertato che lo scarico per cui è processo sia stato determinato da una causa naturale per la quale è evidenziabile il requisito della occasionalità.
Pertanto la condotta in esame non ha rilevanza penale. Di conseguenza, la Corte deve annullare senza rinvio la impugnata sentenza, relativamente alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59 perché il fatto non costituisce reato e quantificare la pena per la residua contravvenzione in quella correttamente fissata dal Giudice di merito (Euro duecento di ammenda).
L'ultima censura non è fondata.
Per il perfezionamento del reato di cui all'art. 674 c.p., non è necessario un effettivo nocumento alle persone in dipendenza della condotta vietata, essendo sufficiente l'attitudine della cosa gettata a cagionare effetti molesti; questa idoneità del comportamento dello imputato a molestare e, quindi, la sussistenza dello elemento materiale del reato, è stata accertata dalle dichiarazioni dei vicini che si sono attivati preso le competenti autorità per fare cessare la situazione antigiuridica.
Pure sussistente è l'elemento soggettivo del reato essendo riscontrabile un coefficiente di colpevolezza nello imputato il quale, pur in presenza di un evento occasionale (che non rivestiva i caratteri del caso fortuito o della forza maggiore) non ha adottato le necessarie precauzioni per evitare che i reflui confluissero nelle abitazioni confinanti con il suo insediamento.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59 perché il fatto non costituisce reato. Rigetta il ricorso nel resto e determina la pena per la residua contravvenzione in Euro duecento di ammenda.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2007