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LA GESTIONE AZIENDALE DELLE ACQUE DI VEGETAZIONE RESIDUATE DALLA LAVORAZIONE DELLE OLIVE.

di Andrea PELLECCHIA

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  1. LA DISCIPLINA AMBIENTALE DEGLI SCARICHI DEI REFLUI OLEARI
  2. LO SMALTIMENTO ILLEGALE DEI REFLUI OLEARI
  3. L’IMPRESA AGRICOLA SECONDO LE NORME ANTIINQUINAMENTO

LA DISCIPLINA AMBIENTALE DEGLI SCARICHI DEI REFLUI OLEARI

La progressiva diminuzione del contenuto di sostanza organica nei suoli sottoposti ad agricoltura intensiva è particolarmente preoccupante in Italia, specie nelle regioni meridionali dove la sostanza organica si decompone più rapidamente, con conseguenti fenomeni di degradazione delle proprietà fisiche dei suoli accompagnata dall’aumento dei rischi erosivi[1].

Alla luce della situazione sopra descritta approfonditi studi agronomici ritennero verosimile che l’utilizzazione agronomica dei reflui dei frantoi oleari potesse concretamente reintegrare la perdita di sostanza organica, garantendo in più un corretto riciclo di elementi nutritivi ed uno smaltimento di rifiuti al più basso costo possibile. Si notò, infatti, che lo spandimento delle acque di vegetazione provenienti da frantoi oleari determinava una modifica delle caratteristiche strutturali del terreno, quali la porosità, la ritenzione ed i movimenti, determinando sugli stessi effetti positivi, quali la riduzione dei fenomeni di erosione.

Tuttavia accanto ai benefici dell’utilizzazione agronomica dei reflui, gli studiosi individuarono taluni effetti, questa volta negativi.

Le acque di vegetazione di origine olivicola, infatti, sebbene risultino sostanzialmente prive di sostanze pericolose (agenti patogeni, metalli pesanti, virus, etc..) sono comunque ricche di differenti composti organici (zuccheri, acidi organici, ecc..) e di diversi elementi naturali (potassio, fosforo, calcio, ecc…), che vengono ad incidere sulla salubrità del terreno e delle colture, quali olivo vite e cereali, soprattutto se lo spandimeto dei reflui viene effettuato secondo tempi inopportuni, oppure in quantità inadeguate.

Si è così posto il problema ambientale di garantire una corretta utilizzazione agronomica dei reflui oleari per evitare che i componenti organici in essi contenuti e dotati di spiccata azione antimicrobica ed una bassa biodegradabilità, possano provocare effetti indesiderati.

In particolare la questione che maggiormente affligge la compatibilità ambientale della utilizzazione agronomica dei reflui oleari mediante spargimento diretto sul terreno agrario è la loro carica in polifenoli totali, da cui dipendono poteri antimicrobici e fitotossici.

Alcuni ricercatori hanno saggiato la possibilità di considerare le acque di vegetazione dei frantoi oleari non come un inconveniente da eliminare in qualche modo, ma piuttosto come un sottoprodotto da utilizzare per l’estrazione di alcuni particolari composti organici, o da impiegare come substrato per la crescita di microrganismi utili a livello industriale o come materia prima per l’industria mangimistica, ecc..; tuttavia in attesa della messa a punto tecnica ed economica di eventuali e più brillanti alternative in queste direzioni, sembra ancor oggi indispensabile studiare da un lato la loro utilizzazione per l’eventuale produzione di compost di qualità e, dall’altro, valorizzare e, soprattutto, disciplinare dal punto di vista normativo, in condizioni di assoluta tranquillità agro-ambientale, gli usi di tali reflui come fertilizzanti del terreno agrario[2].

Il legislatore, pertanto, si preoccupato in varie occasioni di regolare mediante appositi strumenti normativi l’attività di trattamento dei reflui derivanti dalla attività di molitura delle olive.

Innanzitutto è necessario specificare che l’attività di cui sopra è da considerarsi come una tipica industria agraria, in quanto, pur svolgendosi , originariamente, in connessione diretta con la coltivazione del fondo, si è sempre più distaccata per dar luogo ad una vera e propria attività produttiva autonoma impiegante tecnologie ed impianti di un certo rilievo. La stessa giurisprudenza a seguito dell’emanazione della legge Merli, ha presto ricompreso l’attività di molitura delle olive tra gli insediamenti produttivi[3], fatti salvi unicamente quei frantoi che esplicano attività per conto proprio utilizzando la materia prima proveniente esclusivamente dalla coltivazione dei fondi dell’azienda o acquistati da terzi ma in misura non superiore ad un terzo del prodotto trasformato.

La gestione delle acque di vegetazione dei frantoi fu così regolata per lungo tempo dalla legge Merli che assimilandole in tutto e per tutto alle acque reflue di altra provenienza, ne proibiva lo spargimento sui terreni agrari in relazione all’elevato carico organico, decretando l’obbligo di provvedere alla depurazione o di ricorrere allo smaltimento in discarica.

