Corte Assise Perugia del 4 luglio 2016
Pres. Mautone Est. Noviello
Acque.Effluenti da allevamento di animali

In materia di abusivo esercizio della attività di cd. “utilizzazione agronomica” di effluenti da allevamento di animali, può assumere rilievo non solo l’analisi delle concrete modalità di spandimento dell’effluente medesimo, ma anche la verifica degli adempimenti formali di comunicazione e attestazione previsti dalla normativa vigente, la cui contraddittorietà, infondatezza, mancanza o incompletezza può costituire valido indizio per escludere il corretto esercizio della suddetta pratica. E’ inoltre necessario, al fine di valutare la sussistenza del reato di “attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti”, verificare le modalità operative di realizzazione dello spandimento sul suolo degli effluenti, potendo rientrare nel delitto ex art. 260 Dlgs 152/2006 solo quelle quantità che abbiano assunto la qualifica di “rifiuto liquido”, con esclusione quindi, degli effluenti che siano stati riversati sui terreni con modalità tali da ricondurli nell’ambito del regime dei cd. “reflui”. Possono così ricondursi nell’ambito dell’art. 137 comma 14 Dlgs 152/2006 le pratiche di utilizzazione agronomica "irregolari" solo se operate mediante scarico “diretto” e all'alveo delle norme sui rifiuti (tra queste l'art. 256 comma IV del Dlgs 152/2006) le analoghe pratiche irregolari operate invece mediante sversamento di rifiuto liquido ovvero scarico "indiretto".  Ove invece si volesse interpretare l’art. 137 comma 14, nel senso di comprendere nel relativo regime tutte le pratiche “irregolari” di “utilizzazione agronomica”, a prescindere dallo sversamento in termini di “rifiuto liquido” piuttosto che di “reflui”, la norma dovrebbe disciplinare solo casi di rilievo puramente formale, privi di riflessi di tipo sostanziale e caratterizzati pur sempre da un pieno, comprovato e adeguato utilizzo agronomico del refluo in rapporto al corpo recettore. Ciò in quanto il citato art. 137 comunque presuppone che a monte vi sia pur sempre una attività che possa considerarsi di utilizzazione agronomica: ""chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti ....al di fuori dei casi e delle procedure...". Con riconduzione comunque, nel regime di cui agli artt. 256 e ss. del Dlgs 152/06, di tutti i casi di riversamento di “rifiuto liquido” che esorbitino dall’ambito della corretta ed “effettiva” utilizzazione agronomica.

CORTE DI ASSISE DI PERUGIA


N. 2/12 R. G. Corte d’Assise
RG 2680/06    N.R.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Assise di Perugia riunita in camera di consiglio e composta dai signori:
Dr. Gaetano Mautone         Presidente
Dr. Giuseppe Noviello        Giudice est.
Paolozzi Giovanni        Giudice Popolare Effettivo
Brughini Fabio            Giudice Popolare Effettivo
Mattioli Mario Patrizio      Giudice Popolare Effettivo
Trovarelli Elsa             Giudice Popolare Effettivo
Tedeschi Fiorenza         Giudice Popolare Effettivo
Gaggia Silvia             Giudice Popolare Effettivo

ha pronunciato e pubblicato in data 4.7.2016 mediante lettura del dispositivo, la seguente
S E N T E N Z A
Nei confronti di:
Omissis

IMPUTATI
Omissis:
A) Delitto di cui all’art. 416 c.p. perché SIENA, MATTONI Giovanni, TAGLIONI, POLINORI, MESCHINI E TAGLIONI Renato in qualità, rispettivamente, di presidente, vicepresidente e consiglieri della CODEP s.c.a.r.l. con sede in Bettona; lo stesso POLINORI, ZANOTTI, MENCARELLI, LONGETTI in qualità di imprenditori e legali rappresentanti delle rispettive aziende conferenti all’impianto pubblico di depurazione reflui di Bettona gestito da CODEP s.c.a.r.l. si associavano tra di loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati contro l’ambiente, la salute pubblica e la fede pubblica, con il concorso di soggetti di volta in volta diversi, partecipando in modo continuativo e permanente al sodalizio costituito, promosso ed organizzato da MATTONI, POLINORI e SIENA, dedito al conseguimento di ingenti profitti illeciti, operando nel settore della illecita gestione di rifiuti speciali non pericolosi costituiti principalmente da effluenti liquidi e solidi prodotti presso l’impianto di depurazione comunale (CER 190605 CER 190606) e derivanti dal trattamento di reflui zootecnici ed acque di vegetazione (CER 020106 e 020399), provenienti dalle aziende di consociati e utenti, conferiti all’impianto medesimo. In particolare il sodalizio operava mediante l’irregolare e non autorizzata gestione dell’impianto al fine di consentire ai consociati di disfarsi agevolmente degli enormi quantitativi dei rifiuti prodotti dalle proprie aziende zootecniche, lucrando sia sui notevoli risparmi derivanti dallo smaltimento illecito, anche attraverso falsi conferimenti di terreni, da parte dei proprietari, per rendere formalmente legittima l’attività finale di utilizzo agronomico dei reflui liquidi trattati; sia sui proventi e le utilità derivanti dalle illecite attività connesse all’esercizio dell’impianto in violazione di legge, così come specificato nei capi che seguono.
In Bettona, fino al luglio 2009

Omissis
B) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112 c.p., 260 D.Lgs. nr. 152/2006 perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di conseguire (MENCARELLI, MATTONI, LONGETTI, POLINORI, TAGLIONI, ZANOTTI E BERRETTA quali imprenditori) o far conseguire (SIENA quale presidente CODEP, MATTONI anche in qualità di vicepresidente CODEP, TAGLIONI quale amministratore CODEP maggiormente impegnato sotto il profilo operativo, BERRETTA anche quale autotrasportatore iscritto nella speciale sezione regionale dell’albo nazionale per la gestione dei rifiuti, D’AMICO quale responsabile dell’A.R.P.A. territorialmente competente, BAGNETTI e MENGANNA quali tecnici dell’A.R.P.A. e ufficiali di p.g. territorialmente competenti) un ingiusto ed ingente profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestivano e consentivano la gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi (fino ad oltre 360.000,00 m.c. annui) costituiti principalmente da effluenti liquidi (CER 190605) e solidi (CER 190606) derivanti dal trattamento di reflui zootecnici (CER 020106) ed acque di vegetazione (CER 020399) provenienti da varie aziende (associate e non a CODEP), conferiti all’impianto di depurazione comunale gestito dalla società cooperativa agricola CODEP, o di ingenti quantitativi di terre e rocce da scavo (CER 170504) derivanti da lavori edili eseguiti da SIENA in maniera abusiva.
In particolare:
MENCARELLI, POLINORI e ZANOTTI procedevano allo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti provenienti dall’allevamento condotto da MENCARELLI (in soccida con POLINORI) e dall’allevamento dello ZANOTTI, mediante abusiva utilizzazione delle strutture dell’impianto di depurazione del comune di Bettona, nonostante fossero stati esclusi da tale servizio di depurazione sin dal 14.2.2008 con DGC 28/08.
POLINORI, nella duplice qualità di imprenditore a capo di aziende proprie o familiari (La collina di Rinaldo Polinori, Agricola Polinori di Bettona, Agricola Polinori di Bastia Umbra) e amministratore CODEP, procedeva continuativamente nel corso degli anni allo smaltimento illecito dei rifiuti derivanti dai propri allevamenti conferendoli all’impianto gestito da CODEP, formando allo scopo documentazione mendace, come la dichiarazione del 23.4.2009 indirizzata al comune di Bettona (prot. N. 3812 del 27.4.2009 con la quale attestava:
la regolare appartenenza al proprio gruppo imprenditoriale dell’azienda MENCARELLI (esclusa con DGC 28/2008);
una capacità di stoccaggio nel proprio bacino di 20.000 mc a fronte di una relazione dell’A.R.P.A. del 5.5.2009 che ne riferiva l’inidoneità ed una volumetria di circa 16.000;
una falsa autonomia di gestione degli stessi effluenti per l’applicazione su propri terreni situati a Cannara e concessi in locazione a terzi, non consentita per vincoli normativi (mancanza del P.U.A. previsto dalla DGR N. 456/08) e non autorizzata dallo stesso comune di Cannara (prot. N. 4920 del 7.5.2009);
LONGETTI, nella sua qualità di imprenditore zootecnico e autotrasportatore, metteva abusivamente e ripetutamente a disposizione del sodalizio il proprio automezzo per il trasporto dei liquami, attestando anche quantitativi inferiori a quelli effettivi; procedendo, altresì, irregolarmente ad una propria utilizzazione agronomica dei reflui (comunicazione preventiva del 24.10.2008), sugli stessi terreni posti al medesimo scopo nella disponibilità di CODEP (con comunicazione preventiva del 21.9.2007) e, comunque, utilizzandone solo 2,67 ettari dei 10,86 dichiarati, con notevole alterazione del rapporto liquami/ha e conseguente superamento dei limiti di legge in materia di concentrazione degli inquinanti; senza la predisposizione del P.U.A. previsto dalla DGR n. 456/08, e con dichiarazioni mendaci circa i dati analitici relativi al contenuto di azoto (inferiori a quelli effettivi).

SIENA, MATTONI, POLINORI e TAGLIONI, nelle rispettive qualità di presidente, vicepresidente e consiglieri di amministrazione della CODEP S.C.A.R.L., soggetto gestore dell’impianto comunale, consentivano l’abusivo utilizzo dello stesso agli allevatori MENCARELLI, LONGETTI, lo stesso POLINORI e ZANOTTI.

SIENA, MATTONI e TAGLIONI, nelle rispettive predette qualità, MATTONI  e TAGLIONI  anche quali autotrasportatori in conto proprio, LONGETTI quale trasportatore in conto proprio, ex socio ed ex consigliere di amministrazione della CODEP S.C.A.R.L.,  procedevano in maniera costante e continuativa allo smaltimento illecito dei rifiuti liquidi e solidi prodotti presso l’impianto di depurazione (CER 190605 e 190606) in  assenza di autorizzazioni (perché scadute ad ottobre 2007), simulando un’attività di tipo agronomico, peraltro condotta in maniera illegittima, procedendo allo spandimento sui terreni sia mediante l’anello irriguo fisso (per i rifiuti liquidi), sia mediante il trasporto con automezzi non idonei (per i rifiuti liquidi e solidi) anche presso impianti non autorizzati (impianto a biomasse ubicato in Bevagna), producendo irregolari (schede di trasporto in luogo dei FIR) e falsi documenti di trasporto sia in relazione alla natura dei rifiuti, che alle destinazioni che ai quantitativi di rifiuti trasportati.

SIENA, ZANOTTI e BERRETTA, nelle rispettive predette qualità, procedevano allo smaltimento illecito dei rifiuti liquidi e solidi prodotti presso l’allevamento dello Zanotti e conferiti all’impianto gestito da CODEP (CER 190605 e 190606), mediante il trasporto e lo spandimento sui terreni, non redigendo (per il periodo febbraio-marzo 2008) o falsificando (nel periodo maggio-giugno 2008) i documenti di trasporto in relazione alla natura del rifiuto e alle destinazioni, attestando falsamente un’attività di spandimento agronomico. In particolare il BERRETTA, proprietario di un autoespurgo, effettuava 144 trasporti di rifiuti (dall’ 8.5.2008 al 17.6.2008 per un quantitativo stimato in 1152 mq) in assenza di esatta indicazione dei terreni, degli estremi delle comunicazioni per l’utilizzo agronomico, di attestazioni sui pesi effettivi, occultando di conseguenza la destinazione finale e il reale quantitativo dei reflui smaltiti; nonché 31 trasporti di rifiuti (dal 25.2.2008 al 21.3.2008 per un quantitativo stimato in 248 mq), non documentati, ma regolarmente pagati dalla Vapor dello Zanotti, come da report di lavorazione nr. 416 allegato alla fattura emessa dal Berretta in data 3.4.2008.

SIENA e MATTONI gestivano illecitamente, unitamente a RANALLETTA Renzo in qualità di autotrasportare (deceduto), ingenti quantitativi di rifiuti costituiti da fanghi derivanti dal trattamento presso l’impianto CODEP (CER 190606 per circa 400 mc), mediante l’illecito invio, verosimilmente in Abruzzo, con automezzo di proprietà del citato RANALLETTA (nel periodo marzo-luglio 2008);

D’AMICO Susanna, BAGNETTI Antonio, MENGANNA Claudio:
con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso nella loro qualità di pubblici ufficiali funzionari dell’A.R.P.A. di Bastia Umbra con funzioni di controllo (D’AMICO Susanna quale pubblico ufficiale responsabile dell’ufficio, BAGNETTI Antonio e MENGANNA Claudio quali tecnici appartenenti allo stesso ufficio e ufficiali di p.g.), omettendo continuativamente e in modo mirato i controlli di loro competenza, ovvero evitando di rilevare e di riferire o riferendo in maniera errata, sia all’AG che all’Autorità Amministrativa, le numerose violazioni di legge commesse nel tempo, consentivano ai correi, la gestione illecita di ingenti quantitativi (fino a oltre 360.000 mc annui) di rifiuti speciali non pericolosi costituiti principalmente da rifiuti liquidi (CER 190605) e solidi (CER 190606) derivanti dal trattamento di reflui zootecnici (CER 020106) acque di vegetazione (CER 020399), fanghi di depurazione di mattatoi (CER 020204) e fanghi di depurazione degli zuccherifici (CER 020403) provenienti da varie aziende (associate e non a CODEP), conferite all’impianto di depurazione comunale gestito dalla società cooperativa agricola CODEP, nonché di ingenti quantitativi di terre e rocce da scavo (CER 170504) derivanti da lavori edili eseguiti per conto dello stesso sodalizio.
In particolare:
TUTTI omettevano controlli e contestazioni a CODEP o ai soci autorizzati, in relazione alla DGC 57 del 17.4.2008 (emanata dopo conferenza di servizi alla quale avevano partecipato anche D’AMICO e BAGNETTI in rappresentanza di A.R.P.A.), con la quale si consentiva il ristallo di 40.000 capi suini (parte dei quali già presenti negli allevamenti in violazione delle OO.SS. nr. 46 del 20.9.2007 e nr. 20 del 15.3.2008 che vietavano il ristallo) a condizione del rispetto di specifiche prescrizioni quali l’abbassamento del livello dei reflui contenuti nella laguna di stoccaggio già satura, o la predisposizione da parte di CODEP di strumenti di monitoraggio presso gli allevamenti conferenti, nonché la sospensione del servizio qualora non fossero state rispettate le prescrizioni. Nonostante il ristallo avvenisse in violazione delle citate prescrizione, i tecnici in questione nulla rilevavano, tanto da stimolare autonomi controlli da parte della direzione generale di A.R.P.A. che adottava specifici richiami e contestazioni (note nr. 9123 del 30.4.2008, n. 11948 del 9.6.2008, n. 19961 del 30.9.2008), rilevando preoccupanti livelli di reflui presenti in laguna e indicando procedure da seguire per un più efficace monitoraggio delle condizioni ambientali, fino a giungere alla richiesta al comune di Bettona di vietare il conferimento all’impianto, come previsto nella stessa DGC citata.
In seguito a controlli disposti d’autorità dal superiore dipartimento provinciale di A.R.P.A. con la nota 12402 del 13.6.2008, l’ufficio A.R.P.A. facente capo alla D’AMICO riferiva falsamente come regolare l’illecito conferimento e gestione di rifiuti liquidi da parte del sodalizio ad impianto non autorizzato a riceverli (IRACI di Bevagna), ispezionato da BAGNETTI E MENGANNA nonostante fosse ubicato fuori dalla propria giurisdizione (vds relazione al dipartimento provinciale di A.R.P.A. per controlli del 3.7.2008);
D’AMICO, BAGNETTI e MENGANNA omettevano la contestazione di irregolarità agli allevamenti VAPOR di ZANOTTI e ACEM di MENCARELLI (utenti non soci esclusi dal servizio con DGC nr. 28 del 14.2.2008 dopo l’esame della loro posizione di cui alla DGC 59 del 19.11.2007, VAPOR già esclusa dal servizio con la DGC nr. 40 del 15.10.2007), facenti parte del sodalizio ed oggetto di misura cautelare, e all’allevamento di CIOTTI Mario (escluso dalla società CODEP nel gennaio 2008), i quali conferivano abusivamente i propri effluenti all’impianto, aggravandone la funzionalità, nonostante i tecnici in questione fossero al corrente sia delle loro posizioni che dei conferimenti poiché indicati nei continuativi censimenti effettuati dalla USL e in possesso anche dell’ufficio A.R.P.A. facente capo alla D’AMICO, come dimostrato dalla nota senza numero (prot. N. 1214 del 5.2.2008 del comune di Bettona) a firma D’AMICO – BAGNETTI;
D’AMICO e BAGNETTI omettevano di rappresentare le irregolarità in cui versava la ditta VAPOR di ZANOTTI dopo l’attività ispettiva richiesta dal comune di Cannara in conseguenza del sequestro dell’impianto di conferimento operato dal N.O.E. (f.n. 22598 del 4.11.2008 a firma D’AMICO – BAGNETTI);
D’AMICO e BAGNETTI omettevano di chiedere l’adozione di provvedimenti sanzionatori di competenza del sindaco di Bettona a carico di CODEP (ai sensi dell’art. 41 della DGR 1492/2006) per irregolare gestione degli effluenti accertata il 17.1.2009 (f.n. 1552 del 23.1.2009 a firma D’AMICO – BAGNETTI);
D’AMICO e BAGNETTI rappresentavano falsamente, in più occasioni, agli uffici superiori situazioni “non preoccupanti e sotto controllo” contestate dagli stessi uffici (f.n. 5436 del 9.3.2009 del dip. Prov. Di ARPA);
D’AMICO, BAGNETTI e MENGANNA omettevano continuativamente i controlli e le contestazioni nei confronti di CODEP sul rispetto delle prescrizioni (mai adempiute) contenute nell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera nr. 81 del 17.1.2003 che prevedevano autocontrolli semestrali, per il primo anno, ed annuali, per i successivi, controlli effettuati una sola volta nel 2004 e definiti “fuori limite” dai controlli disposti dagli uffici centrali dell’ARPA (f.n. 6457 ARPA del 23.3.2009);
redigevano falsi attestati di regolarità gestionali in favore di allevamenti vicini al sodalizio di cui al capo A), mentre rappresentavano asserite, ma inesistenti, irregolarità a carico di altri allevamenti (ad es. LONGETTI, non destinatario di ordinanza sindacale nr. 7/2009), al solo scopo di favorire e tutelare il sodalizio stesso (f.n. 12726 del 24.6.2009 e nr. 9766 del 11.5.2009 a firma D’AMICO – MENGANNA);
rilasciavano pareri favorevoli ai sodali per consentire loro di usufruire dell’impianto gestito da CODEP abusivamente e in deroga ai divieti imposti dai Sindaci. Più in particolare, con la nota nr. 2549 del 4.2.2009 a firma D’AMICO e BAGNETTI, in violazione di specifiche disposizioni nel senso emanate dagli uffici superiori (note nr. 12932 del 23.6.2008 e n. 20312 del 3.10.2006 che ne richiama una precedente del 3.6.2008; tutte del dip. Prov., nr. 25256 del 10.12.2008 della Dir. Gen.), i quali successivamente dovevano anche intervenire per annullare o limitare gli effetti negativi dei pareri espressi dall’ufficio diretto della D’AMICO (nota n. 9644 dell’ 8.5.2009 della dir. Gen.), veniva fornito un parere favorevole all’occupazione, da parte di aziende del gruppo POLINORI in Bastia Umbra, di stalle vuote con animali detenuti in altri siti che, a causa dell’accrescimento degli animali stessi, si trovavano in condizioni di “sovraffollamento”. Grazie a tale parere la USL autorizzava la deroga al divieto imposto dal sindaco di Bastia con O.S. n. 4963 del 28.01.2009, emessa per non aggravare la funzionalità dell’impianto (in analogia e sulla scorta di quella sindacale di Bettona nr. 7 del 27.01.2009 la cui emissione era stata espressamente richiesta proprio dall’ufficio della D’AMICO con la nota n. 1552 del 23.1.2009 già citata) e impedire un maggiore afflusso di liquami all’impianto. Proprio a causa dell’accrescimento degli animali, invece pur non aumentando il numero di capi, aumentava la produzione di liquami e quindi l’aggravamento delle funzionalità dell’impianto. Il parere favorevole fornito dalla D’AMICO è stato funzionale anche ad altre analoghe movimentazioni, come quelle compiute da VAPOR di ZANOTTI (note nr. 18420 del 25.2.2009 e nr. 21175 del 4.3.2009);
BAGNETTI e MENGANNA reiteratamente vanificavano o tentavano di vanificare gli accertamenti di p.g. in corso, invitando telefonicamente sia il personale dell’impianto CODEP di autocontrollarsi e di rimuovere le tracce degli sversamenti (R.I.T. 389/07 telefonate 108-110-111-526-570-573, R.I.T. 629/07 telefonate 1056-1058), sia altri soggetti (R.I.T. 389/07 telefonate 100 – 104), ovvero preavvertendo di controlli da effettuare, consentendo la tempestiva (e strumentale al controllo) attivazione di sezioni di impianto normalmente lasciate inattive (R.I.T. 862/07 telefonate 1273 e successiva, in cui Graziano SIENA dispone l’attivazione dei dispositivi), ovvero garantendo a soggetti violatori (POLINORI) che la loro presenza avrebbe impedito l’adozione di provvedimenti sanzionatori (R.I.T. 587/07 telefonata 57);
D’AMICO, BAGNETTI e MENGANNA, consentivano che il sodalizio gestisse illecitamente considerevoli quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da terre e rocce da scavo (CER 170504) derivanti dagli scavi per la costruzione di un impianto SBR (consistente in gradi vasche in cemento interrate) e accumulati nei pressi dell’impianto di trattamento dei rifiuti, sia omettendo di citarne gli obblighi previsti dalla legge sui pareri n. 22381 del 30.10.2007 e nr. 10057 del 14.5.2008 rispettivamente a firma D’AMICO BAGNETTI e D’AMICO – BAGNETTI -  MENGANNA, sia non rilevando e contestando le azioni in atto nel corso delle ripetute ispezioni effettuate dai tecnici BAGNETTI e MENGANNA, nonostante fino al febbraio 2008, in base all’art. 186 del D.Lgs. 152/06, fosse necessario il parere dell’ARPA per l’esclusione di tali materiali dalla categoria rifiuti.
In Bettona, Bastia, Bevagna e Cannara sino al luglio 2009
Omissis
Omissis
C) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112 e 434 c.p., perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità e nei propri ruoli, con più azioni esecutive di un  medesimo disegno criminoso, attraverso le condotte di cui ai capi precedenti, provocavano un disastro ambientale consistito nello stravolgimento e nella compromissione dell’equilibrio naturale dei terreni e delle acque, attraverso l’illecito, concentrato e continuativo smaltimento nel corso degli anni di milioni di tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da effluenti liquidi e solidi (CER 190605 e 190606) prodotti presso l’impianto di depurazione comunale di Bettona e gestito dalla società cooperativa agricola CODEP, danneggiando le falde acquifere per effetto dell’alta concentrazione di sostanze inquinanti in particolare azoto e metalli pesanti, tanto che ben individuate ed enormi estensioni di terreni, da anni nella disponibilità pressoché esclusiva della CODEP in particolare nei comuni di Bettona e Bastia Umbra, venivano classificate in base a specifiche normative (DGRU 2052/05, art. 94 D.Lgs. 152/06, direttiva 91/676/CEE) come zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola e sottoposte a particolare forma di tutela.

Segnatamente:
SIENA, LONGETTI, MATTONI, POLINORI, TAGLIONI unitamente ad altri qui non indicati, nelle rispettive qualità, procedevano materialmente e direttamente allo smaltimento dei rifiuti suddetti (oltre 360.000 tonnellate annue) mediante il riversamento diretto sui terreni, simulando un’attività di tipo agronomico comunque condotta in maniera illegittima anche per la violazione delle seguenti norme di legge: D.Lgs. 99/92, L. 574/96, D.Lgs. 22/97, D.Lgs. 152/99, D.Lgs. 152/06, D.Lgs. 59/05, D.M. 19.4.1999 - C.B.P.A., D.M. 6.7.2005, D.M. del 7.4.2006, D.G.R. 2033/99 (abrogata), D.G.R. 1577/2000 (abrogata), D.G.R. 2052/05, D.G.R. 1423/06, D.G.R. 1492/06, D.G.R. 456/08;
D’AMICO, BAGNETTI e MENGANNA, nelle loro qualità, con la qualifica di ufficiali di p.g., omettevano l’adozione dei provvedimenti di propria competenza. Omettevano, in particolare, di attuare specifici controlli e/o di contestare violazioni accertate (casi di sversamento dalle condotte segnalati agli autori il luogo della contestazione delle violazioni, mancate verifiche in occasione di spandimenti in condizioni meteo avverse, mancate contestazioni in occasione di specifici episodi segnalati dalla popolazione o da altri organi quali il NOE CC o la polizia provinciale per gli episodi del marzo 2009 in Bastia Umbra, loc. Ospedalicchio e via S.ta Elisabetta, del gennaio 2009 in Bettona, via Salceto e via Torte, ottobre 2008 in Bastia via delle Monache), consentendo la permanenza delle gravi condotte illecite in danno dell’ambiente in contrasto con specifica normativa vigente dal 1999/2000, producendo, al contrario, atti amministrativi dal contenuto mendace sia in ordine alla regolarità dell’impianto sia in ordine alla regolarità degli allevamenti consentendo la prosecuzione indisturbata delle condotte illecite sopra indicate.
Acc. In Bettona, dal 2006 al luglio 2009.
Omissis

D) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112 e 439 c.p. perché, in concorso tra loro, nelle loro qualità, con le condotte di cui ai capi precedenti provocavano l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione di un numero considerevole e indeterminato di persone, attraverso il continuativo ed illecito smaltimento sui terreni di ingenti quantitativi di rifiuti speciali (fino ad oltre 360.000 tonnellate annue su limitate superfici di terreno – circa 300 ettari a fronte dei quasi 2.000 ettari necessari) costituiti da effluenti liquidi e solidi (CER 190605 e 190606) derivanti dall’impianto di depurazione comunale di Bettona gestito da CODEP SCARL, contenenti sostanze inquinanti che, penetrando nella sottostante falda acquifera, hanno danneggiato e danneggiano pozzi privati (superamento del parametro relativo ai nitrati – ammesso dalla normativa in misura di 50 mg/lt e riportati nella consulenza tecnica – accertato con le analisi del 18.7.2007 disposte dal CTU sui pozzi di Vescovo G. 462 mg/l, Vescovo A. 82,3 mg/l, Monini B. 164 mg/l, Pucciarini M. 1009 mg/l, Chimienti G. 127 mg/l) e pubblici (episodio accertato dalla polizia provinciale nel marzo 2009 in Bastia Umbra, loc. Ospedalicchio, per spandimento a distanze non regolamentari da pozzi del consorzio Umbra Acque in cui sono stati rilevati valori relativi all’azoto totale sino ad oltre 3,6 kg/mc a fronte di un quantitativo dichiarato di 1,080 kg/mc, su terreni utilizzati irregolarmente anche nel marzo 2008) non consentendone l’attingimento diretto anche da parte dei residenti in aree non servite da una specifica rete idrica pubblica (per esempio in Bastia Umbra, via S.ta Elisabetta, quali Pucciarini Mario, Chimienti Giovanni);
Acc. In Bettona e Bastia Umbra, dal 2006 al luglio 2009.

Omissis:
E) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 484 c.p. perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità e nelle circostanze di cui al capo B), con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, attestavano falsamente: SIENA, LONGETTI, TAGLIONI, ZANOTTI e BERRETTA sui documenti di trasporto, POLINORI sul documento presentato il 23.4.2009 al comune di Bettona, SIENA LONGETTI, MENCARELLI e ZANOTTI anche sulle comunicazioni preventive presentate ai vari comuni e sulle relative istanze presentate a corredo, la natura, la consistenza, la destinazione e la qualità dei rifiuti prodotti presso il depuratore comunale gestito da CODEP, in guisa tale da rappresentare una situazione conforme alla legge.
In Bettona, fino al luglio 2009.

Omissis

F) delitto di cui all’art. 416 c.p. perché, nei periodi di assunzione delle rispettive cariche e nelle proprie qualità di presidenti o componenti del consiglio di amministrazione di CODEP SCARL, promuovevano, organizzavano e partecipavano ad una ramificata associazione criminale allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati contro l’ambiente, la salute pubblica e la fede pubblica, con il concorso di soggetti di volta in volta diversi, partecipando in modo continuativo e permanente al sodalizio da loro stessi costituito, dedito al conseguimento di ingenti profitti illeciti, operando nel settore della illecita gestione di rifiuti speciali non pericolosi costituiti principalmente da effluenti liquidi e solidi prodotti presso l’impianto di depurazione comunale (CER 190605 e CER 190606) e derivanti principalmente dal trattamento di reflui zootecnici ed acque di vegetazione (CER 020106 e 020399), provenienti dall’azienda di consociati e utenti, conferiti all’impianto di depurazione gestito dalla società cooperativa agricola CODEP. In particolare tale associazione si occupa dello smaltimento mediante la completa irregolare e/o non autorizzata gestione dell’impianto con l’esclusivo fine di consentire ai consociati di disfarsi agevolmente degli enormi quantitativi di rifiuti prodotti dalle proprie aziende zootecniche, lucrando sia sui notevoli risparmi derivanti dallo smaltimento illecito, sia sui proventi e le utilità derivanti dalle illecite attività, cercando di far apparire legittima l’attività finale di utilizzo agronomico dei rifiuti liquidi trattati.
In particolare, il sodalizio è stato capeggiato nel corso degli anni dai presidenti pro tempore di seguito elencati (in alcuni casi con il determinante apporto dei rispettivi vicepresidenti) con il preciso scopo di organizzare e dirigere le attività illecite a tutela degli interessi patrimoniali propri e dei consociati: SCHIPPA Paolo (dal 16.3.2000 al 20.7.2005), MATTONI Renato (dal 20.7.2005 al 16.4.2007); PROIETTI Giampaolo (dal 27.4.2007 al 20.6.2007).
In Bettona, fino al 2007.

G) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112 c.p., 260 D.Lgs. n. 152/2006 (già art. 53 bis del D.Lgs. n. 22/1997), perché, in concorso tra loro, nelle qualità e con i suddetti ruoli, al fine di conseguire (i soci della CODEP SCARL) o far conseguire (i rimanenti soggetti) un ingiusto ed ingente profitto, con più operazioni ed attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, consistite nel favorire e condividere le politiche aziendali del consorzio CODEP, hanno gestito e consentito la gestione illecita di ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi costituiti principalmente da reflui zootecnici ed acque di vegetazione (CER 020106 e 020399), provenienti dalle proprie aziende, conferiti all’impianto di depurazione gestito dalla società cooperativa agricola CODEP.

H) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112, 434 c.p., perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità e ruoli, con le condotte accertate hanno provocato un disastro ambientale consistito nello stravolgimento e nella compromissione dell’equilibrio naturale dei terreni e delle acque, attraverso l’abusivo, massiccio, concentrato e continuo smaltimento di ingenti quantitativi dei rifiuti speciali di cui sopra, inquinando le falde acquifere per effetto dell’alta concentrazione di azoto nitroso, nitrati e altri metalli pesanti, tanto che specifiche aree da anni in disponibilità pressocché esclusiva della CODEP sono state inserite negli atti della Regione Umbria quali zone vulnerabili ai nitrati secondo i criteri dettati dalle direttive comunitarie.

I) Delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112 e 439 c.p., perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità e ruoli, con le condotte accertate hanno provocato l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione di un numero considerevole ed indeterminato di persone, attraverso l’abusivo smaltimento sui terreni di ingenti quantitativi dei rifiuti speciali di cui sopra, contenenti sostanze nocive provenienti da varie aziende e conferiti all’impianto di depurazione gestito dalla società cooperativa agricola CODEP, che, penetrando nella sottostante falda acquifera non consente più l’attingimento dai pozzi privati per uso alimentare da parte degli abitanti non serviti da una specifica rete idrica pubblica.
Tutti in Bettona, fino al 2007.

CON L’INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO dott.ssa Comodi

CONCLUSIONI DELLE PARTI:
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Omissis

                             **************************

                  MOTIVAZIONE

La particolarità della vicenda in esame impone - ad avviso di questa Corte - che prima di addentrarsi nella analitica motivazione delle conclusioni raggiunte, si proceda ad una previa illustrazione dei principi di diritto di maggior rilievo, che devono delineare il quadro giuridico della decisione.

1. La nozione di “scarico” e di “rifiuto liquido”.

Nel procedere, in particolare, all'analisi della disciplina della cd. “utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento”, nozione di essenziale rilievo in questo processo, è necessario richiamare, in via preliminare, un principio discretivo essenziale, fondato sulla nozione di "scarico" contrapposta a quella di "rifiuto liquido", che ha trovato progressivamente spazio nell'ambito della disciplina dettata in tema di acque reflue e di rifiuti, così segnando una linea di confine essenziale tra le normative dettate al riguardo.

E' necessario, sul punto, rammentare che con la legge del 10.5.1976 n. 319 (cd. Legge Merli) il legislatore fissò un concetto di scarico estremamente ampio, laddove dispose che gli scarichi potevano essere di " qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee interne e marine, sia pubbliche che private, nonchè in fognature, sul suolo e nel sottosuolo". Si ricomprendeva così, qualsiasi sversamento di refluo o rifiuto liquido e non rilevava il modo in cui il refluo poteva essere riversato e assorbito nel corpo recettore; con la conseguenza per cui nella nozione di scarico poteva farsi rientrare anche quello operato attraverso il trasporto di liquami a mezzo autobotti ( cfr. in tal senso Cass. Pen. sez.  III del 6.10.1982 n. 11329/82 imp. Marzaduri). Lungo tale linea legislativa e giurisprudenziale si osservò che la legge Merli, in definitiva, disciplinava anche quelle particolari forme di scarico di reflui (cd. scarico "indiretto") da insediamento, consistenti nello stoccare i residui liquidi in vasche a tenuta, con successivo conferimento ad un trasportatore per lo smaltimento definitivo in discarica autorizzata o comunque in un recapito contemplato dalla legge ( cfr. Cass. Pen. sez. III del 31.5.1995 n. 6382, imp.  Mansi).  

L'introduzione di una distinzione tra scarico di reflui e rifiuti liquidi, e quindi una prima differenziazione sulle normative applicabili, si ebbe con il DPR 10 settembre del 1982 n. 915, il cui art. 9 stabilì che "ferme restando le disposizioni contenute nella legge 10 maggio 1976 n. 319, e successive modificazioni, è fatto divieto di scaricare rifiuti di qualsiasi genere nelle acque pubbliche e private".  Da quel momento, con il citato DPR si disciplinarono tutte le operazioni di smaltimento di rifiuti tanto solidi che liquidi (es. conferimento, raccolta, trasporto stoccaggio etc.), mentre con la cd. Legge Merli si regolavano le diverse fasi riguardanti lo scarico, ad eccezione dei fanghi e dei liquami tossici e nocivi comunque regolati dal citato DPR (cfr. Cass. Pen. SS.UU. 13.12.1995 n. 12310 Forina).  

Sancita questa prima essenziale demarcazione tra scarico e rifiuto liquido, con i relativi risvolti circa la diversa normativa applicabile, la Giurisprudenza rivide anche la riconducibilità alla nozione di scarico (e quindi all'ambito di operatività della cd. L. Merli in tema di acque) del cd. "scarico indiretto", ossia, come sopra già accennato, essenzialmente di quei casi di raccolta in vasche a tenuta stagna e di sversamento di rifiuti liquidi mediante autobotti: da intendersi ormai come autonoma operazione di "stoccaggio"  e successivo "smaltimento", come tale disciplinata solo dal DPR 915/82. Ciò in quanto solo l'immissione "diretta", dall' insediamento verso il corpo recettore, si ritenne integrare il presupposto per l'applicazione della legge 319/76,  laddove la natura "a tenuta stagna" dei pozzi, si osservò, impedisce ogni percolamento nel suolo o su altro corpo recettore, e quindi ogni scarico ( in tal senso Cass. Pen. sez. III 20.6.1996 n. 2078, imp. Cilento).  

Il legislatore mostrò di recepire una tale impostazione con l'art. 8 comma 1 lett. e) del Dlgs 22/97 (cd. Decreto Ronchi), seppure con norma non felicissima sul piano della distinzione tra scarico e rifiuto liquido, tanto da richiedere interventi chiarificatori della Suprema Corte. Infatti, nel citato articolo si dispose l'esclusione dal campo di applicazione del decreto medesimo, "in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge", delle "acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido". Cosicchè, se da una parte era palese la sottrazione alla disciplina di cui al citato Dlgs 22/97 del settore degli scarichi idrici, non veniva affermato altrettanto chiaramente che tale deroga dovesse essere limitata solo agli scarichi "diretti", come già rilevato in giurisprudenza e dottrina.

Da qui l'intervento della Suprema Corte, che in plurime decisioni ebbe modo di chiarire che la linea di discrimine tra il sopravvenuto decreto Ronchi dettato in materia di rifiuti e la Legge 319/76, dettata in materia di acque, dovesse ancora rinvenirsi nella nozione di "scarico", da intendersi riferito solo allo sversamento di sostanze liquide o comunque convogliabili in corpi recettori mediante "condotta"; con la conseguenza per cui le due normative potevano trovare entrambe applicazione anche per il medesimo tipo di refluo/rifiuto, regolando talora anche fasi diverse della medesima operazione (cfr. per tutte Cass. Pen. sez. III 23.5.1997 n. 1245 imp. Bacchi; e nel medesimo senso Corte Cost. 20.5.1998 n. 173 ).

Ad ulteriore chiarimento dei suesposti confini tra refluo e rifiuto liquido, intervenne il Dlgs 152/99 con la sua nozione di "scarico" dettata con l'art. 2 comma 1 lett. bb), che nel definire tale "qualsiasi immissione diretta tramite condotta ..." , venne di converso e ricondurre legislativamente lo scarico "indiretto", ossia l'immissione effettuata registrando una soluzione di continuità nel passaggio tra il luogo di produzione del refluo e il corpo recettore finale,  nell'ambito della nozione di "rifiuto liquido" e quindi nel campo di operatività della disciplina sui rifiuti, di cui all'allora vigente Dlgs 22/97.

Si rimarcò dunque, ulteriormente, questa volta con nozione fissata anche legislativamente, la linea di distinzione tra disciplina relativa alle acque e normativa sui rifiuti (liquidi), secondo il principio per cui la differenza tra scarico e rifiuto, anzi tra "acque di scarico" e "rifiuti liquidi", concetti in tal modo ridotti ad elementi omogenei di confronto, doveva rinvenirsi non nella intrinseca qualità della sostanza, bensì nelle modalità di gestione e trattamento di essa: ove il refluo giunga dal luogo di produzione al corpo recettore attraverso un sistema di collettamento ininterrotto, integra uno "scarico"; se invece il sistema si interrompe, il liquido diventa "rifiuto".

In altri termini, si affermò la regola per cui la disciplina di cui al Dlgs 22/97 (cd. decreto Ronchi), costituiva la legge - quadro in materia di inquinamento e integrava la disciplina di tutti i rifiuti solidi e liquidi, con esclusione dal relativo campo di applicazione delle cd. "acque di scarico", in quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge (cfr. art. 8 comma 1 lett. e) del Dlgs 22/97 e attualmente art. 185 comma II lett. a) del Dlgs 152/2006).  

Non mancò, tuttavia, il tentativo di ripristinare il concetto di "scarico indiretto" come tertium genus, cogliendosi l'occasione del nuovo Dlgs 152/2006, nella parte in cui, all'art. 74 comma 1 lett. ff), il legislatore definì lo "scarico" con una nozione che, rispetto a quella di cui al Dlgs 152/99 art. 2 cit., non contempla il riferimento ad una immissione "diretta tramite condotta" o ad  acque "comunque convogliabili".

Da qui il nuovo intervento giurisprudenziale, con cui si ribadì la nozione di "scarico" già precedentemente elaborata e prima illustrata, così ritenendo che l'eliminazione, dalla nuova nozione di scarico definita dal legislatore del 2006, dell'inciso "diretta tramite condotta", non determinasse un richiamo anche allo "scarico indiretto" da far in tal modo confluire nell'ambito della normativa sulle acque. Piuttosto, si affermò che la citata eliminazione dei riferimenti alla "condotta" o alla convogliabilità delle acque era servita al legislatore per superare ogni tentativo di ricondurre alla nozione di scarico del refluo solo le operazioni effettuate tramite una "tubatura" piuttosto che anche ogni "sistema di deflusso oggettivo e duraturo che comunque canalizza (senza soluzione di continuità in modo artificiale o meno) i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore" ( cfr. Cass. Pen. sez. III 3.10.2006 n. 35888).

Questa impostazione è stata alfine sancita dal legislatore con Dlgs del 16.1.2008 n. 4, secondo cui è scarico "...qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo nel sottosuolo e in rete fognaria indipendentemente dalla loro natura inquinante,  anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione" (cfr. art. 74 lett. ff) del Dlgs152/2006).

