Cass. Sez. III n. 16955 del 4 maggio 2007 (Ud. 14 mar. 2007)
Pres. Onorato Est. Franco Ric. Buono
Rifiuti. Materiali di risulta da attività di demolizione

I materiali di risulta delle attività di demolizione e di ricostruzione sono rifiuti qualora sia solo genericamente manifestata, peraltro senza alcun riscontro, la volontà di destinarli al riutilizzo ed alla vendita, occorrendo, tra l'altro, una loro effettiva ed oggettiva riutilizzazione nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, dichiarò Buono Gennaro Ciro colpevole del reato di cui all’art. 51, primo comma, in relazione all’art. 30, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per avere effettuato una attività di raccolta, trasporto c smaltimento di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, e precisamente di rifiuti misti della attività di demolizione e ricostruzione, in assenza della prescritta autorizzazione, e lo condannò alla pena dell’ammenda.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione degli artt. 521 e 516 cod. proc. pen.; nullità della sentenza. Lamenta che è stato ritenuto responsabile del reato ascritto sulla base della deposizione del vigile acceduto sui luoghi solo il 26 marzo 2002, in un giorno e per fatti che non sono oggetto di contestazione, la quale riguarda solo i fatti accertati l’8 marzo 2002. Lo stesso pubblico ministero di udienza ha rinunciato alla contestazione suppletiva per non allungare il processo. Quindi l’imputato è stato condannato per fatti non contestati.

2) violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. e dell’art. 30 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; manifesta illogicità e mancanza della motivazione in relazione alle prove acquisite. Lamenta la mancanza di motivazione anche in relazione ai rilievi che aveva operato il tribunale del riesame che aveva annullato il sequestro preventivo per mancanza del fumus del reato. In particolare, la sentenza impugnata non ha tenuto in nessun conto che si era in presenza di una attività di vendita di materiali edili e che quindi i materiali depositati erano destinati alla vendita. Manca qualsiasi prova che l’imputato compisse le ritenute attività di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti misti, in quanto l’unico teste escusso a conoscenza di quanto avvenuto fino all’8 marzo 2002, non era entrato nell’area, e non aveva visto persone che effettuassero la raccolta ed il trasporto, né automezzi a ciò destinati. Al contrario, dalle foto utilizzate dal tribunale del riesame emerge che si trattava di materiale destinato alla vendita e che le pietre miste a terreno, provenienti anche dalla demolizione, ben potevano essere utilizzati per essere frantumati ed impastati nell’edilizia. Non vi è quindi nessuna prova di una attività di trasporto e di smaltimento di rifiuti. Le dichiarazioni del vigile De Martino, invero, si riferiscono al 26 marzo 2002, e cioè a fatti non contestati.

 

Motivi della decisione

Il primo motivo è chiaramente infondato, perché l’imputato è stato condannato non per un fatto nuovo o diverso, ma esattamente per il fatto contestato dell’attività non autorizzata di gestione (raccolta, smaltimento, trasporto) dei rifiuti misti di demolizioni e ricostruzioni prodotti da terzi e rinvenuti nell’area di sua pertinenza 1’8 marzo 2002. Il fatto che il teste De Martino abbia reso dichiarazioni su un suo sopralluogo effettuato pochi giorni dopo, il 23 marzo 2002 (a parte ogni considerazione sulla eventuale permanenza del reato), non significa affatto che la condanna sia intervenuta per le violazioni accertate in quest’ultima data (anziché solo per quelle accertate l’8 marzo 2002) ma soltanto che il giudice, con congrua ed adeguata motivazione, ha ritenuto, con un apprezzamento di fatto sicuramente non manifestamente illogico, che le dichiarazioni e gli accertamenti compiuti da questo teste costituissero una conferma di quale ero lo stato dei luoghi all’epoca del primo accertamento dell’8 marzo 2002, in considerazione della natura e quantità del materiale depositato nell’area e del poco tempo trascorso.

E’ chiaramente infondato anche il secondo motivo. Non è infatti in contestazione che si trattava di rifiuti, e precisamente dì materiali di risulta delle attività di demolizione e di ricostruzione. Il ricorrente peraltro sostiene che nella specie tale qualità verrebbe meno perché i materiali erano destinati alla vendita nel settore dell’edilizia mentre le pietre frammiste a terreno, provenienti anche dalle demolizioni, ben potevano essere frantumate ed impastate nell’edilizia. Senonché - contrariamente a quanto sostiene il ricorrente e conformemente invece alle disposizioni in materia costantemente interpretate dalla giurisprudenza di questa Corte in conformità con i principi della normativa e della giurisprudenza europea - affinché i materiali in questione potessero perdere la loro natura di rifiuti non era certamente sufficiente una generica, ed indimostrata, volontà di destinarli al riutilizzo ed alla vendita, ma occorreva, tra l’altro, una loro effettiva ed oggettiva riutilizzazione nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente. Nella specie, invece, nel giudizio di merito non è emersa alcuna prova di una effettiva ed oggettiva riutilizzazione dei suddetti materiali nell’edilizia.

E’ pacifico che i materiali provenivano da attività di demolizioni e ricostruzioni compiute in luoghi diversi e non erano invece prodotti sull’area di pertinenza dell’imputato dove erano stati accumulati. E’ quindi evidente la sussistenza di una attività di raccolta e dì trasporto (dal luogo di produzione all’area in questione) dei materiali stessi.

E’ altrettanto evidente che non vi erano le condizioni previste dall’art. 6, lett. m), d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (ora, dall’art. 183, lett. m), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) per aversi un deposito temporaneo, perché (a parte la mancata prova della sussistenza delle necessarie condizioni volumetriche e temporali), ai sensi di tale disposizione il deposito temporaneo è costituito dal «raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti», mentre nella specie il deposito era effettuato dopo la raccolta e in un luogo diverso da quello in cui i rifiuti erano stati prodotti.

Si trattava pertanto di uno stoccaggio destinato al futuro smaltimento o recupero dei rifiuti in questione, stoccaggio che, ai sensi della lett. l) dei citati artt. 6 e 183, costituisce una fase della «attività di smaltimento», sicché correttamente il giudice di merito ha ritenuto sussistente anche la contestata ipotesi dello smaltimento non autorizzato.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

E’ appena il caso di ricordare che la prescrizione non si è ancora maturata perché ai quattro anni e mezzo del periodo normale di prescrizione, scadenti 1’8 settembre 2006, va aggiunto il periodo di sospensione della prescrizione di un anno e tre mesi (per rinvii delle udienze per astensione dal 24 gennaio 2005 al 19 settembre 2005, al 16 gennaio 2006, ed al 24 aprile 2006).