In realtà, a dispetto delle prescrizioni di legge, lo smaltimento sui terreni agrari ha comunque continuato a rappresentare la via preferenziale attraverso cui i frantoi si liberavano delle acque di vegetazione senza porre particolare attenzione al controllo dei quantitativi da distribuire per unità di superficie, né alle modalità con cui effettuare tali operazioni.

Considerato lo stato di inadempimento delle prescrizioni antinquinamento previste dalla legge 319/76, si reputò opportuno emanare il decreto legge 26 Gennaio 1987, n. 10, avente quali destinatari gli impianti di molitura delle olive, che avessero natura di insediamenti produttivi ed i cui scarichi non fossero conformi ai limiti stabiliti dalla legge Merli. Con questo decreto, poi convertito nella legge n.119 del 24 Marzo 1987, oltre a prevedere una ampia sanatoria giudiziale per i reati di inquinamento commessi fino all’entrata in vigore dello stesso, prevedeva un regime transitorio nel quale si dava la possibilità ai titolari degli scarichi, previa autorizzazione del sindaco, di sversare i reflui su terreni ed aree, individuate dagli stessi frantoi nel rispetto delle norme tecniche definite dalla deliberazione del 4 febbraio 1977 dal Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento.

Tuttavia, la applicazione della normativa di favore fu abbastanza problematica, proprio nella misura in cui stabiliva che lo sversamento poteva avvenire previa applicazione di una procedura di trattamento depurativo delle acque di vegetazione che i singoli frantoi non erano, in realtà, in grado di assolvere, proprio perché mancavano delle dotazioni tecniche tipiche di uno stabilimento dedito esclusivamente allo stoccaggio e trattamento dei reflui.

Si prevedeva, infatti, che lo sversamento dei reflui doveva avvenire previo abbattimento dei carichi inquinanti in misura non inferiore al 50% e, comunque, previa decantazione in vasche utilizzate a tale scopo;

Nonostante le difficoltà sopra accennate la giurisprudenza precisava che la normativa di favore doveva riguardare solo esclusivamente lo spandimento dei reflui del singolo frantoio sul terreno di riferimento e non un grande insediamento che raccoglie e provvede allo stoccaggio degli stessi.

Dopo numerosi decreti legge che prorogavano l’efficacia della disciplina ora illustrata, la materia è stata regolata ex novo dalla legge 11 novembre 1996, n. 574 recante norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi di frantoi oleari.

La nuova legge, innanzitutto, elimina l’obbligo del “preventivo abbattimento” del carico inquinante, previsto dalla disciplina previgente e prevede la possibilità di spandere le acque di vegetazione e le sanse umide anche in deroga ai limiti previsti dalla legge Merli a dalla legge 784/84, sugli emmendanti e concimi organici, indicando, inoltre, essa stessa i limiti di accettabilità massimi da non superare[4]. L’unico obbligo formale che la legge prevede è che l’interessato comunichi preventivamente al Sindaco l’intenzione di effettuare la distribuzione del refluo sui terreni, accompagnando tale comunicazione con una relazione dettagliata sulle condizioni idrologiche e pedomorfologiche del terreno destinato alla ricezione dei reflui[5]

La legge 574/96 indica all’art. 5 alcune categorie di terreni in cui è vietato in ogni caso lo spandimento delle acque di vegetazione e delle sanse come per esempio i terreni situati a distanza inferiore ai duecento metri dai centri abitati oppure i terreni gelati, innevati saturi d’acqua, ecc.

Una ulteriore deroga alla normativa generale è prevista dall’art. 6 che stabilisce l’obbligo dello stoccaggio dei reflui per un periodo non superiore ai trenta giorni, ancora una volta sul presupposto di una mera comunicazione al Sindaco.

L’aspetto più controverso della legge è rappresentato dall’apparato sanzionatorio da essa previsto, in quanto, in caso di violazioni degli obblighi di legge, prevede unicamente sanzioni amministrative e non penali[6]. Tale circostanza insieme alle ampie previsioni derogatorie della normativa generale antinquinamento, ha provocato numerose critiche verso la sostanziale depenalizzazione degli illeciti commessi con l’uso delle sostanze inquinanti provenienti dalla lavorazione delle olive.

La Corte di Cassazione,[7] alla luce di tale preoccupazione generale, è intervenuta per restringere in via interpretativa il campo d’applicazione della disciplina di favore prevista dalla legge n.574/96, in particolare affermando che: “nell’attuale situazione normativa gli scarichi dei frantoi oleari sono regolarmente disciplinati dalla legge n.319/76, in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, tuttavia, quando gli scarichi di cui sopra hanno per oggetto esclusivo le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive allora troverà applicazione la legge 574/96 che disciplinerà lo spandimento dei reflui sui terreni adibiti ad usi agricoli.

L’art. 1 della legge 574/96 specifica, altresì, che le acque di vegetazione utilizzabili per lo spandimento, per sottostare alla disciplina di favore, non devono aver subito alcun trattamento né ricevuto alcun additivo e non devono identificarsi nelle acque per la diluizione delle paste ovvero per la lavatura degli impianti, per le quali è previsto un regime disciplinare diverso.