In stretta connessione con quest'ultima nozione e con i principi illustrati si pone la previsione di cui all'art. 185 comma II lett. a) del Dlgs 152/06, come modificato dal Dlgs n. 205/2010, per cui sono esclusi dalla parte IV del decreto medesimo "..in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento : a) le acque di scarico...".
 
Può dunque concludersi che la sottrazione delle "acque di scarico" dall'ambito dell'operatività della legge quadro in tema di rifiuti, anche liquidi, dipende dalla sussistenza di una specifica disciplina, la quale va individuata, per il passato, nel Dlgs 152/99 e quindi, per il regime attuale, nelle disposizioni di cui alla parte III del Dlgs 152/06 dedicata alle "norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche".   

Vanno a questo punto richiamate e in parte ribadite, puntualmente, le specifiche nozioni legislative, di rilievo nel tema in esame.

Sono "acque di scarico" le acque reflue "provenienti da uno scarico" (art. 2 lett. cc) Dlgs 152/1999 - art. 74 comma I lett. gg) Dlgs 152/2006). Trattasi di definizione alquanto tautologica che quindi deve essere precisata mediante la definizione di ciò che si deve intendere per scarico e per acqua reflua.

A tal fine, con nozioni che, come sopra già accennato, trovano sostanziale se non pressocchè piena corrispondenza anche nella successiva disciplina, attualmente in vigore, del Dlgs 152/2006 (art. 74, rispettivamente lett. ff) e  lett. g) h) ed i) del Dlgs 152/2006), già con il Dlgs 152/99 il legislatore precisò che per scarico deve intendersi "qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria..." ( art. 2 lett. bb) dlgs cit.) e precisò che per acque reflue devono intendersi (art 2 lett. g) h) ed i) dlgs 152/99 cit.):
- " ...le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti   prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche ... (acque reflue domestiche ndr.);
- ".. qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali o industriali diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento (acque reflue industriali ndr);
- le acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue civili di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento ......" (acque reflue urbane ndr) .

Al contrario i "rifiuti allo stato liquido" sono costituiti da “acque reflue di cui il detentore si disfa, senza versamento diretto, non convogliandoli cioè in via diretta in corpi idrici ricettori, bensì avviandoli allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto (cfr. Cass. Pen. Sez. III Sentenza n. 7214 del 17.11.2010 – dep 25.2.2011 Dettaglioimp. Copeti n. rv. 20679).
Consegue, in sintesi, che la nozione di scarico, come introdotta progressivamente dal Legislatore ed elaborata in dottrina e giurisprudenza, costituisce il parametro fondamentale per stabilire, rispettivamente per le acque di scarico e per i rifiuti liquidi, l'ambito di operatività delle normative in tema di tutela delle acque e dei rifiuti (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 37575 del 18/10/2006 Ud. (dep. 15/11/2006) Rv. 235079 Presidente: Postiglione A. Estensore: Grassi A. Relatore: Grassi A. Imputato: Marelli); sicché, solo lo scarico diretto di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili in corpi idrici ricettori, specificamente indicati, rientra nella prima normativa; per contro, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfi senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole quindi allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti e il loro smaltimento deve essere autorizzato.
In altri termini, secondo il citato principio, la disciplina sui rifiuti non opera solo nel caso in cui quelli liquidi integrino uno "scarico".
Con la conseguenza per cui, in tali casi, trova applicazione la normativa dettata in materia di acque reflue di processo ovvero di scarico diretto (di cui appunto, nel tempo, al Dlgs 22/99 e poi alla parte terza del Dlgs 152/2006).
Per completare l’analisi del tema in esame, va altresì precisato che rientra nella nozione di scarico la canalizzazione, che risulti anche soltanto periodica o discontinua o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazione, o altro sistema, stabile, di canalizzazione (cfr. Cass.  Pen. Sez. III. Sez. 3, Sentenza n. 47038 del 07/10/2015 Ud. (dep. 27/11/2015) Rv. 265554 Presidente: Franco A. Estensore: Di Nicola V. Relatore: Di Nicola V. Imputato: Branca).
2. L'assimilazione alle acque domestiche, delle acque reflue di imprese di allevamento di bestiame.
Considerato che al centro della vicenda in esame, come già accennato, si pone l'utilizzo di effluenti da allevamento, merita una previa analisi anche il tema dei rapporti tra le acque reflue domestiche e le acque reflue di imprese dedite all'allevamento di bestiame. Sub specie della assimilazione delle seconde alle prime.
Va ricordato come in passato, attraverso la normativa di cui al Dlgs 152/99 e a quello successivo n. 152/06, si fosse affermata la regola per cui l'attività di allevamento del bestiame, ontologicamente rientrante in quelle produttive, dovesse solo eccezionalmente essere assimilata a quella agricola, derogando alla disciplina generale esclusivamente in presenza di elementi tali da far ritenere che la stessa si svolgesse in connessione con la coltivazione della terra, ed in presenza della capacità del terreno di sopportare e smaltire naturalmente, nell’ambito di un c.d. "ciclo chiuso", il peso dell’allevamento stesso e dei suoi reflui; in assenza di tali requisiti, l’attivita` zootecnica andava considerata, anche agli effetti degli scarichi, di tipo produttivo, con conseguente applicabilita` della normativa regolante quelli provenienti da insediamenti industriali (cfr tra le altre Cass. Pen. 7 marzo 2001, n. 418, Pistonesi) .
Infatti, ai sensi dell'art 28 del Dlgs 152/99, disciplinante i "criteri generali della disciplina degli scarichi", il legislatore, al comma 7 lett. b), premessa la salvezza della disciplina di cui all'art. 38 in tema di utilizzo agronomico degli effluenti di allevamenti (rilevante nella vicenda in esame e di seguito analizzato), stabiliva l'assimilazione, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, alle acque reflue domestiche, tra le altre, delle acque reflue "... provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento prodotti per un anno da computare secondo le modalità di calcolo stabilite alla tabella 6 dell'allegato 5. Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità si applica a partire dal 13 giugno 2002...".

Successivamente, con l'art. 101 del Dlgs 152/06, egualmente dettato in tema di "criteri generali della disciplina degli scarichi", sempre al comma 7 lett. b), premessa la salvezza di quanto previsto dall'articolo 112 , sempre in tema  di utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento, venne stabilita l'equiparazione di reflui da allevamento con le acque reflue domestiche secondo criteri diversi da quelli di cui al suindicato art. 28. Si previde, infatti, l'assimilazione, tra l'altro, di reflui provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame alle seguenti condizioni:
che si trattasse di imprese che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticassero l'utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all'articolo 112, comma 2, e che disponessero di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell'Allegato 5 alla parte terza del decreto 152/06 citato.

La previsione dei predetti requisiti, riferiti al rapporto tra peso vivo degli animali ed estensione del fondo, era significativa della circostanza -   costituente all'epoca la ratio ispiratrice della assimilazione alle acque domestiche, con tutte le conseguenze in tema di irrilevanza penale della relativa gestione - per cui l'attività di allevamento si doveva svolgere in connessione con la coltivazione della terra e questa doveva essere in grado di smaltire, nell'ambito di un "ciclo chiuso", il carico inquinante delle deiezioni.

Le modifiche del nuovo articolato confermarono e rafforzarono quindi l'impostazione di fondo di cui al citato art. 28 comma 7 lett. b) del Dlgs 152/99; solo, si introdusse un ulteriore requisito per l'assimilazione, al fine di garantire al massimo il minimo impatto ambientale della attività di scarico di reflui di allevamento su terreni. Infatti, nell’assimilazione dello scarico di un effluente zootecnico assunse un ruolo fondamentale anche la pratica agronomica svolta in conformità alle disposizioni dettate dallo Stato, ovvero, poi, con il Decreto del Ministero dell’Agricoltura del 7 aprile 2006. In altri termini, si richiedeva non solo che il refluo provenisse da un allevamento che, per il numero dei suoi capi e l'estensione del fondo disponibile consentisse l'utilizzazione esclusiva dei residui dell'attività, ma anche che l'utilizzazione agronomica dei reflui avvenisse secondo le regole dettate per il corretto e legittimo esercizio della stessa.

Conseguiva che nei casi di allevamenti che non assicurassero un corretto utilizzo agronomico degli effluenti nei termini suindicati, e nel contesto di uno stretto rapporto con la pratica agricola e con i terreni, direttamente e autonomamente disponibili, per essi non operava "l'assimilazione" degli effluenti alle acque reflue domestiche, nè quindi il peculiare regime delle stesse, che le sottrae alla disciplina penale.

Tale impostazione è stata del tutto modificata e superata con la novella di cui al Dlgs del 16.1.2008 n. 16, con cui all'art. 2 comma 8 è stata stabilita semplicemente l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque reflue "provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame". Con soppressione di tutto il periodo successivo, precedentemente incluso, relativo al rispetto delle procedure di utilizzazione agronomica per gli effluenti di allevamento.  

In ragione di tale intervento normativo quindi, si sono parificate alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall'attività di allevamento del bestiame, senza possibilità di limitazioni. Infatti a seguito della suddetta modifica normativa, si è dato luogo al venir meno della "connessione funzionale dell'allevamento con la coltivazione della terra" e dei criteri di individuazione di tale connessione, capovolgendosi i termini della questione rispetto alla disciplina regolata dal D.Lgs. n. 152 del 2006.
Infatti, con la situazione normativa pregressa, le acque reflue provenienti da una attività di allevamento del bestiame, quali reflui industriali, solo eccezionalmente potevano essere assimilate alle acque reflue domestiche, ossia qualora fosse dimostrata la presenza delle condizioni indicate dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, comma 7, lett. b), - poi D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7 -: quando vi era la prova della connessione del terreno agricolo con le attività di allevamento. Con la citata novella, l'assimilazione prevista dall'art. 101, comma 7, delle acque reflue domestiche a quelle provenienti da imprese dedite all'allevamento di bestiame diviene invece la regola.
Consegue che deve reputarsi oramai di norma sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi del D.Lgs. 152 del 2006, art. 133, comma 2, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento.
L'unica eccezione rimane dunque quella - richiamata ad excludendum dall'art. 101, comma 7, - del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 112, che regola l'utilizzazione agronomica in sè (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 26532 del 21/05/2008 Ud.  (dep. 02/07/2008) Rv. 240553 Presidente: Grassi A.  Estensore: Sarno G.  Relatore: Sarno G.  Imputato: Calderone).

Ed invero già sotto il regime previgente, di cui al Dlgs 152/99 e Dlgs 152/2006, anteriore alla novella citata del 2008, per l'allevamento zootecnico che fosse risultato privo dei requisiti, poi "soppressi", implicanti innanzitutto un "ciclo chiuso" per l'utilizzo agronomico dei reflui, il Legislatore aveva previsto, comunque, la possibilità per tali effluenti di essere oggetto di legittimo  spandimento, purchè a fini agronomici, sul terreno, senza che anche in tale ipotesi per essi assumesse rilievo la disciplina degli scarichi "industriali" e, tantomeno, dei rifiuti, ove sparsi per tale caso senza le modalità dello scarico diretto. Con sanzione penale in presenza di una tale "utilizzazione agronomica", solo se svolta al di fuori dei limiti e casi consentiti.

Si tratta della disciplina dettata dall'art. 38 del Dlgs 152/99 e poi dall'art. 112 del Dlgs 152/06 (definibili al riguardo, per la sostanziale corrispondenza,  come norme "gemelle"); norme che avrebbero potuto consentire in passato l'utilizzo agronomico degli effluenti da allevamento, con deroga alla disciplina penale sugli scarichi e di quella sui rifiuti (a seconda delle modalità - con scarico "diretto" piuttosto che indiretto -  con cui si realizzava l'utilizzo agronomico), anche per quegli allevamenti che non assicurassero i requisiti di stretta contiguità alla pratica e disponibilità agricola, condizionanti invece la assimilazione alle acque domestiche.
Con applicabilità in taluni casi però, anche di sanzione penale, ai sensi dell'art. 59 comma 11 ter del Dlgs 152/999 e quindi dell'art. 137 comma 14 del Dlgs.

A queste conclusioni si può pervenire, ad onor del vero, mediante una interpretazione che valorizzi innanzitutto la formula letterale dei citati artt. 38 Dlgs 152/99 e poi 112 Dlgs 152/2006 (ante novella del 2008), laddove si rilevi che tali disposizioni separano e rendono autonomo, con punteggiatura, il riferimento alla utilizzazione agronomica dei meri "effluenti di allevamento", escludendo ogni altra specificazione; tale riferimento viene così distinto rispetto al richiamo alle "acque reflue" provenienti dalle aziende di cui agli articoli, rispettivamente, 28 del Dlgs 152/99 e 101 del Dlgs 152/2006. In tal modo quindi, si realizza una operazione ermeneutica tesa a fornire alla previsione dell'utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento (e quindi alla conseguente deroga alla disciplina sulle acque e rifiuti) una portata effettiva, distinta ed autonoma rispetto alla previsione dettata in tema di assimilazione degli effluenti di allevamento ai reflui domestici (con incidenza anche in tal caso sulla applicabilità di norme di rilevanza penale).
A fronte di tale opzione interpretativa, va detto che non sono mancate pronunzie della Suprema Corte, adottate proprio nella vigenza delle previsioni di cui all'art. 101 e 112 Dlgs 152/2006 anteriori alla novella del 2008, in cui - seppure senza particolari approfondimenti - è emersa comunque l'attenzione alla riconduzione degli effluenti di allevamento destinati ad utilizzo agronomico ad una origine costituita "....da una azienda agricola o agroalimentare avente le caratteristiche per essere compresa tra quelle previste dall’art. 28, comma 7, lettere a), b) e c), e dall’art. 38, comma 1" (cfr. Cass. Pen. sez. n. 43823 del 26 novembre 2007 (Ud. 4 ott. 2007) Pres. De Maio Est. Franco Ric. Pagliarin).  
Tematica quest'ultima, di fatto poi superata con la citata novella del 2008, come anche di recente rilevato dalla Corte di Cassazione, laddove ha espressamente stabilito che "la pratica della 'fertirrigazione' .....non richiede che gli effluenti provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola..." (cfr. Cass. Pen. sez. III sent. n. 1179 del 13.4.2016 - RGN 07391/2015 imp. Bitetti).
 
Dal 2008 poi, per effetto del combinato delle disposizioni del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101 comma 7, come integrato e modificato dall'art. 2 comma 8 del Dlgs n. 4/2008, art. 112 e art. 137, comma 14, (che, invece, non ha subito modifiche), nel caso di gestione degli effluenti di allevamento, continua a mantenere rilevanza penale la sola utilizzazione agronomica - così come definita dall'art. 74, lett. p) - nelle ipotesi in cui la stessa avvenga, ma al di fuori dei casi o dei limiti consentiti.

Nella vicenda in esame, che interessa presunte pratiche di utilizzazione agronomica (almeno dal 2006) per un arco temporale molto ampio, anche anteriore quindi, al 2008, relative ad allevamenti che paiono estranei alle "condizioni", poi superate, di cui agli artt. 28 comma 7 lett. b) del Dlgs 152/99 e 101 comma 7 lett. b) del Dlgs 152/06, assume quindi rilievo l'analisi e la valutazione della applicabilità o meno proprio delle norme derogatorie, dettate in tema di utilizzazione agronomica, di cui ai citati artt. 28 e 38 del Dlgs 152/99 e 101 e 112 del Dlgs 152/06


3. La disciplina della “utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento”.

Alla luce del quadro normativo sopra ricostruito, occorre ora richiamare la fondamentale distinzione, già illustrata, tra “scarico” e “rifiuto liquido”, per sottolineare che essa persiste anche nell’ambito della ulteriore disciplina, immediatamente sopra citata, di tipo derogatorio, riguardante la c. d. “utilizzazione agronomica” degli effluenti d’allevamento, la quale integra un punto giuridico nodale nella vicenda oggetto del presente processo.
In altri termini, a seconda che l'utilizzo agronomico venga effettuato realmente con modalità di "scarico diretto" piuttosto che attraverso trasporto e successivo sversamento altrove dell'effluente utilizzato, si potrà parlare di deroga alla disciplina degli scarichi piuttosto che dei rifiuti. Con l'ulteriore conseguenza per cui, in caso invece di assoluta, mancata realizzazione, effettiva, della pratica di utilizzazione agronomica, le predette modalità di sversamento assumeranno rilevanza per individuare la disciplina penale applicabile, rispettivamente corrispondente alle norme dettate in materia di scarico di reflui e a quelle in materia di rifiuti (Dlgs 152/2006 parte IV).  

Tanto premesso, per esaminare la disciplina in tema di "utilizzazione agronomica", appare utile e sufficiente, in questa sede, partire dall’esame del superato D.Lgs. 11.5.1999 n. 152, che all’art. art. 2, lett. n bis), ne fissava la nozione: " gestione di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive ovvero di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione all'applicazione al terreno, finalizzata all'utilizzo delle sostanze nutritive ed ammendanti nei medesimi contenute ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo".
La lettera n) del medesimo articolo 2 disciplinava anche la nozione, citata nella suindicata lettera n bis), di "applicazione al terreno", chiarendo che dovesse intendersi quale apporto di materiali al terreno mediante spandimento o mescolamento con gli strati superficiali, iniezione nel terreno o interramento.
Quanto agli “effluenti di allevamento”, la lettera s) dell’art. 2 li definiva come deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato.

Alla  luce del successivo articolo 38 del Dlgs 152/99 il legislatore stabiliva la sottrazione alla disciplina delle acque reflue o dei rifiuti disponendo che  "Fermo restando quanto previsto dall’articolo 19 per le zone vulnerabili e dal d.lgs. 4 agosto 1999, n. 372, per gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell’allegato 1 al predetto decreto, l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, nonché dalle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all’articolo 28, comma 7, lettere a), b) e c) e da altre piccole aziende agroalimentari a esse assimilate, così come individuate in base al decreto del ministro delle politiche agricole e forestali di cui al comma 2," fosse soggetta soltanto ".......a comunicazione all’autorità competente di cui all’articolo 3, commi 1 e 2 del presente decreto, fatti salvi i casi di esonero di cui al comma 3, lettera b)....".
Questa norma, in sostanza, disponeva che l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento fosse soggetta solo a comunicazione all'autorità competente, assegnando alle regioni il compito di disciplinare le attività di utilizzazione agronomica, sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottate con decreto del ministro delle politiche agricole e forestali.
Con quest’ultima normativa secondaria, si disciplinavano i tempi e le modalità della prescritta comunicazione, le norme tecniche di effettuazione delle operazioni di utilizzazione agronomica atte a garantire il minor impatto ambientale, i criteri e le procedure di controllo al fine di assicurare il rispetto dell'obbligo di comunicazione, nonché delle norme e delle prescrizioni tecniche, le sanzioni amministrative pecuniarie. Rimaneva però ferma la sanzione penale dell'arresto o dell'ammenda comminata dall'art. 59, comma 11 ter, per chi effettuasse l'utilizzazione agronomica fuori dai casi e dalle procedure previste o non ottemperasse al divieto o all'ordine di sospensione impartito dall'autorità competente (comma 3 dell’articolo 38 citato).

In particolare, considerato il citato art. 38 anche in rapporto con la normativa dettata in materia di rifiuti di cui al Dlgs 22/97, le diverse modalità di utilizzo a fini agronomici degli effluenti d'allevamento dovevano incidere sulla individuazione della normativa da reputarsi derogata.  
E invero, ove raccolti separatamente e trattati e sversati fuori sito di produzione, tali effluenti potevano rientrare tra i rifiuti disciplinati dal D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, classificati con CER 02 10 06, comprensivo di "feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e  trattati fuori sito".
Ciò perché la raccolta separata e il trattamento fuori del sito di produzione potevano intendersi come indicativi della volontà del produttore o detentore di disfarsi delle sostanze, secondo la definizione di rifiuto formulata nell'art. 6, lett. a) dello stesso decreto legislativo n. 22/1997.

I medesimi effluenti potevano tuttavia essere sottratti alla medesima disciplina dei rifiuti, ai sensi del citato art. 38, se utilizzati correttamente ed effettivamente, pur con quelle stesse modalità di "scarico indiretto", nella pratica agricola c.d. della fertirrigazione.

Se invece utilizzati, sempre correttamente ed effettivamente, nella pratica agricola c.d. della fertirrigazione, solo con modalità di scarico "diretto", veniva in rilievo la deroga alla disciplina sulle acque reflue.

Tuttavia, non si pervenne immediatamente a tale risultato ermeneutico.

L’esame comparato dell’art. 38 citato e delle norme dettate in materia di rifiuti e reflui diede luogo, infatti, ad un contrasto dottrinale e giurisprudenziale in relazione all’ambito di operatività del regime eccezionale e derogatorio di cui all’art. 38: si trattò, in particolare, di stabilire se il rispetto delle condizioni di cui al citato articolo e relative alla complessiva pratica di “utilizzazione agronomica” consentisse o meno di ritenere la stessa interamente sottratta alla disciplina dei  rifiuti.
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale si è in proposito sviluppato lungo due direttrici interpretative.
Secondo l’indirizzo più restrittivo, alfine superato, la citata deroga alla applicabilità della disciplina sui rifiuti e acque reflue sarebbe stata operativa solo nei confronti delle pratiche di fertirrigazione attuate mediante “scarico diretto”; ciò significava che in caso di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, "i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfi senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioè allo smaltimento, trattamento o  depurazione a mezzo di trasporto su strada o comunque non canalizzato" sarebbero rientrati nella disciplina dei rifiuti e il loro smaltimento avrebbe dovuto essere autorizzato (cfr. Cass. Pen. Sez. III, n. 8890 del 10.2.2005, dep. 8.3.2005, Gios).
Si trattava, invero, di un indirizzo interpretativo che partendo dalla considerazione del citato principio generale, in tema di rapporti normativi tra scarichi e rifiuti liquidi, ritenne di doverne fare applicazione anche in materia di utilizzo agronomico, partendo dal rilievo che tale concetto era stato introdotto e considerato nell’ambito della disciplina delle acque ex art. 38 cit., cosìcchè la portata derogatoria di tale norma andava riconosciuta e ristretta alle sole attività di scarico diretto.
Come anticipato, tale orientamento può ritenersi oggi però superato in favore di un indirizzo più ampio, condiviso da questa Corte, secondo cui la deroga alla disciplina sui rifiuti, sin dalla vigenza del Dlgs. 22/97 e del Dlgs 152/99 era legata semplicemente alla effettiva utilizzazione agronomica degli effluenti, a prescindere dalle modalità in cui fosse stata espletata: con scarico diretto degli effluenti liquidi tramite condotta; attraverso scarico indiretto realizzato mediante deposito temporaneo in vasche impermeabili e successivo trasporto e sversamento sul terreno tramite autocisterna; mediante iniezione del terreno; attraverso interramento o mescolatura con gli strati superficiali del terreno (di  cui alle modalità di applicazione al terreno indicate nella lett. n) dell'art. 2 D.Lgs. 152/1999).
In altri termini, la deroga è condizionata alla sola ma effettiva utilizzazione agronomica degli effluenti, ed alla compatibilità di condizioni e modalità di utilizzazione degli stessi con tale pratica. (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 15043 del 22/01/2013 Cc. (dep. 02/04/2013) Rv. 255248 Presidente: Lombardi AM. Estensore: Orilia L. Relatore: Orilia L. Imputato: Goracci). E ciò qualunque sia il modo in cui questa avvenga, al fine di poter includere tutte le fasi della sua gestione, comprese quelle, intermedie, del deposito e del trasporto delle sostanze. In tal senso chiaramente depone, ancora una volta, l'ampia nozione di utilizzazione agronomica adottata dal legislatore (con la citata lettera n bis) dell'art. 2 D.Lgs. 152/1999), che include tutte le fasi della sua gestione, da quella della "produzione" a quella della "applicazione al terreno".
Come chiaramente precisato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 38411 del 09/07/2008 Ud. (dep. 09/10/2008) Rv. 241416 Presidente: De Maio G. Estensore: Onorato P. Relatore: Onorato P. Imputato: Michellut), questa soluzione tiene conto della circostanza per cui la deroga anche alla disciplina legale sui rifiuti introdotta dal citato art. 38, pur essendo contenuta nella legge sugli scarichi idrici, non presuppone la configurabilità di uno scarico. Ed a conferma può osservarsi che l’utilizzazione agronomica contemplata nella norma derogatoria può riguardare sia acque reflue liquide che semiliquide, comunque convogliabili tramite condotta, sia materiali palabili e comunque non convogliabili, quali gli effluenti di allevamento costituiti da una miscela di lettiera e di deiezioni animali.
E’ stata egualmente respinta, con condivisibili argomentazioni, la tesi della inapplicabilità della deroga di cui al citato art. 38 fino alla adozione del decreto ministeriale di attuazione e delle norme regionali connesse (come  invece sostenuto  con  sentenze della  Suprema  Corte,  Sez. III, n. 42201 dell'8.11.2006, dep. 22.12.2006, P.M. in proc. Della Valentina, rv. 235412;. Sez. III, n. 37405, del 24.6.2005, dep. 14.10.2005, Burigotto). Ciò in quanto si è osservato che in virtù dell’art. 62, comma 8, del D.Lgs. 152/1999, fino alla adozione delle specifiche normative secondarie previste, restano comunque in vigore le norme regolamentari e tecniche emanate ai sensi della abrogata legge 10.5.1976 n. 319; e in particolare, per effetto dell'art. 62, comma 10, dello stesso decreto legislativo, "fino alla emanazione della disciplina regionale di cui all'art. 38, le attività di utilizzazione agronomica sono effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto".

Anche il profilo della determinazione delle autorità competenti nella citata materia è stato risolto dal Legislatore per il periodo transitorio, grazie alla previsione di cui all’art. 63 del D.Lgs. 152/1999, che nell'abrogare la legge 319/1976 ha fatto salvo quanto disposto dall'art. 3, comma 2, secondo cui, fino all'attuazione del D.Lgs. 31.3.1998 n. 112 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione delle legge 15.3.1997 n. 59), le amministrazioni centrali e locali devono assicurare la continuità delle competenze precedentemente attribuite in materia di tutela delle acque (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Imputato: Michellut cit.).

Assume rilievo, in queste pagine dedicate alla ricostruzione della cornice giuridica di riferimento in materia di “utilizzazione agronomica” degli effluenti di allevamento, anche la considerazione per cui l’art. 8, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 5.2.1997 n. 22 - che ha escluso dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti, sempreché disciplinati da specifiche disposizioni di legge, i rifiuti agricoli come le materie fecali e altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nell'attività agricola - deve ritenersi distinto rispetto alla deroga prevista dal menzionato art. 38 D.Lgs. 152/1999. Quest’ultima norma infatti, come  sempre precisato in giurisprudenza (cfr. Cass. Pen. Sez. III imp. Michellut cit.), non dipende dalla deroga prevista dalla predetta lett. c) dell'art. 8 Dlgs. 22/1997, stante la più ampia portata: la deroga infatti, di cui all'art. 38, non è limitata ai rifiuti agricoli e tanto meno alle materie fecali e alle altre sostanze naturali non pericolose di cui all'art. 8, ma si estende anche alle miscele di lettiere e di deiezioni animali. In tal modo è stato anche escluso che si possa restringere la portata derogatoria dell'art. 38 attraverso una impropria applicazione dei criteri indicati come presupposti per la diversa deroga di cui all'art. 8, ossia attraverso il richiamo alla condizione che le materie fecali e, quindi, anche gli effluenti d’allevamento, provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola (in tal senso invece Cass. Pen. imp. Gios, rv. 230981 cit.; nonché Cass. Pen., imp. Burigotto, rv. 232355 cit.).

Il suesposto quadro normativo, con la prospettata interpretazione, risulta in linea anche con la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Con sentenza dell'8.9.2005 (Pres. Rosas, rel. Puissochet Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. III - Commissione delle Comunità Europee c. Regno di Spagna - nella causa C-416/02), sulla premessa per cui "un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, qualora l’impresa non cerca di «disfarsene» ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma intenda sfruttare o commercializzare a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari", è stato autorevolmente sostenuto che gli effluenti di allevamento possono sottrarsi alla qualifica di rifiuti, se utilizzati come fertilizzanti dei terreni nell’ambito di una pratica legale di spargimento su terreni ben individuati e se lo stoccaggio che li riguardi - che quindi per questa via pure si sottrae alla disciplina sui rifiuti - è limitato alle esigenze di queste operazioni di sversamento. Si è aggiunto che a tali fini neppure occorre che tali effluenti d’allevamento siano utilizzati come fertilizzanti esclusivamente sui terreni che appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti, in quanto ai fini dell'esclusione della qualifica di rifiuto è sufficiente che la sostanza venga utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici anche diversi da chi l’ha prodotta.

Quanto alle sanzioni previste sin dal Dlgs 152/99, in caso di non corretta realizzazione della pratica della fertirrigazione alla luce della relativa disciplina, va ricordato che l'art. 54, comma 7, in relazione all'art. 62, comma 10, del D.Lgs. 152/1999, assoggettava a sanzione amministrativa pecuniaria l'inosservanza delle disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, fino alla emanazione della disciplina regionale prevista dall'art. 38, salvo che il fatto non costituisca reato. In altri termini l’art. 38, comma 2, del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, disponeva che le attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1 fossero disciplinate dalle regioni sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottate con decreto ministeriale. L’art. 62, comma 10, a sua volta disponeva che, fino all’emanazione della disciplina regionale di cui all’art. 38, le attività di utilizzazione agronomica fossero effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. L’art. 54, comma 7, infine, disponeva che, salvo che il fatto non costituisse reato, fino all’emanazione della disciplina regionale di cui all’art. 38, comma 2, chi non osservava le disposizioni di cui all’art. 62, comma 10, era punito con una sanzione amministrativa (cfr. Cass. Pen. sez. III Cass. Sez. III n. 43823 del 26 novembre 2007 (Ud. 4 ott. 2007) Pres. De Maio Est. Franco Ric. Pagliarin).
Tale disciplina è stata poi abrogata e sostituita dal D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, in seguito corretto e integrato prima dal D.Lgs. 8.11.2006 n. 284 e poi dal D.Lgs. 16.1.2008 n. 4, ponendosi tuttavia in rapporto di continuità normativa con la precedente.
Sono infatti praticamente corrispondenti le definizioni indicate dall'art. 74 del Dlgs 152/06 in tema di:
- effluenti di allevamento, intesi come "le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato" (lett. v);
- utilizzazione agronomica, intesa come "gestione di diluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti dalle aziende agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione fino all'applicazione sul terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all'utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute" (lett. p);
- applicazione al terreno, intesa come "apporto di materiale al terreno mediante spandimento e/o mescolamento con gli strati superficiali, iniezione, interramento" (lett. o).
Ai sensi poi dell'art. 112, l'utilizzazione agronomica è sempre soggetta alla previa comunicazione all'autorità competente, ferma restando la competenza delle regioni per disciplinare i tempi e le modalità della comunicazione, per emanare norme tecniche in ordine alle operazioni di utilizzazione agronomica, nonché per definire i criteri e le procedure di controllo, sulla base del prescritto decreto ministeriale di attuazione.
Identici sono anche i criteri per la soluzione dei problemi di diritto transitorio: secondo l'art. 170, fino all'emanazione del decreto ministeriale di attuazione, poi tradottosi nel DM 7.4.2006, restano validi ed efficaci i provvedimenti emanati in attuazione dell'abrogato D.Lgs. 152/1999, (comma 11); fino alla emanazione della prescritta disciplina regionale, si applicano le disposizioni regionali di contenuto tecnico e amministrativo vigenti al momento dell'entrata in vigore della parte terza dello stesso D.Lgs. 152/2006 (comma 7).

Consegue che per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore del predetto decreto ministeriale, occorre verificare la eventuale disciplina tecnica regionale di riferimento adottata in applicazione dell'art. 38 del Dlgs 152/99; con l’ulteriore considerazione  per cui, in caso negativo, trovano applicazione le disposizioni regionali già vigenti in applicazione dell’art.  62, comma 10, del D.Lgs. 152/1999.

Anche il trattamento sanzionatorio delle infrazioni è improntato ai medesimi criteri previgenti di cui ai citati artt. 54 e 59 del Dlgs 152/99. Ed invero, secondo l'attuale comma 14 dell'art. 137, è punito con l'arresto o con l'ammenda chiunque effettui l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento al di fuori dei casi e delle procedure prescritte, ovvero non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione dell'attività.
Mentre, secondo il comma 5 dell'art. 133, è soggetta a una sanzione amministrativa pecuniaria l'inosservanza delle disposizioni regionali vigenti di cui al predetto comma 7 dell'art. 170, salvo che il fatto costituisca reato, nei termini già precedentemente precisati.
Tali norme - si noti bene - secondo questa Corte e come verrà ancor meglio illustrato nelle pagine seguenti, sono comunque operative solo per quelle ipotesi in cui si realizzi una effettiva pratica di utilizzazione agronomica e tuttavia se ne violino talune regole di corretto espletamento, e sempre che si rimanga nell'ambito di uno "scarico", e non in ambito di gestione di rifiuto liquido (che determinerebbe un diverso reato ex Dlgs 152/2006).

Giova a quest'ultimo proposito rappresentare che neppure sfugge a questa Corte la presenza di pronunzie della giurisprudenza di legittimità che sembrano invece  inclini ad "unificare", nella medesima norma dell'art. 137 - nonostante sia collocata espressamente nella parte III del Dlgs 152/06, dedicata alle acque - tutte le forme di effettuazione,  "al di fuori dei casi e procedure", della pratica di utilizzazione agronomica normativamente disciplinata. A prescindere quindi dalle modalità concrete di sversamento (cfr. in particolare Cass. Pen. Sez. 7, Ordinanza n. 37442 del 10/04/2015 Cc.  (dep. 16/09/2015) Rv. 264451 Presidente: Squassoni C.  Estensore: Aceto A.  Relatore: Aceto A.  Imputato: Muraglia, in tema di violazione delle norme tecniche di trasporto delle acque di vegetazione di frantoi destinate alla fertirrigazione; e ancora Cass. Pen. sez. III n. 1179 del 13.4.2016 imp. Bitetti F.).
Lasciando così alle specifiche discipline in tema di acque e di rifiuti, esclusivamente e soltanto i casi - come quello di specie - di più ampia e praticamente totale "esorbitanza" delle condotte concretamente effettuate dalla normativa primaria e secondaria inerente le pratiche di "utilizzazione agronomica"
Si tratta di un indirizzo che, invero, come emerge dalla lettuta delle pronunzie della Suprema Corte intervenute, non appare mai adeguatamente spiegato nel suo fondamento; sopratutto, è un'opzione ermeneutica che - in contrapposizione al principio più volte evidenziato della distinzione tra scarico e rifiuto liquido per l'applicazione della normativa di riferimento, anche di rilievo penale - in tal modo verrebbe a creare una sorta di tertium genus, quale settore sanzionatorio "comune" a tutte le pratiche (a mezzo scarico o riversamento di rifiuto liquido) di utilizzazione agronomica effettive ma irregolari (al di fuori dei casi e procedure ); genere individuato appunto nella fattispecie di cui all'art. 137 comma 14 citato.
Pur rilevando questa Corte, quindi, motivi di dissenso da tale impostazione interpretativa, in favore di una possibile opzione ermeneutica più lineare alla luce dei principi esposti, che riconduca conseguentemente all'art. 137 comma 14 Dlgs 152/2006 le pratiche di utilizzazione agronomica "irregolari" operate mediante scarico diretto, e all'alveo delle norme sui rifiuti (tra queste l'art. 256 comma IV del Dlgs 152/2006) le analoghe pratiche irregolari operate invece mediante sversamento di rifiuto liquido ovvero scarico "indiretto",  non può comunque non notarsi come, anche seguendo il citato indirizzo di legittimità, il problema debba necessariamente essere ridimensionato.
Ciò in quanto, a ben vedere, l'operatività di tale articolo 137 comma 14, inteso secondo questi termini "unitari", di fatto si riduce comunque a casi, invero rari, di mere irregolarità di rilievo puramente formale, prive di riflessi di tipo sostanziale, e caratterizzati pur sempre da un pieno, comprovato e adeguato utilizzo agronomico del refluo in rapporto al corpo recettore. Ciò in quanto, si noti, il citato art. 137 comunque presuppone che a monte vi sia pur sempre una attività che possa comunque considerarsi di utilizzazione agronomica: ""chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti ....al di fuori dei casi e delle procedure...".  
E tale ridimensionamento della questione tanto più si nota laddove si dia rilievo, come si illustrerà in apposito paragrafo successivo, stante la natura eccezionale delle disciplina derogatoria in esame, al principio per cui, con inversione, sul punto, dell'onere della prova, il soggetto interessato alla applicazione della disciplina, eccezionale, dell'attività di utilizzazione agronomica, deve dimostrare egli stesso che vi sia stato effettivo uso  agronomico.
Cosicchè, l'esorbitanza dell'attività concretamente svolta, dagli ambiti tipici ed essenziali di "utilizzo agronomico", tecnicamente delimitati e condizionanti una "effettiva" utilità dell'uso di effluenti o acque di vegetazione per l'attività agricola, ne determina certamente la sottrazione piena alla "deroga" stabilita, da ultimo, dall'art. 112 Dlgs 152/2006; con inclusione della stessa attività nel settore normativo di riferimento, anche di rilevanza penale, individuabile in base, pur sempre, alle concrete modalità di sversamento degli effluenti seguite (scarico diretto o "indiretto").
In tal senso si pongono, tra le altre, la sentenza della Corte di Cassazione penale, Sez. III, 26/09/2011 (Ud. 25/05/2011) n. 34758, dettata in tema di acque di vegetazione da frantoi oleari, per cui, in presenza di utilizzazione delle stesse acque sostanzialmente "al di fuori dei casi e procedure ex lege" e in particolare in presenza di acque di vegetazione derivanti dalla lavorazione meccanica delle olive e convogliate in una canaletta improvvisata che trasportava detto liquido in una fossa scavata nel terreno, coperta da un telo di nylon non impermeabile perché bucato, la Suprema Corte ha stabilito la sussistenza non della contravvenzione ex art. 137 comma 14 Dlgs 152/2006 bensì del reato ex art. 256 comma II Dlgs 152/2006 "essendo pacifica la qualificazione di tali acque nella categoria dei rifiuti liquidi". Nel medesimo senso la Cassazione - riproponendo ancora una volta il criterio distintivo fondato sul binomio scarico/rifiuto liquido, con tutte le sue implicazioni normative - ha sottolineato che " ..gli effluenti di allevamento se non vengono utilizzati nella fertirrigazione danno luogo ad uno scarico parificato a quello domestico a tutti gli effetti se vengono smaltiti tramite condotta nel rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge. Mancando invece la condotta, lo sversamento sul suolo, nel sottosuolo, ecc  al di fuori della fertirrigazione dà luogo allo smaltimento di un rifiuto" (cfr. Cass. Pen. sez. III 11 maggio 2009 n. 19880).

Va aggiunto, infine, che deve indicarsi, quale dato pacifico, quello per cui, nonostante la depenalizzazione della condotta di scarico senza autorizzazione, di reflui provenienti da attività d'allevamento del bestiame, per effetto delle modifiche introdotte dal D. L.vo 16 gennaio 2008 n. 4 all'art. 101, comma settimo lett. b), del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152, l'utilizzazione agronomica dei reflui medesimi, al di fuori dei casi o dei limiti consentiti, continua ad integrare il reato ex art. 137, comma 14 del D. L.vo 152 del 2006. (cfr. Cass. Pen. sez. III, 2.7.2008 n. 26532, Calderone). Come sopra già accennato, "il più grave trattamento sanzionatorio comminato per l'ipotesi di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, al di fuori dei casi e delle procedure previste, è giustificato dalla considerazione della maggiore pericolosità dell'impiego, nella produzione di sostanze alimentari, di materiali potenzialmente nocivi se utilizzati al di fuori delle prescrizioni imposte". La deroga si fonda inoltre nella clausola di salvezza, "salvo che il fatto costituisca reato", prevista dall'art. 133, comma terzo, dello stesso decreto legislativo, che sanziona amministrativamente l'effettuazione o il mantenimento di uno scarico senza l'osservanza delle prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione. (Cfr. Cass. Pen. Sez. III, 24/03/2010 (Ud. 11/02/2010), Sentenza n. 11256, imp. Premoli, cit.).

4. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione.

Oggetto del presente processo sono non solo le attività di gestione di effluenti di allevamento, ma anche talune attività di conferimento - con successivo trattamento in apposito impianto affidato a società denominata Codep Scarl - di acque di vegetazione di frantoi oleari, poi inserite, assieme ad effluenti di allevamento pure ivi convogliati e trattati, in asserite pratiche di "fertirrigazione".
In questa sede, di preliminare analisi dei profili giuridici di maggior rilievo da considerare, occorre allora anche accennare al fatto che con le citate norme di cui agli artt. 38 del Dlgs 152/99 e poi 112 del Dlgs 152/2006, sono stati individuati, tra i reflui suscettibili di essere oggetto di "utilizzazione agronomica", oltre agli effluenti di allevamento, anche le acque di vegetazione dei  frantoi oleari "sulla base di quanto previsto dalla L. 11 novembre 1996 n. 574...".
Ebbene, tale normativa è ritenuta applicabile solo a quei frantoi che operino "...in stretta connessione con l'azienda agricola e che trattano in massima parte quanto prodotto dalla stessa atteso che solo in questo caso i quantitativi di acque ottenute dalla lavorazione risultano contenuti in limiti di tollerabilità dei terreni ove vengono distribuite. Invece il reato di scarico di acque reflue industriali in difetto di autorizzazione viene integrato quando l'utilizzazione delle acque di vegetazione dei frantoi avviene al di fuori dei casi e delle procedure previste dalla legge" ( cfr. Cass. Pen. sez. III 269.2011 n. 34758).
Si è anche precisato, sempre facendo riferimento alla L. 574/1996, che "le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive possono essere oggetto di utilizzazione agronomica (ai sensi dell'art. 1 della Decreto Legge 11 novembre 1996 n. 574), attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo, e previa autorizzazione sindacale, non rientrando, pertanto, nella disciplina sui rifiuti di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, a condizione che non abbiano subito alcun trattamento, ne' ricevuto alcun additivo ad eccezione della acque per la diluizione della pasta ovvero per la lavatura degli impianti" (Sez. 3, Sentenza n. 37562 del 25/06/2003 Ud.  (dep. 03/10/2003 ) Rv. 226320 Presidente: Toriello F.  Estensore: Postiglione A.  Imputato: Malpignano).
Successivamente e in linea con il citato indirizzo è intervenuto anche il d.m. 6 luglio 2005 recante «Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari, di cui all’art. 38 del d.lg. 11 maggio 1999, n. 152». Dopo avere conclamato all'art. 1 che " L’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide disciplinata dalla legge n. 574 del 1996 e dal presente decreto è esclusa ai sensi dell'art. 8, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo", con esso sono stati stabiliti, ai sensi dell’art. 38 commi 2 e 3 d.lg. n. 152 del 1999, i criteri e le norme tecniche generali per l’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide dei frantoi oleari ai sensi della l. n. 574 del 1996, disciplinando in particolare le modalità di attuazione degli artt. 3, 5, 6 e 9. Il decreto fornisce alcune definizioni (art. 2), ferme restando quelle già contenute nella l. n. 574 del 1996 e nel dlgs. n. 152 del 1999, indica le formalità per lo svolgimento dell’attività (art. 3), escludendo alcune tipologie di terreni (art. 4) e disponendo in merito al trasporto delle acque di vegetazione (art. 5) e delle sanse umide (art. 6), nonchè prevede controlli e relazioni periodiche (art. 7) e le conseguenze per l’inosservanza delle norme tecniche di utilizzazione agronomica (art. 8).
Tra l'altro, e per quanto qui precipuamente interessa, si dispone (art. 3 del DM) che quanto alla prevista "comunicazione preventiva" di cui all'art. 3 della legge n. 574 del 1996, essa è disciplinata dalle Regioni entro i termini previsti dall’art. 38 – comma 2 - del decreto legislativo 152 del 1999 nel rispetto di talune condizioni, tra cui quella per cui l’invio della comunicazione, che perviene al sindaco almeno 30 giorni prima dell’inizio dello spandimento, deve avvenire ogni anno. Inoltre il legale rappresentante del frantoio che produce e intende avviare allo spandimento sul terreno le acque di vegetazione e le sanse umide è tenuto a presentare la comunicazione di cui al comma 1.

All'art. 4 si prevedeva poi che il criterio guida nella scelta dei terreni su cui spandere, di cui alla lettera d) del comma 1 dell’articolo 5 della legge n. 574 del 1996, deve fare riferimento a condizioni di sicurezza delle falde soggiacenti in rapporto al carico idraulico consentito, consistente, ai sensi dell’articolo 2, comma 1 della legge n. 574 del 1996, in cinquanta ovvero ottanta metri cubi di acqua per ettaro rispettivamente per le provenienze da frantoi a ciclo tradizionale e da frantoi a ciclo continuo.
Il successivo art. 5 ha disposto che nelle fasi di stoccaggio e trasporto delle acque di vegetazione è vietata la miscelazione delle stesse con effluenti zootecnici, agroindustriali o con i rifiuti di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997 (analogamente a quanto previsto anche con il più volte citato DM del 2005).
Inoltre, al comma 9 è stato così stabilito: "Le Regioni definiscono con propri provvedimenti (...) gli adempimenti concernenti il trasporto necessari a garantire un adeguato controllo sulla movimentazione delle acque di vegetazione, prevedendo almeno che vengano fornite le seguenti informazioni:
a) gli estremi identificativi del frantoio da cui originano le acque di vegetazione trasportate e
del legale rappresentate dello stesso;
b) la quantità delle acque trasportate;
c) la identificazione del mezzo di trasporto;
d) gli estremi identificativi del destinatario e l’ubicazione del sito di spandimento;
e) gli estremi della comunicazione redatta dal legale rappresentante del frantoio da cui
originano le acque trasportate".
Quanto al comma 10 dell'art. 5 citato: "Le Regioni stabiliscono inoltre i tempi di conservazione della documentazione di cui al comma 9, nonché le forme di semplificazione della documentazione da utilizzarsi nel caso di trasporto effettuato dal personale dipendente dal frantoio o dal titolare del sito di spandimento; stabiliscono altresì le modalità da seguire in caso di conferimento delle acque di vegetazione ad un contenitore di stoccaggio ubicato al di fuori del frantoio".
Da ultimo, lo si riporta a fini di completezza, è intervenuto anche sulla predetta materia il Decreto Ministeriale 25-2-2016, n. 5046 intitolato "Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue di cui all'art. 113 del Decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, nonché per la produzione e l'utilizzazione agronomica del digestato di cui all'art. 52, comma 2-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134".

Alfine, può dirsi che anche per le citate acque di vegetazione ed il relativo utilizzo agronomico assume rilievo il profilo della "effettività" della utilizzazione agronomica delle stesse acque, come requisito complessivo ed essenziale per l’applicazione della disciplina speciale di favore.

Ed allora, alla luce del complesso delle disposizioni riconducibili alle citate acque di vegetazione, tanto sotto la vigenza del Dlgs 152/99 che del Dlgs 152/2006, i reflui «assimilati» avranno lo stesso trattamento delle acque reflue domestiche, l’utilizzazione agronomica dovrà ritenersi consentita, da ultimo, alle condizioni di cui all’art. 112 del vigente decreto legislativo, mentre tutte le attività diverse rientreranno nella nozione di «scarico» o «rifiuto» secondo la nota distinzione tra le due discipline.
In tale ultimo caso il regime sanzionatorio applicabile sarà quello previsto per gli scarichi di reflui «industriali» o per le illecite attività di gestione dei rifiuti, con applicazione delle sanzioni amministrative per gli scarichi di reflui "assimilabili" (si deve in proposito comunque rammentare che con riguardo all'attuale art. 101, comma 7, lett. c), Dlgs 152/06, pur essendosi eliminato il limite dei due terzi contenuto nel D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 28, facendosi ora riferimento alla "materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall'attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità", permane la esclusione dalla equiparazione ai reflui domestici degli scarichi provenienti da attività che hanno comunque prevalente caratterizzazione industriale, come accade nel caso in cui la contestazione ha riguardo all'attività di un centro di produzione olii, come tale non collegato a propria e diretta attività agricola - cfr. Cass. Pen. sez. III n. 26524 del 20/05/2008 Ud.  (dep. 02/07/2008) Rv. 240549 Presidente: Onorato P.  Estensore: Sarno G.  Relatore: Sarno G.  Imputato: De Gregorissez).
In presenza invece dei presupposti per qualificare l’attività svolta come utilizzazione agronomica, e quindi al di là dei casi di totale assenza dei medesimi (implicanti il ritorno alla applicazione delle norme in materia di acque o rifiuti), l’effettuazione della stessa al di fuori dei casi e delle procedure previste, l’inottemperanza al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività potranno essere penalmente sanzionate, secondo l'impostazione "unitaria" poco prima illustrata e anche sottoposta a critica, ai sensi dell’art. 137, comma 14, d.lg. n. 152 del 2006, mentre l’inosservanza delle prescrizioni regionali potrà essere sottoposta alle sanzioni amministrative previste e richiamate anche dall’art. 8 d.m. 6 luglio 2005 e la violazione di quanto disposto dalla l. n. 574 del 1996 subirà le sanzioni amministrative che la legge stessa prevede.

Sul tema è ritornata anche di recente la Suprema Corte ribadendo che "la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere (ex multis, Sez. 3, n. 21777 del 27/03/2007, Conti, Rv. 236709) che l'ambito di applicazione della disciplina contenuta nella L. 11 novembre 1996, n. 574 (Norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi di frantoi oleari) deve essere necessariamente circoscritto ai soli casi in cui i reflui oleari abbiano una loro utilità a fini agricoli.
Ed infatti L. n. 574 del 1996 menziona tutta una serie di disposizioni dalle quali si evince che è consentita unicamente l'utilizzazione agronomica dei reflui oleari (come le acque di vegetazione derivanti dalla molitura delle olive e le relative sanse umide) essendo perciò permessa l'applicazione di essi al terreno ma esclusivamente se finalizzata all'utilizzo delle sostanze nutritive ammendanti ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, con la conseguenza che deve escludersi che il legislatore abbia in qualche modo inteso favorire lo spandimento o l'abbandono sul terreno come mezzo incontrollato di smaltimento dei reflui della lavorazione delle olive.
Ne deriva che, al di fuori dall'utilizzazione agronomica, si deve fare riferimento tanto per la sansa quanto per le acque di vegetazione alla categoria dei rifiuti qualora di esse si faccia una raccolta finalizzata (...)all'abbandono, mediante raccolta in  contenitori o in invasi (nel caso di specie si è trattato di una vasca interrata non impermeabilizzata di vaste dimensioni). (cfr. Cass. Pen. sez. III Sentenza n. 40533 del 17/06/2014 Ud.  (dep. 01/10/2014 ) Rv. 260755 Presidente: Squassoni C.  Estensore: Di Nicola V.  Relatore: Di Nicola V.  Imputato: Pellegrino.)

Può anticiparsi che nel caso in esame si è assitito alla totale pretermisisone delle disposizioni e requisiti disciplinanti l'utilizzo agronomico delle acque di vegetazione.
5. I fanghi

La rilevanza, nel processo in esame, di un impianto di trattamento di reflui, impone anche un accenno alla disciplina dei fanghi residui all'esito del trattamento. Ebbene, va precisato che i fanghi derivanti dal trattamento di acque reflue come specificati dal Dlgs 99/92 non sono sottoposti alla disciplina sulle acque ai sensi dell'art. 48 del D.Lgs. n. 152 del 1999, ma a quella sui rifiuti di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 (disposizione riprodotta nell'art. 127 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152). Inoltre In materia di fanghi derivanti dai processi di depurazione, "....le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento sono disciplinate non soltanto dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 99, inerente l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, ma anche dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (e, prima della sua entrata in vigore, dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), non sussistendo alcun rapporto di specialità tra dette fonti". (cfr. Cass. Pen. sez. III Sez. 3, Sentenza n. 2303 del 06/12/2012 Ud.  (dep. 16/01/2013 ) Rv. 254141 Presidente: Gentile M.  Estensore: Amoroso G.  Relatore: Amoroso G.  Imputato: D'Auria. Sez. 3, Sentenza n. 2303 del 06/12/2012 Ud.  (dep. 16/01/2013 ) Rv. 254141 Presidente: Gentile M.  Estensore: Amoroso G.  Relatore: Amoroso G.  Imputato: D'Auria.).

6. La disciplina della Regione Umbria in materia di utilizzazione agronomica

Per quanto interessa in questa sede, va osservato che il quadro normativo della Regione Umbria da considerare, parte dalla Delibera di Giunta Regionale 1577 del 22.12.2000 con cui, in attesa del Decreto del Ministero per le politiche agricole già previsto dal Dlgs 152/99, art. 38, come modificato con l'art. 17 del dlgs 258 del 18.8.2000, oltre che delle correlate disposizioni Regionali, si fissarono direttive tecniche provvisorie relativamente alla gestione ed utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici, delle acque reflue dei frantoi oleari e dei fanghi di depurazione sul suolo.
Si stabilì che l'utilizzazione agronomica dei reflui zootecnici fosse consentita in presenza di talune condizioni, e tra queste si richiese che:
- l'impresa agricola fosse condotta in modo da conseguire la "piena utilizzazione agronomica del terreno";
- il terreno da utilizzare avesse estensione tale da consentire l'applicazione di un carico di azoto pari a 400 Kg per anno ed ettaro o di un carico massimo di bestiame in peso vivo pari a 22 quintali; in caso di utilizzo in aree vulnerabili, il quantitativo era ridotto a 170 Kg;
- il carico idraulico non potesse superare mediamente i 200 mc. per ettaro e per anno;
- si procedesse ad una comunicazione preventiva (almeno 30 gg prima delle operazioni) al Sindaco del Comune in cui fossero ubicati i terreni interessati;
- la comunicazione fosse corredata tra l'altro, di relazione idrogeologica e pedogeomorfologica, oltre che da una relazione descrittiva delle modalità da seguire per la fertirrigazione, del tipo e grandezza dell'allevamento e dei mezzi usati per lo spandimento.   
Al capo II poi, si disciplinava "l'utilizzazione agronomica e smaltimento delle acque reflue dei frantoi oleari" mediante tre sistemi alternativi: 1) di stoccaggio in appositi bacini e di successivo smaltimento in fognatura pubblica "previa specifica autorizzazione"; 2) di utilizzazione sul suolo adibito ad uso agricolo subordinatamente al rispetto di taluni limiti e condizioni; 3) di trattamento in impianti di depurazione. Ciò secondo un metodo consistente nello "stoccaggio delle acque di vegetazione (...) e nel trattamento delle stesse in idonei impianti di depurazione. Gli impianti di depurazione autorizzati ai sensi del Dlgs 22/97 al trattamento di acque reflue provenienti da frantoi oleari alla data odierna, sono i seguenti: Perugia Pian della Genna; Foligno Loc. Casone; Terni Loc. Maratta Bassa; Bettona, impianto reflui zootecnici Codep." .
Si noti sin d'ora, come sarà meglio illustrato in sede di descrizione dell'impianto della società Codep e delle sue funzionalità, come ancora nel 2000 tale struttura era reputata un mero impianto di depurazione, e non, come poi si cercherà di farlo apparire, come una fase di una più ampia e complessa pratica di utilizzo agronomico di efluenti di allevamento.
Del resto, a riporva, si richiamavano altresì tutte le norme vigenti per impianti di depurazione laddove si disponeva espressamente che "Gli enti gestori degli impianti sono tenuti a rispettare tutte le condizioni e prescrizioni stabilite nelle rispettive autorizzazioni. Il conferimento dei reflui agli impianti di depurazione è subordinato alla preventiva verifica, da parte del conferitore, della sussistenza delle condizioni amministrative e tecniche necessarie al trattamento dei reflui in questione. I fanghi residui depositati nelle vasche o nei bacini di accumulo o prodotti dagli impianti di trattamento devono essere smaltiti in conformità alle norme vigenti in materia".
La delibera, in questa parte dedicata alle acque di vegetazione, si concludeva con la formulazione di un'espressa preferenza per il citato "sistema 3" - di smaltimento - laddove si invitavano "i Sindaci dei comuni umbri (....) a voler privilegiare lo smaltimento delle acque reflue presso gli impianti di depurazione appositamente autorizzati, al fine di garantire la salvaguardia e la integrità dell'ambiente, con particolare riferimento alle risorse idriche".  
Nel capo III, infine, si disciplinava l'"utilizzazione agronomica dei fanghi" che veniva subordinata al rispetto delle disposizioni di cui al Dlgs 99/92.  

A tale delibera seguì la DGR del 19.7.2005 n. 1201, adottata in esecuzione dell'art. 19 del Dlgs 152/99 intitolato "Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola", che ha dettato criteri per l'individuazione di dette zone vulnerabili anche cominciando a designare in apposito allegato (7/a - III)  talune di tali aree "vulnerabili".
Ha quindi stabilito che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, le regioni, sentita l’Autorità di bacino, potessero individuare ulteriori zone vulnerabili ovvero, all’interno delle zone indicate nell’allegato 7/A-III, le parti che non costituiscono zone vulnerabili. Ha stabilito con cadenza quadriennale che le Regioni rivedessero o completassero le designazioni delle zone vulnerabili per tener conto dei cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente designazione, anche previo programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci per il periodo di un anno, nonché riesaminando lo stato eutrofico causato da azoto delle acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine costiere. Ha peraltro stabilito, per le aree così individuate, l'attuazione di programmi di azione di cui al comma 6, nonché l'applicazione delle prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole del 19.4.1999.
Si è quindi prevista al comma 6, sempre da parte delle Regioni, per le zone individuate ai sensi dei precedenti commi 2 3 e 4, la definizione ovvero la revisione, se già posti in essere, di programmi d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola
Al comma 7 ha sancito, tra le altre iniziative regionali, quelle di controllo -
entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 6 - dell’efficacia dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti.
L'attenzione per tale delibera si impone in questa sede in quanto il tema della utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, che costituisce una parte essenziale dei profili su cui si incentra il presente processo, investe necessariamente anche aree appunto definite "vulnerabili" da nitrati oltre che l'inquinamento delle stesse anche da tali elementi.
In tal senso indirizza anche la lettura di alcuni capi di imputazione.
E infatti al capo c) si contesta il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112 e 434 c.p., per la realizzazione del delitto di disastro ambientale cd. "innominato" consistito nella compromissione dell’equilibrio naturale dei terreni e delle acque anche "danneggiando le falde acquifere per effetto dell’alta concentrazione di sostanze inquinanti in particolare azoto e metalli pesanti", a ciò collegandosi, secondo la contestazione, la classificazione di " enormi estensioni di terreni, da anni nella disponibilità pressoché esclusiva della CODEP in particolare nei comuni di Bettona e Bastia Umbra.."  quali zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola "...in base a specifiche normative (DGRU 2052/05, art. 94 D.Lgs. 152/06, direttiva 91/676/CEE)...". Analoga contestazione è riportata nel capo h), sempre relativo al delitto ex artt. 81 cpv, 110, 112, 434 c.p., con inquinamento delle "....falde acquifere per effetto dell’alta concentrazione di azoto nitroso, nitrati e altri metalli pesanti, tanto che specifiche aree da anni in disponibilità pressoché esclusiva della CODEP  sono state inserite negli atti della Regione Umbria quali zone vulnerabili ai nitrati secondo i criteri dettati dalle direttive comunitarie".
Ebbene, con la citata Delibera di giunta la Regione Umbria provvide a designare e perimetrare ovvero a estendere ulteriori "zone vulnerabili da nitrati di origine agricola". Tra queste, alcune del "settore orientale dell'Alta Valle del Tevere"; alcune quali porzioni dell'acquifero della Conca Eugubina prossima all'abitato di Gubbio; alcune quali porzioni dell'acquifero della Valle Umbra compresa tra gli abitati di Assisi e Spoleto e definite "zona vulnerabile 'Valle Umbra a sud del fiume Chiascio". Tra quelle ulteriormente "estese", dopo una designazione già avvenuta con varie DGR, del 2002 n. 1240, del 2003 n. 881, del 2004 n. 1090, rientravano alcune zone comprese tra gli abitati di Ponte S. Giovanni e Marciano, ovvero prossime all'area di S. Petrignano di Assisi - porzione settentrionale dell'acquifero della Valle Umbria "in destra del fiume Chiascio ", nonchè altre zone prossime al lago Trasimeno.
Può dirsi, seppure approssimativamente, atteso che dall'istruttoria dibattimentale, come si vedrà, non è emersa una analitica indicazione dei terreni interessati dalle contestazioni in esame e della loro specifica inclusione in taluna delle zone predette,  che si tratta di aree che involgono anche i setttori geografici di interesse per questo processo.
Tanto venne disposto assumendosi come parte integrante della delibera un allegato documento istruttorio.
Documento di interesse, in quanto, dopo avere richiamato la direttiva 91/676/CEE relativa alla "protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole" e il Dlgs 152/99, si precisava il criterio fondamentale di riferimento delle determinazioni ivi contenute: ossia il principio per cui "vengono considerate vulnerabili le porzioni di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi..". Criteri di applicazione di tale principio erano la "presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/l ...nelle acque..in particolare destinate alla produzione di acqua potabile;  "presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/l ...nelle acque sotterranee; presenza di eutrofizzazione". Quindi si spiegava che le nuove determinazioni in materia di ulteriori o più estese aree vulnerabili conseguivano ad uno studio commissionato all'Arpa Umbria nel 2002 e trasmesso con nota del novembre del 2004, inerente indagini svoltesi tra il 2003 ed il 2004. In tale documento - che non risulta prodotto agli atti nè tantomeno mai citato dai testi - si individuavano " ...alcune aree critiche comprendenti sia le porzioni di acquifero che presentano concentrazioni di nitrati superiori a 50 mg/l sia quelle che rischiano di venire presto compromesse, tenuto conto dei carichi inquinanti a cui sono sottoposte ( ....) e dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione ...".  

Correlata alla precedente, intervenne la delibera di Giunta Regionale del 7.12.2005 n. 2052, intitolata "programma di azione per le zone vulnerabili da nitrati di origine agricola " con la quale la Giunta Regionale Umbra approvò il predetto programma in relazione alle zone dichiarate "vulnerabili" con Dlgs. 152/99 e fino alla citata delibera 1201/2005. Con il citato programma si disciplinava (art. 2 comma 6) "...l'intero  ciclo ( produzione raccolta, stoccaggio fermentazione e maturazione, trasporto e spandimento) dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento" stabilendosi altresì ( comma 7) che "..l'intero ciclo dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento è escluso, ai sensi dell'art. 8 comma 1, del D.Lgs. 22/97, dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo".  Rimaneva comunque "..fermo quanto previsto dal D. Lgs. 18 febbraio 2005 n. 59 per gli allevamenti intensivi di cui al punto 6.6. dell'allegato I allo stesso decreto.." (comma 10). Secondo l'art. 3, a partire dall'inizio della annata agraria successiva alla entrata in vigore della delibera (pubblicata il 28.12.2005), divenivano obbligatorie tutte le misure contemplate nel "Programma" e, per quanto in esso non disciplinato, nel codice di buona partica agricola.
All'art. 4 si definivano allevamenti intensivi quelli con più di 40.000 capi di pollame a ciclo, o più di 2000 capi di suini da produzione (oltre 30 kg) a ciclo o ancora 750 capi scrofe. L'annata agraria era compresa tra l'11.11.e il 10.11 dell'anno successivo. Per "trattamento" si indicava "qualsiasi operazione, compreso lo stoccaggio atta a modificare le caratteristiche degli effluenti di allevamento al fine di migliorare la loro utilizzazione agronomica e contribuire a ridurre i rischi igienico - sanitari". All'art. 5 si disciplinavano le modalità di svolgimento della pratica di "utilizzazione agronomica" e tra l'altro si disponeva che la quantità di effluente di allevamento distribuito non potesse determinare un apporto in azoto organico complessivo "....superiore a 170 kg. per ettaro e per anno inteso come quantitativo medio aziendale calcolato sulla base dei valori della tabella n. 1 allegata.." aggiungendo che " le..quantità di applicazione devono tenere conto, ai fini del rispetto del bilancio dell'azoto, del reale fabbisogno delle colture..". Con l'articolo 6 si fissavano divieti di utilizzazione dei liquami e distanze di rispetto, mentre all'art. 8 si precisava che "i trattamenti dei liquami....e le modalità di stoccaggio sono finalizzati ....a garantire la protezione dell'ambiente e la corretta gestione agronomica dei materiali stessi rendendoli disponibili all'utilizzo nei periodi più idonei.....e nelle condizioni più adatte per l'utilizzazione.." Si aggiungevano poi disposizioni regolamentanti le dimensioni dei contenitori di stoccaggio e quindi i volumi minimi assicurati in rapporto ai liquami prodotti dai vari tipi di allevamento, fino a quello calcolato come prodotto in 150 giorni per tutti gli allevamenti diversi da quelli di bovini, equini e ovicaprini.  Previsioni particolari venivano fissate all'art. 10 per le modalità di trasporto dei liquami dal luogo di produzione e/o stoccaggio ai terreni.
Si prevedeva quindi (artt. 11 e ss.), per le aziende con terreni ricadenti nelle zone designate come "vulnerabili" ai sensi delle disposizioni precedenti,  la redazione di un Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA), avente cadenza quinquennale, da conservarsi in azienda per i 4 anni successivi, e da trasmettersi su supporto informatico al Database Regionale appositamente istituito entro il 31 marzo di ogni anno.
Con l'art. 13 si disciplinava poi la comunicazione ex art. 38 del Dlgs 152/99 da effettuarsi da parte della azienda interessata all'utilizzo agronomico di effluenti di allevamento superiori a 3000 kg/anno e da indirizzarsi, almeno 30 gg. prima, al Sindaco del comune in cui fossero ubicati i terreni interessati. La  comunicazione andava conservata nei successivi 4 anni da ciascun interessato.
Nel medesimo articolo si regolamentava il caso in cui le fasi di " produzione, stoccaggio e utilizzazione degli effluenti " venissero suddivise fra più soggetti.
Previsione di precipuo interesse atteso che tale suddivisione di compiti emerge nell'esame dei fatti contestati.
In tali casi la trasmissione della comunicazione alla autorità competente sarebbe stata in capo "...ai diversi soggetti in funzione delle specifiche attività ...". Con analitica specificazione delle informazioni da fornire in ciascuna comunicazione a seconda delle attività svolte in ordine agli effluenti.
Per regola generale l'autore delle suddette comunicazioni assumeva anche l'obbligo di dare tempestiva informazione delle variazioni dei dati contenuti nella primigenia comunicazione.  E in caso di variazioni sostanziali esse avrebbero dovuto essere comunicate almeno 30 gg prima di ogni annata agraria, mentre almeno 2 gg prima di ogni operazione l'Arpa Umbria doveva essere informata dell'inizio di ognuna di esse.
L'esonero dalla comunicazione era limitato alle aziende che utilizzassero non più di 1000 kg di azoto al campo da effluenti zootecnici. Pur rimanendo l'onere di dimostrare ".....alle autorità preposte al controllo il rispetto delle restanti disposizioni contenute nel presente Programma" (art. 16 comma II).
Infine l'art. 18 prevedeva in funzione di eventuali modifiche al "Piano", un monitoraggio, anche con campionamenti, da parte di Arpa Umbria, previo protocollo tra Regione e Arpa, relativo alle citate attività di utilizzazione agronomiche in funzione anche della determinazione degli effetti " conseguenti e potenziali sullo stato delle acque per quanto attiene la concentrazione dei nitrati" .
Può anticiparsi che nulla risulta agli atti dibattimentali circa tale protocollo, il monitoraggio, i relativi risultati e le conseguenti valutazioni sullo stato delle aree e delle acque in rapporto ai nitrati.
Pur trattandosi di dati evidentemente utili, sopratutto per valutare lo stato dei terreni e delle acque nel corso del tempo, in relazione ai reati di cui agli artt. 434 e 439 c.p. contestati.
Seguiva all'art. 19 la previsione di controlli, e all'art. 21 la disposizione per cui "gli atti o i provvedimenti che alla data di entrata in vigore del ...Programma abilitano all'effettuazione dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento restano validi sino al 10 novembre 2006 se non in contrasto con quanto previsto dal presente Programma". Si faceva salva sino al 10.11.2006 la DGR n. 1577 del 22.11.2000 sostituita per le zone vulnerabili nei contenuti di cui all'allegato A capo I, oltre che per quanto previsto in merito allo stoccaggio degli effluenti.   

Intervennero infine, nel 2006, la DGR del 2 agosto, n. 1423 intitolata " direttiva tecnica regionale : 'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide dei frantoi oleari" e poco dopo la DGR del 6 settembre, n. 1492 intitolata " Direttiva tecnica regionale: utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento; delle acque provenienti dalle aziende di cui all'art. 101 comma 7 lettere a) b) e c) del Dlgs 152/2006 e da piccole aziende agroalimentari; dei fanghi proveninti dagli impianti di depurazione di cui al Dlgs 99/92; dei reflui delle attività di piscicoltura".  

Con riguardo alla prima, nel titolo I sono state dettate disposizioni tecniche in tema di acque di vegetazione e sanse umide ai sensi del decreto del Ministro delle Politiche agricole e forestali del 6.7.2005 e della L. 574/96. Con entrata in vigore dal 13.9.2006.  Per quanto qui di interesse si sono fissati criteri di distribuzione, dosi di applicazione, divieti di utilizzazione, oltre a particolari procedure in caso di utilizzo in aree vulnerabili. In particolare poi, all'art. 8 comma I si è fatto espresso divieto di miscelazione con effluenti zootecnici, agroindustriali o con i rifiuti nelle fasi di stoccaggio e trasporto, mentre non si rinviene alcuna disposizione che contempli espressamente e in modo articolato - come invece è previsto per gli effluenti di allevamento e relativo utilizzo agronomico - una possibile suddivisione, tra diversi soggetti, delle fasi di produzione, stoccaggio e utilizzazione. Non si contempla alcun trattamento, tanto che per acque di vegetazione, all'art. 3 comma I si intendono le "acque residuate dalla lavorazione meccanica delle olive (...) che non hanno subito alcun trattamento nè ricevuto alcun additivo". All'articolo 9 si sono disciplinate le attività di trasporto, prevedendosi una apposita documentazione di accompagnamento contenente tra gli altri, gli elementi identificativi del frantoio, la quantità del materiale trasportato, l'ubicazione del sito di stoccaggio e l'ubicazione del sito di spandimento, gli estremi della comunicazione  preventiva di cui all'art. 10 (avente cadenza annuale e da inoltrarsi almeno 30 gg prima dell'inizio delle operazioni da parte del titolare del frantoio al Sindaco del Comune interessato). Che deve contenere, ancor prima delle operazioni di utilizzazione, oltre a dichiarazioni del titolare del frantoio, anche dichiarazioni sottoscritte del titolare del sito di spandimento, come tale da subito identificato all'interno della stessa comunicazione preventiva del titolare del frantoio. La comunicazione va conservata dal titolare del frantoio per almeno 4 anni e va integrata in caso di variazioni. Vi sono soggetti esonerati in rapporto a quantitativi ridotti di acque di vegetazione prodotti ( art. 12) con l'obbligo, in ogni caso, di dimostrare il rispetto delle disposizioni di cui alla direttiva. Il Capo si conclude con la previsione di sanzioni amministrative in caso di talune violazioni alle citate norme tecniche. Le comunicazioni già inviate prima della entrata in vigore della citata direttiva, ai sensi della precedente DGR 1577/2000 restano valide se non in contrasto.
Nell'allegato alla parte dedicata alle acque di vegetazione e sanse umide, si disciplina il contenuto della comunicazione preventiva: è di interesse la previsione per cui la comunicazione, da farsi da parte del titolare del frantoio, deve riportare tra l'altro i quantitativi di acque che si ritiene di spandere oltre a contenere in allegato apposita relazione tecnica (illustrativa in sintesi del terreno interessato allo spandimento e delle sue caratteristiche anche in funzione dell'utilizzo agronomico oltre alle modalità di spandimento e indicazione del trasportatore incaricato); in caso di utilizzo di terreno di terzo soggetto deve anche contenere la dichiarazione di quest'ultimo che si impegni a rispettare le direttive tecniche regionali vigenti attuative della Legge n. 574/96 e del decreto ministeriale del 6.7.2005, i contenuti della relazione tecnica sopra citata.
Vale la pena cominciare ad anticipare già in questa sede che le acque di vegetazione pur conferite annualmente all'impianto di Codep, e fatte oggetto quindi di miscelazione, vietata dalla predetta disciplina, con i reflui zootecnici, non furono indicate in una comunicazione preventiva agronomica rispettosa di tutte queste prescrizioni. E più in generale mai si rispettarono le predette regole, disciplinanti in sostanza una gestione e applicazione al terreno del tutto autonoma, rispetto agli effluenti di allevamento con cui venivano invece indistintamente miscelate e riversate.

Quanto alla sopra citata DGR del 6 settembre, n. 1492 (pubblicata il 13.9.2006), inerente i reflui zootecnici, nel capitolo I sono state dettate disposizioni tecniche in tema di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento delle acque reflue provenienti da aziende di cui all'art. 101 comma 7 lettere a) b) e c) del Dlgs 152/06 e da piccole aziende agroalimentari, e dei fanghi provenienti da impianti di depurazione di cui al Dlgs 92/99. Oltre anche a direttive tecniche in tema di utilizzazione agronomica anche di reflui delle attività di piscicoltura.
Si precisa la persistenza di quanto previsto dal Dlgs 59/2005 per gli allevamenti intensivi di cui al punto 6.6 dell'allegato I del medesimo decreto, specificando comunque che i predetti allevamenti devono tenere conto degli obblighi disposti con la citata direttiva.
L'entrata in vigore è prevista per l'annata agraria incipiente dal novembre del 2006.