Il quadro normativo sugli scarichi provenienti da frantoi oleari, viene completato con le disposizioni previste dal decreto legge 152/99 dell’undici Maggio, il quale contiene disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, in ossequio alle disposizioni delle direttive 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane e 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati di origine agricola.

Il testo normativo in esame, denominato anche “Testo Unico sulle acque” si autodefinisce come un corpo disciplinare recante norme generali per la tutela delle acque, presentandosi in tal modo come momento di raccolta delle più disparate disposizioni vigenti nel settore.

Il decreto si occupa, in particolare della disciplina degli scarichi, effettuati direttamente o indirettamente dall’uomo nell’ambiente idrico, di sostanze le cui conseguenze siano tali da mettere in pericolo la salute umana, nuocere alle risorse viventi ed al sistema ecologicoidrico. Tuttavia, il decreto una volta fissata la disciplina dettagliata degli scarichi industriali, urbani ed assimilabili agli urbani, compie una differenziazione normativa per il caso in cui l’attività di scarico sia da considerarsi come “utilizzazione agronomica”, in quanto proveniente da un insediamento agricolo produttivo e non, invece, da uno stabilimento industriale. In particolare, il decreto legislativo 18 Agosto 2000 n. 258, correttivo ed integrativo del decreto 152/99, definisce la utilizzazione agronomica come la gestione di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive ovvero di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione all’applicazione al terreno, finalizzata all’utilizzo delle sostanze nutritive ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo. Dunque con tale previsione si allarga notevolmente l’ambito delle attività che possono smaltire i propri scarichi avvelendosi di una disciplina molto più benevola di quella prevista qualora lo scarico avvenga tramite condotta, basti pensare al nuovo art.38 Testo Unico sulle acque, il quale prevede che l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione provenienti dalle fonti suddette è soggetta a semplice comunicazione all’autorità competente , almeno trenta giorni prima ed è subordinata alle eventuali prescrizioni di impiego impartite entro il medesimo termine dal comune. La norma continua prevedendo che le Regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica, in particolare, fissando i tempi, le modalità di effettuazione della comunicazione, criteri e procedure di controllo, nonché misure sanzionatorie per il caso del mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni impartite.

Pertanto, è bene sottolineare che se da un lato il regime normativo dell’utilizzazione agronomica ritiene sufficiente una semplice comunicazione senza alcun obbligo di autorizzazione e quindi senza la necessità di un controllo preventivo[8], dall’altro è necessario segnalare che a fronte di un regime così agevolato il decreto sulle acque ha pevistoall’art.59 comma 11-ter, che “chiunque, effettui l’utilizzazione agronomica di cui all’art. 2 lett.n, al difuori dei casi e delle procedure ivi previste ovvero non ottemperi al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività impartito a norma di detto articolo, è punito con l’ammenda (nel caso non si rispettino le prescrizioni regionali) o con l’arresto fino ad un anno( nel caso l’utilizzazione agronomica avvenga illegittimamente per scopi diversi). Pertanto, nella pratica, vi sarà illecito penale ogniqualvolta si accerti che l’applicazione al terreno è, in realtà, finalizzata al semplice smaltimento di liquami piuttosto che all’utilizzo delle sostanze nutritive contenute nei reflui ovvero al loro utilizzo irriguo e fertirriguo.

. . Viene, pertanto, ripristinata la tutela penale per i reati connessi allo spandimento illecito dei reflui oleari, fermo restando che l’applicazione delle disposizioni appena viste è subordinata alla emanazione di un decreto interministeriale, ancora in panne, che dovrebbe chiarire, come riportato dall’art.38 del decreto 152/99, i criteri e le norme tecniche generali per la disciplina regionale sull’utilizzo agronomico delle acque di vegetazione in modo compatibile con l’ambiente.

Il decreto non è, purtroppo, ancora stato emanato, tuttavia le discussioni intorno alla questione della gestione dei reflui oleari si fa sempre più accesa, i dubbi interpretativi aumentano, soprattutto con riferimento all’applicazione delle regole ai casi concreti.

Si pensi, ad esempio, al rapporto tra decreto acque e legge n.574/96, richiamato dall’art.38 del decreto; in tal caso la legge speciale 574/96 dovrebbe interpretarsi alla luce del decreto, con la conseguenza che le sanse umide, espressamente contemplate dalla legge del 1996 insieme alle acque di vegetazione al fine della applicazione della disciplina ivi prevista, scompaiono del tutto negli articoli del decreto acque 152/99, i quali si occupano esclusivamente , dell’utilizzo agronomico dei reflui oleari. Pertanto, il trasporto delle sanse risulterebbe escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs.152/99, per ricadere nella sfera di applicazione del Ronchi sui rifiuti, anche nel caso che le sanse vengano usate per scopi agronomici.

Questo ed altri dubbi interpretativi che analizzeremo qui di seguito, richiedono un pronto intervento delle istituzioni ministeriali, il cui decreto, non ancora emanato, potrebbe contribuire ad dipanare tali questioni, ponendo fine a questo regime transitorio ancora governato dalle disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del decreto 152/99.