All'art. 4, analogamente alla DGR 2052, si definiscono gli allevamenti intensivi, intendendosi quelli con più di 40.000 capi di pollame a ciclo, o più di 2000 capi di suini da produzione (oltre 30 kg) a ciclo o ancora 750 capi scrofe. Medesime le disposizioni sulla annata agraria (compresa tra l'11.11.e il 10 11 dell'anno successivo), sulla nozione di "trattamento". All'art. 5 si disciplinano le modalità di svolgimento della pratica di "utilizzazione agronomica" e tra l'altro si dispone che la quantità di effluente di allevamento distribuito non possa determinare un apporto in azoto organico complessivo superiore a 240 Kg per ettaro e per anno e di 340 kg per ettaro e per anno in caso di letami o materiali ad essi assimilati. Dosi da calcolarsi come quantitativo medio aziendale.
I predetti quantitativi possono essere aumentati fino a 340 Kg per ettaro ed anno in caso di presentazione del Piano di utilizzazione agronomica (PUA)
Con l'articolo 7 si fissano divieti di utilizzazione dei liquami ( sui terreni con pendenza media superiore al 10 per cento incrementabile a date condizioni sino al 20%), e distanze di rispetto. Si aggiungono poi disposizioni regolamentanti le dimensioni dei contenitori di stoccaggio e quindi i volumi minimi assicurati in rapporto ai liquami prodotti dai vari tipi di allevamento, fino a quello calcolato come prodotto in 120 giorni per tutti gli allevamenti diversi da quelli di bovini, equini e ovicaprini.  
Previsioni specifiche sono fissate all'art. 11 per le modalità di trasporto dei liquami dal luogo di produzione e/o stoccaggio ai terreni, con particolare riguardo ai documenti di trasporto, comprensivi tra l'altro della indicazione della natura e quantità degli effluenti trasportati e delle comunicazioni agronomiche preventivamente adottate ai sensi degli artt. 12 e 13.
Le copie dei documenti di trasporto devono essere conservate dagli interessati almeno per i 4 anni successivi.
Con l'art. 12 si disciplina la comunicazione ex art. 38 del Dlgs 152/99 da effettuarsi da parte della azienda interessata all'utilizzo agronomico di effluenti di allevamento con quantità di azoto al campo superiore a 6000 kg/anno e da indirizzarsi, almeno 30 gg. prima, al Sindaco del comune in cui siano ubicati i terreni interessati allo spandimento. La comunicazione va  conservata nei successivi 4 anni da ciascun interessato.
Di peculiare interesse per questo processo è la espressa previsione - già contenuta nella DGR 2052/2005 - della eventualità che le fasi di " produzione, stoccaggio e utilizzazione degli effluenti " vengano suddivise fra più soggetti. Tanto anche in attuazione di analoghe previsioni contenute nel DM 7.4.2006 ispirate per tali casi, espressamente, alla esigenza di consentire e adottare "specifiche forme di controllo per ciascuna delle predette fasi ..." (cfr. artt. 18  e 29 del DM cit.).
In tali casi la trasmissione della comunicazione alla autorità competente è in capo "...ai diversi soggetti in funzione delle specifiche attività ...". Con analitica specificazione delle informazioni da fornire in ciascuna comunicazione a seconda delle attività svolte in ordine agli effluenti.
L'azienda produttrice deve trasmettere la sua comunicazione al Sindaco del comune ove è ubicata e antecedentemente alla cessione a terzi o trasporto;
l'azienda di trattamento deve trasmettere la sua comunicazione al Sindaco del comune ove è ubicata e antecedentemente alla cessione a terzi o trasporto;
l'azienda che effettua l'utilizzazione agronomica degli effluenti deve trasmettere la sua comunicazione al Sindaco del comune ove sono ubicati i terreni su cui intende effettuare l'utilizzazione agronomica e almeno 30 gg. prima dell'inizio della attività di spandimento.
All'allegato 2 si disciplina poi analiticamente il contenuto - diverso - delle comunicazioni, a seconda che afferiscano alle separate distinte fasi
Per la prima fase la comunicazione contiene, tra l'altro, l'identificazione della azienda, della consistenza dell'allevamento, della specie e categoria degli animali allevati, della azienda cui gli effluenti sono ceduti e dei quantitativi e della tipologia degli effluenti medesimi.
Per la seconda fase la comunicazione contiene, tra l'altro, l'identificazione della azienda, delle capacità e caratteristiche in relazione alla quantità e tipologia degli effluenti zootecnici, delle acque di lavaggio di strutture attrezzature e impianti zootecnici, della azienda cui gli effluenti sono ceduti e/o da cui sono eventualmente acquisiti, e dei quantitativi e della tipologia degli effluenti medesimi.
Per la terza fase, la comunicazione contiene, tra l'altro, l'identificazione della azienda e della sua ubicazione, della superficie agricola aziendale utilizzata, nonchè l'identificazione catastale dei terreni destinati alla applicazione al suolo degli effluenti zootecnici con attestazione del relativo uso e altresì i quantitativi e tipologia degli effluenti.
Le comunicazioni hanno cadenza periodica di cinque anni.
Per regola generale l'autore delle suddette comunicazioni assume anche l'obbligo di dare tempestiva informazione delle variazioni dei dati contenuti della primigenia comunicazione. E in caso di variazioni sostanziali esse devono essere comunicate almeno 30 gg prima di ogni annata agraria, mentre almeno 2 gg prima l'Arpa Umbria deve essere informata dell'inizio di ogni periodo di spandimento.
E' anche prevista una comunicazione semplificata nel contenuto per le aziende che utilizzino non più di 3000/6000 kg di azoto al campo da effluenti zootecnici (art. 13).
All'art. 15 si prevede l'esonero dall'onere di comunicazione per le aziende che producono e/ o utilizzano in un anno un quantitativo di azoto al campo non superiore a 3000 Kg. Pur rimanendo l'onere di dimostrare ".....alle autorità preposte al controllo il rispetto delle restanti disposizioni contenute nel presente Programma".
L'art. 16 prevede anche la redazione del PUA per le imprese soggette alla presentazione della richiesta di autorizzazione integrata ambientale ex Dlgs 59/2005, per quelle che utilizzino i liquami ex art. 6 comma 3 della direttiva ossia per quantitativi massimi di azoto pari a 340 kg per ettaro ed anno e per gli allevamenti bovini aventi determinate dimensioni.
Si rimanda alla lettura del titolo terzo quanto all'utilizzo agronomico dei reflui delle aziende di cui all'art. 101 comma 7 lett. a) b) e c) e per le altre forme di utilizzazione agronomica accennate in sede di illustrazione del contenuto complessivo della DGR 1492/2006.
La delibera si conclude con la previsione di sanzioni amministrative in caso di talune violazioni alle citate norme tecniche. Le comunicazioni già inviate prima della entrata in vigore della citata direttiva, ai sensi della precedente DGR 1577/2000 restano valide se non in contrasto. I titolari di dette comunicazioni devono comunque rispettare le restanti disposizioni di cui alla direttiva medesima.
Prevede altresì all'art. 41 - e tale dato sarà utile anche in sede di analisi delle responsabilità dei pubblici ufficiali dell'Arpa come in contestazione - attività annuali di controllo dell'Arpa sul 10% delle comunicazioni ricevute da espletarsi mediante "incrocio di dati", oltre a controlli aziendali pari al 4% delle predette comunicazioni.
Va aggiunto infine che le previsioni di cui sopra appaiono coincidenti e comunque conformi alle previsioni di riferimento di cui al DM 7.4.2006.
Con riguardo a quest'ultima normativa appare allora sufficiente oltre che di interesse, richiamare la previsione di cui all'allegato I, riscontrabile anche nelle norme regionali tecniche, per cui per i valori degli effluenti da utilizzare da parte degli interessati per i propri oneri informativi e comunicativi si può attingere alla tabella 1, 2 e 3 dell'allegato, corrispondendo essi a quelli riscontrati con maggiore frequenza a seguito di misure dirette ed effettuate in numerosi allevamenti, appartenenti ad una vasta gamma di casi quanto a indirizzo produttivo e a tipologia di stabulazione.
Tuttavia, nel caso fossero ritenuti validi per il proprio allevamento valori diversi, occorre presentare una relazione tecnico-scientifica che illustri dettagliatamente:
- materiali e metodi utilizzati per la definizione del bilancio azotato aziendale basato sulla misura dei consumi alimentari, delle ritenzioni nei prodotti e delle perdite di volatilizzazione, redatto seguendo le indicazioni contenute in relazioni scientifiche e manuali indicati dalle regioni. In alternativa possono essere utilizzati valori analitici riscontrati negli effluenti, di cui vanno documentate le metodiche e il piano di campionamento adottati;
- risultati di studi e ricerche riportati su riviste scientifiche atti a dimostrare la buona affidabilità dei dati riscontrati nella propria azienda e la buona confrontabilità con i risultati ottenuti in altre realtà aziendali;
- piano di monitoraggio per il controllo, nel tempo, del mantenimento dei valori dichiarati.
Tanto, invero, è perfettamente riscontrabile nella DGR 1492/2006 in relazione alla "nota introduttiva alle tabelle 1 e 2 ", ove si prevede che in alternativa all'utilizzo dei valori di cui alle tabelle allegate possano usarsi altri valori e, in tal caso "il legale rappresentante dell'azienda ai fini della comunicazione potrà utilizzare tali valori presentando una relazione tecnico scientifica sottoscritta da un tecnico abilitato ....che illustri dettagliatamente:
- materiali e metodi utilizzati per la definizione del bilancio azotato aziendale basato sulla misura dei consumi alimentari, delle ritenzioni nei prodotti e delle perdite di volatilizzazione, redatto seguendo le indicazioni contenute in relazioni e manuali scientifici. In alternativa possono essere utilizzati valori analitici riscontrati negli effluenti, di cui vanno documentate le metodiche e il piano di campionamento adottati;
- risultati di studi e ricerche riportati su riviste scientifiche atti a dimostrare la buona affidabilità dei dati riscontrati nella propria azienda e la buona confrontabilità con i risultati ottenuti in altre realtà aziendali;
- piano di monitoraggio per il controllo, nel tempo, del mantenimento dei valori dichiarati.
Alla predetta DGR è poi seguita la DGR 456 del 28 aprile 2008 e pubblicata il 28.5.2008. Intitolata "strategie di gestione integrata di effluenti zootecnici art. 27 D; 7 aprile 2006", ha stabilito che: "..negli impianti aziendali, interaziendali, consortili, pubblici, che trattano reflui zootecnici con produzione di biogas e successiva utilizzazione agronomica delle frazioni solide e liquide" potessero essere conferiti, " secondo le disposizioni di cui alla deliberazione della Giunta Regionale n. 1492 del 6 settembre 2006 e alla deliberazione di Giunta Regionale n. 1423 del 2 agosto 2006 i seguenti reflui provenienti esclusivamente dal territorio regionale:
gli effluenti di allevamento;
le acque di vegetazione  e le sanse umide da reflui oleari;
le acque reflue disciplinate al titolo III dalla deliberazione di G.R. n. 1492 del 6 settembre 2006;
E' diventato conferibile altresì il sangue di categoria 3 proveniente da mattatoi ubicati in ambito regionale a date condizioni di legge.
Si è aggiunto che le frazioni diverse dagli effluenti di allevamento non potessero eccedere il 15% del totale trattato giornalmente, e che fosse obbligatorio il ricorso al PUA per l'utilizzazione agronomica dei reflui prodotti dai predetti impianti secondo gli schemi di cui alle DGR 1492 /06 e 2052/05.
E' di interesse notare che le ragioni delle suindicate disposizioni sono state esplicitate nel documento istruttorio fatto proprio nella stessa delibera 456 quale "parte integrante e sostanziale ", in cui si è affermato che nell'allegato III del DM 7.4.2005 - parte b - sarebbe stata prevista, " tra l'altro  la possibilità di trattare presso gli impianti per il trattamento di effluenti zootecnici anche altre tipologie di materiali con successivo utilizzo agronomico sia  della frazione solida che liquida..".
In realtà non si rinviene un tale dato.
Nel citato allegato III dopo una introduzione di "parte generale" in cui si evidenzia la possibile utilità agronomica, a certe condizioni, degli effluenti di allevamento, si individua una parte "A" dedicata ai "Trattamenti aziendali di liquami zootecnici e gestione aziendale o interaziendale dei prodotti di risulta" in cui si contempla, semplicemente, la possibilità di costituire "....consorzi o altre forme di cooperazione interaziendale di cui all'articolo 27, comma 3 e finalizzata a rendere possibili il trattamento di liquami zootecnici nelle singole aziende con mezzi propri o di proprietà del consorzio e la gestione dei prodotti di risulta a cura di un apposito servizio facente capo al consorzio stesso".
Segue una parte "B" dedicata a "Trattamenti consortili di liquami zootecnici" in cui si prevede la possibilità di creazione di comuni "Impianti interaziendali con utilizzo agronomico dei liquami trattati", di cui si descrive altresì la struttura impiantistica, connotata dalla presenza "in testa", della fase di "...digestione anaerobica per sfruttare al meglio il potenziale energetico dei liquami (produzione di biogas). Dopo la digestione anaerobica (che consente il recupero di energia rinnovabile, la stabilizzazione e la deodorizzazione dei liquami, ma non la riduzione dei nutrienti) i liquami vengono sottoposti a separazione solido/liquido...".
Segue quindi nella stessa parte "b" - citata, lo si rammenta, nel documento istruttorio integrante la DGR 456 - un punto "2" dedicato al "Trattamento dei liquami zootecnici in depuratori di acque reflue urbane" nel quale si stabilisce che "l'avvio ai depuratori di acque reflue urbane rappresenta un'ulteriore possibilità di trattamento dei liquami zootecnici eccedentari".
Si spiega che, quale altra forma di trattamento dei liquami zootecnici, emerge anche "il collettamento separato dei liquami zootecnici dalle acque reflue urbane ed il loro invio diretto alla digestione anaerobica, in miscela con i fanghi di supero dell'impianto di depurazione aerobico, (che) permettono di sfruttarne al meglio il potenziale energetico. Ne consegue la produzione di una elevata quantità di biogas ..... I fanghi disidratati possono essere destinati all'uso agronomico ai sensi del decreto legislativo n. 99/92 (vedi schema figura 2)." Si illustra quindi uno " schema di flusso per il trattamento dei liquami zootecnici in depuratori di acque reflue urbane" secondo cui alla "codigestione di liquami zootecnici e/o altri scarti agroindustriali, con un importante beneficio energetico (aumento dei biogas prodotto).." segue in sostanza la "stabilizzazione dei fanghi di depurazione destinati all'utilizzo in agricoltura .....e valorizzazione agronomica mediante compostaggio dei fanghi stessi. Nella linea di compostaggio trovano una maggior valorizzazione (produzione di un fertilizzante organico di miglior qualità) anche i liquami zootecnici e gli scarti agroindustriali, oltre ad eventuali frazioni organiche da raccolta differenziata dei rifiuti urbani e scarti verdi (manutenzione verde pubblico e privato)."
In altri termini, il conferimento in impianti di liquami zootecnici assieme a "scarti agroindustriali" viene contemplato dall'allegato III parte B solo sub specie di conferimento in depuratori "di acque reflue urbane", con possibilità di successive utilizzazioni agronomiche esclusivamente limitata ai fanghi di produzione - non a caso oggetto di articolati processi di stabilizzazione e controllo a garanzia della efficacia agronomica - e non delle acque reflue finali.
Con evidente errata "estensione" di tale forma di conferimento di reflui zootecnici assieme ad altri scarti agroindustriali, anche agli impianti consortili deputati all'utilizzo agronomico anche dei reflui finali.
Dunque, appare chiaro un utilizzo errato ed arbitrario del potere normativo secondario della Regione Umbria in quanto mai nell'allegato III del DM 7.4.2005 - parte b - è stata prevista, " tra l'altro  la possibilità di trattare presso gli impianti per il trattamento di effluenti zootecnici anche altre tipologie di materiali con successivo utilizzo agronomico sia della frazione solida che liquida..".
Posto allora che non si rinviene una tale determinazione del citato DM, deve giungersi all'ulteriore conclusione che la contraria determinazione invece assunta nella DGR 456/2008 esorbita dai poteri Regionali in materia di disciplina dell'attività di utilizzazione agronomica.
Operata tale considerazione, si deve notare come dall'esame dell'articolo 38 del Dlgs 152/99 (oggi dell'art. 112 del Dlgs 152/06), della legge 574/96  e del DM 7.4.2005 (oltre che di quello del 6 luglio 2005 in tema di acque di vegetazione, pure cit.) emerga che:
- con il predetto articolo 38 si era disposta (e identica norma è riportata all'art. 112 comma II del Dlgs 152/2006) l'emanazione di un decreto per la definizione dei criteri e delle norme tecniche generali (poi innazitutto tradottosi nel DM 7.4.2005) nel rispetto dei quali le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi oleari sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996, n. 574;
- l'art. 5 comma I del citato DM dispone che " Nelle fasi di stoccaggio e trasporto delle acque di vegetazione è vietata la miscelazione delle stesse con effluenti zootecnici, agroindustriali o con i rifiuti di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997...." (in tal senso è anche il DM del luglio 2005 per le acque di vegetazione); la medesima disposizione peraltro è riportata con l' art. 5 della l. 574/96 in materia di utilizzo agronomico di acque di vegetazione;

- attraverso il combinato disposto di cui al comma I e II dell'art. 112 del Dlgs 152/06 il legislatore ha sottratto alla disciplina penale dei rifiuti o degli scarichi l'utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento e delle acque di vegetazione, siccome disciplinato dalla legge 574/1996 per le acque di vegetazione e, in generale, siccome disciplinato attraverso norme tecniche adottate con decreto ministeriale ed ulteriormente attuate e regolamentate dalle Regioni.

Ciò significa che la deroga alla disciplina penale interviene per gli effluenti di allevamento e le acque di vegetazione nella misura in cui il loro utilizzo agronomico sia conforme ai criteri della legge 574/1996 e del Decreto ministeriale e alle norme regionali,; e con riguardo a queste ultime nella misura in cui le stesse operino nella cornice già fissata con legge statale e con  il DM. In aree d’attività diverse da tali ambiti, possono operare eventualmente le disposizioni penali.
Ebbene, con la DGR 456/2008 si è introdotta una regola tecnica in aperto contrasto con l'art. 5 della L. 574/96 e con l'art. 5 comma I del DM di riferimento.
Consegue che si impone la ricostruzione della nozione di utilizzazione agronomica degli effluenti, come richiamata dai commi I e II dell'art. 112 Dlgs 152/06, nel pieno rispetto dei contenuti e della forza normativa delle diverse fonti richiamate, con prevalenza delle medesime rispetto alla DGR 456/08 nella parte qui esaminata. Che dunque per questa parte non può ottenere alcun riconoscimento di operatività.

A questa semplice considerazione, di tipo prettamente "amministrativo", stante la natura della nozione di "utilizzazione agronomica" così delienata dal Legislatore con le norme richiamate, se ne può aggiungere un'altra, interessante, circa i riflessi penali che una diversa ricostruzione interpretativa potrebbe assumere.

Se si ammettesse che la miscelazione di effluenti zootecnici con acque di vegetazione, operata in funzione dell'utilizzo agronomico, costituisca condotta rientrante nell'ambito della nozione di corretto utilizzo agronomico e quindi di operatività della deroga alla disciplina penale di cui all'art. 112 citato, si accetterebbe l'introduzione, con atto amministrativo regionale non previamente autorizzato dal Legislatore per questo suo specifico contenuto, all'interno del settore d'efficacia di tale "deroga", di nuove forme di svolgimento della pratica di utilizzazione agronomica. Con l'ulteriore conseguenza per cui la Regione, pur operando al di fuori della cornice normativa sancita con Legge e con DM, verrebbe di riflesso ad incidere sull'estensione (o meglio sulla restrizione) dell'operatività di condotte penalmente rilevanti (appunto quelle "derogate" e dettate in materia di scarichi e rifiuti), riducendone ulteriormente la portata.
Ma cio' non è ammissibile alla luce del principio di legalità e atteso che il legislatore ha voluto consentire alle Regioni di incidere sulla disciplina della pratica agronomica a condizione di non intaccare il nucleo essenziale di tale nozione, assunto a base anche dei rapporti tra normativa amministrativa e penale, quale espressamente ricavabile dai criteri di cui alla Legge 574/96 e al DM citato oltre che dalle sole norme regionali di stretta attuazione.
Viene in rilievo, per questa via, l'opportunità di richiamare l'insegnamento della Corte Costituzionale - nell'interpretazione del principio della riserva di legge in materia penale, posto dall'art. 25 Cost., comma 1. - laddove ha costantemente affermato il monopolio del legislatore statale, fondando tale posizione su un'esegesi del complessivo sistema costituzionale che disvela la statualità del ramo penale del diritto in ogni vicenda, non solo costitutiva ma anche estintiva della punibilità. Ciò in quanto, giova sempre rammentarlo, ogni scelta che possa determinare restrizioni dei beni fondamentali della persona è così impegnativa che non può che fare capo allo Stato; la riserva di competenza alla legge statale si impone anche per consentire che vi siano in tutto il territorio nazionale condizioni di eguaglianza nella fruizione della libertà personale, pena la violazione dell'art. 3 Cost.; un eventuale pluralismo di fonti regionali penali contrasterebbe con il principio dell'unità politica dello Stato
In ragione di tali basilari principi la Consulta ha più volte censurato leggi regionali comunque incidenti sul sistema penale, in senso cioè favorevole o contrario al reo.
Tanto ancor più rileva, allora, seppur in via riflessa, in presenza di atti amministrativi regionali, come nel caso di specie, quando per il loro contenuto non possano ritenersi legittimamente ammessi ad integrare una disciplina, che possa anche indirettamente determinare effetti sul piano penale. Cosicchè, in casi del genere le norme regionali integrative e il loro possibile contenuto deve intendersi ancor più di stretta interpretazione.  

7. La rilevanza dell' "effettività" della pratica di utilizzazione agronomica.

Nell'ambito dell' individuazione della sussistenza dei requisiti necessari, per rinvenire una pratica di utilizzazione agronomica conforme alla disciplina di cui agli artt. 38 Dlgs 152/99 e 112 Dlgs 152/2006, assume rilievo il requisito dell'"effettività", nel senso che la suddetta pratica, quale presupposto per la sottrazione delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti e reflui, deve essere realizzata correttamente e in concreto: così da richiedere l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo. (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 5039 del 17/01/2012 Ud.  (dep. 09/02/2012) Rv. 251973 Presidente: Teresi A.  Estensore: Ramacci L.  Relatore: Ramacci L.  Imputato: Di Domenico; Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 40782 del 06/05/2015 Ud.  (dep. 12/10/2015) Rv. 264991 Presidente: Teresi A.  Estensore: Andronio AM.  Relatore: Andronio AM.  Imputato: Valigi).
Si tratta di un principio fondamentale, che da una parte denota l'irrilevanza di condotte meramente formali, dall'altra ben si collega all'ulteriore principio, pure di seguito richiamato, per cui al fine di ottenere l'applicazione di una normativa eccezionale derogatoria, è onere dell'interessato dimostrane la sussitenza dei requisiti, "effettivi".

8. L'onere della prova ai fini dell'applicabilità di norme derogatorie.

Come sopra riportato, vige, in materia di applicabilità di norme derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina sui rifiuti e sulle acque, il principio per cui, trattandosi di disposizioni eccezionali, di stretta interpretazione, verte sull'interessato l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti di legge cui è subordinata l'applicabilità della specifica disciplina.
Diverse al riguardo sono le pronunzie della Suprema Corte.
Così in tema di terre e rocce da scavo è stato affermato che
".......l'esclusione dall'applicazione della disciplina sui rifiuti per le terre e rocce da scavo (art. 186, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è subordinata alla prova positiva, gravante sull'imputato, della loro riutilizzazione secondo un progetto ambientalmente compatibile..." (cfr. Cass. Pen. sez. " Sez. 3, Sentenza n. 37280 del 12/06/2008 Ud.  (dep. 01/10/2008 ) Rv. 241087 Presidente: De Maio G.  Estensore: Onorato P.  Relatore: Onorato P.  Imputato: Picchioni).
Lungo la stessa linea è stato stabilito che "...in tema di gestione di rifiuti, la disciplina di deroga prevista dall'art. 39, undicesimo comma, D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 - ai sensi del quale, fatta salva la disciplina in materia di protezione dell'ambiente marino e le disposizioni in tema di sottoprodotto, è consentito l'interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali, sempre che ciò avvenga senza trasporto né trattamento - è applicabile solo qualora venga positivamente dimostrata la sussistenza di tutti i presupposti da essa previsti e il relativo onere della prova grava su chi ne invoca l'operatività. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse escluso l'applicabilità del citato art. 39, e ravvisata la sussistenza del reato di discarica non autorizzata, avendo riguardo alla presenza, non sulla battigia, ma su un terreno di proprietà della società di cui l'imputato era legale rappresentante, di "alghe marine" e rifiuti non pericolosi da scarti di edilizia, mescolati tra loro e spianati)". (cfr. Cass. Pen. sez. III In tema di Sez. 3, Sentenza n. 3943 del 17/12/2014 Ud.  (dep. 28/01/2015) Rv. 262159 Presidente: Fiale A.  Estensore: Ramacci L.  Relatore: Ramacci L.  Imputato: Aloisio).
Ancora, "... la deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee, è disposizione di stretta interpretazione che opera esclusivamente per tali attività e pone a carico di chi la invoca l'onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge per la sua operatività. (Fattispecie in tema di impianto mobile adibito alla riduzione e separazione di residui da attività di demolizione e costruzione)". (cfr. Cass. Pen. sez. III ez. 3, Sentenza n. 6107 del 17/01/2014 Ud.  (dep. 10/02/2014 ) Rv. 258860 Presidente: Teresi A.  Estensore: Ramacci L.  Relatore: Ramacci L.  Imputato: Minghini.).
Alfine, una espressa applicazione del predetto principio in tema di onere della prova si è avuto anche in relazione alla disciplina della "fertirrigazione".
Infatti la Suprema Corte ha dapprima affermato ".....il principio secondo il quale la pratica della "fertirrigazione", la cui disciplina si pone in deroga alla normativa sui rifiuti, rispetto alla quale è autonoma ed indipendente e non richiede che gli effluenti provengano da attività agricola e siano riutilizzati nella stessa attività agricola, presuppone l'effettiva utilizzazione agronomica delle sostanze, la quale implica che essa sia di una qualche utilità per l'attività agronomica e lo stato, le condizioni e le modalità di utilizzazione delle sostanze compatibili con tale pratica, con la conseguenza che, in difetto, essa resta sottoposta alla disciplina generale sui rifiuti....". Quindi a fronte del rilievo, nel caso concreto, della mancanza della prova dell'applicabilità, tanto della deroga prevista per le materie fecali dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 185, quanto di quella prevista dalla disciplina della pratica della fertirrigazione, ha sottolineato come non possa parlarsi al riguardo "......di inversione dell'onere della prova, poiché tanto l'art. 185, quanto le disposizioni in tema di fertirrigazione, presuppongono l'applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali in tema di rifiuti e, come tali, impongono a chi le invoca l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per la loro applicazione (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5039/2012 cit. che richiama, con riferimento a disposizioni diverse, Sez. 3 n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3 n. 35138, 10 settembre 2009; Sez. 3 n. 37280, 1 ottobre 2008; Sez. 3 n. 9794, 8 marzo 2007; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004;. Sez. 3 n. 30647, 15 giugno 2004)...". (cfr. Cass. Pen. sez. III Sez. 3, Sentenza n. 15043 del 22/01/2013 Cc.  (dep. 02/04/2013) Rv. 255248 Presidente: Lombardi AM.  Estensore: Orilia L.  Relatore: Orilia L.  Imputato: Goracci).

9. Le ulteriori questioni giuridiche.

Alla luce delle contestazioni formulate dall'accusa, vengono in rilievo numerosi altri profili giuridici, tra cui quelli afferenti il tema del cd. disastro ambientale e dell'avvelenamento delle acque. Tuttavia, da una parte il ridotto compendio probatorio fornito con riguardo a tali ultimi reati, dall'altra l'assenza di aspetti particolari ovvero richiedenti un'impegnativa opera ricostruttiva, analoga a quella già svolta nei precedenti paragrafi, per le restanti ipotesi richiamate nei capi di imputazione, rendono possibile e utile, per queste ulteriori fattispecie, sviluppare considerazioni in diritto simultaneamente all'illustrazione delle motivazioni assunte a base della decisione finale.
Può quindi a questo punto procedersi all'illustrazione dei motivi in fatto e in diritto che si ritiene suffraghino la decisione assunta.

10. I risultati dell'istruttoria dibattimentale.

La Corte ritiene che, alla luce delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale svolta e degli atti ritualmente acquisiti al fascicolo per il dibattimento, vada affermata la responsabilità penale solo di alcuni imputati, e solo limitatamente a talune delle contestazioni in essere.

Tale responsabilità poggia su diverse fonti di prova.
Sulle dichiarazioni dei numerosi testi esaminati, tanto dell'accusa quanto delle difese, su considerazioni espresse dai consulenti di parte sentiti, nonché sulla documentazione acquisita. Si tratta di ampia e variegata documentazione prodotta dalla difesa e involgente i periodi dal 2006 al 2009, all'evidente scopo di descrivere il complessivo contesto in cui operarono gli imputati, sia con riguardo alla loro attività espletata per lo sfruttamento agronomico dei reflui prodotti da Codep, sia con riguardo alla complessiva azione, anche provvedimentale, realizzata in proposito dalle pubbliche autorità competenti.
Quanto all'Accusa, i dati documentali forniti, accanto a quelli allegati alle consulenze dei CT dr.i Iacucci e Refrigeri, si sono concentrati essenzialmente, in due comunicazioni agronomiche del 2006 e 2007, con le relative relazioni tecniche, nei fir o documenti di trasporto che saranno appresso  citati, in uno stralcio di informativa di pg relativa alla composizione, negli anni, dei consigli di amministrazione di Codep, in annotazioni di sopralluogo di pg descrittive di attività di spandimento o scarico. Atti, questi ultimi, acquisiti con il consenso di tutte le parti. Rilevano altresì taluni altri atti documentali rinvenuti nel corso delle indagini e appresso illustrati.

Al fine di meglio contestualizzare il peculiare ambito in cui sono maturati i fatti in contestazione, va allora innanzitutto ripercorsa la storia della realizzazione e funzionamento dell'impianto comunale di Bettona, di trattamento di liquami zootecnici e acque di vegetazione miscelate,  affidato alla società Codep Scarl; impianto attorno alla cui gestione ruotano, in sostanza, i fatti in contestazione.  
Tale ricostruzione deve effettuarsi da questa Corte partendo dalla gravosa riorganizzazione, con correlato esame, della frastagliata documentazione acquisita; documentazione che si è rivelata preziosa fonte di indicazioni, ove ben collocate cronologicamente, puntuali ed obiettive, oltre che necessarie e imprescindibili per la decisione, che saranno contestualmente integrate da quei dati dichiarativi ovvero da quelle considerazioni tecniche che si riterrà utile e opportuno accompagnare, talvolta, ai citati dati scritti.
Seguirà quindi, nell'ambito della cornice storica così ricostruita, e secondo un  ordine logico costituito dalla genesi e sviluppo del procedimento, l'esposizione dell'ulteriore materiale probatorio, anche comprensivo talvolta  di altri specifici documenti, cominciando dai racconti dei testi di polizia giudiziaria, a partire dal Capitano del Noe, Schienalunga, e proseguendo con l'illustrazione delle considerazioni dei ct del PM, Iacucci e Refrigeri, e degli ulteriori testi, ove significativi, indotti anche delle parti civili ammesse o dalle difese; infine, per comodità ed efficacia espositiva i rilievi critici dei ct della difesa saranno richiamati e valutati in sede di esame critico degli elementi di prova raccolti e quindi di rappresentazione delle motivazioni poste a base della decisione.

11. La creazione e il funzionamento dell'impianto di trattamento di reflui affidato a Codep Scarl.  I dati documentali.

La ricostruzione della creazione e funzionamento dell'impianto comunale di trattamento di effluenti zootecnici e acque di vegetazione affidato all'ente denominato Codep Scarl è effettuabile innanzitutto in base a taluni degli allegati alla relazione del CT del PM, dr. Iacucci.
Va premesso che si tratta di un impianto del Comune di Bettona, poi affidato in concessione alla Co Dep. Scarl, quale cooperativa realizzata tra allevatori di suini operanti essenzialmente nel predetto comune.
Per tale impianto il documento più risalente a disposizione della Corte è costituito dal progetto esecutivo dello stesso, datato al 15.2.1984 (all. 1 alla consulenza del dr. Iacucci).  
Ciò che qui interessa è innanzitutto la circostanza per cui tale progetto afferiva non già ad un impianto di trattamento inteso, sin dalla sua realizzazione, come strumentale alla successiva effettuazione a valle di una attività di "utilizzazione agronomica" degli effluenti zootecnici d’allevamento; questo progetto semplicemente mirava a "completare" l'impianto in parola, considerato all'epoca come di mero 'trattamento' degli scarichi zootecnici provenienti dagli allevamenti, ma senza che si citasse o contemplasse - almeno allo stato degli atti - una successiva destinazione a fini agronomici del refluo trattato. Il citato progetto del 1984 prevedeva, tra l’altro, opere per la depurazione, compressione e stoccaggio gas, ed opere per la disidratazione e stoccaggio dei fanghi (in rapporto ad una portata di effluenti stimata pari a 412 mc al giorno per 6 gg lavorativi e 16 ore giornaliere di funzionamento).
Un secondo documento utile è costituito dalla successiva Relazione tecnica illustrativa del 10  marzo 1995 (all. 10), riguardante “interventi per l’impianto Co. Dep. di Bettona” inseriti nel “programma triennale 1994 1996 per la tutela ambientale”.
Da essa trova conferma il dato per cui la struttura in parola era stata realizzata in origine quale mero “impianto per il trattamento dei reflui zootecnici della Co Dep”;  i liquami prodotti dagli allevamenti zootecnici presenti nel comune di Bettona venivano addotti all’impianto attraverso una rete fognaria “funzionante parte a gravità e parte in pressione”, munita, all’epoca della relazione, di 9 impianti di sollevamento gestiti da un sistema di monitoraggio e controllo.  
Rispetto ad un impianto così strutturato e funzionalmente concepito, e quindi ancora originariamente "estraneo" a qualsiasi finalizzazione verso pratiche di "utilizzazione agronomica", con la citata relazione si illustravano lavori di adeguamento ritenuti necessari per “renderlo funzionale alle nuove esigenze ambientali del comprensorio manifestatesi recentemente (necessità di trattare i reflui zootecnici di allevamento ubicati nelle vicinanze del confine comunale, necessità di trattamento dei reflui provenienti dai frantoi oleari della zona)”.
Si prevedevano quindi tre distinti interventi, già oggetto di finanziamenti intervenuti in periodi distinti e che si riteneva alfine di realizzare contemporaneamente, tanto da raggrupparli “nell’accordo firmato tra la Regione Umbria e lo Stato per l’attuazione del‘Programma triennale 1994 – 1996 per la tutela ambientale”.
Si trattava in particolare di assicurare:
l’utilizzazione per nuove finalità quali la “….fertirrigazione e irrigazione delle acque reflue dell’impianto di depurazione liquami zootecnici del Comune di Bettona ed acque di vegetazione olive “, secondo un intervento già previsto e finanziato nel programma triennale 1989 – 1991;
l’ampliamento dell’impianto;
il trattamento di acque di vegetazione nei comuni di Marsciano Bettona e Terni.

In ragione delle suddette nuove esigenze (tra cui per la prima volta compariva  l'utilizzo agronomico dei reflui finali) e dei correlati progetti, si prevedeva un maggior apporto di liquami in entrata, e la necessità di “migliorare ulteriormente le caratteristiche del liquido azotato” ossia dei liquami trattati e come tali contenenti anche azoto, da distribuire alfine “attraverso un impianto semi – fisso che verrà in futuro gestito telematicamente..”. Si prevedeva in particolare la realizzazione di una apposita condotta di tale “liquido azotato” da innestarsi “sui tratti terminali della tubazione" di un impianto irriguo principale e preesistente.
In particolare, si partiva dalla considerazione della presenza di un impianto di irrigazione realizzato, parzialmente, dall’ESAU (Ente di Sviluppo Agricolo dell’Umbria) ed alimentato provvisoriamente dalle acque dell’adiacente fiume Chiascio. Tale impianto doveva essere al servizio di un comprensorio irriguo denominato “ in destra Chiascio”, della superficie di circa 1300 ettari. Si contemplava quindi un intervento di completamento del predetto impianto di distribuzione irrigua con chiusura del medesimo, avente forma di anello. Quindi si prevedeva che “parallelamente a tale anello verrà realizzata la rete per fertirrigazione che sarà alimentata mediante sollevamento dalle acque trattate e filtrate provenienti dall’impianto di depurazione zootecnica ma ancora ricca di sostanze”, per il cui dosaggio si prendeva in considerazione addirittura un sistema di telecontrollo in grado di misurare e dosare le quantità da distribuire stante la necessità che il quantitativo delle acque di fertirrigazione fosse compatibile con le  “colture in atto e le condizioni del terreno”.  Si prevedeva, in altri termini, il completamento della condotta principale dell’impianto di irrigazione “destra Chiascio” ed un “anello parallelo a quella condotta di irrigazione, per la distribuzione del liquido azotato prodotto nell’impianto di trattamento”, della lunghezza complessiva di 9,3 Km.  
Con quest’ultima descrizione in sintesi, si deve ritenere si facesse riferimento al sistema, riscontrato in dibattimento attraverso l’esame del CT Iacucci e dei testi, per cui, i reflui trattati dalla Codep, dopo un periodo di ulteriore sostanziale sedimentazione in un bacino denominato “laguna”, venivano, senza soluzione di continuità, “sollevati” con elettropompa ed immessi in condotte costituenti il cd. “anello irriguo”, ossia un impianto irriguo terminale sfociante con tubazioni finali, anche mobili, su terreni vicini.
Si precisava la necessità che ai fini della prevista “fertirrigazione” il “liquido azotato” dovesse avere “caratteristiche ottimali” e quindi risultare “assolutamente privo di solidi in sospensione “ ed essere “perfettamente stabilizzato ed igienizzato”.
In tale complessivo contesto progettuale, gli interventi previsti riguardavano  la realizzazione di :

una nuova vasca di arrivo dei liquami di 1200 mc accanto ad un’altra di 16 mc., quest’ultima da impiegarsi per “neutralizzare”, con latte di calce dosato automaticamente, le acque di vegetazione dopo averle raccolte in una precedente vasca già esistente di 5000 mc. Di interesse è la previsione, si noti, sin da quell’epoca, della “miscelazione”, dopo la relativa “neutralizzazione”, delle acque di vegetazione con i reflui zootecnici ( pag. 7 dell’allegato 10), che si contrappone al divieto di tale miscelazione, derivante, tra l’altro, dalla Legge 574/96, Decreti ministeriali e DGR 1492 del 2006 (oltre che dai principi giurisprudenziali pure riportati), come illustrato nei paragrafi precedenti;
un nuovo digestore funzionale, con i due preesistenti, alla maggiore riduzione di solidi sospesi, in vista del successivo invio del refluo così trattato e ripulito alla vasca di ossidazione;
un secondo bacino di ossidazione biologica in funzione del maggior carico organico affluente all’impianto, necessario peraltro  “nel periodo in cui vengono trattate anche le acque di vegetazione”. Di interesse è il rilievo per cui l’assenza di tale secondo bacino in uno con l’assenza di una adeguata vasca di “polmonazione a monte” determinava portate troppo elevate nelle ore diurne e periodi di inattività durante la notte con sovraccarico del sedimentatore e “conseguente scadimento della qualità dell’effluente finale (aumento dei solidi in sospensione);
apparecchiature per realizzare trattamenti di flottazione e filtrazione, atti ad evitare che dal sedimentatore provenissero comunque solidi in sospensione nell’effluente scaricato nella cd. “laguna”, dandosi luogo a “deposito di fanghi non desiderati”. In altri termini, macchinari e trattamenti volti a garantire l’invio finale nella laguna di stoccaggio di acque azotate “assolutamente prive di solidi in sospensione” e come tali realmente utilizzabili per lo spandimento su terreni. Macchinari che, lo si anticipa, non furono mai realizzati ;
un nuovo ispessitore per i fanghi, meccanizzato;
opere di manutenzione della “laguna”. Di interesse è il rilievo per cui venne espressamente escluso un ampliamento della laguna sul presupposto per cui “..con la realizzazione dell’impianto di distribuzione del liquido azotato che coprirà un comprensorio irriguo di circa 1100 ha, si avrà la possibilità di distribuire il liquido in tutte le stagioni a seconda delle esigenze delle colture in atto.”. Giova sin d’ora osservare che in realtà il cd. “anello irriguo” non raggiunse mai una capacità di copertura relativa a 1100 ha disponibili per la Codep., tanto che anche tale aspetto, relativo alla quantità dei terreni disponibili in funzione dell’utilizzo agronomico dei liquami trattati nell’impianto di Codep, costituisce uno dei profili critici su cui si imperniano talune delle contestazioni;    
10.000 mq. di serre per “sperimentare colture idroponiche che impieghino il liquido azotato proveniente dall’impianto opportunamente additivato”
    
Con particolare riferimento poi, all’esigenza di porre l’impianto a servizio anche di altre strutture esterne ai confini del comune di Bettona, si previde la creazione di due nuovi tratti di “fognatura”, di cui uno collegato ad un allevamento posto al confine con il Comune di Cannara in località Colle delle Piche, e l’altro volto ad allacciare allevamenti presenti nel Comune di Bastia Umbra, in particolare concentrati nella frazione di Costano.   

Va aggiunto che la citata relazione cita espressamente un precedente studio del 1984 (comprensivo di numerosi dati anche di analisi chimica dell’effluente) effettuato sull’impianto in parola, in funzione dell’utilizzazione agricola degli effluenti e fanghi prodotti, rilevando peraltro che le portate di liquame dovessero essere considerate immutate in ragione della compensazione tra le portate derivanti dal futuro ampliamento del bacino di utenza dell’impianto e quelle più ridotte provenienti dagli allevamenti di Bettona già allacciati, in ragione della riduzione dei capi a suo tempo imposta nei predetti allevamenti, per motivi igienico sanitari.
Sulla base di  tali presupposti seguiva la stima di produzioni mensili medie di liquido azotato prodotto nell’impianto per un totale annuo pari a 245 mc., e la stima di una concentrazione di azoto media nell’effluente finale pari a 0,874 Kg/mc. Si precisava quindi, che grazie alle ulteriori fasi di lavorazione progettate si sarebbe avuto un miglioramento della qualità del liquido in uscita, per quanto attiene il COD ed i solidi in sospensione. Mentre meno marcato sarebbe stato il miglioramento della concentrazione di azoto totale, ragione che giustificava la scelta di rimanere – quanto alla previsione della concentrazione media di azoto – nei limiti già emersi dal precedente studio. Si supportava inoltre il valore dei solidi sospesi finali indicato in relazione con una certificazione dell’ Università di Perugia nonchè con numerose altre analisi effettuate su campioni prelevati settimanalmente nell’impianto per il controllo del funzionamento del processo.
Quanto al contenuto di azoto nei fanghi, per tonnellate di sostanza umida, si indicavano i valori di azoto inorganico (3,09 Kg/tonn) e di azoto organico (3,76 Kg/tonn), con stima del residuo solido di fanghi prodotti, pari a 5220 tonn/anno, calcolato tenendo conto di un numero di ore annue di funzionamento delle macchine disidratrici non specificamente indicato (pag. 58). Da qui anche la quantità stimata di azoto associata al residuo solido, calcolata moltiplicando per le 5220 tonnellate le quantità di azoto contenute in ogni tonnellata di sostanza umida, già sopra indicate.   
Sulla base di tali considerazioni si concludeva che la quantità di azoto impiegabile ogni anno su terreni fosse pari, quanto all’azoto contenuto in liquidi,  a 214.130 Kg/anno, e quanto a quello contenuto in sostanze solide, a 20.000 kg/anno.

Di interesse è infine la parte dedicata ai dosaggi ammissibili di effluenti o solidi e in particolare del relativo azoto. Laddove viene opportunamente sottolineato come “..il corretto calcolo dei dosaggi ammissibili (senza causare danni alle colture e all’ambiente) deve essere effettuato analiticamente tenendo conto dei seguenti fattori: tipologia delle colture praticate. Il concetto base …….e’ di applicare agli effluenti liquido e solido sulle singole colture nella quantità e con le modalità corrispondenti alle equivalenti concimazioni azotate generalmente praticate….
Caratteristiche geo – pedologiche ed idrogeologiche del comprensorio…….
Condizioni meteo climatiche….Nei mesi caratterizzati da elevata piovosità si dovrà avere cura di somministrare quantitativi ridotti di effluente liquido sui terreni saturi d’acqua.

Sempre nel contesto dei valori di stima illustrati, va osservato che sul presupposto della disponibilità dei già citati 1100 ha dell’intero comprensorio (in realtà mai ottenuti in effettiva disponibilità, come si vedrà appresso, dalla Codep.) con la citata relazione si prevedeva uno svuotamento totale della laguna nel mese di febbraio (periodo di massimo utilizzo del refluo finale) e una massima necessità di accumulo in agosto pari a soli 31.000 mc.

Riscontri a quanto finora illustrato si rinvengono nella nota dell'Asl n. 2 dell'8.11.1999 (prodotta dalla parte civile Pucciarini alla udienza del 4.7.2013). Si tratta di una nota che prendeva spunto da un esposto di Pucciarini Mario su presunti inconvenienti igienico sanitari dovuti alla "...utilizzazione dei reflui provenienti dall'impianto di digestione anaerobica Codep di Bettona su terreni ad uso agricolo in loc. S. Elisabetta" (Bastia Umbra ndr), e dalla correlata richiesta di Legambiente del 20.9.1999 di urgenti controlli. Con essa si effettuava preliminarmente una cronistoria dell'impianto coincidente con quella sopra riportata. Si aggiungevano, presumibilmente anche utilizzando i dati progettuali sopra già esposti, dati tecnici tra cui una progettata capacità di stabilizzazione della sostanza organica (a partire dal COD) pari al 75 %, e caratteristiche medie finali del refluo pari, tra l'altro, a 740 mg/l di azoto ammoniacale, 890 mg/l di azoto totale, 1,15 mg/l di rame e 0,27 mg/l di zinco. Per il residuo solido (fanghi) una concentrazione del 2,35 % di azoto totale, dello 0,62 % di azoto ammoniacale e di 0,44 % di azoto nitrico.
Si precisava che a causa di lavori di manutenzione della laguna il liquame veniva utilizzato sui terreni direttamente dalla vasca di ossidazione mentre di norma doveva essere prelevato dalla cd. laguna. Pratica che sarà accertata come in uso anche per gli anni qui di interesse.
Si sosteneva alfine che alla luce "dei dati sperimentali acquisiti la produzione di azoto può essere ragionevolmente stimata in 234 tonn/anno ..".  
Seguiva un importante passaggio, laddove si attestava che era già in corso all'epoca lo spandimento su terreni agricoli dei reflui finali dell'impianto e dei fanghi, così confermando un dato: quello per cui deve ritenersi, in assenza di elementi diversi, che già prima delle conferenze di servizio del 2006 (appresso indicate) i reflui prodotti da Codep erano scaricati su terreni agricoli, seppure in assenza di comunicazioni/autorizzazioni di alcun tipo, risalendo in realtà la prima, alla luce delle dichiarazioni dei testi di pg esaminati e dei dati acquisiti (che si illustreranno di seguito), al luglio del 2006.
Di interesse poi, anche con particolare riguardo alle contestazioni in tema di avvelenamento acque e di disastro innominato, è il passaggio in cui si attestava che il Laboratorio Chimico Ambientale di Perugia da 4 anni aveva avviato un monitoraggio della falda acquifera "dell'area in questione ...sono stati individuati 12 pozzi la cui acqua mensilmente viene sottoposta ad indagini chimico fisiche al fine di accertare eventuali incrementi delle concentrazioni di elementi (N, P, K) contenuti nell'effluente proveniente dall'impianto Codep. Le indagini fin qui condotte non hanno palesato fenomeni di inquinamento della falda..".  
Infine, in senso si critico si rilevava solo la violazione del regolamento comunale di Bastia laddove non si rispettava la prescrizione di garantire  i limiti di cui alla tabella C della legge 319/76, in tema di scarichi.

La suddetta ricostruzione strutturale e funzionale dell'impianto affidato alla Codep trova ulteriore, sostanziale conferma, nella consulenza del dr. Iacucci, frutto di accertamenti svolti tra il 2006 e il 2007, da cui risulta che:
- si trattava di impianto di trattamento di reflui zootecnici nonchè di rifiuti liquidi (acque di vegetazione) autorizzati al conferimento fino all'ottobre del 2007, che venivano miscelati e poi, dopo trattamento e passaggio in "laguna" (dal volume di circa 80.0000 - 1000.000 mc) o altra vasca in cemento, destinati in gran parte allo scarico su terreni nella disponibilità di Codep e collocati presso il cosiddetto "anello";
i miglioramenti di cui al progetto sopra illustrato risultavano realizzati, tranne che per il sistema di filtrazione e di flottazione;
in tale contesto, dal sedimentatore, in occasione degli accessi del CTU, non si otteneva un effluente chiarificato bensì un effluente contenente una elevata concentrazione di sostanze solide (ovvero i cd. "solidi sospesi") come rilevabile anche da foto di cui alla relazione (pag. 4);
l'impianto, che riceveva reflui zootecnici mediante condotta che lo collegava direttamente ad allevamenti di suini, sin dal 1992 con DGR n. 10016 del 16 dicembre, ai sensi del DPR 915/82, era stato autorizzato anche a ricevere e trattare acque di vegetazione per 5000 mc/anno, e con DGR n. 1110 del 27.7.1998 a trattare ulteriori 5000 mc/anno dei medesimi rifiuti liquidi. Successivamente, ai sensi dell'art. 28 del Dlgs 22/97 era stato autorizzato dalla Regione Umbria, con atto n. 2007 del 2002, a ricevere in impianto rifiuti liquidi costituiti da acque di vegetazione in misura di 10000 mc/ anno e, con successiva autorizzazione provinciale del maggio del 2004 la predetta autorizzazione Regionale era stata regolarmente modificata ed integrata dalla Provincia autorizzandosi un ampliamento dei quantitativi ricevibili e la ricezione anche di ulteriori tipologie di rifiuti liquidi, quali fanghi di depurazione dei mattatoi, degli zuccherifici, oltre a feci animali, urine e letame.  La medesima autorizzazione prescriveva altresì che lo scarico finale del depuratore venisse autorizzato nei modi e tempi previsti dal Dlgs 152/99 e fosse garantito il rispetto dei limiti dell'allegato 5 del medesimo Dlgs. Invero, è utile anticiparlo, non risulta agli atti una tale autorizzazione allo scarico ("lo scarico non risulta autorizzato.." cfr. rel. del ct Iacucci pag. 6).
Peraltro, nel marzo del 2007, con determina dirigenziale n. 2700, la Provincia di Perugia secondo le proprie competenze autorizzò il comune di Bettona, titolare formale dell'impianto, a ricevere rifiuti non condottati (rifiuti liquidi) sub specie di acque di vegetazione, per 10.000 mc annui "ferma restando la potenzialità residua in termini di capacità depurativa dell'impianto". Tra le prescrizioni si ribadiva il rispetto dei limiti di cui all'allegato 5 al Dlgs 152/99 e la caratterizzazione dei fanghi di risulta dal processo di neutralizzazione al fine di verificare se gli stessi presentassero compatibilità con l'impianto poi, di smaltimento finale. L'atto, in attesa di AIA, di fatto poi mai rilasciata, fu prorogato il 3.4.2007 sino al 3 ottobre 2007. Come richiamato anche in contestazione ex art. 260 Dlgs 152/2006.
La Codep era anche iscritta al registro delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti in regime semplificato, per tipologie di rifiuti da trattarsi in funzione di attività di recupero, consistente in produzione di biogas.
Va precisato che dagli atti allegati, (tra questi in particolare i MUD e i Fir raccolti), non emerge (diversamente da come genericamente ricordato dal dr. Iacucci) che fossero poi mai stati conferiti all'impianto rifiuti liquidi provenienti da zuccherifici o da mattatoi, mentre emerge documentalmente, oltre che alla luce di alcune  testimonianze, che annualmente e puntualmente l'impianto riceveva acque di vegetazione da frantoi.  
Precisato altresì che erroneamente veniva indicata dal CT nella sua relazione una disponibilità di terreni da parte di Codep pari a 1100 ha (misura in realtà corrispondente più semplicemente alla estensione di terreni che si progettava di dover servire all'esito dei nuovi lavori a fini irrigui e fertirrigui, secondo la citata relazione del 1994/95), va osservato che il dr. Iacucci alla luce delle analisi visionate sottolineava come l'impianto non fosse comunque in grado di rispettare  i limiti tabellari di scarico di cui al Dlgs 152/99.
In tale contesto il CT, nell'ambito della sua relazione preliminare, richiamata nelle prime pagine della relazione finale ed effettuata all'esito di primi sopralluoghi svolti nel 2006, rilevava come emergesse la creazione e il funzionamento di un mero "impianto di trattamento di rifiuti liquidi che effettua il trattamento sia di scarichi di aziende da aziende zootecniche 'condottati' sia di rifiuti provenienti da attività diverse da quelle zootecniche quali attività di molitura delle olive e zuccherifici..". Tanto è peraltro confermato anche da un contratto di consulenza (appresso indicato) stipulato nel febbraio del 2006 dalla Codep con la società SQA, per "la utilizzazione agronomica di reflui di origine zootecnica ed agroindustriale".
Aggiungeva inoltre il CT, che la DGR vigente all'epoca dei predetti suoi primi accertamenti (n. 1577 del 2000, qui già citata nel paragrafo dedicato alla ricostruzione della normativa regionale Umbra in tema di utilizzazione agronomica), nel disciplinare partitamente l'utilizzo agronomico di reflui zootecnici di acque di frantoi oleari e di fanghi di depurazione non ricomprendeva anche gli effluenti finali "misti" di impianti di trattamento quale quello in esame. E tantomeno contemplava l'utilizzo agronomico di reflui da zuccherifici.
Operando una prima stima in base a misurazioni del giugno 2006, il CT sviluppava un calcolo circa lo sversamento in terreno dei reflui finali alquanto soggettivo, siccome fondato su parametri in realtà errati seppure in difetto: calcolava uno spandimento su 1100 ha, in realtà non rientranti nella disponibilità di Codep che ne aveva molti di meno, e in ragione di ciò, e in base alla citata delibera 1577, rilevava come il carico massimo idraulico (poi non più contemplato dalla subentrante DGR 1492/2006) - pari a 200 mc/ha per anno -, venisse superato del 70 % (e quindi risultava in realtà ancor più violato ove si pensi che alla luce della prima comunicazione di utilizzo agronomico effettuata dalla CODEP nel 2006 i terreni vicini all'"anello irriguo" ammontavano a poche decine di Ha e non certo a 1100).
Ma ancor di più veniva rilevata la totale assenza della comunicazione preventiva di utilizzazione agronomica prevista nella citata DGR 1577/00, come del resto confermato dai testi di PG sentiti che, a seguito degli accertamenti svolti, rinvennero comunicazioni del gestore Codep, per l'utilizzo agronomico dei reflui finali, solo a partire dal 2006, come poi sarà meglio appresso specificato. Con la conseguente totale impossibilità di individuare fino a quell'anno 2006 l'effettiva superficie di terreno utilizzata nel caso in cui, sin dai primi anni del 2000, fosse stata eventualmente fatta utilizzazione agronomica e di operarne le valutazioni opportune in termini di corretta e reale fertirrigazione.
In occasione di successivi accertamenti del giugno 2007, condotti dal dr. Iacucci assieme ai carabinieri del Noe, è risultata confermata la struttura sopra descritta dell'impianto, oltre alla presenza di un  "by pass", al momento di tali verifiche, del sistema di sedimentazione. Sempre in tale occasione si accertò che i reflui venivano immessi nell'anello irriguo non dalla cd "laguna" - fase finale del trattamento - bensì direttamente dalla precedente vasca di ossidazione.
Rimandando ad altra sede l'analisi degli accertamenti tecnici, anche analitici, svolti dal CT Iacucci, e rimanendo sui dati documentali, emerge altresì il conferimento, negli anni 2004 2005 e 2006, di rifiuti liquidi sia con codice Cer 02 01 06, relativo a feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), sia 020399, quali rifiuti non specificati altrimenti, che, dalla analisi della tabella 5 della consulenza, paiono per lo più provenire da frantoi. Nella stessa tabella non compare il codice 020403 inerente gli autorizzati fanghi di depurazione da zuccherifici, a conferma, allo stato degli atti, della assenza di conferimento di tale tipo per i predetti tre anni. Il tutto per un ammontare per il 2004 di 11507,719 mc. dei predetti rifiuti liquidi in ingresso, per il 2005 di 9109,35 mc. e per il 2006 di 16786,76 mc. Tramite invece conduttura diretta allacciata agli allevamenti di suini, risultano pervenuti secondo il CT, nel 2006, 386.456 mc di scarichi di reflui zootecnici e nel 2007, fino al 26.11., 324.316 mc. Come spiegato anche dal teste Schienalunga, sul punto appositamente escusso anche a seguito di ordinanza ex art. 507 c.p.p., tali dati vennero comunicati - su richiesta dei CC del Noe, ai medesimi, e quindi "girati" da questi al CT -, da personale operante all'interno di Codep e anche dallo stesso Igor Cruciani, consulente della Codep dal 2006 circa, come risulta anche da una mail con relativo allegato, afferente a tali quantitativi, consegnata dallo Schienalunga in udienza e acquisita agli atti.
Alla tabella 3 della consulenza risultano anche i fanghi ufficialmente derivanti dai trattamenti svolti in impianto, dichiaratamente smaltiti per il periodo dal 2004 al 2006, secondo una procedura di utilizzo agronomico ex Dlgs 92/99, per la quale, come rilevato in consulenza tecnica dal dr. Iacucci, risultavano regolari autorizzazioni del 2001.
Nessuna evidenza documentale è mai emersa circa i quantitativi effettivi di reflui finali prodotti in concreto all'esito dei trattamenti effettuati in impianto sui liquami zootecnici e le acque di vegetazione (salvo quanto indicato nelle comunicazioni agronomiche della Codep, del 2006 - 2008, relative invero a quantitativi finali "previsti" e non formalmente e ufficialmente accertati).  

Quanto alla disciplina del servizio di trattamento svolto presso l'impianto e affidato alla Codep, emerge dal regolamento di gestione del medesimo, approvato nel 1992, che gli allevatori  per essere ammessi al servizio (tramite conforme delibera della Giunta Municipale preceduta da pareri tecnici) dovevano presentare una domanda al comune con specificazione del tipo di liquame e della quantità annua coinvogliata, e, quanto ai conferitori di liquami diversi dai reflui di allevamento, si imponeva anche l'indicazione della composizione chimica. Di tali adempimenti, lo si anticipa, non è emersa alcuna prova.
La successiva convenzione di conferimento in concessione dell'impianto, intervenuta tra il comune e la Codep nel 1993, stabiliva tra l'altro il rispetto da parte della Cooperativa del citato regolamento comunale.

Precisata dunque la struttura, il funzionamento e le autorizzazioni inerenti l'impianto, nel rimandare ad altra sede l'analisi della gestione, è utile osservare come l'attività dell'impianto si svolse a lungo indisturbata, senza generare problematiche nè tantomeno correlati controlli, almeno fino all'inizio del 2006, epoca cui risalgono due verbali di conferenza di servizi, con la partecipazione di autorità amministrative a vario titolo interessate alla corretta gestione del "depuratore".
Dal primo verbale del 18.1.2006 risulta una riunione presso il Comune di Bettona cui parteciparono, tra gli altri, oltre al Sindaco di Bettona e ad un rappresentante del Comune di Bastia Umbra, alcuni assessori comunali tra cui tale Benedetti Simonetta, il Direttore di Arpa dr. Micheli Alberto, rappresentanti della associazione allevatori, Prepi Marco e Gamboni Massimiliano, i rappresentanti di Codep in persona del Presidente Schippa Paolo e del vicepresidente Proietti Antonio. Oggetto della convocazione era la DGR 1201 del 19.7.2005 sopra già citata e la "definizione di provvedimenti per l'impianto di trattamento liquami zootecnici gestito dalla Codep Bettona".
Il Sindaco di Bettona, Frascarelli, richiamava una nota del 10.1.2006 inviata dal Comune di Bettona alla Codep con "richiesta di documentazione per la disponibilità di terreni del comprensorio irriguo", chiedendo lumi in proposito e Schippa Paolo, per conto di Codep, illustrando almeno in parte le modalità di utilizzazione dei reflui finali prodotti in impianto, con riguardo particolare a quelli indicati come "solidi", ovvero presumibilmente ai fanghi, rispondeva riferendo che "i terreni oggetto di concimazione con il refluo solido vengono individuati di volta in volta in base alle richieste dei proprietari". Aggiungeva poi che "le valutazioni di tipo idraulico e geologico sono contenute nel progetto iniziale" e, richiamando una nota del 22.11.2005, osservava che la Codep riteneva di essere in grado di abbattere di un ulteriore 40% il carico di azoto, al fine di "arrivare allo smaltimento in tab. A" del Dlgs 152/99. Per tali ragioni la Codep aveva anche provveduto a richiedere alla Regione Umbria la migliore possibile soluzione fra 4 progetti proposti, (non disponibili per questa Corte).
A fronte comunque di ulteriori domande circa la disponibilità di terreni e la conformità alle "nuove leggi" dell'impianto e della sua gestione, interveniva per l'Arpa il Direttore dr. Micheli (deceduto all'epoca del presente processo), il quale evidenziava che con il progetto originario del 1980 già si mirava in realtà a "smaltire in tabella a)" il refluo finale, ossia, quindi, si noti bene, ad operare un mero "scarico" del medesimo su corpo recettore finale, senza alcun riferimento a pratiche di fertirrigazione; rappresentava poi l'utilità di verificare la possibilità di usufruire di finanziamenti disponibili funzionali ad assicurare alfine tale forma di gestione finale del refluo. Aggiungeva inoltre, che derivò da una scelta regionale l'imposizione di assicurare, con il progetto del predetto impianto, anche una attività di recupero di energia e la creazione di un impianto irriguo per circa 1200 ha.
Il dr. Micheli concludeva precisando che l'Arpa non era deputata al controllo sulla quantità dei terreni oggetto di fertirrigazione e che tuttavia aveva avvertito il dovere di evidenziare al comune tale problematica.
In tale quadro Schippa Paolo chiosava rilevando l'opportunità che la Regione Umbria prevedesse "una deroga temporanea ai limiti previsti nella dgr 1201."
Seguivano vari opinioni sul tema: vi era chi (Gamboni Massimiliano)  osservava che per la Codep occorreva individuare strategie per renderne la gestione conforme alle nuove disposizioni regionali intervenute, senza tuttavia specificarne i punti critici, e chi (Prepi Marco sempre per gli allevatori) si mostrava contrario a iniziative dirette a far sì che si procedesse a "costringere la Codep ad andare verso lo smaltimento in tab A", evidenziando piuttosto l'opportunità di garantire a Codep una maggiore possibilità di fertirrigazione. In proposito osservava che il mero "scarico" secondo la tabella A presentava "costi socialmente elevati".
Mazzatosta Domenico rilevava che ancor prima però di prevedere un potenziamento delle capacità depurative dell'impianto, si dovesse comunque assicurare l'eliminazione degli inconvenienti determinati dagli allevamenti.
Un altro partecipante, l'assessore comunale Simonetta Benedetti, rilevava come i terreni disponibili per Codep fossero insufficienti per assicurare lo smaltimento dei reflui in rapporto ai capi presenti negli allevamenti, mentre l'avv.to Marini sosteneva l'importanza della adozione di "provvedimenti di tipo tecnologico da attuare per il rispetto delle leggi entrate in vigore", e quindi la necessità di iniziative del Comune di Bettona e della Codep. Sottolineando l'opportunità di ricorrere a soluzioni fondate su accorgimenti di tipo tecnologico.
Seguiva una nuova "conferenza di servizi" in data 14.9.05.
Si richiamava preliminarmente un'ordinanza del 18.8.05 del comune di Bettona, di cui, dal verbale e dalla nota di convocazione qui disponibili, emerge solo che riguardava l'"esecuzione di interventi atti a ricondurre l'impianto di trattamento liquami zootecnici gestiti dalla Codep Bettona al rispetto delle vigenti normative in materia di igiene e sanità". Il rappresentante del comune quindi, dr. Papalia, peraltro escusso quale testimone, chiedeva ai rappresentanti presenti di Codep cosa avessero fatto in ossequio alla stessa. Interveniva Mattoni Renato, il quale richiamava taluni accorgimenti adottati per evitare sversamenti accidentali dalle condotte di adduzione degli allevamenti all'impianto, aggiungendo altresì che talvolta la colpa dello sversamento era stata ricondotta ad alcuni allevamenti posti sulla "linea proveniente da Costano". Bagnetti Antonio, per l'Arpa, illustrava il contenuto di una nota dell'Arpa medesima, del 21.7.2005, sottolineando l'importanza dei controlli da effettuarsi da parte di Codep sui flussi di liquame presente nelle linee di adduzione verso l'impianto Codep. Concludeva osservando che il problema, evidentemente costituito da sversamenti provenienti dalle linee di adduzione dagli allevamenti all'impianto, si poteva risolvere con una effettiva manutenzione di vasche e pozzetti oltre che con la redazione di una planimetria da cui evincere quali fossero i tratti di condotta rientranti nel controllo della Codep e quali affidati alla responsabilità del singolo allevatore.
Con altri interventi, anche di assessori, si invocavano chiarimenti su profili afferenti alla gestione delle vasche e condotte.
Per la Codep interveniva allora Mattoni Renato garantendo di avere avviato interventi sulle linee di adduzione.
Questi due verbali sono stati riportati in forma alquanto ampia in quanto appaiono estremamente illuminanti sotto diversi aspetti.
Confermano innanzitutto che l'impianto fu originariamente progettato e realizzato negli anni '80 semplicemente per assicurare il trattamento e quindi lo scarico, in non meglio identificato corpo recettore, dei reflui provenienti dagli allevamenti suinicoli presenti nel comune di Bettona. Solo successivamente emerse quindi, anche alla luce della citata relazione di progetto del 1995, il tema dell'aggiornamento dell'impianto, per l'utilizzo dello stesso quale struttura per lo svolgimento della fase di trattamento strumentale al successivo utilizzo agronomico dei reflui ivi lavorati.
Tematica peraltro rimasta operativamente "monca" quantomeno sino al 2006, atteso che, come emerge dalla relazione del Ct Iacucci e dagli atti allegati e citati, l'impianto sino a quell'epoca fu oggetto soltanto di autorizzazioni alla ricezione di rifiuti liquidi e all'uso agronomico dei fanghi ivi prodotti ex Dlgs 92/99. Mancò sempre, per quanto risulta, qualsiasi autorizzazione allo scarico, di qualsivoglia tipo, mentre, quanto alla pratica di utilizzazione agronomica, l'istruttoria dibattimentale ha portato subito ad acclarare che la prima comunicazione di "utilizzazione agronomica" dei reflui trattati e prodotti fu effettuata dalla Codep solo nel luglio del 2006, come appresso meglio illustrato.
L'ulteriore dato che pare emergere, è quello per cui, ancora all'epoca delle citate riunioni, l'unico problema realmente messo a fuoco in ordine al citato impianto era quello degli sversamenti verificatisi da condotte e vasche di pompaggio dei reflui, laddove il ben più pregnante tema della effettuazione di una corretta pratica di utilizzazione agronomica risultava appena accennato, e in termini alquanto generici.
Tutto ciò spiega come la prima formale iniziativa di Codep in tema di fertirrigazione risalga solo al 2006, con la prima comunicazione agronomica agli atti, ed in coincidenza, come pure riferito da taluni testi di pg, con le prime indagini sull'impianto.
In altri termini dunque - anche alla luce delle tematiche affrontate nei citati verbali oltre che dei rilievi di cui alla consulenza del CT Iacucci con relativi allegati e in assenza di elementi contrari - deve ritenersi che almeno sino al 2006 i reflui finali trattati da Codep furono meramente scaricati in via "diretta" su corpi recettori in assenza di ogni valida autorizzazione. Nel contempo, fino al 2006 Codep avviò ad utilizzazione agronomica previamente autorizzata solo talune quantità di fanghi, quali residui del processo di trattamento, come anche formalmente attestato e come rilevato dal CT Iacucci. Non a caso nella prima conferenza di servizi citata, l'allora Presidente Schippa parlò di utilizzo agronomico del refluo "solido" ovvero, verosimilmente, dei fanghi ("terreni oggetto di concimazione con il refluo solido vengono individuati di volta in volta in base alle richieste dei proprietari").

Vale la pena anticipare sin d'ora, e salvo più articolate spiegazioni, che per quanto finora già osservato consegue che, anche alla luce degli scarni dati probatori emersi in prospettiva accusatoria ed attraverso inevitabili processi deduttivi e logici (non sconfessati da elementi diversi), per il periodo anteriore al 2006 la gestione dei reflui trattati nell'impianto Codep, dovendosi ritenere svolta solo per il tramite di scarichi "diretti" finali, attraverso il cd. "anello",  si tradusse non già in un'attività organizzata di traffico di rifiuti, bensì in una attività di scarichi non autorizzati.  

Sempre seguendo la traccia assicurata con i documenti disponibili, emerge che di seguito agli incontri di cui ai due citati verbali, la società Cooperativa Agricola Codep, in persona del rappresentante legale dell'epoca (Mattoni R.) stipulò nel febbraio del 2006, con la società denominata SQA, un contratto di consulenza "per l'utilizzazione agronomica di reflui di origine zootecnica ed agroindustriale". In esso si ribadiva che l'impianto era destinato alla "raccolta trattamento e stoccaggio di reflui zootecnici e di acque di vegetazione di risulta dell'attività di molitura delle olive". La Codep quindi, stabiliva di volersi avvalere delle prestazione di appartenenti alla SQA - di cui come si vedrà faceva parte il consulente Igor Cruciani sentito in udienza ed anche intercettato in alcune conversazioni trascritte - "per l'espletamento degli adempimenti previsti" dalle norme dettate all'epoca in sede regionale per la pratica di "utilizzazione agronomica" ed espressamente individuate nella DGR 1577/2000, come integrata e modificata dalla DGR 2052/2005. La SQA in particolare, assumeva il compito di assistere il legale rappresentante di Codep nella predisposizione "della documentazione prevista per la utilizzazione agronomica dei reflui di origine zootecnica trattati...." . A tali fini la SQA assumeva il compito di acquisire apposite relazioni geologica e agronomica, acquisire e verificare la documentazione comprovante la disponibilità dei terreni destinati "allo smaltimento dei reflui".   
Si prevedeva che il medesimo incarico fosse poi soggetto a conferma entro il 31.8.2006 per assistere la Codep e aziende associate negli altri adempimenti sopravvenienti, alla luce della recente DGR 2052/2005 e previsti a far data dall' 11.11.2006 per le aziende ricadenti nelle aree vulnerabili ai nitrati di origine agricola, con specifico riguardo agli adempimenti inerenti il Piano di Utilizzazione Agronomica e la Comunicazione agronomica, di cui rispettivamente ai Capi 1 e 2 della medesima DGR.
Interveniva così, di lì a poco, nel marzo del 2006, una relazione geologica a firma del dr. Matteo Brestuglia, avente ad oggetto terreni descritti come nella disponibilità - diretta o mediante terzi - di Codep, ritenuti "potenzialmente interessati dal progetto di fertirrigazione"  e ricadenti nei comuni di Bastia Umbra, Torgiano, Bettona, Gualdo Cattaneo, Trevi. La relazione si concludeva indicando come potenzialmente utilizzabili sotto il profilo geologico, ai fini della fertirrigazione, circa 225 ettari e 91 are di terreni, su un totale complessivo di circa 300 ha di terreni nella disponibilità di Codep.
Tanto a conferma del fatto che i 1100 ha di terreni citati nella relazione di progetto del 1995 erano solo un obiettivo dell'epoca, da raggiungere in un più ampio progetto di irrigazione e fertirrigazione da realizzare esclusivamente a mezzo dell'anello irriguo da completare.
Sulla base di tale relazione e degli altri documenti necessari, la Codep effettivamente adottò la sua prima comunicazione agronomica, con allegato, come emerge da plurime produzioni anche difensive (tra cui quella del 4.7.2013 della difesa dell'imputato Proietti), un cd. PUA "annate agrarie 2005/2006 - 2006/2007. A tale riguardo giova già osservare in questa sede come emerga dal PUA, accanto all'indicazione dei terreni disponibili con relativo titolare ed estensione in ettari, la corrispondente e più ristretta "superficie totale utile fert.", oltre al "calendario previsionale delle utilizzazioni" recante indicazione, per ogni mese della annata considerata, delle quantità di liquame da spandere sulla corrispondente superficie utile presa in considerazione. Giova altresì osservare - a riprova della necessaria limitazione della fertirrigazione ai soli terreni destinati a coltura - la contemplazione accanto a terreni recanti la dicitura "incolto", di un valore pari a "0" quanto a liquame spandibile, con conseguente assenza di previsione di attività a farsi nella parte dedicata al citato "calendario previsionale delle utilizzazioni".
Tanto per sottolineare e anticipare come sia emerso che lo spandimento avvenne invece anche su terreni su cui la Codep avrebbe dovuto altresì assicurare la coltura, senza invece mai provvedervi.
Il 13.7.2006 l'allora Presidente di Codep Mattoni Renato effettuò una comunicazione agronomica al Comune di Bettona.
Si precisava che la Soc. Cop. Codep Bettona era stata costituita nel 1980 dagli allevatori del comune di Bettona allo scopo di realizzare e gestire un impianto centralizzato di "raccolta trattamento stoccaggio e smaltimento di reflui prodotti nei propri allevamenti", confermando ancora una volta come la struttura non sorse nell'immediato per effettuare pratiche di utilizzazione agronomica, bensì più semplicemente per assicurare lo smaltimento finale - non meglio specificato - dei reflui zootecnici previamente trattati. Seguiva la relativa cronistoria, con la costruzione iniziata nel 1982, la citazione della convenzione di gestione tra Codep ed il Comune di Bettona del 1990, il richiamo all'inserimento nel 1993, con fondi pubblici e degli allevatori in cooperativa, di un impianto di cogenerazione  per la produzione e vendita di energia elettrica, e l'indicazione dell'anno 2000 come data finale dei nuovi lavori di ampliamento e ammodernamento.
Si precisava che all'impianto pervenivano reflui da 44 aziende suinicole ( 33 in Bettona 10 in Bastia e 1 in Cannara) per 140.000 suini all'ingrasso e 5000 scrofe.
Nell'intero "sistema" risultavano occupati 57 dipendenti, di cui 50 all'interno degli allevamenti e 7 nell'impianto di trattamento.
Si aggiungeva infine che " negli ultimi anni .....al trattamento dei reflui zootecnici si è aggiunto il trattamento di acque di vegetazione provenienti da frantoi oleari ". In proposito agli atti (all. 103 e ss. prod. avv.to Bacchi) risulta documentazione dell'invio, tra la fine del 2006 e l'inizio del 2007, persino di residui oleosi (rectius olio di sansa da rettificare secondo una nota dell'Arpa del 12.2.2007)  derivanti da una raffineria, Umbria Olii, in conseguenza di un'esplosione verificatasi presso la raffineria medesima.
A tale ultimo riguardo è utile considerare il contenuto di documentazione prodotta dalla difesa. Tra questa in particolare, una relazione tecnica preliminare (prodotta all'udienza del 4.7.2013 oltre che nella citata prod. "Bacchi") redatta dall'agronomo dr. Vincenti, incaricato dal Commissario straordinario dell'epoca, del comune di Bettona, dr. Vanella, di verificare la compatibilità del conferimento alla Codep di emulsioni oleose della predetta raffineria con il processo di trattamento in corso presso la medesima. Emerge da essa innanzitutto il rilievo per cui all'epoca della redazione - 22.12.2006 - i citati olii, per circa 1000 mc., erano stati già collocati "in una delle capienti vasche di ossidazione dell'impianto di depurazione in adiacenza alla grande vasca destinata allo stoccaggio delle acque di vegetazione proveninti dai frantoi .." e che gli stessi "....possono essere miscelai ...con le acque di vegetazione .....effettuando una corretta laminazione e conseguente miscelazione con i reflui zootecnici...". Segue l'affermazione per cui il processo di lavorazione dei liquami in corso presso la Codep non sarebbe stato pregiudicato, in relazione alla qualità del refluo finale prodotto, dalla introduzione delle citate emulsioni oleose, con l'ulteriore conclusione che l'adduzione delle medesime non avrebbe determinato "...alcun tipo di incidenza sul refluo finale tale da impedirne l'utilizzo per l'impiego in agricoltura...". Si aggiungeva che comunque l'Arpa avrebbe effettuato analisi sul refluo finale. Mai rinvenute.
In tale contesto l'agronomo riferiva di avere realizzato "...una rapida presa visione dello sttao di manutenzione dell'impianto Codep e della sua efficacia depurativa connessa al corretto funzionamento impiantistico riscontrando...un ottimo stato manutentivo e di corretta gestione di processo ....Fermo restando eventuali ulteriori approfondimenti sulla base di oggettivi dati impiantistici ed analitici...".
A tale ultimo riguardo appare sin d'ora utile osservare, per escludere la rilevanza di tale accertamento in termini di prova dell'ottimale utilizzo dell'impianto di depurazione, come il riferito controllo sull'impianto con conseguente giudizio positivo, si sarebbe tradotto semplicemente in "...una rapida presa visione .." tanto da avvertire la necessità di precisare la possibilià di svolgere ulteriori eventuali approfondimenti "....sulla base di oggettivi dati impiantistici ed analitici...", che quindi non vi furono all'epoca di quell'unica, "rapida presa visione..".

Riprendendo la citata comunicazione agronomica, si illustrava quindi il processo di trattamento, corrispondente a quello già emergente nelle pagine precedenti dedicate all'analisi della relazione progettuale del 1995, evidenziandosi come i reflui provenissero direttamente, mediante condotta, dagli allevamenti, per una portata giornaliera di circa 1000 mc, e alla fine del trattamento fossero convogliati in un bacino di circa 90.000 mc., la cd. "laguna", da dove poi venivano trasferiti mediante pompaggio "ad un sistema fisso di irrigazione...".
Emerge dunque anche in queste pagine, come in quelle di cui alla relazione progettuale citata, e come confermato anche da vari esiti dichiarativi raccolti in sede dibattimentale, che il "sistema" prevedeva di norma uno scarico stabile e ininterrotto, e dunque "diretto", dei reflui zootecnici trattati, verso corpi recettori costituiti da terreni. Con conseguente esclusione, in ogni caso, per tali reflui, così inviati, trattati e scaricati "direttamente", della disciplina dettata in materia di rifiuti.
La comunicazione proseguiva indicando che la produzione di fanghi e liquami era caratterizzata da un contenuto medio in azoto totale superiore a quella del progetto del 1995 e pari a 1,080 kg/mc, senza alcuna ulteriore specificazione circa le metodiche con le quali si giungeva a tale determinazione, salvo un rapido rinvio, poco dopo a pagina 6, ad ".....analisi effettuate sul refluo....".
Si ricorda in proposito che la disciplina in materia di utilizzo agronomico impone che tale valore sia calcolato secondo le tabelle allegate alla normativa, che fanno riferimento tra l'altro al peso vivo degli animali, oppure mediante studi e monitoraggi analitici da illustrare in maniera puntuale. Laddove nulla emerge in proposito.
Si precisava poi, sempre nella stessa comunicazione, che i liquami venivano fatti oggetto di utilizzazione agronomica ma che le relative quantità annualmente usate dipendevano "dalle superfici di anno in anno effettivamente disponibili e dalle norme di utilizzazione ...".
Si tratta di un altro punto nodale nella ricostruzione degli eventi.
L'impianto non nacque per la pratica della fertirrigazione, così da non disporre, in contemporanea alla sua realizzazione, di terreni strumentali all'utilizzo agronomico dei reflui finali; consegue che l'utilizzazione agronomica degli effluenti venne individuata nel 2006, in sostanza, come soluzione alle problematiche che cominciavano a presentarsi circa la corretta e legale gestione del ciclo di trattamento e "smaltimento" effettuato in impianto. E ciò anche in ragione, come illustrato da testi di pg, delle prime indagini avviate proprio in quel periodo sulla struttura.
Da qui allora la notevole difficoltà ad avviare un corretto utilizzo agronomico di tutti i rilevanti quantitativi di reflui finali, in presenza di ben pochi terreni disponibili. Problema che si rivelò una costante in tutta la vicenda, incidendo fortemente su taluni dei fatti in contestazione.  
Di tanto invero si diede atto nella stessa comunicazione in parola, laddove si affermò che "la variabilità delle superfici annualmente disponibili ha costituito da sempre un problema di difficile soluzione  e ....non risolutivi sono stati gli interventi di miglioramento delle strutture di trattamento e stoccaggio realizzate allo scopo di diminuire il carico impattante ridotto a valori particolarmente bassi come dimostrano le analisi effettuate sul refluo..". Da qui anche il rinvio a nuovi miglioramenti tecnici per completare il trattamento di depurazione, deliberati nel dicembre 2005 dal CDA.
In tale contesto allora, si comunicò che per una produzione finale "stimata" di refluo trattato, pari a 310.000 mc netti annui (con riduzione dal maggior valore al lordo, del 15%, calcolato per evaporazione e con contenuto medio in azoto totale per i liquami pari a 1,080 kg/mc), si sarebbero avuti terreni utilizzabili pari solo a 87,50 ha per l'annata agraria 2005/06 (con scadenza per quanto in precedenza rilevato, al 10.11.2006) e a 205,55 ha per l'annata agraria 2006/07, questi ultimi da impiegare però, si noti bene, secondo quanto indicato nella comunicazione, sino al luglio del 2007, pur essendo maggiore l'intervallo (dal 11.11.2006 al 10.11.2007) dell'annata agraria 2006/07; ciò perchè nella comunicazione medesima si operava un piano della durata espressa di 12 mesi. Per tale complessivo periodo si sarebbero utilizzati a fini agronomici solo 56.000 mc., mentre la restante parte del refluo finale sarebbe rimasta nelle strutture esistenti per una capacità "residua" di 50.000 mc., sarebbe stata inviata in depuratori comunali per altri 114.000 mc, nonchè condotta in una nuova vasca che si sarebbe dovuta realizzare entro 4 mesi per un quantitativo di 90.000 mc.
Più in particolare, per l'annata 2005/06 si sarebbero utilizzati a fini di utilizzo agronomico su terreni solo 17.000 mc. di refluo finale, e per quella 2006/07 39.000 mc. (per un totale, prima già indicato, di 56.000 mc. su 12 mesi).  
Quanto alle modalità di spandimento, si aggiunse che esso sarebbe stato effettuato o attraverso il sistema di rete irrigua dove presente (scarico "diretto", ndr) oppure con carri botte idonei ("rifiuti liquidi" ndr). Si allegava la planimetria di impianto e il PUA, ed accanto alla già citata relazione geologica del marzo 2006, venne anche predisposta la necessaria relazione idrogeologica della dr.ssa Fiorucci, del giugno/luglio 2006, pure esaminata in udienza.
Seguirono integrazioni alla comunicazione, dell'agosto 2006, a fronte della acquisizione in disponibilità di altri terreni, con elevazione delle quantità di refluo da utilizzare per l'annata 2005/06 fino a 25.000 mc, e per l'annata 2006/07  - ma sempre fino al luglio 2007 - fino a 52.000 mc. circa (pag. 4 della integrazione), per un totale, per i previsti 12 mesi, pari a 77.000 mc.  

Rimanendo in tema di comunicazioni agronomiche, di rilievo fu poi quella intervenuta nel luglio del 2007 ad opera del nuovo Presidente della Codep Siena Graziano, attuale imputato. Comunicazione questa volta operata ai sensi della sopravvenuta DGR 1492/2006 (oltre che della DGR 2052/2005) e indirizzata ai Sindaci dei Comuni ove erano ubicati i terreni su cui effettuare la preventivata utilizzazione agronomica. Con valutazione sia delle aree vulnerabili che non vulnerabili.  
Si confermavano i dati organizzativi e numerici di cui alla precedente comunicazione del 2006, così come si confermava la produzione complessiva dagli allevamenti conferenti, di circa 140.000 suini vendibili e di circa 5000 scrofe pur a fronte di aziende passate da 44 a 42. In proposito seguiva un prospetto indicativo degli allevamenti con allegata la rappresentazione della estensione delle stalle in mq.,  e si ribadiva la ricezione e trattamento anche di acque di vegetazione provenienti da frantoi oleari.
Non compariva, in sede di illustrazione del processo di trattamento,  la nuova laguna indicata come "in fieri" nella precedente comunicazione del 2006, venendo indicata solo la già preesistente "laguna" di circa 90.000 mq.  Si confermava l'operatività dell'impianto di cogenerazione del biogas di cui si affermava un funzionamento al 70% delle sue potenzialità.

In tale contesto allora, si comunicò che per una produzione finale stimata di effluente trattato, pari a 350.000 mc netti annui ed un contenuto complessivo di azoto totale pari a 378 tonnellate ( con contenuto medio in azoto totale per i fanghi pari a 7 kg/mc e per i liquami ancora una volta pari a 1,080 kg/mc), si sarebbero avuti terreni ritenuti utilizzabili pari a 653,01 ha, ripartiti tra aree vulnerabili e non vulnerabili.
Diversamente dalla precedente comunicazione, in maniera alquanto singolare, anche in rapporto al contrario disposto della normativa regionale vigente, non si indicavano i quantitativi precisi di liquame e fanghi che si sarebbero utilizzati sui terreni. Nè si indicavano i quantitativi da riversare specificamente sui nuovi terreni acquisiti in disponibilità, solo richiamandosi la futura redazione del Pua per le aree vulnerabili.
Piuttosto, si ribadiva la sussistenza del problema di Codep circa la disponibilità dei terreni necessari per il completo utilizzo agronomico degli effluenti finali prodotti, operando un previo, generico quanto laconico richiamo ad un "progetto di ristrutturazione dell'impianto di trattamento e di ampliamento delle vasche di stoccaggio", con "vasche di affinamento depurazione e stoccaggio"  che avrebbe consentito in futuro di "..ridurre il carico azotato da 1,080 kg/lt attuale ad un decimo circa riducendo parallelamente la superficie di terreno necessaria alla utilizzazione agronomica a circa 200/250 ha già ampiamente disponibili...", e di fatto ulteriormente ammettendo il deficit nel rapporto tra reflui prodotti e terreni disponibili per l'utilizzo agronomico, nella parte in cui si richiamava un previsto " raddoppio" delle vasche quale "serbatoio necessario per accogliere volumi di refluo eccedenti la capacità recettiva dei terreni."; alfine si concludeva la comunicazione semplicemente affermando indistintamente che " ...si dimostra pertanto che l'azienda può smaltire parte dei reflui prodotti mediante la loro utilizzazione agronomica..".
Nè risultò più esaustiva l'integrazione del 21 settembre del 2007, di fatto operata solo per riportare un maggior quantitativo di terreni ritenuti idonei, passandosi dai precedenti 653,01 ha, ai nuovi 680,09 ha. Ma sempre priva dell'indicazione dei quantitativi da riversare nell'annata di riferimento.
Sono, queste ultime, invero, comunicazioni e integrazioni alquanto "singolari" rispetto all'ordinario contenuto normativamente fissato anche a livello regionale, e che, giova anticiparlo, si rivelano espressione formale, assieme anche alla prima comunicazione del 2006, di una gestione degli effluenti realizzata al di fuori di ogni regola.
Che del resto sussistesse un incombente problema di disponibilità di terreni, che di fatto rendeva impossibile l'utilizzo agronomico corretto dei reflui e nel contempo dava luogo a sempre più gravosi problemi di gestione finale dei liquami trattati, lo si desume anche dalla chiarissima conversazione intervenuta tra Igor Cruciani, consulente agronomo della Codep e un suo collega della SQA. Conversazione che sarà ilustrata nelle sucessive pagine.

Va operata un'altra considerazione sempre in tema di comunicazioni agronomiche.
Si premette che la DGR 1492/2006 (art. 12) per il caso in cui le fasi di produzione, trattamento e utilizzazione dei liquami siano svolte da soggetti distinti, impone che ciascuno di tali soggetti adotti una specifica comunicazione agronomica, normativamente disciplinata, afferente alla propria fase di "lavorazione". Tanto per evidenti ragioni di effettività e serietà dell'utilizzo agronomico, con conseguenti risvolti anche sul piano della efficacia dei controlli e verifiche.
Ebbene, dagli atti acquisiti, anche a seguito di ordinanza assunta ai sensi dell'art. 507 c.p.p., emerge che presso il Comune di Bettona per l'anno 2006 solo la Codep, e quindi nessuno degli allevatori conferitori o degli utilizzatori di liquami in proprio, effettuò comunicazione agronomica. Per l'anno 2007 oltre alla Codep effettuarono comunicazioni agronomiche ex art. 12 comma II della DGR 1492/2006 solo 12 aziende collegate al "ciclo" dei liquami trattati da Codep: Azienda Agraria Proietti G., Allevamento suinicolo la Campagna, Azienda Agraria Mattoni R., Az. Agr. Mencarelli E. e G., Azienda Monacchia L., Suinicola Taglioni, Az. Agr. Giammarioli, Az. Agr. Gigliatti A., La Collina di Rinaldo Polinori, Az. Agr. di Mattoni U., Az. Agr. di Mattoni Ivo, Agricola Polinori.
Quanto al comune di Bastia Umbra, per l'anno 2007 è emersa una comunicazione del mese di novembre della Azienda Agricola Servettini - loc. Ospedalicchio,  e per il 2008 tre comunicazioni rispettivamente di Agricola Polinori  (del 19.9.08) Az. Agr. Cristofani (del 26.11.2008) Az. Agr. Meschini (del 30.12.2008).

Ritornando al tema della indisponibilità di terreni emergente sin dal 2006, va detto che diversi eventi intervennero, a conferma di tale problematica, successivamente alla predetta comunicazione agronomica del luglio 2007 e dei primi accertamenti investigativi del Noe, già effettuati tra il giugno del 2006 e il giugno del 2007, anche con il CT Iacucci.