Le difficoltà maggiori che si pongono con riferimento alla disciplina delle acque reflue provenienti dai frantoi oleari dipendono soprattutto dai problemi interpretativi determinati dalla coesistenza di differenti regimi disciplinari relativi alle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive.

Il panorama legislativo che governa le acque di cui sopra, infatti, è assai variegato al punto da rendere quanto mai dubbiose le dinamiche normative da seguire per garantire la certezza del diritto.

Come abbiamo visto, l’art. 38 del decreto 152/99, relativo alla utilizzazione agronomica ci pone davanti ad un ottica abbastanza singolare perché per utilizzazione agronomica intende la gestione delle acque di vegetazione dalla loro produzione all’applicazione al terreno, ricomprendendo, pertanto, anche le operazioni di trasporto dei reflui (finalizzato allo spandimento sul terreno delle sostanze nutritive), che in genere vanno ad identificare operazioni di trasporto di rifiuti con l’applicazione delle norme del Ronchi. La norma dell’art.38 prevede, invece, in tali casi, l’applicazione delle disposizioni di favore contenute nella legge speciale n.574/96, saltando, pertanto, tutte le procedure autorizzatorie previste in genere per il trasporto di acque reflue liquide o semiliquide.

A fronte di questa orientamento normativo si deve riconoscere, però, che in assenza di utilizzazione agronomica, le acque di vegetazione possono essere avviate ad usi diversi, e cioè o allo scarico diretto tramite condotta nei corpi ricettori, con conseguente applicazione della disciplina prevista per gli scarichi di acque reflue domestiche dal decreto 152/99 (in quanto lo scarico di acque provenienti da insediamenti che trasformano o valorizzano prodotti agricoli è automaticamente assimilato, ex art.28 D.lgs 152/99, allo scarico domestico, quando si tratta di impresa che esercita attività di trasformazione e valorizzazione della produzione con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi dal fondo) oppure avviate allo smaltimento al pari di rifiuti speciali con conseguente applicazione delle norme sui rifiuti contenute nel Decreto Ronchi.

Considerata la complessità del quadro normativo appena accennato, si pone il doveroso compito di analizzare le diverse teorie che ruotano attorno alla natura giuridica del refluo oleario, cercando di individuare le linee guida da porre alla base del delicato compito del giurista di individuare caso per caso la disciplina da applicare concretamente.

La nostra indagine parte da una nota del Ministero dell’Ambiente del 14 luglio 2003 indirizzata all’UNFO (Unione Nazionale Frantoiani Oleari), la quale chiedeva al Dipartimento per la protezione ambientale chiarimenti sulla opportunità o meno di adottare, nel caso un frantoio utilizzi per usi agronomici le acque di vegetazione e le sanse vergini ai sensi della legge n.574/96, i formulari di trasporto di cui all’art.15 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n.22.

In merito al quesito la nota del Ministero dell’Ambiente specifica che l’art.8 del decreto Ronchi esclude dal campo di applicazione dello stesso quei rifiuti agricoli rappresentati da “materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell’attività agricola ed in particolare i materiali liquidi e vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici”[9].

La ratio dell’esclusione è da rintracciare in una duplice considerazione: innanzitutto, il legislatore ha inteso sottrarre alla disciplina sui rifiuti, sostanze che, per la loro natura, vengono normalmente riutilizzate e non sono pericolose per l’ambiente; inoltre tali sostanze trovano la loro disciplina in leggi specifiche, formulate appositamente, quali la legge 574/96, la quale nel fissare le modalità di stoccaggio e spandimento non impone alcun obbligo di riferimento alla tenuta dei registri di carico e scarico alla compilazione dei formulari di trasporto. La nota fa riferimento, inoltre al decreto 152/99, il quale nel definire il concetto di utilizzazione agronomica precisa che in esso vanno ricomprese anche le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive quando il loro uso è finalizzato a scopi irrigui e fertirrigui.

Conseguentemente la Direzione per la protezione dell’Ambiente esclude dal campo di applicazione del decreto Ronchi sui rifiuti, le acque di vegetazione e le sanse vergini che sono utilizzate in agricoltura e, pertanto, non è richiesta la compilazione del formulario di identificazione per il trasporto di tali materiali..

La nota precisa, inoltre, che le considerazioni appena svolte sono valide nei casi in cui vengono soddisfatte le seguenti condizioni:

- che le acque di vegetazione e gli scarichi dei frantoi oleari siano destinati allo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo e che siano effettivamente oggetto di utilizzazione agronomica ai sensi della legge 574/96. Tali circostanze dovranno essere adeguatamente dimostrate e comprovate in tutte le fasi di gestione, nell’ipotesi di controllo degli organi competenti.