Così il 6.8.2007, si riuniva il Consiglio di Amministrazione della Codep, con il nuovo Presidente, eletto da circa due mesi, Graziano Siena. All'ordine del giorno proprio il tema del "trattamento dei reflui zootecnici e sull'urgente necessità di dare inizio ai lavori per la costruzione di un laghetto e per l'adeguamento dell'impianto (spesa presunta 800.000 euro circa)".
Contemporaneamente il Presidente informava della necessità di conferire circa un terzo dei liquami - per circa 50 giorni - al depuratore del vicino comune di Marsciano con conferimento mediante autobotti e prezzi da definire.
Erano presenti anche il Sindaco e Vice sindaco di Bettona, che sottolineavano l'urgenza di assicurare che l'impianto fosse idoneo al trattamento dei liquami "in ossequio alle leggi a tutela dell'ambiente".
L'assemblea deliberava dando mandato al consiglio di Amministrazione per assicurare la costruzione del nuovo "laghetto" e il conferimento dei reflui in Marsciano.
Seguiva l'esame di progetti finalizzati al miglioramento della fase depurativa con abbattimento del carico dei nitrati e quindi dell'azoto e l'assemblea deliberava di approvare uno dei progetti (denominato Envis) e di  affidare al Consiglio di Amministrazione il compito di assicurarne l'esecuzione.
Si deliberava infine che ogni socio versasse 10 euro per ogni metro quadro delle proprie stalle per finanziare il citato nuovo "laghetto" prevedendosi l'esclusione dei soci che non avessero versato i deliberati contributi e quindi l'interruzione del servizio di conferimento e trattamento dei liquami, da farsi al termine del ciclo di allevamento in atto.

Era chiaramente una riunione con cui si cercava di affrontare l'impellente difficoltà di smaltire adeguatamente i reflui a fronte di terreni insufficienti per realizzare la pratica di utilizzazione agronomica, anche alla luce del notevole carico di azoto degli effluenti.
Difficoltà certamente acuite dalla nota del gestore del depuratore di Marsciano, che con fax dell'11.9.2007 invitava il presidente Siena a sospendere dal 13 i conferimenti di reflui provenienti da Codep "in quanto il livello attuale delle nostre lagune e il tempo stimato di proseguimento delle attività di fertirrigazione non ci permettono di proseguire con il ricevimento..".
Il 7.9.2007 Siena Graziano inviava al Sindaco e assessore all'ambiente di Bettona e all'assessorato regionale all'ambiente della Regione Umbria una missiva che faceva seguito ad una riunione intervenuta con i predetti organi il 3.9.2007.
Ribadiva lo stato di emergenza relativo all'impianto affidato a Codep e al relativo smaltimento dei reflui finali, affermando altresì che le difficoltà della Codep erano da collegare alla "ultima normativa in materia di utilizzazione agronomica dei reflui che ha ridotto in misura consistente il quantitativo di azoto per ettaro impiegabile in agricoltura..". Rappresentava quindi che per risolvere tali problemi nell'aprile del 2007 la Codep aveva considerato un progetto di "adeguamento del depuratore e relativo laghetto di stoccaggio di acque depurate..."  assicurando la determinazione della sua società a realizzare quest'ultimo obiettivo.
Stante comunque la situazione emergenziale, "tenuto conto della stagione che già limita le pratiche di utilizzazione agronomica .." il Siena sollecitava il Sindaco ad intervenire per evitare problemi ambientali e manifestava la sua disponibilità "a realizzare a titolo provvisorio un laghetto che ci permetta di superare i mesi invernali prima dell'approvazione e realizzazione del progetto..." . A tale riguardo sottolineava che "l'autonomia ......della laguna ....è limitata a pochi giorni.." (cfr missiva in prod. del PM del 7.10.2015). .  
Seguiva il 17.9.2007 una missiva del Siena al sindaco di Bettona, che informava della citata decisione di interrompere i conferimenti comunicata dal gestore di Marsciano, chiedendo un non meglio precisato intervento del Sindaco medesimo. Lo stesso Sindaco veniva informato con nota del 19.9.2007 dal Responsabile dell'area urbanistica comunale, Geometra Papalia, all'esito di un accesso all'impianto, del fatto che la "laguna" di Codep  aveva solo un livello di capacità residua di stoccaggio pari a 6 cm. di altezza. Con altra nota in pari data il Papalia evidenziava il pericolo di sversamenti dalla laguna anche verso i vicini fiumi, rappresentando l'urgenza di "...bloccare l'ulteriore afflusso di reflui all'interno della laguna nonchè individuare un sito alternativo anche provvisorio" per il refluo in eccesso.  
Nella stessa data Siena Graziano facendo seguito al citato sopralluogo del Papalia, e prospettando il pericolo di un "disastro ecologico" chiedeva al Sindaco di Bettona l'adozione di un'ordinanza che disponesse "..una riduzione del 50% dei capi allevati in tutte le stalle dei soci ed utenti. Resta sottinteso che di pari passo venga autorizzata in via provvisoria la laguna di stoccaggio dei reflui trattati".
L'esito di tali richieste veniva formalizzato nella ordinanza comunale n. 46 del 20.9.2007, con cui il Sindaco, Lamberto Marcantonini, in sede di premesse formulava importanti attestazioni per quanto in esame in questa sede.  
Richiamati i più rigorosi limiti normativi stabiliti per il carico di azoto riversabile con le pratiche di utilizzazione economiche (DGR 1492/2006), affermava innanzitutto la conseguente incompatibilità dell'impianto della Codep alla citata nuova normativa, con l'insufficienza ai fini dell'utilizzazione agronomica dei terreni disponibili da parte di Codep rispetto ai reflui prodotti.   
Evidenziava quindi la pressocchè intervenuta saturazione della laguna; l'impossibilità intervenuta nel frattempo, di conferire i reflui verso altri depuratori; l'assenza di spontanee iniziative degli allevatori conferenti in Codep, dirette ad autolimitare i quantitativi di liquami zootecnici prodotti;  l'esistenza di una situazione di emergenza connotata dal pericolo di sversamento delle acque reflue azotate dalla laguna.
Quindi, richiamando l'art. 191 Dlgs 152/206 ordinava con ordinanza 46/2007:
il divieto di reinstallo di capi suini negli allevamenti conferenti liquami in Codep;
la riduzione nell'immediato - del 50 % - del numero di capi esistenti nei predetti allevamenti;
la consegna per ogni allevamento dei registri di carico e scarico;
il divieto di coinvogliamento di acque meteoriche nelle condotte.
Ordinava nel contempo alla Codep di avviare i lavori di realizzazione di un nuovo invaso per lo stoccaggio provvisorio dei reflui trattati, "..sino all'adeguamento e alla messa a norma dello stesso impianto di trattamento gestito dalla cooperativa e comunque per un periodo non superiore a 180 giorni".
Si ordinava quindi alla USL competente di "vigilare circa l'ottemperanza".
Con atto di "indirizzo" del 31.10.2007 il comune di Bettona precisò altresì che l'ordinanza 46/07 non era operativa nei confronti degli allevatori che già conferivano i propri liquami ad altri depuratori diversi da Codep o comunque fossero in grado di provvedere in tal senso nell'immediatezza. Con conseguente obbligo di sigillare le condotte di conferimento diretto dei liquami a Codep.
In probabile correlazione a ciò quindi, l'Azienda Agricola Polinori stipulava un contratto di conferimento con il depuratore di Olmeto - Marsciano, con successivi trasporti documentati in questa sede (dal 25.9.07 al 25.9.08 all. 43 e  45 prod. Bacchi)  

Il 5.10.2007 si riuniva nuovamente l'assemblea dei soci di Codep che deliberava la realizzazione della nuova laguna provvisoria oltre al progetto di adeguamento dell'impianto, come già in precedenza stabilito. Seguiva la delibera di determinazione delle quantità di acque di vegetazione relative alla campagna olearia 2007/2008, dovendosi stabilire se fosse opportuno "procedere a ritirarle come gli anni scorsi (stante una autorizzazione sino a 14.000 mc, ndr) oppure in misura inferiori ..." e che alfine venivano indicate "compatibilmente alle necessità dell'impianto...".

Nel frattempo nell'ottobre - novembre del 2007 in conseguenza della scelta di conferire liquami a impianti diversi da quello della Codep e quindi di non sottostare alle prescrizioni di cui alla ordinanza comunale 46/07 conformemente all'atto di "indirizzo" del 30.10.07 citato, diversi allevamenti, tra cui la Agricola Polinori e l'azienda di Longetti Sergio venivano interessati da attività di chiusura delle condotte di adduzione a Codep
 
Va ricordato che parallelamente all'illustrata azione diretta ad ottenere un'ordinanza quale quella n. 46/07 sopra descritta, la Codep avviò anche una iniziativa diretta a svincolarsi del tutto dal rispetto della disciplina in materia di rifiuti.
Il 6.9.07 infatti, il Presidente Siena inviò una missiva alla Regione Umbria diretta a porre nel nulla la precedente richiesta, del gennaio 2007, con cui Codep aveva chiesto il rilascio dell'AIA ai sensi del Dlgs 59/2005, evidentemente in applicazione della clausola di salvezza di cui all'attuale art. 112 co. I Dlgs 152/06 per cui, in caso di utilizzazione agronomica, gli allevamenti intensivi di cui al punto 6.6. dell'allegato I devono comunque munirsi di AIA.
Con essa la Codep rappresentava di essere dedita al solo trattamento di reflui zootecnici e di acque di vegetazione poi utilizzati in agricoltura, come tali da ritenersi sottratti alla disciplina sui rifiuti e quindi, a suo dire, anche del Dlgs 59/2005. In proposito tacendo, a dire il vero, del fatto che :
1) anche in caso di utilizzazione agronomica l'art. 112 del Dlgs 152/06 fa salva comunque la disciplina dell'AIA ex Dlgs 59/06, "per gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell'Allegato 1 del medesimo decreto";
2) gli impianti di cui al predetto punto 6.6. sono quelli aventi più di 40.000 capi di pollame a ciclo, o più di 2000 capi di suini da produzione (oltre 30 kg) a ciclo o ancora 750 capi scrofe;
3) diversi erano gli allevamenti che conferivano liquami di suini in Codep e aventi più di 2000 capi suini, come si evince dalle (poche) comunicazioni agronomiche dei singoli allevatori connessi con Codep adottate nel 2007 e rinvenute e acquisite da questa Corte a seguito di ordinanza ex art. 507 c.p.p.: Allevamento Suinicolo la Campagna SAS, con capi medi presenti pari a 3503  (comunicazione del 15.5.07),  Allevamento Suinicolo la Campagna SAS, con capi medi presenti pari a 3503 suini (comunicazione del 15.5.07),  Azienda Agricola Mencarelli Emilio e Giuseppe S.S. con capi medi presenti pari a 2350 tali essendo espressamente quelli venduti in un anno (comunicazione del 15.5.07); Azienda Suinicola Taglioni srl, con capi medi presenti pari a 2500 in un anno (comunicazione del 7.6.2007); Azienda La Collina di Rinaldo Polinori con capi medi presenti pari a 3083 in un anno; Azienda Agricola Polinori SRL con capi medi presenti pari a 6883 in un anno (comunicazione del 15 5 07), quest'ultima oggetto di chiusura delle condotte di conferimento a Codep del 6.11.2007). Ancora, come si legge a pagina 2 del verbale della assemblea dei soci di Codep, del 18.12.2007 (in produzione documentale offerta dalla difesa, all. 37) l'Azienda Agricola Avverso G. e Ciccone B snc aveva all'epoca, come accertato da sopralluogo di VV. UU di Bettona citato nel verbale medesimo, ben 5233 capi rispetto ad un totale di partenza, prima della ordinanza 46/07 in tema di dimezzamento dei capi, di 5510. Appare inquadrabile nel suddetto quadro anche la ditta Vapor dell'imputato Zanotti Stefano: come da sua nota del 13.12.07 inviata a Codep (all. 49 prod. avv. Bacchi) a quell'epoca pur a fronte dell'asserito avvenuto rispetto dell'obbligo di abbattimento dei capi al 50%, ex ordinanza 46/07, sussistevano nell'allevamento (subentrato a quello della ditta Petrini di cui al contratto di servizio con Codep del 97, all. 48) ben 2400 scrofe e 500 scrofette. Al momento dell'emanazione della ordinanza 46/2007 vi erano invece secondo la predetta nota 2642 scrofe

Circostanze queste, che lasciano riflettere sulla necessità di rilascio di AIA anche per la Codep, strutturandosi l'impianto, in definitiva, in  nient'altro che un'appendice funzionale degli stessi allevamenti tenuti a richiedere l'AIA in ragione dell'imponenza delle loro dimensioni funzionali. In questo quadro non va trascurato, come riferito dal Cruciani, anche il rilievo delle attività di utilizzazione dei fanghi e di gestione del biogas.

Sta di fatto che Codep ottenne in tal modo, sul rilievo per cui quei materiali erano secondo la Regione "esclusi dal campo di applicazione dei rifiuti ai sensi dell'art. 185 comma 1 let. e) del Dlgs 152/06",  una "presa d'atto di quanto dichiarato dalla Soc. Codep " da parte della Regione Umbria in data 15.10.07, con correlata comunicazione per cui "il procedimento di rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale è interrotto".

In altri termini, all'ottobre del 2007 Codep sosteneva con plurimi atti ufficiali (comunicazioni agronomiche e richiesta inoltrata ala Regione del settembre 2007), di svolgere regolare attività di utilizzazione agronomica e di non essere tenuta, per tale via, a sottostare alla disciplina sui rifiuti e neppure a munirsi di AIA.  

In questo complessivo contesto e sull'asserito presupposto per cui l'impianto in ragione anche dei nuovi parametri di cui alla DGR 1492/06 non era in grado di assicurare l'utilizzo agronomico di tutti i reflui prodotti, il comune con ordinanza n. 59/07 del 19 novembre disponeva altresì l'esclusione dal servizio assicurato da Codep, per taluni allevamenti ubicati esternamente al comune di Bettona, tra cui, per quanto qui di interesse, quelli di Polinori Lunghi Sabina, Acem di Mencarelli Enzo e Massimo e Vapor spa di Zanotti Stefano.


Nel frattempo, la situazione precipitava sempre più: il Presidente Siena il 12.12.07 comunicava al Comune che la laguna di stoccaggio  era "di fatto piena" addebitandone le cause a taluni allevatori che a suo giudizio avevano omesso di rispettare le prescrizioni della ordinanza n. 46/07. Segnalava altresì che tanto dipendeva anche dal fatto che le autorità preposte ai controlli sul rispetto del provvedimento non li avevano realizzati o vi avevano provveduto in maniera insufficiente. Negli stessi giorni, in particolare l'11.12.2007 l'Arpa territoriale con nota firmata dagli imputati D'Amico e Bagnetti prendeva atto della comunicazione del Siena ed effettuato un sopralluogo in impianto comunicava al Sindaco di Bettona l'esattezza delle indicazioni del Siena riferendo che "...si è accertato che il livello dell'invaso ...era pressochè giunto al massimo consentito ..." effettuando anche foto. Si dava atto delle dichiarazioni spontanee del Siena che riferiva come all'impianto continuassero a sopraggiungere circa 1000 mc di liquame al giorno evidenziandosi come, al contrario, ove si fosse rispettato il divieto di reinstallo ex provvedimento 46/2007, ".il numero dei capi dovrebbe essere ridottissimo .....a distanza di oltre 80 gioni ....anche la maggior parte degli animali consnetiti avrebe dovuto essere giunta a fine ciclo.." . Di conseguenza si proponeva la adozione di un'ordinanza contingibile e urgente di immediata sospensione del conferimento dei liquami in Codep, e di immediato allontanamento degli animali degli allevamenti in mancanza di forme alternative (rispetto al conferimento in Codep) di smaltimento.

Il Siena da parte sua convocava poi, il 18.12.2007, il consiglio di amministrazione, ove si dava atto di talune violazioni della 46/07 da parte di allevatori, come certificato da VV.UU o dall'ASL, evidenziandosi come in tal modo "la situazione era ancor più degenerata con il conseguente innalzamento del livello della laguna..". Da qui, stante la violazione anche del principio mutualistico tra i soci, si deliberava l'esclusione dei tre allevamenti (Giammarioli Nicoletta, Avverso e Ciccone e Longetti Giuseppe) che erano stati oggetto di accertamento inerente la violazione della ordinanza 46/07. Il 21.12.2007 invece, il medesimo Consiglio di Amministrazione disponeva l'esclusione di taluni allevatori (Angelucci, Siam e Longetti Sergio) per intervenuta morosità.

Con innovativa soluzione che - come si vedrà - sarà seguita anche per altri allevatori, la Codep si accordava con l'allevamento di Giammarioli Nicoletta, escluso con delibera del 18.12. di cui sopra, consentendo il persistere, fino alla conclusione del ciclo, del conferimento dei reflui; a fronte però dell'impegno del ritiro di equivalenti quantità di refluo trattato, da gestire poi autonomamente.
Una soluzione analoga, invero, si assumeva nei confronti della ditta Vapor, di Zanotti Stefano, che in esecuzione dell'ordinanza 59/2007 della Giunta comunale di Bettona, che escludeva dal servizio di conferimento liquami gli allevamenti posti fuori del territorio comunale, era stata espressamente esclusa da Codep con nota del 17.12.2007. Con scrittura privata dell' 1.2.2008 infatti, le parti si accordarono nel senso che veniva consentito il persistere del conferimento dei reflui (che avveniva con scarico diretto a mezzo condotta come desumibile anche dal contratto con la ditta Petrini in cui era subentrata la Codep), a fronte dell'impegno della Vapor al ritiro, con cadenza giornaliera, di equivalenti quantità di refluo trattato, da gestire poi, per lo spandimento successivo, autonomamente. Giova osservare che anche in questo accordo si dà atto che la esclusione della Vapor era da collegarsi al "...rilievo che la laguna esistente non è più in grado di ricevere liquami...".

Una nuova riunione del Consiglio di Amministrazione interveniva il 22.1.2008. Assenti Schippa Paolo e Giammarioli Nicoletta, si dava mandato al Siena di reperire i terreni necessari "per lo smaltimento delle acque trattate" nel quadro del programma di gestione fino al dicembre del 2008. Si dava mandato sempre al Siena di assicurare che tutti i soci mettessero a disposizione terreni per la fertirrigazione, e alla successiva riunione del 24.1.2008 si affrontava il tema del versamento delle quote sociali determinate per sovvenzionare il deliberato progetto di adeguamento impiantistico indicato dal Presidente Siena come "..necessario per il futuro stesso della Cooperativa il quale consente una notevole riduzione dei carichi azotati con la conseguenza che diventerebbe necessaria una quantità molto limitata di terreni ai fini agronomici risolvendosi una volta per tutte qualsivoglia problematica in ordine alla sufficiente disponibilità di terreni per la fertirrigazione..è annosa infatti la problematica si aver a disposizione terreni sufficienti.... .Senza la realizzazione del progetto di ammodernamento la Cooperativa non può in alcun modo andare avanti perchè la laguna di stoccaggio anche per le nuove normative deve intendersi sottodimensionata e le nuove delibere regionali pongono una riduzione delle quantità di azoto per ettaro e di conseguenza la Codep dovrebbe avere a disposizione una quantità maggiore di terreni per l'uso agronomico fatto questo che presenta soverchie e note difficoltà..".
Stante quindi il mancato versamento delle quote funzionali all'adeguamento impiantistico, si deliberava l'esclusione di taluni soci allevatori inadempienti: Azienda Mattoni Ugo e Ivo, Agriumbria, Grandolini Marco, Cristofani Nello, Az. Agr. Valbassa di Ciotti Alberto. Si dava altresì atto del recesso di 6 allevatori, tra cui Proietti Giampaolo e Mattoni Maurizio e Franco.
Infine il Siena otteneva mandato per acquisire preventivi per la realizzazione del nuovo impianto di trattamento il cui progetto era già stato approvato (cd. Progetto Envis).
 
Nel frattempo l'Arpa Territoriale e in particolare Bagnetti e d'Amico, in data 5.2.2008 segnalavano la saturazione delle vasche interne alla Codep - compresa la laguna - così che la Codep era costretta a "....provevedere giornalmente allo smaltimento dell'effluente in uscita dall'impianto di digestione anaerobica.." e sollecitavano l'esecuzione anche in via coattiva della ordinanza 46/07 .
Peraltro l'11.3.2008 gli imputati Bagnetti e Menganna inoltravano alla locale Procura una cnr in relazione all'art. 650 c.p. nei confronti degli allevatori che non avevano rispettato l'ordinanza 46/07 (cfr. all. 10 in produzione difesa di D'Amico).
Pochi mesi dopo il Comune di Bettona, con ordinanza n. 20 del marzo 2008 (prodotta dal Pm all'udienza dell' 11.12.2013), sul rilievo, desunto anche da note dell'Arpa (25523 prot. del 11.12.2007 e 1214 del 5.2.2008 richiamate in ordinanza n. 20 cit. e in allegato 8 e 9 della difesa di D'Amico), per cui alcuni allevatori non avevano rispettato le prescrizioni dell'ordinanza 46/07 e che la laguna ancora al febbraio 2008 era pressocchè satura (come altresì confermato dall'ufficio tecnico comunale con nota del 13.2.2008 pure richiamata), reiterava i contenuti dell'ordinanza contingibile e urgente n. 46/2007, integrandola anche con nota del 16.4.2008,  in ragione del perdurare della situazione di emergenza nei termini suesposti.
Successivamente però, con ordinanza n. 57 del 21.4.2008 il predetto comune, a fronte di documentazione che secondo la predetta ordinanza era stata presentata dalla Codep (con nota del 26.3.2008) circa i terreni asseritamente disponibili per la fertirrigazione e da cui, sempre secondo le motivazioni del provvedimento, si poteva desumere la possibilità di un prossimo abbassamento del livello della laguna, "autorizzava" la Codep medesima a utilizzare agronomicamente i citati terreni con contestuale abbassamento della laguna. Oltre a questa singolare "autorizzazione" (alla luce del ben chiaro e lineare procedimento legale di utilizzazione agronomica, alieno da qualsiasi "autorizzazione", salvo che per i fanghi) il comune altresì stabiliva che "subordinatamente all'abbassamento del livello della laguna al di sotto del limite di sicurezza..."  autorizzava ben 24 allevatori (tra questi, Agricola Polinori, La Collina di Polinori Rinaldo, Az Agr. Mattoni Renato Az Agr. Mattoni Giovanni, Mencarelli Emilio e Giuseppe, Mattoni Renato e C., Polinori Tarcisio, Polinori Lunghi Sabina, Servettini Enrico, Servettini Franco, Taglioni Alberto Maria e Renato e Taglioni Mangimi srl) a reintrodurre capi suini per un numero complessivo non superiore a 40.000. Con obbligo di Codep si monitorare i flussi di ogni allevamento, indicando i terreni utilizzati per lo spandimento, le modalità di trasporto e di irrorazione.
In tale contesto con nota del 30.4.2008 (in produzione della difesa di D'Amico) la Direzione Generale dell'Arpa suggeriva al Sindaco di Bettona, tra l'altro, di prescrivere alla Codep l'installazione di un contalitri per monitorare il flusso dei liquami conferiti in ingresso e quello dei liquami utilizzati in via agronomica, di subordinare la facoltà di reinstallo all'abbassamento del livello della laguna di almeno 2 metri rispetto al limite sino ad allora sussistente. Quindi con nota del giugno 2008 la predetta Direzione, allegando la relazione di sopralluogo di un suo collaboratore (dr. Bodo, di fatto affiancato agli attuali tre imputati dell'Arpa con disposizione del Dipartimento Provinciale di Perugia del 18.2008, in atti),  del 5.6.2008 presso l'impianto, evidenziava "...il livello allarmante raggiunto dai reflui proveninti all'impianto e contenuti nela laguna di stoccagio...superiore a quello rilevato a marzo 2008 non risulta...che la Soc. Co. Dep abbia adempiuto alle prescrizioni impartite con la Delibera n. 57 ...per quanto riguarda il monitoraggio del quantitativo di liquame addotto dai singoli allevamenti ...risulta completamente disatteso anche quanto indicato con lettera Arpa ...si invita l'Amministrazione ad emanare con urgenza la richiesta di sospensione del conferimento di ulteriori liquami..".
In proposito è utile osservare che in data 1.8.2008 il servizio Veterinario dell'ASL 2 comunicava (come da allegazione n. 7 della difesa di D'Amico) al sindaco e assessore all'ambiente di Bettona che si era proceduto al reistallo di capi suini anche presso allevamenti non autorizzati ex ordinanza 57/2008.
In quel medesimo periodo peraltro l'Arpa Territoriale effettuava sopralluoghi di controllo delle attività di "fertirigazione" e del livello della laguna come da note del 5, 27 marzo 2008, 10.4.2008, 16.6.2008, ( di cui alla citata produzione difensiva del'imputata D'Amico) oltre che in ulteriori date sempre del 2008, tra cui i mesi estivi del medesimo anno.
Con riferimento a quest'ulteriore periodo in queste pagine in esame (2008 - 2009), va qui precisato che a seguito di ordinanza disposta da questa Corte ai sensi dell'art. 507 c.p.p. si completava il quadro della documentazione prodotta nel contesto di queste citate pratiche di utilizzazione agronomica.
In particolare, si acquisivano PUA del 2008 e 2009, laddove la Regione Umbria competente per l'intervallo 2006 - 2008 inerente alla Codep, rilevava nel proprio database solo un PUA del 2008 e del 2009. Ma quello n. 3484 per l'anno 2009 (campagna agraria dal novembre 2008 al 10.11.2009) risultava incompleto ossia non "chiuso" nei termini normativamente previsti. Dalla lettura del PUA 3484 "riferito a terreni non ricadenti in zone vulnerabili" ossia a terreni integranti la parte maggiore di quelli dichiarati da Codep, risulta che gli appezzamenti contemplati erano pari a 19,78 ha. Non si citavano nel punto 5., relativo alla tipologia del concime azotato, le acque di vegetazione ma solo "liquami e letame e assimilati" così come anche in altri paragrafi si illustrava solo la presenza di "azoto organico da liquame" o al più da "letame" e la provenienza da "suini".
Si acquisiva altresì un'ulteriore comunicazione agronomica della Codep dell'aprile del 2008, espressamente indicativa solo delle "nuove particelle catastali che si sono rese disponibili per lo spandimento" e in concreto di 123,64 ha di terreno facenti capo alla ditta Iraci, sita in Bevagna. Si precisava che le ditte conferenti erano passate a 21 e si confermava il conferimento di acque di vegetazione da frantoi oleari. Il contenuto medio in azoto totale dei liquami ora veniva dichiarato più basso e pari a 0,85 kg/mc (allegandosi una sola analisi dell' 11 febbraio 2008 inerente un campione prelevato il 6.2.2008), e quello dei fanghi pari a 6 kg/mc. (con una sola analisi del 26.3.2008). Si aggiungeva ancora che " la disponibilità di terreno di cui alla presente comunicazione consente la utilizzazione di solo parte dei reflui prodotti..." Si confermava la conservazione per almeno 4 anni dei documenti di trasporto in caso di riversamento di liquami e fanghi in terreni lontani dall'anello irriguo mentre per i reflui " movimentati tramite impianti di tubazioni...la Soc. Coop. Agricola Codep Bettona ha predisposto un registro informatico...".
Si concludeva ancora una volta nel senso che la Soc. Coop. Agricola Codep Bettona "..è in grado di utilizzare agronomicamente parte degli effluenti derivanti dalla propria attività di trattamento" nel contempo sottolineando come la società medesima avesse predisposto un " progetto risolutore per superare i limiti legati all'attuale disponibilità dei terreni procedendo alla realizzazione di ulteriori vasche di affinamento, depurazione e stoccaggio.."

Nel contempo Codep proseguiva la sua organizzazione in funzione dell'espletamento di attività di utilizzazione agronomica anche su terreni lontani dal cd. "anello irriguo", stipulando, in data 16.6.2008, un accordo con la società "Fratelli Longetti s.s". rappresentata da Longetti Sergio (come emerge da visura camerale e altra documentazione prodotta dalla stessa difesa all'udienza del 4.7.2013 e di seguito indicata), con cui noleggiava, con il relativo autista, un autocarro, tg 471580 e di 14 mc., a 60 euro l'ora, finalizzato espressamente al trasporto di reflui per l'utilizzazione agronomica (all. 99 prod. Bacchi). Trasporti poi realmente realizzati come emerge tra l'altro anche da fatture emesse dalla ditta F.lli Longetti s.s. nell'anno 2008, mese di giugno, per 155 ore totali e importo netto di circa 11.000 euro, nel mese di luglio per 70 ore totali e importo netto di circa 5000 euro, nel mese di settembre per 25 ore totali e importo netto di circa 18000,00 euro, nel mese di ottobre per 35 ore totali e importo netto di circa 2500,00 euro (cfr. produzione della difesa di Longetti del 4.7.2013). Nella stessa produzione rientra tra gli altri un accordo del 29.12.2008 con cui l'azienda F.lli Longetti e Codep, di seguito ad apposite autorizzazioni comunali a favore della azienda per il conferimento di liquami in Codep, stante la malattia vescicolare, stabilivano tale conferimento fino al cessare della malattia, con impegno da parte della Azienda F.lli Longetti al ritiro di pari quantitativi di liquami trattati; interveniva altresì una correlata comunicazione agronomica per lo spandimento, a firma sempre di Longetti Sergio, tuttavia priva di indicazione dei quantitativi da riversare e di PUA, e con allegato un solo certificato di analisi su "campione medio" non meglio specificato e raccolto in laguna, recante un valore di azoto totale pari ad 858 mg/l, a firma del dr. Pietro S. Vitali. Analisi priva ancora una volta di qualsivoglia timbro di laboratorio, e della indicazione di metodiche di prelievo e campionamento.

E comunque, mentre la Codep si attivava per un uso agronomico dei liquami anche lontano dall'anello irriguo, la situazione precipitava quanto allo stato della laguna e alla qualità medesima dei liquami. E' del 30 settembre del 2008 una nota n. 19961 del dr. Micheli, poi deceduto e non esaminato in dibattimento, Direttore del Dipartimento provinciale di Perugia (in all'11 prod. Menganna), inviata tra gli altri al Comune di Bettona, con cui, all'approssimarsi della scadenza dell'ordinanza n. 20 del 2008 in tema di riduzione capi e divieto di reinstallo, sollevava un generale allarme sulla complessiva situazione ambientale, sia citando allarmi provenienti dalle centraline di monitoraggio sui fiumi Topino e Chiascio nonchè da cittadini che lamentavano "gli effetti di uno smaltimento di liquami zootecnici ...effettuato in maniera non corretta...", sia sopratutto evidenziando che pur a fronte di un abbassamento del livello della laguna verificatosi nell'estate del 2008 (come pure riconosciuto dal Capitano Schienalunga nella deposizione appresso indicata e emergente da atti), ciò aveva determinato un ulteriore problema: l'emergere "di ingentissime quantità di fango sedimentato di cui non è più possibile rinviare la rimozione elo smaltimento..". Di lì a poco invece, come pure preconizzato nella stessa missiva, e di seguito illustrato, il livello della laguna sarebbe ricominciato a salire, e i sedimenti affioranti, non eliminati, sarebbero stati sparsi assieme alla parte di liquami che comunque si continuavano a prelevare dalla laguna per la fertirrigazione.     
Va aggiunto che nella stessa nota il Micheli evidenziava come la Codep e dunque Siena, non avessero assolto al dovere, di cui all'ordinanza 57/2008, di fornire report settimanali sulla qualità e quantità dei liquami in ingresso e di quelli poi smaltiti, nè aveva apposto i dovuti contalitri.
A tale riguardo il tema dell'assenza di contalitri o, ove installati, della inaffidabilità per difetto dei dati, è una costante emergente sia da documenti di controllo disponibili, anche redatti dagli attuali imputati dell'Arpa, sia da dati dichiarativi della pg e da annotazioni acquisite con il consenso, di seguito illustrate. E del resto che ancora permanesse tale problema di assenza o di cattivo funzionamento dei contalitri nel 2009, lo si evince, tra le altre, da una nota (all. 16 prod. memoria Menganna) di sopralluogo presso Codep, a firma del Menganna e della D'Amico, in cui tra l'altro, si rilevava che il contatore alfine installato all'inizio del sistema di pompaggio "fisso con attingimento sempre dalla laguna....non era funzionante".

E' sempre di quest'epoca il raggiungimento di un accordo tra Codep e l'Acem di Mencarelli Enzo e Massimo di Bastia (non contemplati nella delibera comunale 57/2008 riautorizzativa del reinstallo di capi), in particolare del 16.6.2008, analogo a quelli già stipulati con la Vapor e ancor prima con l'allevamento Giammarioli, (cfr. pagine precedenti). L'accordo indicava la quantità di effluente da conferire, calcolandolo secondo la tabella n. 2 allegata alla DGR n. 1492/06 (quantità di effluente prodotto per peso vivo di animale), a fronte dell'impegno di Acem al prelievo da Codep di eguale quantità di refluo trattato, aumentato del 10 % . Tale patto tuttavia non fu rispettato, come emerge da nota della Codep, Presidente Siena, del 25.9.08 con cui si contestavano e intimavano prelievi, ancora da farsi, da parte di Acem, di refluo trattato, dietro minaccia di interruzione del servizio. Diffida cui l'Acem rispondeva con nota dei primi di ottobre con cui si assicurava il prossimo prelievo, giustificandosi con la richiesta, nelle more, della "autorizzazione" del Comune di Spello per lo spandimento su circa 42 ha ivi ubicati. Autorizzazione in realtà poi mai acquisita (all. 63 e ss. prod. avv.to Bacchi). In tale contesto seguiva il 21.10.2008 il sequestro da parte dei CC della condotta di conferimento dei liquami da Acem a Codep come da verbale in atti. Posta l'utilizzabilità di tale sequestro solo nella parte irripetibile, va qui ricordato che quanto alle motivazioni soccorrono le dichiarazioni dei testi di pg, secondo i quali il sequestro avvenne sul presupposto dell'abusività di tale scarico "diretto", atteso che l'Acem non rientrava tra i conferitori autorizzati al reinstallo di capi ai sensi della delibera di Giunta Comunale di Bettona 57/08, e che tale mancata estensione non poteva essere superata da una mera scrittura privata tra l'allevatore e il gestore privato Codep.

Nel medesimo periodo peraltro, egualmente risultò violato l'analogo accordo stipulato tra Codep e Vapor e precedentemente pure citato nel corso della ricostruzione, per via documentale e cronologica, della vicenda in esame. Come emerge da diverse note della Codep, Presidente Siena (da agosto a ottobre 2008, prodotte anche all'udienza del 7.3.2015 dalla difesa), all'epoca si veniva a contestare sia l'assenza dei prelievi, da parte di Vapor, di refluo trattato, siccome effettuati in quantità "scarsa", sia i mancati pagamenti; fino alla comunicazione di interruzione di tale accordo, con nota del 12.8.08 e decorrenza annunziata dal 18.8.08. Diffida che invero non pare portata ad esecuzione, stanti le missive dell'ottobre del 2008 con cui le parti tesero ad accordarsi per una ripresa del prelievo di reflui, da effettuarsi almeno per la data del 9.10.08 in misura di 280 mc. ( all. 55).

Nella stessa epoca inoltre, Codep otteneva un permesso di costruire del 28.11.2008, qualificato come emesso "in sanatoria" rispetto a precedente atto del maggio 2008, per una vasca " dell'impianto SBR per il trattamento delle acque trattate dall'impianto di biodigestione di impianti reflui zootecnici con variante in corso d'opera". Verosimilmente si trattava della nuova vasca "provvisoria" citata nella ordinanza 46/07. Con lavori da iniziare, ad opera della ditta incaricata, distinta da Codep (impresa Vitali Ottavio), entro un anno, e da finire entro 4 e per i quali si prevedeva, nella relazione tecnica di accompagnamento,  un riutilizzo del terreno derivante dagli scavi. Per quanto qui di interesse, in relazione alle contestazioni avanzate nei confronti dei tre imputati dell'Arpa, D'Amico Menganna e Bagnetti, emerge dalla documentazione difensiva ( all. 118 avv. Bacchi o all. 37 difesa Menganna) una nota dell'Arpa del 28.11.2008 a firma del dirigente G. Marchetti, con cui anche alla luce delle più recente normativa (Dlgs 4/2008) si escludeva ogni competenza dell'Arpa in funzione della qualificazione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto e comunque si segnalava al comune, Area Urbanistica, l'incompletezza della pratica, per le sue determinazioni nell'ambito del settore normativo immediatamente prima citato. Va aggiunto in proposito che l'unica documentazione rinvenibile per tale vicenda, richiamata sia in capo b) di imputazione sub specie di gestione di terre e rocce da scavo, sia dal teste esaminato, Capitano Schienalunga, è quella prodotta dalla difesa e si è tradotta nel citato permesso di costruire del 2008, con altri pochi atti connessi oltre ad una precedente domanda di permesso di costruire, per analoga struttura, del 2007, all'epoca rigettata come riferito anche dal teste Papalia.

12.  L'emergenza connessa alla "malattia vescicolare".

Si era però in quel periodo a ridosso anche di un'altra emergenza: quella conseguente all'insorgere di focolai di malattia vescicolare, che indussero il comune di Bettona ad adottare le ordinanze nn. 80 e e 81 del 20.10.08 e con cui venne bloccata ogni movimentazione di bestiame e del relativo liquame per almeno 60 gg.

A fronte di ciò, l'Acem, subito il sequestro (prima citato) della condotta con cui coinvogliava i liquami direttamente in Codep e, impossibilitata a movimentare in altro modo i liquami così come gli stessi animali, il 25.10.2008 inviava ai Sindaci di Bettona e Bastia Umbra e all'ASL di Bastia Umbra una richiesta di autorizzazione all'invio, mediante la condotta sequestrata, dei liquami prodotti, direttamente in Codep, con successivo riversamento, seppur temporaneamente, sui terreni nella disponibilità della Codep medesima. Ne otteneva quindi l'accoglimento, fino al termine dell'emergenza sanitaria, con ordinanza del 30.10.08/4.11.2008 n. 168. E a fronte di tale autorizzazione e di conseguente richiesta di dissequestro, il Pm presso la Procura di Perugia disponeva la revoca del sequestro delle condotte.
Analoga ordinanza, n. 166, veniva adottata per la Vapor che pure asseriva, come Acem, di disporre di terreni per l'utilizzazione agronomica. E così avveniva con ordinanza 169 in favore di Mattoni  Ugo e Ivo , con la n. 171 in favore di Az. Agr. Ciotti Mario, con la n. 170 in favore di Az. Agr. F.lli Longetti (con cui si stipulava anche il citato accordo con Codep, di conferimento e di prelievo di equivalente refluo trattato, da poi utilizzare agronomicamente in autonomia dallo stesso Longetti Sergio, come da atti prodotti il 4.7.2013, comprensivi di comunicazione agronomica del 23.10.2008 quale ditta per la fase utilizzatrice - senza indicazione dei reflui da spandere - ma non per la fase di produzione e conferimento).
Si giungeva nel frattempo alla fine del 2008, allorquando il comune di Bettona, sull'asserito (da Codep) presupposto della capacità di quest'ultima di ricevere e gestire il flusso di liquame pervenuto fino al termine della emergenza di cui alla cd. MVS (malattia vescicolare), adottava un'ordinanza, n. 195 del 29.12.2008, con la quale autorizzava la Codep a ricevere i liquami prodotti da  numerosi allevamenti di soci ovvero di meri utenti espressamente ivi elencati, e in parte comunque già contemplati in precedenti autorizzazioni o ordinanze già citate, oltre a ricevere anche acque di vegetazione e sanse umide olearie " di provenienza esclusivamente regionale" a decorrere, per queste ultime, dalla data della delibera stessa, e ai sensi della DGR Umbria 458/08; laddove (come già in precedenza illustrato) quest'ultima delibera disponeva la possibilità di conferire in impianti pubblici di trattamento di liquami zootecnici e successiva utilizzazione di biogas, anche, tra le altre, le acque di vegetazione e sanse umide da reflui oleari esclusivamente del territorio regionale.  

Sempre per ragioni collegate alla malattia vescicolare, Vapor otteneva, previa  nota della ASL locale del 4.3.2009, dal Vice Sindaco di Bettona, con provvedimento del 10.3.2009, il nulla osta a trasferire capi ritenuti in eccedenza rispetto ai limiti di impianto e costituenti fattore di rischio rispetto alla malattia medesima, presso altro allevamento, l'Azienda Agricola di Mattoni Ugo e Ivo, con cui, sempre nel marzo del 2009, stipulava in tal senso apposito accordo (cfr. scrittura privata prodotta alla udienza del 10.11.2014).  
 