- Che i materiali utilizzati siano costituiti da sostanze naturali non pericolose conformemente alla legge 574/96. in particolare, le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive non devono aver subito alcun trattamento, né ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la diluizione delle paste, ovvero per la lavatura degli impianti. Sul punto occorre precisare che durante le fasi di movimentazione, trasporto e stoccaggio delle acque di vegetazione e delle sanse umide devono essere utilizzati mezzi idonei e devono essere adottate le cautele necessarie al fine di evitare ogni forma di inquinamento e contaminazione con sostanze suscettibili di alterare la natura e la qualità delle acque stesse, rendendoledifferenti da quelle contemplate dalla legge 574/96, o potenzialmente inquinanti;

- Che l’interessato, con almeno 30 giorni di anticipo dalla distribuzione, abbia presentato comunicazione al Sindaco del Comune in cui sono ubicati i terreni, con la prescritta relazione informativa debitamente redatta da un tecnico professionista iscritto all’albo professionale;

- Che lo spandimento sia effettuato per i quantitativi consentiti, rispettando le modalità e le esclusioni previste dalla legge in questione.

Venendo meno una o più delle condizioni sopra citate, in particolare qualora i materiali di cui all’oggetto non siano effettivamente ed oggettivamente destinati all’utilizzazione agronomica o vengono utilizzati in maniera non conforme alla legge 574/96, oppure siano recuperati o smaltiti diversamente, sono da considerare rifiuti speciali e pertanto devono essere sottoposti alla normativa generale in materia di rifiuti.

A questo punto non resta altro che vedere l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, la quale, in ordine alla materia in esame ha dimostrato orientamenti contrastanti. Si pensi che la sezione terza del Supremo Collegio, nella sentenza 12 luglio 2002, n.26614, sosteneva sulla natura dei reflui oleari il principio per cui essendo i frantoi oleari installazioni in cui si svolgono attività di produzione di beni e le relative acque di scarico sono diverse da quelle domestiche (derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche) vige per essi il principio generale della autorizzazione preventiva ex art. 45 decreto acque, anche laddove recapitano in fognatura. In difetto lo scarico delle acque è sanzionato ex art.59, comma 1 del decreto 152.

A fronte di questo orientamento la Corte di Cassazione nel 2003 con la sentenza del 3 ottobre n.37562, afferma un principio completamente opposto a quello appena visto, per cui la Suprema Corte afferma che le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive, che non hanno subito alcun trattamento, né ricevuto alcun additivo ad eccezione per le acque per la diluizione della pasta ovvero per la lavatura degli impianti non sono rifiuti ex articolo 1 della legge 574/96 e possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo, purchè autorizzato dal Sindaco e ciò nei tempi, modi e quantitativi previsti. La Corte continua affermando che l’interessato, ossia il titolare del frantoio o il proprietario dei terreni, ove sia stato autorizzato dal Sindaco, non è soggetto alla normativa sui rifiuti anche per la fase del trasporto, se risulta in modo certo ed obiettivo la destinazione al riutilizzo.

Sulla base della nota ministeriale e della sentenza della Cassazione del 3 ottobre 2003 sembra, dunque, che i residui oleari sono del tutto esenti dalla normativa sui rifiuti ed acque di scarico se diretti verso la utilizzazione agronomica.

Il quadro normativo di riferimento, per quanto detto sopra, potrebbe risultare assai chiaro, tuttavia, secondo la nostra opinione la coesistenza di tre corpi normativi, ovverosia la legge 574/96, il Dlgs 22/97 (in particolare il Dm integrativo 5 febbraio 1998) ed il Dlgs.152/99, recanti disposizioni diverse sulle acque di vegetazione delle olive, fa sorgere legittimi dubbi su quale disciplina deve essere applicata.

Una ricostruzione della disciplina applicabile alle acque di vegetazione delle olive deve, pertanto, passare attraverso una opera di ridefinizione dei confini giuridici tra rifiuti liquidi ed acque di scarico.

Innanzitutto ricordiamo che il Dlgs 22/97 rappresenta la legge-quadro in materia di inquinamento e disciplina tutti i rifiuti solidi e liquidi nonché gli scarichi indiretti, tranne le acque di scarico direttamente convogliate tramite condotta sui corpi ricettori, che trovano la loro disciplina nel decreto 152/99.

Dal punto di vista pratico ciò vuol dire che lo scarico diretto di acque reflue verso un corpo ricettore, pur passando da un impianto di depurazione dovrà essere autorizzato ed eventualmente sanzionato sulla base delle disposizioni del Dlgs 152/99.

Mentre se le acque reflue vengono preliminarmente riversate in un contenitore (aziendale o privato) avremo un rifiuto liquido disciplinato dal Dlgs. 22/97; in particolare il tipo di contenitore /vasca, cisterna, fusti, ecc.) rappresenta il deposito temporaneo; il veicolo che preleva tali liquami per trasferirli altrove è un trasportatore che trasporta rifiuti e deve, pertanto, essere iscritto all’Albo gestori rifiuti e compilare il formulario di identificazione dei rifiuti; l’impianto che riceve tali rifiuti liquidi costituiti da acque reflue è un impianto di trattamento dei rifiuti che deve essere autorizzato in base alla disciplina del decreto 22/97.

L’impianto di trattamento di rifiuti, dovrà infine operare uno scarico diretto verso un corpo ricettore, pertanto, solo per tali acque reflue in uscita, l’impianto sarà soggetto alla disciplina autorizzatoria e sanzionatoria del decreto legislativo 152/99[10].

Queste appena descritte rappresentano le giuste dinamiche normative da seguire per effettuare uno scarico indiretto di acque reflue, senza creare confusione tra norme che disciplinano oggetti in parte simili.

La Corte di Cassazione, consapevole delle difficoltà appena accennate, nella sentenza 3 agosto 1999, n.2358 ha precisato che prendendo atto della parziale coincidenza tra acque di scarico e rifiuti liquidi si deve assumere come criterio di discrimine tra le due discipline non già la differenza della sostanza, bensì la diversa fase del processo di trattamento della sostanza, riservando alla disciplina della tutela delle acque solo la fase dello scarico, cioè quella dell’immissione diretta nel corpo ricettore.

Ciò posto vediamo ora quale disciplina va applicata alle acque di vegetazione dei frantoi oleari.

Il punto di partenza delle nostre osservazioni è rappresentato dalla definizione data dal decreto acque sul concetto di utilizzazione agronomica, la quale ricomprende “la gestione delle acque di vegetazione della lavorazione delle olive, dalla loro produzione all’applicazione al terreno, finalizzata all’utilizzo delle sostanze nutritive ovvero al loro utilizzo irriguo e fertirriguo”. Dalla definizione appena data non emerge alcuna esenzione dal regime rifiuti o acqua, pertanto, le acque di vegetazione delle olive potrebbero essere ricondotte all’interno dei due corpi normativi.

In particolare, è giusto affermare, secondo noi, che tali reflui possono ricondursi entro la categoria dei rifiuti speciali allo stato liquido e non invece entro quella delle acque di scarico, proprio nella misura in cui le acque di vegetazione dei frantoi oleari non sono convogliate direttamente tramite condotta sui terreni che vanno ad irrorare, mancando una condotta che metta in comunicazione diretta il frantoio ed il terreno. A ciò si aggiunga che le acque di vegetazione sono espressamente indicate nel Dm 5 febbraio 1998 sul recupero agevolato dei rifiuti pericolosi; in particolare il legislatore determina le caratteristiche dei reflui oleari considerandoli come “rifiuti liquidi risultanti dalla spremitura e lavorazione delle olive. A conferma di quanto appena detto si può riportare la opinione della Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che l’autorizzazione allo scarico per i frantoi oleari, insediamenti produttivi, è sempre necessaria, dovendosi parificare i reflui ad acque reflue industriali, mentre la utilizzazione agronomica è sottoposta a disciplina e sanzioni distinte. Una cosa è, infatti, lo scarico altra cosa è l’utilizzazione agronomica, eventualmente successiva, di tutto o parte del contenuto dello scarico.

Pertanto, sulla base di tali riferimenti giurisprudenziali, riteniamo sia giusto osservare che le norme che regolano l’utilizzazione agronomica dei reflui oleari si riferiscono alla fase finale dello smaltimento dei reflui e della loro destinazione alternativa, mentre tutte le altre attività di raccolta, trasporto, stoccaggio delle acque di vegetazione delle olive provenienti con continuità da frantoi rientrano nel concetto di smaltimento di rifiuti speciali, e, come tali, risultano soggette ad autorizzazione regionale o provinciale; ne deriva, poi, che in mancanza di dette autorizzazioni tale attività andrebbe punita con la pena dell’arresto o della ammenda ex art.51, 1°comma, d.lgs n.22/97.

Contrariamente alla teoria ora esposta una parte della dottrina ritiene che le operazioni di raccolta e di trasporto dei reflui oleari finalizzate ad un loro uso agronomico (magari all’interno della stessa azienda) rientrano nelle operazioni di gestione agronomica delle acque di vegetazione, in quanto, così come specificato dall’art.28 Dlgs.152/99, l’utilizzazione agronomica prende in considerazione la fase che va dalla produzione alla applicazione al terreno e per l’applicazione al terreno è necessario che vi sia raccolta e trasporto.

A noi sembra più convincente è prudente la prima teoria non fosse altro perché tra le due è sicuramente quella che garantisce maggiori controlli su operazioni molto delicate che riguardano sostanze che possono divenire nocive se sversate illegalmente o secondo modalità sbagliate.

Infine non bisogna dimenticare che il regime tecnico-amministrativo di favore previsto dalla legge 574/96 è fissato solo se le acque in esame sono destinate ad utilizzazione agronomica, pertanto l’esclusione opera solo se si sostanzia in una operazione di recupero, altrimenti si dovrà fare riferimento ad altre discipline; in particolare, se le acque di vegetazione non sono utilizzate per fini agronomici, tali reflui verranno sottoposti ad alcuni processi di depurazione, dai quali si origina una fase liquida soggetta alla norma sulla tutela delle acque ed una fase solida soggetta invece al decreto legislativo 27 gennaio 1992 n.99, relativo all’attuazione della direttiva 86/278 concernente la protezione del suolo nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura; ed alla legge 748/84 che disciplina i fertilizzanti.