Sta di fatto che, alfine, la situazione complessiva degli allevamenti e di Codep di lì a poco veniva ancora una volta ad aggravarsi. Tanto che il 16.4.09 il comune di Bettona ordinava la cessazione dei conferimenti di Vapor verso la Codep. Si partiva dalla premessa per cui, in ragione della cd. emergenza vescicolare, si era autorizzato, alfine, un aumento dei conferimenti di liquami alla Codep; a fronte di ciò, quest'ultima - diversamente da un precedente piano di previsione sulla gestione dei liquami che aveva indotto il Comune a autorizzare nuovamente per i conferimenti in Codep ben 24 aziende come precisato nella stessa predetta ordinanza n. 26/09 - al dicembre 2008 segnalava, invece, un'ormai ridotta capacità residua di stoccaggio pari a 35.000 mc. di refluo in laguna e di 3000 mc. in altra vasca. Stante allora la recente cessazione dello stato di emergenza da MVS, atteso che anche l'Arpa il 23.1.2009 (in allegato 71 e anche 24 difesa di Bagnetti e Menganna) aveva segnalato una ridotta capacità residuale di stoccaggio (confermata dall'ufficio comunale di Bettona con nota del febbraio del 2009), il Comune aveva ordinato, il 27.1.09, un divieto assoluto di qualsiasi forma di reinstallo negli allevamenti ubicati nei comuni di Bettona e conferenti in Codep; tuttavia la Vapor aveva incrementato ancora i suoi allevamenti coinvogliando i liquami in Codep, cosicchè alfine si ordinava, come sopra accennato, che la Vapor cessasse i propri conferimenti in Codep.  
L'apice di una situazione sempre più grave si raggiugeva (all. 108 prod. difesa in faldone 6) il 4.8.09, allorquando il Sindaco di Bettona interveniva  radicalmente. Ciò a fronte di una sopraggiunta nota di Arpa Umbria (del 10.7.09 non disponibile per questa Corte ma citata nella ordinanza sindacale) su irregolarità effettuate in sede di attività di utilizzazione agronomica e anche in sede di comunicazioni agronomica, cui conseguiva una situazione di fatto ritenuta incontrollabile in ordine ai volumi riversati sui terreni e in contrasto totale con il codice di buona pratica agronomica (tanto da indurre l'Arpa medesima a segnalare la conseguente necessaria applicazione della disciplina sui rifiuti, non ritenendosi più operativa la deroga). Infatti, con l'ordinanza dell'agosto del 2009 il Sindaco di Bettona si determinava nel senso di ordinare il totale divieto di svolgimento della attività di utilizzazione agronomica su tutto il territorio comunale e nei confronti dei soggetti segnalati da Arpa in apposito allegato, a partire dalla Codep.
Così sancendo la fine, sostanzialmente, della vicenda in esame, peraltro connotata dalla adozione, nell'estate del 2009, di misure cautelari cui si è fatto cenno talvolta nel corso del dibattimento.   

13. Altri dati documentali

Nel corso delle suindicate vicende si svolse tra l'altro una consistente attività di trasporto di liquami e materiale palabile proveniente dalla Codep e diretta verso terreni esterni.
Essa, oltre che dagli atti sinora talvolta citati e peraltro di seguito ulteriormente richiamati anche nel corso dell'illustrazione di deposizioni, risulta già documentabile nei seguenti termini.
Dagli allegati alla relazione del ct Iacucci tra l'altro emergono oltre che fir di conferimento di acque di vegetazione, anche fir di conferimento di liquami alla Codep, fino ad epoca corrispondente all'autorizzazione alla ricezione di cui Codep dispose sino all'ottobre del 2007, come già rilevato.
Dalla produzione difensiva (c.d. Bacchi) risultano 75 DDT relativi al trasporto ad opera di Codep di "fanghi provenienti dall'impianto di depurazione" della Codep verso "terreni agricoli" della azienda di tale Natalini Luca in Bettona fl. 15 e 9 per varie particelle. Sono relativi a trasporti compiuti tra il 2.10.08 e il 17.10.08 e su "trattore" con volume pari a 4 mc. Documenti peraltro in alcuni casi privi persino di data, numero e orario di partenza. Si richiama in essi comunicazione agronomica del 13.7.2007.
Circa 60  DDT dal 7.7.2008 al 29.7.2008,  relativi a trasporti effettuati da "F.lli Longetti di "refluo zootecnico proveniente da impianto di depurazione" della Codep , con automezzo avente volume di 14 mc.,  e diretto a "terreni agricoli" di "A.A. Giacomo Iraci Borgia" in Bevagna, fl. 14 per numerose particelle.
Circa 230 DDT relativi al trasporto ad opera di "Az. Agr. Mattoni Giovanni" di refluo zootecnico proveniente da impianto di depurazione" della Codep diretto a "terreni agricoli" di  "A.A. Giacomo Iraci Borgia" in Bevagna, fl. 14 per numerose particelle e su automezzi aventi volume variabile tra 14 e 28 mc, per un periodo compreso tra il 4.7.2008 e il 15.9.2008.
In tutti i DDT citati si richiama una Comunicazione agronomica del 29.4.2008 al Comune di Bevagna
Risulta poi che in data 28.8.2008 la Codep comunicava al comune di Bastia l'avvio di attività di spandimento su terreni della azienda Rafe Zoo di cui alla comunicazione agronomica.
Da produzione del Pm dell'1.7.2015 risultano 15 DDT relativi a Ranelletta Enzo: descrivono autotrasporti effettuati dal 26.3.2008 al 2.7.2008, ciascuno per metri cubi 25 di fanghi provenienti da Codep e causale, non meglio specificata, di : "sperimentazione". Con apparente destinazione presso la ditta del Raneletta, qualificato cessionario, sita in Abruzzo e tuttavia indicata come mera ditta di Autotrasporti e non dedita certo alla lavorazione di fanghi. Sono documenti privi di altra indicazione.
Emerge poi un DDT n. 34 del 2.7.2008 in cui, oltre ai dati di cui sopra, una copia riporta la causale "per concimazione terreno". Un'altra eguale copia invece, specifica in aggiunta la targa del mezzo, la comunicazione agronomica presentata al comune di Bettona del 13.7.2007, la causale “per concimazione terreno”, mentre il Ranelletta è indicato cessionario, legale rappresentante, con sede in Aquila, della sua azienda di trasporti.
E' certamente un documento di riscontro al racconto che hanno reso alcuni testi, che saranno appresso indicati, sugli accertamenti svolti nei confronti del predeto Ranelletta e sulla abnormità dei trasporti ivi indicati.
Risultano ancora dei DDT riguardanti Berretta Gianni, corrispondenti a quelli di cui all’allegato 3 della relazione del Ct del PM Refrigeri, indicanti quale destinazione Assisi o Cannara, e la proveninza dei liquami da Codep.
Si tratta di 25 documenti relativi a trasporti tra l'8.5.2008 e il 12.5.2008 di circa 8 mc. ciascuno. Sono inerenti a liquami della Vapor definiti come "provenienti da impianto di depurazione" sebbene lo "speditore" sia comunque identificato nella Vapor (che non aveva però un impianto di depurazione), diretti verso terreni siti in Cannara della Vapor medesima, senza specificazione di una data comunicazione agronomica.  
Seguono dal 15.5.2008 e fino al 17.6.2008 analoghi DDT con destinazione in terreni agricoli di Assisi fl. 152 part. 76 - 80, richiamanti una comunicazione agronomica di Vapor del 21.1.2008 al Comune di Assisi, in numero di 120 circa.
Risultano poi altri 35 DDT dal 9.10.2008 al 14.10.2008 analoghi a quelli di cui sopra e differenti solo per l'indicazione dello speditore, identificato nella Codep, ma pur sempre con destinazione verso terreni agricoli della Vapor, siti in Assisi.
Ulteriori 26 DDT dal 5.3.2009 al 16.3.2009, risultano analoghi a quelli precedenti e quindi ancora una volta recano l'indicazione dello speditore identificato nella Codep, ma muta la destinazione: non terreni agricoli della Vapor siti in Assisi bensì ubicati in Cannara, fl. 5 part. 83 - 91 In questo caso poi si cita una comunicazione agronomica di Vapor sempre del 21.1.2008, ma indirizzata al comune di Cannara.
Partono dal 5.3.2009 giungendo sino al 13.3.2009 ben 19 DDT relativi a trasporti di liquami zootecnici dalla sede della Vapor all'impianto della Codep con espressa causale corrispondente a "invio ad impianto di trasformazione (depuratore biodigestore ecc) ..". Peraltro lo stesso giorno della consegna del 5.3.2009 a Codep, il Berretta prelevava dalla stessa liquami per 8,5 mc. che trasportava sui terreni di Cannara di Vapor, sempre con riferimento alla comunicazione agronomica del 21.1.2008 già citata.
Il Beretta, trasportatore con sede in via Perugia 12 Bettona, trasportò anche fanghi della Codep, oltre che della Vapor come sopra illustrato: come documentato da 15 DDT, a partire dal 25.7.2008, indicanti nella Codep la provenienza e la destinazione in terreni di "Berretta G" ( identificabile nel diverso Berretta Giuliano) siti in Bettona e richiamanti la comunicazione agronomica della Codep del 13.7.2007.
Risultano poi foto di numerosi sopralluoghi di pg appresso descritti.
Di gran parte, se non della totalità di tali documenti, si rinviene riscontro nella consulenza e negli allegati forniti dal ct Refrigeri all'esito del suo esame.  
Quanto alla relazione di sopralluogo di Arpa del 23.3.2009 prodotta dal Pm in data 7.3.2015, si osserva la relativa inutilizzabilità: si descrive un sopralluogo dell'Arpa presso la Vapor di Cannara con individuazione di fatti di rilievo penale, tanto che il documento si conclude con una "proposta" di comunicare alla competente Procura una notizia di reato nei confronti della Vapor di Zanotti Stefano. Si tratta di circostanze che per un legittimo utilizzo, in assenza di consenso delle parti alla acquisizione della relazione, avrebbero dovuto essere oggetto di rituale esame testimoniale.




14. Gli altri risultati dell'istruttoria dibattimentale.

La suesposta ricostruzione dibattimentale, trova conferma negli ulteriori apporti dibattimentali, a partire da quelli di natura dichiarativa.
Va in proposito osservato che non è configurabile nè quale documento nè tantomeno come atto dichiarativo assunto secondo regole ordinarie nel corso del dibattimento, e non è per tali ragioni utilizzabile, la nota del 7.5.2007 (prodotta dalla difesa di Proietti Giampaolo il 4.7.2013), illustrativa delle prime vicende dell'impianto di Bettona nell'anno 2006, redatta dal Responsabile dell'area tecnico urbanistica del comune di Bettona, Geom. Mario Papalia.
Si tratta, all'evidenza, non di una relazione tecnico -amministrativa di natura extra - processuale, quanto di una lunga risposta scritta ad interrogativi precedentemente posti oralmente, nel corso di indagini, dal Comandante dei CC del Noe; cosicchè tali informazioni avrebbero dovuto essere raccolte in apposito verbale di sit, eventualmente poi oggetto di contestazioni durante la deposizione dibattimentale del Papalia, ovvero avrebbero dovuto essere veicolate dall'autore della relazione direttamente in sede dibattimentale, previe domande delle parti interessate.

15. Le prove dichiarative e le consulenze tecniche
A - Il Sindaco Frascarelli.
Omissis

B - Il Capitano dei CC del Noe, Schienalunga.

Tra le prime dichiarazioni raccolte in dibattimento assumono rilievo, anche da un punto di vista cronologico oltre che tecnico, atteso che illustrano anche il sorgere dell'indagine, le affermazioni del Capitano del Noe Schienalunga, sentito in occasione di più udienze, ed  anche ex art. 507 c.p.p. al fine, in tale ultimo caso, di spiegare la provenienza dei documenti utilizzati dal Ct Iacucci per stabilire i quantitativi di effluenti conferiti all'impianto Codep negli anni 2006 e 2007.
Si tratta di una deposizione utile, seppure non sempre puntuale (anche in ragione del tempo trascorso e della mole dei fatti da riferire), cosicchè si soffermerà l'attenzione in particolare sui passaggi più precisi e come tali effettivamente utilizzabili a fini probatori, anche nel quadro di una necessaria valutazione complessiva degli elementi raccolti. Ciò anche perchè taluni episodi descritti dal teste trovano talvolta migliore chiarificazione e integrazione nel racconto di altri testimoni, in particolare di pg.
Si illustreranno le dichiarazioni rese dal Capitano tendenzialmente senza distinguere, e piuttosto operando un'utile e completa sintesi, tra quanto riferito nelle varie date di udienza; solo, talvolta, distinguendo espressamente, sopratutto nei casi di significativi contrasti ovvero di utili chiarimenti e aggiunte, tra quanto riferito dal testimone prima in sede di esame e successivamente in sede di controesame.

Egli ha rammentato il sopraggiungere, nel 2005, di una querela di Pucciarini Mario in relazione all'asserito inquinamento di suoi pozzi ritenuto derivante dallo spandimento (non meglio specificato circa gli autori) di effluenti da allevamento, in corso vicino casa, a confine con Bettona. Si effettuarono quindi non meglio precisati accertamenti, redigendosi nell'ottobre del 2005 una prima informativa alla procura.
A parziale riscontro vanno richiamati alcuni documenti prodotti dalla difesa del Pucciarini il 4.7.2013, tra cui un certificato di analisi di laboratorio, dell'aprile del 2005, relativo ad un campione di acqua di pozzo con attestazione secondo cui, quanto analizzato "non rientra nei limiti batteriologici e chimici previsti dalle leggi vigenti"; un telegramma del 16.10.99 indirizzato al Sindaco e relativo al " solito problema della Codep di passaggio di Bettona.."; una "denunzia di danno temuto e di inottemperanze", del settembre del 1999, indirizzata al Sindaco con riferimenti alla "situazione di insalubrità che si è venuta a creare a seguito della costruzione dell'impianto dell'irrigazione del terreni adiacenti la strada provinciale in località Santa Elisabetta di Bastia...sono in atti scarichi tramite irrigatori di liquido maleodorante...e negli stessi terreni che non sono mai stati arati, infatti secondo gli addetti a tali irrigazioni non possono essere lavorati percvhè dovrannno per lungo tempo scaricare...secondo le informazioni assunte dalle sudddette persone tali pliquidi provengono dall'impainto...della Codep .."; una lettera del 20.9.1999 di analogo contenuto inviata da Legambiente ai sindaci di Bastia e Bettona e una comunicazione, sempre di Legambiente, con cui si informava il Pucciarini di avere dato seguito al suo esposto del settembre del 1999.   
Successivamente, nel febbraio del 2006, intervenne un esposto del sindaco di Bettona, che riguardava questioni gestionali inerenti l'impianto affidato alla società Codep.
Sulla base di un secondo ulteriore esposto, i Carabinieri del Noe si recarono nel predetto impianto anche avvalendosi, come ausiliario di polizia, del dr. Iacucci; svolgendo così i primi accertamenti in loco, verso il giugno del 2006, ed i cui esiti sono stati già in precedenza parzialmente citati in sede di ricostruzione documentale del depuratore. Acquisirono già allora atti e verificarono il funzionamento dell'impianto, operando d'iniziativa con l'ausiliario. All'esito vennero proseguite le indagini, anche avviando intercettazioni.
Il teste precisava, in occasione di una seconda deposizione del 22.9.2014, che gli operanti non poterono  mai accertare  i quantitativi effettivamente riversati di volta in  volta sui terreni, perché presso il cd. anello irriguo di sversamento non vi erano misuratori del refluo riversato.
Secondo il testimone sull'impianto gravitavano circa 40 allevamenti per un bacino di utenza dell'epoca pari a circa 80.000 capi, seppure in taluni atti della Codep (non specificati dal teste, ma verosimilmente corrispondenti alle due comunicazioni agronomiche del 2006 e 2007) ebbe modo di rinvenire il riferimento anche a 140.000 capi. Si trattava di allevamenti ubicati in Bettona, in Bastia Umbra, oltre ad un allevamento sito in Cannara (che può identificarsi secondo questa Corte, alla luce dei documenti esaminati, in quello della Vapor di Zanotti). Parte dei terreni erano inseriti in zona vulnerabile.
Illustrava quindi l'impianto e le relative autorizzazioni, in maniera non dissimile da quanto già riportato nelle precedenti pagine attraverso l'esame dei documenti disponibili, sottolineando come lo stesso non fosse a suo dire un depuratore, perché privo di scarico con relativa autorizzazione.
Osservava quindi, in sintesi, che alla luce dei limiti normativi vigenti all'epoca, in ordine allo sversamento a fini agronomici degli effluenti zootecnici, accertò - con l'ausilio del CT Iacucci e dei documenti acquisiti -  che i terreni a disposizione di Codep non erano sufficienti per un corretto utilizzo agronomico.
Aggiungeva altresì che il conferimento all'impianto di altro materiale, diverso dai reflui da allevamento, faceva sì che non si potesse più parlare di trattamento di un effluente da allevamento "puro", così che si doveva ritenere che si trattasse, a suo dire, di una mera gestione di rifiuti.
Quanto ai quantitativi di reflui conferiti, si trattava di circa 1000 m³ di effluente non trattato al giorno,  e alfine precisava che i quantitativi accertati per gli anni 2006 e 2007 furono desunti da due tabelle annuali, consegnate da personale di Codep su sua richiesta. Al riguardo, depositava anche una mail, con relativo allegato, del consulente di Codep Igor Cruciani, con cui veniva inviata al Capitano Schienalunga, all'epoca delle indagini, la tabella dei quantitativi conferiti nell'anno 2007 all'impianto, pari a circa 380.000 mc.

Quanto alle comunicazioni necessarie per avviare la pratica di utilizzazione agronomica, rammentava di avere approfondito il tema della sussistenza o meno presso il comune di Bettona delle medesime, le quali avrebbero dovuto essere presenti sin dal 2000, anno della prima delibera regionale di riferimento in materia (da individuarsi secondo questa Corte nella DGR 1577/2000 precedentemente già citata). Invece, si rinvenne al riguardo solo una relazione tecnica di Codep (non prodotta), priva di ogni necessario dato, mancando i riferimenti di legge, l'indicazione di quali fossero i terreni da utilizzare, e quali i mezzi.
Questa relazione inoltre, secondo il teste faceva riferimento a meri progetti, tanto che in quell'epoca vi fu anche un aggiornamento tecnologico dell'impianto. I Carabinieri da lui coordinati accertarono effettivamente l'avvenuta implementazione dell'impianto, atteso che controllarono da una parte la corrente consumata e dall'altra quella prodotta mediante l'impianto, presente, di produzione di biogas. E accertarono che da quando avevano cominciato a funzionare le nuove sezioni, il consumo di corrente per il funzionamento era rimasto il medesimo, mentre la produzione di corrente venduta era risultata aumentata. Fecero in proposito anche un diagramma illustrativo di tali dati sulla base di fatture di acquisto e di vendita di corrente, trasfondendo il tutto in apposita informativa del 2006.
A tale rappresentazione orale non si è accompagnata la produzione della precisa documentazione di riferimento.
Solo nell'estate del 2006 la Codep presentò, secondo il racconto dello Schienalunga, la prima effettiva comunicazione agronomica, con valenza di cinque anni, oltre a diverse integrazioni, effettuate in ragione di variazioni continue rispetto ai dati originari contenuti nella prima comunicazione, ma solo incentrate sulla sopravvenienza di altri terreni disponibili.
E sin dalla prima comunicazione, l'agronomo di supporto al Presidente della Codep (Cruciani Igor) evidenziò il problema della carenza di terreni per la fertirrigazione.
Dati tutti documentalmente riscontrati, come già illustrato.
Ricordava altresì che nella prima comunicazione agronomica la Codep indicava, per l'utilizzo agronomico, terreni presenti sopratutto in Bettona - come effettivamente emerge documentalmente - oltre ad altri ubicati in zone di montagna, lontani da Bettona, come taluni siti in Gubbio, o Trevi; aggiungendo che emerse la circostanza per cui, terreni lontani da Codep non furono utilizzati, atteso che non si rinvennero documenti di trasporto in quei luoghi. A conferma di tale asserzione rammentava di avere visionato terreni nella disponibulità di Codep e siti in Trevi, e che gli stessi erano collocati in montagna. Secondo il teste tali terreni non furono utilizzati perché non si trovarono mai i corrispondenti documenti di trasporto di Codep, ne' documenti inerenti a mezzi di tale società nè riguardanti mezzi di soggetti terzi. Si trattava di terreni di proprietà del marito di Polinori Eleonora, sorella di Polinori Rinaldo.

Dalla citata prima comunicazione agronomica, inoltre, risultavano dichiarati 428 ha di terreni disponibili, di cui però a giudizio del teste solo 319 erano da reputarsi idonei perché emergevano limitazioni legali di utilizzo, derivanti dalla presenza di abitazioni, o di fasce di rispetto ed altro; cosicchè la superficie della singola particella doveva alfine essere ridotta. Conseguentemente in "questa (comunicazione agronomica ndr) iniziale del luglio del 2006", risultavano alfine a suo giudizio solo 220 ha effettivi. Va sul punto precisato che nel corso del dibattimento non sono stati introdotti testi o consulenti che abbiano analizzato i terreni indicati in comunicazione da Codep e abbiano individuato, per almeno taluni di essi, limiti di utilizzo. Cosicchè, giova anticiparlo, di fatto occorre attenersi alle valutazioni di idoneità contenute nella comunicazioni agronomiche di Codep, ove si dà conto di terreni disponibili e terreni alfine utilizzabili ovvero idonei.
Aggiungeva altresì il teste, quanto alla parte dei residui "solidi" prodotti in impianto, che per essa (in particolare i fanghi) gli operanti di pg ritennero di rinvenire quantitativi in eccesso "...... rispetto al dichiarato autorizzato". Acquisendo documenti ai fini del decreto del '99 n. 92 in tema di utilizzazione agronomica di fanghi, essi trovarono un'autorizzazione per sole 100 tonnellate  all'anno di fanghi riversabili su terreni. Sulla base allora, di non meglio specificati dati analitici (verosimilmente quelli poi riportati dal dr. Iacucci in consulenza), in uno con i dati progettuali disponibili e l'ausilio del CT del PM, il teste riferiva che era emerso che " sotto un profilo estimativo molto approssimativo" si producevano quantitativi di fanghi maggiori, e in particolare "decine di tonnellate al giorno". Si tratta di affermazione poi meglio illustrata dal Ct Iacucci.

Sempre in tema di terreni, ed in particolare in ordine ai trasporti dei reflui su terreni lontani da Codep e dal suo anello "irriguo", il teste riferiva di non avere trovato, nel corso delle sue indagini, documentazione di tali attività per il periodo corrispondente agli anni precedenti alle investigazioni, così fornendo conferma alla tesi, già esplicitata, di questa Corte, per cui deve ritenersi che nel periodo anteriore alla prima comunicazione agronomica e praticamente fino al 2007, i reflui furono riversati direttamente su corpi recettori prossimi all'impianto in parola ed al suo "anello", senza ricorso a trasporti per successivi sversamenti lontani.
I trasporti, in sostanza, verso terreni esterni e lontani dall'impianto, seppure non presso tutti gli agri indicati nelle comunicazioni agronomiche ufficiali, furono iniziati solo di seguito alla formalizzazione della seconda comunicazione agronomica (del luglio del 2007) e in particolare dal 2008.

Ed in proposito, a titolo di esempio, il teste citava, genericamente, come caso di trasporti accertati come effettuati da Codep, ma per quantitativi diversi da quelli dichiarati, un episodio riguardante tale Mattoni Andrea, del 2008, allorquando fu pesata una autobotte adibita ai predetti fini. Si trattava del 17 giugno 2008, quando i Carabinieri del Noe fermarono, appena uscita dall'impianto di Codep, un'autobotte destinata verso terreni siti in Bevagna, di Mattoni Giovanni, all'epoca Vicepresidente della Codep, che doveva trasportare effluenti prodotti da Codep. Si procedette alla pesa dell'autocarro, riscontrando quantitativi maggiori rispetto a quanto dichiarato, corrispondente a 28 m³  di refluo. Per questa via, a fronte di 31 mila 780 m³ di reflui effettivi, avendo accertato documentalmente che si trattava di uno dei tanti viaggi effettuati da quel medesimo soggetto sempre in ordine a reflui finali della Codep, alfine per ogni trasporto, secondo il teste, dovevano calcolarsi 31 m³ di refluo e non i 28 mc.  dichiarati. Si tratta, evidentemente, di un calcolo discutibile, atteso che non è condivisibile estendere la discrasia accertata in concreto, in occasione di un singolo trasporto, su tutti gli altri trasporti effettuati dal medesimo soggetto e verificati solo documentalmente.
Secondo il teste, inoltre, siccome l'effluente liquido presentava, in base ai dati analitici esaminati dopo l'effettuazione di appositi campionamenti e analisi, un peso specifico con rapporto rispetto al volume quasi pari ad 1, e considerati anche i quantitativi di azoto risultanti per via analitica, emerse alfine che per 1 mc. di effluente trasportato risultava una tonnellata di azoto. Aggiungeva che il documento di trasporto a corredo non presentava, come richiesto per legge, la comunicazione agronomica di riferimento.
In proposito si dispone di un verbale rappresentativo del campionamento e analisi descritte, prodotto dalla difesa all'udienza del 7.3.2015. Di essi tuttavia, manca la prova, tantomeno attraverso le dichiarazioni dello Schienalunga che nulla ha riferito in proposito, che nell'occasione furono rispettate le garanzie dettate in tema di campionamenti e analisi da assicurarsi nel corso di indagini; cosicchè tali atti non possono utilizzarsi e neppure, quindi, i dati e calcoli riferiti dal teste Schienalunga, rimanendo acquisita, invece, solo la prova del fatto storico così illustrato.
Sempre in tema di trasporti, lo Schienalunga ricordava di avere accertato l'invio di sostanze solide in Abruzzo, da parte della Codep, tramite un trasportatore chiamato Ranelletta, il quale stava operando senza disporre di una comunicazione agronomica che facesse riferimento a siti collocati in Abruzzo.
Aggiungeva che con suoi collaboratori rinvenne il camion di Ranelletta il 2.7.2008, mentre era nell'impianto della Codep e il mezzo stava per essere condotto verso il comune di Cerano, con a corredo solo un documento di trasporto privo di adeguate indicazioni; si rinvennero, alfine, 15 documenti di trasporto per il periodo precedente di marzo - giugno 2008, che quindi attestavano come in quel periodo il Ranelletta aveva già effettuato trasporti di fanghi da Codep. Personale di Codep cercò poi di regolarizzare il tutto, aggiungendo materialmente sui documenti il richiamo alla comunicazione agronomica della predetta società,  sebbene comunque, in quei documenti, i terreni riportati nella medesima comunicazione non fossero indicati. Alfine, secondo il teste, i trasporti furono accertati come già effettuati, cosicchè egli riuscì ad intercettare solo il 16°, ultimo trasporto, ancora da farsi.
Ricordava quindi di avere accertato un altro trasporto di fanghi per conto di Codep, a seguito del quale fu denunziato Taglioni Nicola, acquisendo al riguardo documentazione di trasporto.
In particolare ricordava che furono acquisiti 64 documenti di trasporto, dal 14 agosto 2008 al 18.9.08, attestanti fanghi portati su terreni per l'utilizzo agronomico.  Vi erano anche fatture di pagamento intercorse tra la Codep e il Taglioni.
Rammentava, quindi, trasporti di liquami di Codep verso Bevagna presso la ditta Iraci nell' estate del 2008 e poi nel febbraio del 2009, che effettivamente trovano riscontro in documenti di trasporto in atti. La vicenda del 2009 è tuttavia coperta da giudicato per i medesimi fatti ex art. 260 Dlgs 152/06 con assoluzione di taluni degli attuali imputati, e impossibilità per questa Corte di procedere al relativo esame.    

Il Capitano, cambiando argomento, riferiva dell'avvenuto insorgere di un sospetto circa uno smaltimento di reflui, operato da parte di uomini di Codep, nel fiume Chiascio, nell'anno 2008/2009. Sospetto nato da alcuni allarmi segnalati su due centraline di monitoraggio delle acque posizionate a monte e a valle dell'impianto Codep, accompagnati da " … una grossa presenza di schiuma. E questa cosa faceva venire il sospetto che questi grossi quantitativi…"  fossero nati da sversamenti provenienti dalla Codep. A sostegno di tale tesi il teste citava genericamente campionamenti di acque rivelanti la presenza di rame e zinco; elementi a suo giudizio idonei a fare supporre lo sversamento di reflui zootecnici, trattandosi di integratori alimentari presenti nelle deiezioni dei suini.
Un ulteriore dato idoneo, secondo il teste, a completare il predetto specifico quadro d'accusa verso Codep, era costituito dal fatto che nello stesso periodo si registrò un ammanco nella laguna di stoccaggio di 6000 m³ di liquami, senza che di essi risultasse traccia documentale in termini di spandimento agronomico, cosicchè le sue supposizioni accusatorie in termini di sversamento nel fiume, si spiegavano alla fine, alla luce della citata coincidenza temporale tra quest'ultimo ammanco di liquame e la presenza delle schiume e sostanze nel vicino fiume Chiascio.
Secondo il teste questa stretta correlazione di circostanze sarebbe stata evidenziata anche in una relazione della Direzione Centrale dell'Arpa, di cui invero non risulta traccia nè trattasi di dato riferito da testi dell'Arpa sentiti.
Può solo anticiparsi che in considerazione dei documenti in proposito disponibili presso questa Corte e alla luce anche delle dichiarazioni del teste Nucci, dell'Arpa, autore di monitoraggi comprensivi anche di quelli citati dallo Schienalunga, si può anticipare che emerse con certezza solo la presenza, nei campioni analizzati, di rame e zinco, oltre all'azoto. Risultò inoltre ipotizzabile che le acque riversate provenissero da reflui zootecnici ma mai fu accertato che quelle tracce di refluo corrispondessero a sversamenti provenienti da Codep e tantomeno agli ingenti quantitativi ritenuti mancanti in laguna secondo il Capitano. Si rimanda per migliori approfondimenti all'illustrazione della deposizione del citato teste Nucci.

Il teste effettuava anche brevi quanto sintetici accenni al contenuto di intercettazioni - non specificate con precisi dati di riferimento, utili invece per la puntuale individuazione della conversazione richiamata - e quindi sosteneva genericamente che da esse sarebbe emersa la presenza di privati che si offrivano per dare in affitto terreni, perché ormai danneggiati dal già effettuato spandimento massiccio degli effluenti sulle loro aree, siccome non coltivate. Cosicchè, secondo il Capitano tali soggetti cercavano quantomeno di ricavare da quei terreni un beneficio economico. Si può anticipare che, ad avviso della Corte, tali risultati non paiono evincibili dalle poche conversazioni rinvenute al riguardo, da cui sembra essenzialmente trasparire soltanto l'interesse economico dei privati a stipulare i contratti di affitto, ma non anche il carattere deteriorato dei terreni, per le ragioni indicate dal Capitano.  
Sempre in tema di intercettazioni, accennava altresì a fenomeni di tracimazioni di effluenti da vasca di rilancio della Codep, richiamando conversazioni trascritte (tel. 108 del 3.5.2007 tra Bagnetti Antonio e Santiucci Piero, poi la telefonata n 1056 n.570 del 6.8.2007 e la n. 526 del giugno 2007).

Passando al tema dei provvedimenti adottati nel corso della vicenda in esame, il teste premetteva che la durata di un ciclo di allevamento è pari a circa 3/6 mesi cui segue il cd. "fermo sanitario" e quindi il "reinstallo" di nuovi capi. Tanto premesso, osservava come in coincidenza dell'avvio delle indagini condotte sullo smaltimento dei reflui finali di Codep, si riscontrò l'effetto di un aumento dei livelli di liquami presenti nell'impianto, essendo venuta meno, a suo dire, una sorta di preesistente "libertà" di smaltimento da parte della stessa Codep. A fronte quindi di circa 300.000 m³ di liquami affluenti in impianto, oltre a quelli già presenti in laguna, si giunse alfine alla adozione da parte del Comune di Bettona della ordinanza 46/07, come sopra già illustrata. L'ordinanza, contingibile e urgente, aveva una durata di sei mesi e quindi doveva coincidere con la fine di un ciclo di allevamento, per cui a tale scadenza gli allevamenti avrebbero dovuto risultare svuotati;  ma non fu così, tanto che ne intervenne una seconda, eguale alla prima, nel 2008 ( la n. 20 del 2008 ndr).
Secondo il teste si trattò quindi di un "escamotage" per consentire agli allevatori e Codep, comunque, di andare avanti nelle loro attività, e nel frattempo realizzare la seconda laguna. Vero obiettivo di tutta la vicenda, condiviso dunque anche con settori dell'Amministrazione.  
Si tratta invero di una mera valutazione del teste, con tutte le limitazioni di utilizzo, oltre che smentita sul piano delle connivenze con la PA, ove si consideri che l'originaria ipotesi accusatoria, che coinvolgeva anche amministratori pubblici, con poteri nella materia in esame, è stata superata con la separata e precedente assoluzione di questi ultimi.
Nell'aprile del 2008 seguì poi, alla luce del racconto del teste e come emergente anche dalla precedente ricostruzione documentale, una delibera di giunta, n. 57, assunta in deroga alla citata ordinanza contingibile n. 20 del 2008, per l'autorizzazione al reinstallo di 40.000 capi, ed in favore di allevamenti ivi specificamente indicati. Vennero allora svolti accertamenti, nei confronti dei predetti allevamenti autorizzati al reinstallo e nel corso di tali indagini si rinvennero, su altro fronte, soggetti che assicuravano liquami in Codep pur non potendo ufficialmente conferire all'impianto: quali l'Acem di Mencarelli e la Vapor di Zanotti Stefano, i quali, seppure ormai esclusi da Codep nel febbraio del 2008 e pur non rientrando tra i possibili nuovi conferitori di cui alla sopra citata ordinanza n. 57 dell'aprile 2008, avevano separatamente e autonomamente stipulato dei contratti (già illustrati in precedenza), con cui riversavano reflui nella Codep e si impegnavano a recuperarne altrettanti, trattati, da smaltire autonomamente.
Approfondendo i contenuti di tale ultima ordinanza n. 57, il teste ricordava che la delibera condizionava il reinstallo all'abbassamento del livello della laguna, aggiungendo che nell'espletamento di monitoraggi su tale livello della laguna emersero incongruenze in ordine ai controlli operati dagli uomini dell'Arpa, non meglio illustrati.
La laguna cominciò comunque a segnare un calo solo a partire dal mese di agosto e in ogni caso, secondo lo Schienalunga, le condizioni per il reinstallo non furono rispettate.

In tema di concreta attività di utilizzo agronomico, quindi, il teste rammentava un episodio dell'aprile del 2008, allorquando gli operanti, partendo dall'analisi di documenti di trasporto di reflui per utilizzazione agronomica, appurarono l'avvenuta effettuazione della stessa tranne che per uno specifico terreno pure incluso in quelli ufficialmente indicati per l'effettuazione di tale attività; recatisi in loco, i Carabinieri accertarono che non vi era compatibilità tra le caratteristiche dei luoghi ed il transito di un mezzo pesante nè con l'ampiezza delle ali di irrigazione dell'impianto mobile di riversamento (cd. "rotone"), che non potevano passare tra i filari di un vigneto.
Aggiungeva anche il ricordo di un accesso, effettuato assieme al Ct Iacucci, su un terreno non rientrante tra quelli dichiarati disponibili da Codep. Qui peraltro, si riscontrò che non funzionavano i vari ugelli di irrigazione ma solo due grossi tubi finali, che riversavano grandi quantitativi di liquame.
In proposito, può anticiparsi che una conferma di tale vicenda emerge anche dalla lettura di una delle intercettazioni (di seguito illustrate) riguardanti Igor Cruciani, consulente agronomo di Codep all'interno della citata società SQA.
Il teste ricordava altresì che i suoi uomini monitorarono terreni durante le indagini, con foto, anche documentando impaludamenti e situazioni di notevole irregolarità.
Seguiva la citazione di vari sopralluoghi anche accompagnati da foto: un sopralluogo del 13.6.07, riguardante un terreno irrorato direttamente dall'anello irriguo, ma allagato da reflui, come anche attestato da foto del 16.6.07, successive di tre gg rispetto al primo sopralluogo, che ancora descrivevano la sussistenza di impaludamenti nonostante il tempo trascorso.
Altre foto, del 13, 14, 16, 20.2007, attestavano un refluo riversato direttamente dall'anello irriguo, ristagnante, non assorbito perché sparso in eccesso.
Poi citava altri sopralluoghi del 16,  20, 21 giugno, 22 e 18 settembre del 2007.
In alcune occasioni furono accertati spandimenti in situazioni meteorologiche avverse, come ad esempio il 27.3.08 o, in Bettona, il 23 aprile del 2008, foto n. 13, con terreno intriso di acqua e rotoni di diffusione in funzionamento. Laddove in tal caso si accertò addirittura l'affondamento di un "rotone" di sversamento.

Quanto all'imputato Longetti Sergio ricordava che egli era titolare di un allevamento che conferiva liquami a Codep e ne ritirava, dopo il trattamento, altrettanti, sostenendo di procedere per essi ad attività di fertirrigazione in proprio; tuttavia secondo il teste risultava che nel contempo i terreni indicati dal Longetti erano stati dichiarati disponibili dalla stessa Codep nelle sue comunicazioni agronomiche.

Quanto all'imputato Polinori, rammentava una sua comunicazione del 23 aprile del 2009, in epoca di intervenuti nuovi divieti di conferimento in Codep, al comune di Bettona e di come costui avesse rappresentato al predetto Comune l'effettuazione da parte sua di una attività di conferimento di liquami in Codep, con successivo ritiro dopo il trattamento. Con delibera comunale si consentì a queste deroghe.
Il Polinori quindi, avanzò presso il Comune di Cannara una richiesta per l'utilizzo agronomico dei liquami di cui sopra, su aree ubicate nel comune medesimo; tale comune accertò che i terreni dichiarati da Polinori per fertirrigare non erano in realtà idonei per motivi morfologici. Peraltro lo stesso proprietario dei terreni indicati dal Polinori per effettuare fertirrigazione con i reflui prelevati da Codep dopo il trattamento, tale Palermi, li aveva a sua volta citati per la propria attività di fertirrigazione, pur non avendo effettuato la comunicazione "ordinaria" bensì quella "semplificata" perchè procedeva per quantitativi al di sotto dei 3 kg. Polinori dunque, cercò in tali modi di usare effluenti provenienti da Codep per la fertirrigazione in Cannara, su terreni altresì dichiarati dal Palermi, senza peraltro neppure disporre del Pua - piano di utilizzazione agronomica, introdotto nel frattempo con delibera del 2008 della regione Umbria, n. 456, anche per aree non vulnerabili - oltre a non avere realizzato altri adempimenti di cui alla DRG 1492/2006. Per tali motivi dunque, nel ricordo del teste, Polinori alla fine non recuperò il refluo da lui conferito alla Codep, che quindi rimase in impianto.
Aggiungeva che comunque il Polinori nel predetto periodo effettuò conferimenti in Codep ( da ritenersi realizzati a mezzo condotte siccome susistenti tra i suoi alevamenti e la Codep) che durarono fino alle misure cautelari adottate del 2009 nei confronti di taluni imputati. Non spiegava tuttavia attraverso quali accertamenti giunse a tali risultati investigativi.  

Con riguardo ai ruoli effettivamente svolti all'interno della Codep da taluni suoi amministratori,  il teste così riferiva:
Siena Graziano fu eletto nel contesto di una situazione "concitata", ed a sostegno di tale affermazione il Capitano richiamava intercettazioni telefoniche. In particolare una conversazione tra Polidori Rinaldo e Schippa Paolo in cui secondo il Capitano i due cercavano quale nuovo presidente uno che fosse " il soggetto di riferimento esterno per poter continuare a operare senza problemi che potevano derivare dai controlli" (telefonata 571 del 28 maggio 2007).
In base alla telefonata, secondo il teste, Siena Graziano avrebbe dovuto seguire direttive di Schippa e Polidori. Ma di fatto nulla risulta in tal senso.
Emerge piuttosto che il Siena, comunque, gestì in prima persona l'impianto sin dalla sua elezione del 2007, anche sollecitando egli stesso le ordinanze comunali del 2007 e 2008.
Schippa Paolo invece, fu Presidente della Codep dal 2000 al 2005; il teste sottolineava che sotto tale presidenza mai fu adottata alcuna documentazione formale sull'effettuazione della pratica di utilizzazione agronomica ai sensi della DGR 1577.
Il Capitano riferiva altresì che una posizione di primo piano era ricoperta da Polinori, senza precisare il nome, e quindi, da Schippa Paolo, siccome presidente per lungo periodo. Gli stessi si mostrarono anche in contrasto con gli altri soci nel momento in cui si trattò di procedere alle elezioni, che avrebbero poi portato alla nomina di Siena Graziano.
Tanto egli riferiva di avere ricavato dalle intercettazioni, oltre che dai pochi verbali della società, esaminati.
Aggiungeva che a conferma del ruolo così riferito, quanto a Schippa Paolo, risultava che costui dall'inizio delle indagini fu sempre presente quando i suoi uomini si recavano sull'impianto, sebbene poi tale presenza venne meno in ragione di sopravvenuti dissidi tra i soci.
Richiesto di riferire su Giammarioli Nicoletta, rammentava di non averla mai incontrata e che tale figura emergeva solo da qualche intercettazione.

B 1. I  rilievi nei confronti degli imputati  D’Amico, Menganna  e Bagnetti.