LO SMALTIMENTO ILLEGALE DEI REFLUI OLEARI

Lo smaltimento illegale dei reflui oleari purtoppo, costituisce oggi una comoda alternativa all’attività di regolare utilizzazione agronomica. In particolare è possibile rintracciare nelle realtà frantoiane numerosi casi di sversamenti illegali tra cui menzioniamo[11]:

- le azioni di singoli soggetti committenti e singoli trasportatori che per evitare di raggiungere i siti di gestione autorizzati riversano i reflui oleari in tombini, pozzi, fiumi o terreni in modo disarticolato e puntiforme sul territorio;

- i sistemi di smaltimento illegali sviluppati a livello associativo ed organizzativo in modo sistematico e stabile, per favorire la gestione illecita in alternativa permanente agli impianti o destinazioni regolari.

- In ambedue i casi si generano gravi danni per l’ambiente e per i depuratori comunali che vanno in avaria a causa del sopraggiungere improvviso di tali riversamenti a monte nel sistema fognario con problemi gravi di intasi.

È fuori discussione che nei casi di smaltimento illegale di reflui oleari le disposizioni sulla utilizzazione agronomica non hanno ragione di entratre in applicazione perché ne manca il presupposto, ovverosia la utilizzazione agronomica.

Dunque se non scatta la norma in deroga, si applicherà la norma generale cioè il decreto Ronchi sui rifiuti se i reflui sono riversati in vasca; il decreto legislativo 152/99 se vi è scarico mediante canalizzazione diretta verso un corpo ricettore. La stessa nota ministeriale, già citata sopra, concorda con quanto appena detto, infatti, essa precisa che “ quando viene meno l’utilizzazione agronomica dei reflui oleari, oppure vengono utilizzati in maniera non conforme alla legge 574/96, oppure sono recuperati o smaltiti diversamente, sono da considerarsi rifiuti speciali e pertanto devono essere sottoposti alla normativa generale in materia di rifiuti. Ne deriva che in assenza di utilizzazione agronomica dei reflui oleari il responsabile di tali reflui dovrà provvedere a produrre un registro di carico e scarico, dovrà compilare il formulario in sede di trasporto ed infine i rifiuti dovranno essere diretti verso un impianto dedicato al loro smaltimento finale, tutto secondo le regole del decreto 22/97.

Se poi tali rifiuti vengono mantenuti o spediti in violazione di tali regole allora si avrà una gestione illecita di rifiuti e si applicheranno le norme previste per i reati di smaltimento illegale o di realizzazione di discarica abusiva.

Dinanzi a tali dinamiche regolamentari, si pone, tuttavia, un ostacolo di non poco conto, poichè la disciplina del frantoio è a tempo variabile, proprio nella misura in cui, in una stagione il frantoio può accedere alla pratica della utilizzazione agronomica, con la conseguente applicazione della disciplina di favore; mentre in quella successiva ciò potrebbe non accadere, con la conseguenza che tutto ritorna ad essere rifiuto e, pertanto, dovrebbe applicarsi la disciplina generale sui rifiuti.

In questa situazione, ci si chiede come può un organo di vigilanza svolgere una attività di controllo sul corretto smaltimento delle acque di vegetazione delle olive, considerato che il punto di partenza dell’indagine risulta quanto mai occultabile dagli operatori.

La questione resta aperta in attesa di un atto ministeriale che faccia chiarezza sulle condizioni formali che i gestori dei frantoi oleari devono seguire per garantire non solo una corretta gestione delle acque di vegetazione ma anche la certezza dei controlli sul loro operato.

IMPRESA AGRICOLA SECONDO LE NORME ANTIINQUINAMENTO

Una ultima questione assai importante, cui è necessario dedicare una breve parentesi, per completare il quadro disciplinare ed i relativi problemi sulla gestione delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, è quella relativa alla qualificazione giuridica dell’impresa agricola, ai fini dell’applicazione delle norme antinquinamento.

La questione si pose al centro di duri dibattiti dottrinali con la legge n°690/76, la quale statuiva in maniera inequivoca il principio per cui le imprese agricole di cui all’art. 2135 c.c. sono considerate insediamenti civili[12].

Tale qualificazione veniva immediatamente criticata in dottrina ed in giurisprudenza, in virtù della potenziale capacità inquinante tipica della maggior parte delle attività agricole, che fanno regolare uso di pesticidi, diserbanti, fertilizzanti oppure per il limite dell’insediamento (tipico il caso degli allevamenti zootecnici).

Il dibattito dottrinale si accese fino al punto da indurre il legislatore all’adozione della delibera 8 Maggio 1980, la quale ebbe il merito di fissare i criteri restrittivi[13], poi oggetto di puntuale specificazione da parte di numerosissime sentenze di giudici di merito e di legittimità, che, in sintesi, hanno finito per consolidare il principio in forza del quale “spetta al giudice di merito valutare caso per caso, tutti gli elementi della fattispecie, quale la connessione funzionale con l’attività di coltivazione agricola, la rilevanza delle strutture organizzative produttive, gli aspetti dimensionali e tecnologici.

La natura di insediamento civile, pertanto, doveva essere esclusa ogniqualvolta l’attività di allevamento di bestiame, per esempio, non fosse connessa con carattere di complementarietà, con la coltivazione della terra, non potendosi in tali casi qualificare assimilabile all’insediamento.

Il decreto 152/99 ritocca le regole per l’individuazione delle imprese agricole ricorrendo alla indicazione di criteri che traggono spunto da formule, definizioni ed espressioni terminologiche normalmente adottate in tema di impresa agricola.

In particolare, non è rinvenibile nel testo una definizione organica di impresa agricola, dovendo il giudice, di volta in volta, verificare l’esistenza delle condizioni previste all’interno delle definizioni, contenute nell’art.2 del decreto, come quelle di: applicazione al terreno, bestiame, affluente di allevamento, fertilizzante, nonché il criterio, sopra enunciato, dell’assimilabilità.

Il legislatore del 1999 ha, così, inteso attribuire dignità normativa a quei criteri individuati dalla giurisprudenza di legittimità elaborati al fine di evitare frettolose equiparazioni alla disciplina degli scarichi di acque reflue urbane[14].



[1] Le notizie sono tratte la un lavoro di tesi presso l’Università di Bologna: Alessandra Botoli, il recupero e la gestione delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, 2004.
[2] I riferimenti scientifici sulle caratteristiche organolettiche delle olive, soggette a lavorazione da parte dei frantoi, ed i loro effetti sul suolo e le acque sono contenuti in : Fulvio Ciancabilla, Alessandra Botoli, Silvia Goldoni,- facoltà ingegneria, Bologna- Il recupero e la gestione delle acque di vegetazione dei frantoi oleari.
[3] Cass.pen., 23 giugno 1986, Bartoletti, in Riv. Pen, 1987, pag.673: “ un frantoio oleario, anche se attivato solo stagionalmente e mediante un procedimento di semplice frangitura delle olive, non può essere qualificato insediamento civile, ma deve considerarsi un insediamento industriale capace di produrre sostanze inquinanti”.
[4] L’art.1 della legge 574/96 definisce l’utilizzazione agronomica: “le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive che non hanno subito alcun trattamento né ricevuto alcun additivo ad eccezione per le acque per la diluizione delle paste ovvero per la lavatura degli impianti possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad usi agricoli”.
[5] L’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione è subordinata alla comunicazione da parte dell’interessato al sindaco del comune in cui sono ubucati i terreni, almeno entro trenta giorni prima della distribuzione di una relazione redatta da un agronomo, perito agrario o agrotecnico o geologo iscritto nel rispettivo albo professionale, sull’assetto pedomorfologico, sulle condizioni ideologiche e sulle caratteristiche in genere dell’ambiente ricettivo, con relativa mappature, sui tempi di spandimento previsti e sui mezzi meccanici per garantire una idonea distribuzione.
[6] Art.8 legge 574/96 : chiunque proceda allo spandimento delle acque di vegetazione senza procedere alla preventiva comunicazione di cui all’art.3 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria…..”.
[7] Cass.pen.,Sez.III, sent, n.9141 del 9 ottobre 1997 .
[8] Si noti che il nuovo testo dell’art. 38, comma 3, lett.b prevede che la disciplina regionale possa stabilire specifici casi di esonero anche dall’obbligo di comunicazione.
[9] L’art.8 comma. 2 lett.a del Decreto Ronchi stabilisce che: “sono esclusi dal campo di applicazione del decreto, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: i materiali litoidi o vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole o di conduzione dei fondi rustici comprese le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli
[10] Per la ricostruzione del rapporto tra decreto 152/99 e decreto 22/97 vedi : Mariarita D’Addezio e Gioia Maccioni, La giurisprudenza sulla gestione dei reflui oleari tra normativa sulla tutela delle acque e normativa sui rifiuti, Giuffrè, Milano, 2002 pag.788
[11] Sulle ipotesi di illegale spandimento dei reflui vedi : il riciclo dei reflui oleari, supplemento de L’informatore agrario 21-27 dicembre 2001;
[12] L’art.2135 c.c. recita: è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo , selvicoltura, allevamento di animali ed attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura, e pere allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale ed animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimi imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, del bosco, o dall’allevamento del bestiame, nonché le attività alla fornitura di beni e servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitale come definite dalla legge.
[13] In particolare: 1)impresa agricola con attività diretta 4esclusivamente alla coltivazione del fondo e alla silvicoltura; 2) allevamento di bovini, equini, ovini, suini,pollame, conigli con ettaro per 40 q. do bestiame vivo; 3)impresa con attività di trasformazione e valorizzazione della produzione inserite con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo ma con materia prima lavorata proveniente per almeno due terzi dalla coltivazione del fondo.
[14] Per un approfondimento degli aspetti penali del decreto 152/99 si veda Pasquale Figiani, acqua, rifiuti e tutela penale, Giuffrè, 2000