Nel contesto della descrizione della complessiva, lunga, spesso frastagliata  deposizione del teste Schienalunga, è utile riportare in un unico quadro illustrativo i rilievi sollevati dal medesimo nei confronti degli imputati D'Amico, Menganna e Bagnetti, tutti in servizio presso Arpa Umbria.  
Si premette che il Capitano nel corso della sua deposizione precisava che l’Arpa competente per i controlli sulla Codep era quella con sede in Bastia Umbra. Responsabile di tale area, corrispondente a un distretto operativo su Todi, Marsciano, Bastia ed Assisi, era la dottoressa D'Amico, che il teste mai ebbe occasione di incontrare presso l’impianto di Codep.
Operavano anche gli imputati Bagnetti e Menganna. La direzione generale dell’Arpa aveva sede a Perugia ed al di sotto di essa era  collocata la Direzione Provinciale e quindi le sezioni territoriali, tra cui quella degli imputati.

Innanzitutto, il teste contestava il contenuto di una nota a firma degli imputati D'Amico e Bagnetti, del 4.11.2008 n. 13278 (che non risulta prodotta dal PM), a suo giudizio sostanzialmente falsa laddove si osservava che nulla di irregolare si rilevava nei confronti della società Vapor, mentre invece poco prima i CC del Noe, nell'ottobre del medesimo anno, avevano sequestrato la condotta di conferimento dei liquami verso la Codep, sul presupposto per cui la Vapor non era autorizzata a conferire gli stessi.  
In particolare spiegava che due ditte, Vapor e Acem, erano state destinatarie di un'ordinanza comunale del febbraio del 2008 che le aveva escluse dai soggetti autorizzati a conferire liquami in Codep. Ricordava che in ragione di ciò, su richiesta di  verifica da parte del Comune di Bastia Umbra, dopo  avere accertato che nonostante il suddetto provvedimento tali ditte continuavano  a conferire in impianto, insieme ad altri Carabinieri procedette nell’ottobre del 2008 al sequestro delle relative  condotte. Di lì a pochi giorni, il Comune, richiamando  l’emergenza correlata alla malattia vescicolare, adottò specifiche ordinanze (dell’ottobre/novembre 2008) con  cui autorizzò  tali  ditte a conferire nuovamente in Codep. L’appunto che il Capitano sollevava contro gli uomini dell’Arpa territoriale era quello per cui, pur potendo gli atti di esclusione essere reperiti, presso gli uffici ove erano depositati, da parte di tutti gli organi  pubblici, Bagnetti Menganna e la D'Amico non sollevarono mai rilievi di tal  fatta.
Ebbene va già anticipato in proposito che trattandosi di vicenda in cui si contesta - in sostanza - ai tre predetti imputati, di avere avuto cognizione del predetto provvedimento di esclusione e tuttavia di non averlo mai rilevato in sede di verifiche nei confronti di Vapor, è utile osservare che non è stato dimostrato che la predetta esclusione sia giunta alla personale conoscenza dei medesimi. Del resto lo stesso Schienalunga ha fondato l'accusa sul meno pregnante rilievo per cui trattandosi di atti reperibili da parte di tutti gli organi pubblici, si dovrebbe ricavare - nella sua personale prospettiva - che ne avessero avuta cognizione gli stessi imputati. Ma al contrario, in assenza della predetta prova, va piuttosto osservato che dalla lettura della nota dell'Arpa sezione territoriale dell'8.5.2008 (in allegato 20 prod. D'Amico) predisposta da Bagnetti D'Amico e Bodo, risulta che tra le aziende per le quali la Codep aveva effettuato il materiale "distacco" non era indicata anche la Vapor, a conferma della ignoranza, ancora a quella data, in capo agli imputati, della citata esclusione di Vapor. E senza che emerga una successiva conoscenza anteriore alla comunicazione del 4.11.2008 come peraltro sarà ancor meglio illustrato in sede di valutazione delle prove riguardanti i predetti imputati.

Seguiva l'illustrazione di un'altra asserita irregolarità nell'operato degli attuali imputati appartenenti all'Arpa.
Il teste ricordava come avesse chiesto all'Arpa di verificare talune segnalazioni che erano pervenute al Noe il 17.1.09 e con cui si evidenziava uno spandimento da parte di Codep su un terreno interessato da precipitazioni piovose nei giorni precedenti.
Con lettera a firma degli imputati D’Amico, Bagnetti e Menganna si accertò effettivamente l'irregolarità dello spandimento e la saturazione della laguna. Tuttavia il teste contestava agli imputati la circostanza per cui si erano limitati a chiedere al Sindaco l'adozione di un provvedimento diretto ad evitare l'aumento del livello della laguna, evitando invece di sollecitare una delle sanzioni amministrative previste in caso di violazioni tecniche in tema di utilizzazione agronomica, ai sensi dell'art. 41 della DGR 1492/2006.

Proseguendo nella illustrazione delle contestazioni sollevate nei confronti degli imputati D'Amico Menganna e Bagnetti, il Capitano Schienalunga citava una nota n. 402 del 13.6.2008 del Dipartimento Provinciale dell'Arpa con cui si disponevano controlli sugli impianti della ditta Iraci. Ricordava che in una occasione si documentò da parte dell’Arpa di Bastia Umbra che i liquami riversati presso i terreni della predetta ditta venivano trasportati con un carro botte in maniera regolare, mentre invece  vi erano due irregolarità:
il Comune di Bevagna non rientrava nell’area di competenza della sezione Arpa di Bastia Umbra perché era sotto l’area di Foligno, ed inoltre questi trasporti avvenivano presso questo impianto "che era un impianto che produceva biogas, che questa azienda agricola che aveva un impianto di biogas e questi affluenti, questi reflui del depuratore dell’impianto Codep venivano portati presso questa azienda e scaricati in bacini di stoccaggio perché poi sarebbero stati utilizzati per l’avvio dell’impianto, fortificazione e quant’altro di questo impianto che avevano a disposizione il biogas e quant’altro. Cosa che non corrispondeva al vero perché i documenti che venivano erogati da Codep come documenti di accompagnamento per quanto riguarda il trasporto di questi affluenti invece indicavano che questo trasporto avveniva per l’utilizzazione agronomica presso i terreni individuati da specificate particelle e questa cosa ovviamente non era corrispondente alla realtà, perché il documento che come avevo detto prima mi (inc.) il produttore dell’effluente di allevamento, chi è il soggetto che eventualmente lo trasporta, deve indicare eventualmente dove viene stoccato, i soggetti stoccatori o meno devono autonomamente fare comunicazione etc., questa cosa non veniva rispettata perché sul documento veniva indicato “produttore Codap, trasportatore x, Mattoni, Codep stesso perché c’erano altri trasporti, destinazione particella x, y, z”. Si verificava invece che il trasporto avveniva da Codep tramite i mezzi con lo stoccaggio nel bacino dell’azienda agricola Iraci posta in Bevagna, la quale a sua volta per fare lo stoccaggio, anche dovessimo considerare effluenti di allevamento e come abbiamo detto all’inizio non lo erano, ma anche se l’avessimo dovuti considerare affluenti di allevamento, avrebbe dovuto fare a sua volta una comunicazione come stoccatore e comunque il documento di trasporto da Codep all’azienda agricola Iraci doveva indicare dal luogo di produzione al luogo di stoccaggio tramite questo mezzo di trasporto, non dal luogo di produzione al luogo di utilizzazione, perché l’utilizzatore finale sarebbe stata l’azienda agricola Iraci di Bevagna. Ecco, in questa occasione l’Arpa facendo questo controllo riferì con questa nota che richiamava il Pubblico Ministero, riferì che era regolarmente conferito all’azienda Iraci, anche in questo caso senza rilevare le violazioni e parliamo di grossi quantitativi anche in questo caso di refluo.....Acquisimmo i documenti di trasporto, acquisimmo... l’azienda agricola Iraci successivamente al nostro controllo produsse un’autonoma, al Comune di Bevagna perché il luogo di stoccaggio era il Comune di Bevagna, ma soltanto dopo ulteriori controlli perché se non ricordo male avvenne nel gennaio – febbraio 2009, produsse un’autonoma comunicazione per lo stoccaggio di questi reflui che provenivano da Codep per ulteriori attività. Quindi non c’era la comunicazione da parte dell’azienda agricola Iraci al Comune per lo stoccaggio e la documentazione che acquisimmo per i trasporti attestava situazioni diverse rispetto a quelle che erano state riferite da Arpa.."

In proposito, può anticiparsi il rilievo per cui il teste non spiegava comunque come avesse accertato questo diverso tipo di conferimento in rapporto al documento redatto dagli imputati. E va aggiunto che in proposito i documenti di riferimento non si rinvengono prodotti agli atti.

Seguiva quindi l'illustrazione di pareri degli imputati in servizio presso l'Arpa, ritenuti anche essi irregolari.
Il teste esordiva ricordando una circostanza in cui la direzione centrale dell'Arpa aveva a suo giudizio sollevato contestazioni nei confronti della sezione territoriale di Bastia Umbra, cui appartenevano gli attuali imputati.
Per meglio specificare i fatti, operava una premessa, richiamando la già citata presenza di schiume nel fiume Chiascio tra il 2008 e il 2009. I Carabinieri in quella occasione chiesero all'Arpa di effettuare verifiche e da ciò seguì, il 2 marzo del 2008, una riunione e quindi una lettera del 9 marzo del 2009 n. 5436 del Direttore provinciale dell'Arpa, con cui costui contestava il fatto che nella predetta riunione gli imputati D'Amico e Bagnetti dell'Arpa territoriale di Todi - Bastia avevano sostenuto che nell'area di competenza tutto era sotto controllo.
Si faceva notare, nella missiva, che i dati di controllo attestavano invece il contrario.
Il teste quindi, addivenendo al tema dei "pareri" aggiungeva, "se non ricordo male", che nella stessa lettera "....veniva disposto che ogni tipo di parere, non era la prima volta tra l’altro,..... Comunque c’erano state varie occasioni la raccomandazione di non fornire pareri di nessun genere per quanto riguarda gli allevamenti, comunque i pareri avrebbero dovuto essere concordati con la direzione centrale e quando invece prima di tutti questi fatti di cui parlava la riunione in cui tutto va bene e tutto il resto, la sezione territoriale dell’Arpa aveva fornito un parere...." .
Citava quindi, tra le varie note con cui era stato formulato un divieto di redigere pareri, quella del 23 giugno del 2008 n. 12932, con cui il dipartimento provinciale aveva scritto direttamente alla responsabile territoriale, dottoressa Susanna D’Amico. Essa, secondo lo Schienalunga, riguardava la situazione dei monitoraggi nell’area di Bettona e la nota si concludeva in questi termini, letteralmente letti dal teste: "data la delicatezza della situazione si dispone che tutti i pareri e i documenti riguardanti l’argomento in oggetto in uscita dalla sezione territoriale di competenza siano preventivamente visionati ed autorizzati dallo scrivente direttore del dipartimento fino a diversa disposizione".
Intervenne quindi un parere del 4 febbraio 2009, formulato dall’Arpa territoriale su richiesta dell'agricola Polinori al comune di Bastia Umbra, a fronte del divieto di movimentazione di capi intervenuto a causa dell'emergenza vescicolare.  In particolare, si  trattava di  capi  che, posti  in una stalla  collegata a Codep  per  il  conferimento  diretto  di liquami, crescendo stavano  andando  verso  una situazione  di  sovraffollamento e di pregiudizio per il benessere animale, cosicchè a fronte dell'ipotesi  prospettata dall’Asl di spostare tali capi in altra stalla vuota, sempre collegata a Codep, in deroga al divieto di movimentazione dei capi, il comune chiese un parere al riguardo all’Arpa territoriale.
In proposito l'Arpa sostenne che lo spostamento da un insediamento ad un altro vuoto della stessa Azienda non comportava aggravio per l'impianto gestito dalla Codep. L'Asl poi utilizzò tale parere anche per situazioni analoghe ( questa Corte ritiene di rinvenire tale ultimo atto, non allegato a corredo immediato della testimonianza, nella produzione difensiva del Menganna n. 33 corrispondente alla nota dell'Asl n. 2 del 25.2.2009). Si trattava di un parere fondato in sostanza sul rilievo per cui, rimanendo immutato il numero dei capi, nulla rilevava che mutasse semplicemente il luogo della loro presenza trattandosi, come riconosciuto dal teste medesimo, di stalle entrambe collegate alla Codep. Il Capitano, da parte sua, obiettava che si trattava di capi che avevano assunto un peso maggiore nel tempo e la cui crescita implicava di per sé un aggravio progressivo per l’impianto di Codep. Cosicchè, chiariva il teste, egli ritenne di  contestare il parere dell’Arpa in quanto non ci si era posto il problema dell’aggravio per l’impianto di Codep, derivante dalla  progressiva  crescita dei capi e anzi lo si lasciava irrisolto laddove si consentiva lo spostamento da una stalla ad un’altra, collegate comunque a Codep. Il teste a conferma di tale sua impostazione critica proseguiva osservando che con la crescita dei capi “…l’aggravio si stava verificando, invece di dare altre soluzioni dettero questo parere di rilevanza, spostamento fra un posto e l’altro…”; inoltre, all'obiezione del difensore per cui quel parere in sostanza non poteva non tenere conto della esistenza in quel periodo di un divieto di movimentazione dei capi - per  la vescicolare - che  imponeva la  permanenza dei capi stessi nel medesimo territorio comunale, il Capitano rispondeva che sussistevano a suo giudizio comunque altre soluzioni rispetto a quella prospettata dalla Asl e sostenuta nel parere in questione, quali l’abbattimento degli animali. Chiosando con l’osservazione  finale per cui “noi non volevamo entrare nel merito …soggetto competente  in materia dava  un  parere che sostanzialmente consentiva questo continuo affaticamento dell’impianto…”.
In effetti pare già qui sufficiente richiamare il parere stesso (rinvenibile nella produzione difensiva del Menganna n. 32) laddove si comprende che la scelta adottata in positivo, e contestata invece in imputazione, trovava fondamento sul razionale rilievo per cui, trattandosi di capi già presenti in un allevamento collegato con la Codep - che quindi già "aggravavano" tale impianto, legittimamente, e quindi anche a fronte della inevitabile crescita dei medesimi -  il mero spostamento in altro allevamento, anche esso collegato alla Codep, non avrebbe inciso negativamente sui flussi di liquami addotti a quest'ultimo impianto.
Va comunque anche ricordato, già in queste pagine, che dopo il citato parere del febbraio 2009, intervenne poi una lettera del direttore generale dell’Arpa dell'otto maggio 2009, indirizzata ai Sindaci di vari comuni e alla Dottoressa D’Amico, responsabile della sezione territoriale, con cui egli dichiarava che “con la presente si richiama il parere espresso dal distretto di Bastia in data 4 febbraio 2009”; avallando in sostanza il contenuto del medesimo, laddove precisava che il parere doveva intendersi riferito a modesti spostamenti di animali tra allevamenti nell’ambito dello stesso Comune ed era finalizzato a situazioni di sovraffollamento che si erano verificati a causa dell'emergenza vescicolare.

In ordine alla parte di contestazione afferente il tema della gestione di terre e rocce da scavo, il teste precisava che i fatti si riferirono alla realizzazione di un impianto, il cosiddetto SBR, che era una parte ulteriore di tutto l’impianto della Codep, il quale doveva essere realizzato per l’abbattimento ulteriore dei quantitativi di sostanze contaminanti nei reflui. Questo impianto da realizzare prevedeva un’attività edilizia, e quindi vi era stato un apposito iter procedurale e materiale, quest'ultimo relativo alla realizzazione effettiva di questa struttura mediante scavi ed opere in cemento armato.
Nell'estate del 2008, si rilevò che si stava procedendo a un’attività di scavo di grosse volumetrie di terre, per realizzare un vascone in cemento armato, per 6 mila metri cubi di capacità, senza però il rispetto dell'art. 186 del Testo Unico Ambientale sulle terre di rocce da scavo, poi sostituito e modificato con altro decreto, che prevedeva che le terre e rocce da scavo che derivassero da attività edilizie e similari avrebbero dovuto essere oggetto, già a monte, in fase progettuale, dell'indicazione della finalità attribuita alle terre; in caso contrario si sarebbe dovuto parlare di rifiuto.
Aggiungeva che prima della modifica dell'art. 186 erano previste valutazioni sulla progettata finalizzazione delle terre da parte delle agenzie ambientali, e solo successivamente tale incombenza fu esclusa.
Ebbene il teste in sintesi osservava come una progettazione nel senso suindicato non era stata effettuata, ma realizzata solo in tempi successivi rispetto a quelli dovuti. Nel contempo riconosceva che era venuta meno in realtà la citata competenza dell'Arpa sulle valutazioni della progettata destinazione delle terre e rocce da scavo. Tuttavia, sul presupposto per cui l'Arpa era comunque un organismo di controllo, ritenne grave che la stessa non ebbe ad effettuare alcuna segnalazione sul tema in questione. Va aggiunto che in tal caso, non si producevano ne' le foto delle opere nè la documentazione di riferimento. Il teste neppure riferiva specifici accertamenti, da cui desumere l'avvenuta conoscenza, e da parte di chi specificamente, all'interno dell'Arpa, della documentazione citata e delle sue asserite carenze.

In tema di emissioni in atmosfera, pure citate in tema di contestazione ex art. 260 Dlgs 152/06, il teste ricordava la circostanza per cui la Codep era munita di un’autorizzazione per l’emissione in atmosfera del 2004, per quanto riguardava la produzione di biogas, che imponeva a carico della predetta società il compito di effettuare autocontrolli su queste emissioni, da inviare anche all’Arpa competente territorialmente ovvero l’Arpa di Bastia Umbra.
Ebbene, osservava il teste, tali autocontrolli non risultavano mai realizzati, e non ci fu mai contestazione, prima dell'accertamento dei Carabinieri operanti, da parte di Arpa di questi mancati autocontrolli. Su domanda, il teste  aggiungeva che gli risultò che non meglio definiti "Uffici centrali dell'Arpa" avevano effettuato delle verifiche, rilevando in realtà l'esistenza di un autocontrollo iniziale, con superamento di limiti, cui non aveva fatto seguito nessun tipo di contestazione. Aggiungeva che tanto fu accertato nel 2009 (nota 6457 del 23.3.2009 citata dal Capitano ma non prodotta) su sopralluogo della direzione centrale dell'Arpa, stimolata dalla stessa polizia giudiziaria.
Il difensore quindi, sottoponeva in allegato f) e g) due determine provinciali in tema di emissioni in atmosfera di cui il teste riferiva di non ricordare il  contenuto, almeno nel dettaglio. Richiesto quindi di  esaminare  tali determine individuando eventuali prescrizioni impositive dell’obbligo per Codep di inviare all’Arpa Territoriale di Bastia Umbra le proprie analisi in autocontrollo, lo Schienalunga ammetteva che in realtà l'’Arpa destinataria di tale onere di comunicazione era individuata in quei provvedimenti in quella di Perugia e non di Bastia Umbra. Si osserva inoltre che da produzione difensiva ( Menganna all. 26) risulta una nota a firma Paolo Schippa per la Codep, di invio di cerificato di analisi in materia di emissioni in atmosfera del 18.12.2013 con protocollo di ingresso dell'Arpa "Distratto valle umbra nord" e destinatario identificato dal mittente nel Dipartimento Provinciale di Perugia. Nulla a che fare dunque con il Distretto Territoriale di Todi e Marsciano degli attuali tre imputati.   
Infine il medesimo teste riferiva di conoscere una nota del marzo 2008 (probabilmente da intendersi 2009) con cui la dr.sssa D’Amico segnalava alla provincia competente la violazione dell'autorizzazione in materia di emissioni da  parte della  Codep, oltre a redigere una correlata comunicazione di notizia di  reato (atti indicati dal  difensore in allegati I e H della relativa produzione  documentale oltre che in prod. Menganna all. 27 circa una cnr a firma Bagnetti Menganna e D'amico in tema, del 24.3.2009).

Altro ricordo riguardava una contestazione elevata da Arpa, con atto avente n. di protocollo 12.726 del 24 giugno 2009 (oltre che con altra lettera riferita
come del “maggio 2009”), contro un allevatore, Longetti Giuseppe, per mancato rispetto di un divieto di reinstallo, laddove secondo il Capitano, lo stesso non doveva rispettare  tale divieto.
In proposito, la deposizione, a fronte delle domande della difesa che obiettava la sussistenza di ordinanze che  avrebbero  giustificato  la  presa di posizione dell’Arpa, e indicate dal difensore come allegati (29 e 44) proseguiva con l’affermazione per cui, secondo il Capitano, il Longetti  era stato sì ammesso – nel gennaio  del 2009 -  a conferire in Codep per la cd. emergenza della  malattia  vescicolare ma, al  momento della  contestazione elevata dall’Arpa, l’operatività di tale ammissione era ormai cessata. Con la conseguenza per cui il Longetti, non risultando più utente di Codep, non  poteva neppure essere destinatario di un divieto di reinstallo, che presupponeva la  sussistenza di un rapporto con la  Codep in relazione al  servizio di trattamento svolto dalla stessa. Nel  contempo, aggiungeva il teste, per altri allevatori autori di irregolarità, seppure non illustrate in maniera analitica dal teste medesimo, Arpa, in persona degli attuali imputati, non aveva sollevato alcun rilievo.
Sul punto, va rilevato che la nota citata dal Capitano non veniva seguita da rituale produzione, cosicchè deve ricostruirsi aliunde la vicenda, per quanto possibile, atteso che lo Schienalunga citava genericamente una "contestazione" di Arpa al Longettti, non meglio illustrata; occorre allora osservare che dalla produzione difensiva emerge una nota (in allegato 31 prod. Menganna) dell'Arpa Territoriale a firma Menganna e D'Amico, adottata a seguito di richiesta di chiarimenti perrvenuta dal Noe il 9.7.2009, con cui, dopo aver citato alcuni provvedimenti in tema di divieto di reinstalllo del Comune di Bettona, si riferiva che nei confronti del Longetti era stata segnalata al Comune di Bettona una violazione del Regolamento d'Igiene e della ordinanza del Comune di Bettona n. 85 del 29.10.2008, che risultavano violati siccome nella pratica di utilizzazione agronomica presentata dal Longetti, per il comune di Assisi, emergeva lo stoccaggio delle deiezioni anche sotto i pavimenti grigliati delle stalle, in contrasto con i due predetti atti. E dunque in contrasto innazitutto con il Regolamento di Igiene, così superandosi, anche per ciò solo, ogni disquisizione interpretativa incentrata invece dallo Schienalunga sulla operatività o meno del divieto di reinstallo a carico del Longetti al momento dell'accertamento dell'Arpa.

Il teste alfine, richiamava talune intercettazioni a suo giudizio rilevanti: in particolare ricordava il periodo in cui insorsero contrasti tra la sezione territoriale dell’Arpa, di appartenenza degli attuali tre imputati, e la corrispondente struttura di vertice. L'amministrazione centrale, in particolare, aveva disposto l’effettuazione di campionamenti nel dicembre del 2007, momento di particolare crisi dopo l’adozione della ordinanza comunale 46/2007 e dopo l’intervenuto sequestro dei carabinieri operato sull'area della erigenda seconda laguna. In questo contesto dunque, la  Direzione  generale dell’Arpa dispose l’effettuazione di campionamenti per  il 12 dicembre 2007. In quel quadro si inserì allora una telefonata tra l’imputato  Bagnetti ed il presidente della Codep, Siena, che veniva avvisato di tali prossimi campionamenti. Il teste quindi richiamava espressamente l’intercettazione del 12 dicembre 2007 numero 1273, in cui Siena Graziano, di seguito a tale avviso, ordinava ad un operaio della Codep di attivare specifiche sezioni dell'impianto al fine di comprovare la piena funzionalità dello stesso. Laddove il CT Iacucci aveva rilevato con i suoi accertamenti che quelle sezioni non erano sempre attive. Il Capitano richiamava quindi una seconda telefonata, numero 1274, intercorsa secondo il teste tra Siena Graziano e l'operaio Santucci Piero.  
Citava altresì un’altra conversazione, numero 57 del 15 maggio 2007, intercorsa tra il  Bagnetti e Polidori Eleonora, della Agricola Polinori, sorella di Polinori Rinaldo, in cui si parlava di una segnalazione giunta all’Arpa e ricevuta da Menganna. Commentando l'episodio, cioè lo sversamento di refluo da una condotta di adduzione a Codep che "poteva essere riferibile alla Polidori", il Bagnetti chiosava dicendo che “fortunatamente c’eravamo noi”, a fronte di uno sversamento integrante reato.
Su domanda dell’avvocato altresì, riferiva di non avere verificato se poi il Menganna redasse una  relazione  all’esito  del  suo  intervento (relazione che il difensore richiamava nella sua produzione ai nn. 39 e 44), sottolineando  comunque  che, trattandosi  di un  episodio di sversamento di refluo, avrebbe dovuta essere redatta una comunicazione di  notizia di  reato.  
Il pm si riservava quindi di produrre i documenti citati dai suoi testi previa adeguata organizzazione. Tuttavia alfine non tutti rinvenibili nella produzione d'accusa.

B. 2. Le acque.  

Con riferimento agli approfondimenti investigativi in tema di inquinamento delle acque, il Capitano Schienalunga rammentava che l'argomento si collegava alla già citata denunzia di Pucciarini Mario, a fronte della quale si effettuarono con l'ausilio del CT campionamenti nella zona di interesse, in ordine all'acqua prelevata da taluni pozzi.
Le analisi secondo il teste rivelarono il mancato rispetto dei limiti di legge in tema di potabilità delle acque, circostanza che a suo giudizio dipendeva dalle attività di spandimento precedentemente descritte. Emerse in tal modo la contaminazione delle falde acquifere e quindi la notizia di reato corrispondente, in termini di avvelenamento delle stesse.
L'area dei pozzi incideva sul comune di Bastia Umbra. Il teste poi rimandava  alla consulenza del dr. Iacucci per l'elenco preciso dei pozzi. Aggiungeva che si trattava di pozzi privati.  

C - Il M.llo del Noe Gugliemo Cordasco.

Le dichiarazioni del Capitano Schienalunga si completano e integrano con quelle degli altri collaboratori e più in generale con dichiarazioni di altri testi di pg che di seguito verranno illustrate.  
Omissis

D - I Testi del Noe
 
Coordinati dal Comandante Schienalunga, i seguenti testi, anch'essi del Noe,  hanno svolto indagini sulla Codep e sulle relative attività di spandimento dei liquami, come di seguito illustrate, oltre che già richiamate dallo Schienalunga, almeno in parte.  
Omissis

M - I testi in servizio presso Comuni.
Mengoni Sandro, della polizia Municipale di Bettona.
Omissis
P - I testi della Polizia Provinciale: Roscini Gerardo e Dominici Antonio.

Omissis

                              
                                  *****************************

Le dichiarazioni rese dai precedenti testi, con particolare riferimento alle vicende connesse all'insorgere della cd. malattia vescicolare oltre che ai provvedimenti amministrativi assunti dal Comune di Bettona con riferimento alla Codep e agli allevamenti connessi, a partire dalla ordinanza 46/2007, con il relativo divieto di "reinstallo" di capi suini e la correlata problematica dei controlli, rendono utile richiamare a questo punto innanzitutto le dichiarazioni di un teste della difesa, la dr.ssa Pagliacci Tiziana, medico veterinario dell'Asl n. 1 all'epoca dei fatti, con competenze sul distretto di Bettona e Cannara, tra cui quella sui controlli degli allevamenti dei predetti comuni.  Quindi appare utile la deposizione di un altro teste della difesa Mario Papalia, in servizio presso l'ufficio tecnico del Comune di Bettona dal 1981.

R - La dr.ssa Pagliacci Tiziana.
Omissis
S - Papalia Mario.
Omissis
T - Il Ct dr. Iacucci.

La complessiva attività di indagine illustrata dai testi di pg sinora richiamati si completa con gli accertamenti svolti innazitutto dal consulente del Pm dr. Iacucci, il quale dapprima supportò i carabinieri del Noe nel corso delle prime verifiche del 2006 e poi, ricevuto l'incarico di consulente tecnico del PM, avviò i suoi accertamenti, concretizzatisi in particolare in sopralluoghi e prelievi - presso l'impianto della Codep e presso terreni adoperati dalla stessa per l'utilizzo dei liquami di allevamento ivi trattati - e quindi nella analisi dei dati ricavabili da tali attività, oltre che da documentazione riguardante la Codep e la sua attività di gestione, allegata alla consulenza tecnica finale, che veniva acquisita all'esito dell'esame dibattimentale del consulente stesso.

Tale esame evidenziava in sostanza quanto già illustrato nella consulenza, cosicchè salvo alcune integrazioni, appare utile e adeguato illustrare il pensiero del Ct alla luce inannzitutto dei contenuti della sua relazione.
Con quest'ultima, il dr. Iacucci era stato incaricato di approfondire il tema della regolare gestione o meno dei reflui trattati presso l'impianto affidato alla Codep e della regolarità, altresì, degli atti amministrativi che " ...hanno regolamentato la gestione di dettto impianto".
Rimandando alle pagine precedenti quanto alla illustrazione del contenuto di tale consulenza, nella parte in cui viene ricostruita la struttura dell'impianto della Codep e del suo regime autorizzatorio, è qui utile ricordare che il CT, nella relazione, ha dapprima rammentato i primi accessi all'impianto effettuati assieme agli uomini del Noe nell'anno 2006. Nell'illustrarne sinteticamente l'esito, va detto che egli ha in particolare evidenziato come, nonostante le realizzate implementazioni impiantistiche dirette a favorire la chiarificazione dell'effluente finale e ad eliminare la presenza dei solidi sospesi, sin da tali accessi era risultato che dal sedimentatore non fuoriusciva "un effluente chiarificato bensì un effluente contenente elevata concentrazione di sostanze solide come rilevabile dalla qualità dei reflui scaricati nella lagina" ed ha allegato a tal fine una foto (a pag. 4), da cui effettivamente si evince la presenza di acque nient'affatto chiarificate, come invece sarebbe stato giusto aspettarsi alla luce della struttura impiantistica già in precedenza descritta - comprensiva delle integrazioni pure in passato realizzate -, bensì dalla chiara natura melmosa.
Ha riferito che da una prima analisi dei dati dei liquami in ingresso svolta sempre in occasione di tali primi accessi del 2006, corrispondenti agli effluenti pervenuti in Codep tra il 2 e il 12 giugno 2006, era emersa una media di reflui conferiti, ogni giorno, pari a 976 mc, ed ha evidenziato come nella relazione del 1986 del progettista dell'impianto della Codep si era tenuto conto, invece, di una portata in ingresso di liquami pari a 400 mc/die, per la quale si erano ritenuti adeguati e necessari per una corretta ferirrigazione ben 1100 ha di terreni.
Si tratta di notazione di rilievo, che evidenzia come già per una portata di reflui in ingresso pari alla metà di quella accertata e per una quantità di azoto inferiore a quella dichiarata nelle due comunicazioni agronomiche di Codep ( pari a 1,080 mg/l invece di 0,874 kg/mc di cui alla relazione progettuale) si ritenne che solo con 1100 ha di terreni (ben inferiori a quelli nella disponibilità di Codep, il cui massimo, solo verso la fine della gestione, è stato di 600 ha) si potessero utilizzare agronomicamente e realmente tuti i reflui trattati (pari nella relazione a soli 245.000 mc. invece degli accertati 380.000 - 350.000 per il 2006 - 2007). Situazione emblematica per comprendere l'insussistenza di effettiva utilizzazione agronomica da parte di Codep negli anni in esame.
Il dr. Iacucci ha anche riferito, sempre nelle prime pagine della sua relazione, che sulla base di analisi esaminate, della ASL e della Codep, era emerso che i liquami scaricati dall'impianto presentavano, tra gli altri, valori di azoto sino a 1200 mg/l assieme a metalli pesanti definiti come aventi concentrazioni poste "..oltre.." quelle "...ammesse per lo scarico in corpo idrico superficiale o sul suolo..". Ha sottolineato quindi l'assenza di sistemi di controllo per la verifica dei quantitativi dei reflui "..effettivamente scaricati dalla Codep su suoli agricoli disponibili e della composizione dei reflui stessi per quanto concerne l'azoto ed i minerali tossici e bioaccumulabili..".
Quanto al funzionamento, va ribadito, il ct ha anche egli rilevato - come già da questa Corte illustrato in precedenza, sulla base dei dati documentali disponibili - che la gran parte dei reflui pervenivano dagli allevamenti all'impianto mediante condotte direttamente connesse allo stesso, senza soluzione di continuità, e allo stesso modo il refluo, una volta trattato, veniva coinvogliato, sempre mediante vasche, pompe e condotte, formanti alfine un "anello", direttamente su terreni ivi disponibili.
Anche la ricostruzione delle autorizzazioni rilasciate per la Codep coincide con quanto già illustrato in precedenza attrraverso l'esame dei dati documentali.
Rimane invece solo un accenno - contenuto sempre nella descrizione inerente gli accessi del 2006 - quello inerente a talune analisi svolte dall'ARPA di Perugia su alcuni pozzi "presenti nelle aree dove sono scaricati i reflui dell'impianto di depurazione", da cui era emersa la presenza di "...nitrati e valori estremamente elevati ed oltre i limiti prevsiti per la qualità delle acque sotterranee con associato aumento della conducibilità....condizione questa che denota infiltrazioni delle sostanze azotate sparse massivamente sui terreni in uso a Codep..".
Il ct dopo questa descrizione preliminare e anche riferita ai primi accessi del 2006, ha poi illustrato gli accertamenti svolti a partire dal primo giugno 2007: ha confermato la struttura dell'impianto e delle condizioni della laguna già rilevate nel 2006; ha evidenziato un uso anomalo di taluni macchinari e fasi di lavorazione: la vasca di cemento istituzionalmente destinata allo stoccaggio dei reflui in uscita dal sedimentatore era risultata usata per la raccolta delle acque di vegetazione in funzione della "laminazione" così come, di converso, la vasca fino a poco prima usata per lo stoccaggio delle acque di vegetazione era stata invece destinata allo stoccaggio dei liquami in uscita dalla vasca di ossidazione, previo passaggio nel sedimentatore e quindi rilancio diretto verso le condotte di irrigazione; la sezione di sedimentazione era risultata "by passata" e permaneva l'assenza del flottatore e di un sistema di filtrazione, progettati per eliminare le sostanze solide presenti nei reflui.
Era anche emerso che i reflui trattati venivano aspirati anzichè dalla laguna, ove era possibile un ulteriore perido di sedimentazione dei solidi, da una vasca anteriore alla stessa, quella di ossidazione, a mezzo di autopompa che li immetteva direttamente nell'anello consortile di irrigazione " ..e da questo sui terreni agricoli..".
Il ct ha quindi descritto l'attività di prelievo di campioni in numero di 4 presso varie sezioni dell'impianto, compresa la cd. laguna, oltre ad altro campione dei fanghi, ed ha aggiunto che si era esclusa, dopo appositi accertamenti, la possibilità di perdite di reflui dalla parte sottostante alla laguna.  
Va a questo punto premesso che dalla consulenza emerge la precisazione dell'avvenuta comunicazione a personale della Codep della data di analisi dei campioni - come anche emerge dai verbali di  prelievo prodotti dal Pm alla udienza del 4.7.2013 -. Vanno altresì ribaditi i limiti di utilizzabilità soggettiva delle analisi dei predetti campioni come precisati con ordinanza adottata in udienza, che si richiama.
Ebbene, nella sua relazione il dr. Iacucci ha illustrato gli esiti delle citate analisi: rimandandosi alle valutazioni finali elaborate dal Ct a seguito della considerazione complessiva di tali analisi, è qui sufficiente rilevare che si tratta di campionamenti fatti sui liquami e sostanza solida delle varie fasi di lavorazione, essendo stati prelevati tra l'altro nella zona di ingresso all'impianto, nella sezione di digestione anaerobica e di sedimentazione, all'uscita dalla vasca di ossidazione, presso la laguna.
Il dr. Iacucci ha ricordato il rinvenimento, nel corso dei suoi accessi del giugno-luglio 2007, dei cd. "rotoni" per l'effettuazione delle attività di spandimento di reflui su particelle 9, 10. e 95 in fl. 10 di via delle monache in Bettona e su particella 80 fl. 5 in via Ponte Ferro. Ha sottolineato la presenza di impaludamenti con relative foto, la circostanza per cui lo stesso terreno risultava percorso più volte per l'attività di spandimento e che lo stato del suolo era tale per cui emergeva che anche nei giorni precedenti si erano avute analoghe attività di fertirrigazione. Ha quindi effettuato misurazioni riguardanti la portata di refluo scaricata dalle barre irroratrici poste su due terreni, nel quadro di paramentri indicati in consulenza, tra cui la loro velocità di avanzamento, il numero di ugelli e la loro velocità di scarico misurata in l/s.  
Furono altresì prelevati e poi analizzati campioni di terreno delle particelle 9,  10, 95 del fl. 10 e della particella 80 del fl. 5, già citate, siccome individuate come usate per la fertirrigazione. Con esiti analitici illustrati e valutati in consulenza.
E' seguita l'illustrazione di prelievi, operati dall'Arpa con successive analisi, di campioni di acqua di falda di pozzi considerati dal ct. "..insistenti nelle zone dove la Codep ha smaltito su terreni agricoli i reflui e fanghi prodotti dal trattamento...". Si tratta di prelievi presso il pozzo di Pucciarini Mario, Chimienti Giovanni, Monini Bruno, Ciotti Crispoldo, Vescovo Giannino, Vescovo Alberto, Giacchè Marcello.
E' seguita quindi l'indicazione dei quantitativi di rifiuti trattati da Codep: secondo il Ct. alla luce dei documenti esaminati (tra questi anche i mud e fir allegati), l'impianto avrebbe ricevuto liquami zootecnici oltre che tramite "fognatura", ossia condotte direttamente connesse tra gli allevamenti e la Codep,  anche attraverso autobotti e "...sempre tramite autobotti riceve rifiuti costituiti da acque di vegetazione...".
E' intervenuta altresì l'illustrazione, in tabelle, dei conferimenti di reflui a mezzo autobotti risultanti dalle dichiarazioni annuali della Codep, già richiamata in sede di analisi dei documenti acquisiti, cui si rinvia. Come pure alle medesime pagine si rinvia in ordine ai fanghi ufficialmente prodotti e smaltiti da Codep per i medesimi anni.  
Quanto alle conclusioni finali tratte alla luce dell'attività svolta e dei dati così raccolti, il ct ha innanzitutto evidenziato come secondo lo stesso, e come già pure riportato in precedenza (ma trattasi di dati importanti, da cui necessariamente partire per l'analisi dei fatti in esame, che è quindi utile qui ribadire), alla luce degli indici disponibili il progettista del 1995 calcolò per l'impianto gestito da Codep una produzione annua di refluo finale pari a 245.000 mc. e, in considerazione delle analisi all'epoca utilizzate, un valore di azoto presente nel refluo alfine "depurato" pari a 0,874 kg/mc ovvero 874 mg/l. Quanto alla parte solida separata dal trattamento, il carico globale di azoto prodotto e utilizzabile dalle colture agricole poteva essere pari solo a 20.000 kg annui, includendosi in tale ammontare solo il 20 % dell'azoto organico prodotto ogni anno.
Secondo quindi il progettista del 1995, la quantità di azoto spandibile ogni anno a fini agronomici, alla luce dei predetti dati di partenza, sarebbe stata pari a 214.130 kg/die di azoto presente nei reflui, 20.000 kg/die di azoto presente nella parte solida (i fanghi), per un totale annuo di 234.130 kg/die. Lo stesso progettista aggiungeva che le caratteristiche dei terreni interessati erano tali per cui la presenza di rame e zinco non avrebbe modificato la concentrazione di tali sostanze nel terreno, per cui il fattore essenziale e limitante lo spandimento era l'azoto, il cui spargimento, osservava sempre il progettista del '95, non poteva determinarsi secondo un generico dosaggio massimo per ettaro /anno sulla superficie disponibile. Piuttosto, il corretto calcolo  dei dosaggi andava attentamente e puntualmente effettuato tenendo conto di vari fattori, a partire dalla tipologia delle colture praticate.
Tanto considerato, il ct Iacucci ha preso in esame la relazione idrogeologica assicurata dalla società SQA, con cui Codep stipulò un contratto di consulenza per l'avvio della pratica agronomica, che fu redatta per individuare i terreni destinabili a fertirrigazione a poi inseriti nella prima comunicazione agronomica di Codep del 2006.
Ha così evidenziato come, oggetto della stessa, fossero stati terreni rientranti nella disponibilità di Codep e situati non solo in Bettona, ma anche in Bastia Umbra, Torgiano (per questi due comuni trattavasi di aree di proprietà di Polinori S. e Grandolini G), Gualdo Cattaneo (terreni di proprietà della società agricola Ricciarelli) e, quanto a quelli di Trevi, ha rilevato che risultavano di proprietà della azienda agricola Fratelli Bartolini. La predetta relazione idrologica si concludeva con una selezione dei terreni indicati da Codep come nella propria disponibilità, operata alla luce dei parametri e regole di effettuazione dell'utilizzo agronomico di liquami zootecnici, e ridotti alfine a un totale di superfici idonee pari a 255 ha.
A fronte di tale premessa, il consulente Iacucci, richiamato altresì il contenuto della comunicazione agronomica integrativa del 21.9.2007, ha formulato le sue conclusioni, sostanzialmente ribadite in sede di esame e controesame, innanzitutto in relazione al quesito riguardante il "funzionamento e la gestione dell'impianto" :  
in occasione della sua indagine la sezione di sedimentazione era risultata "by- passata" in uno con l'assenza delle sezioni progettate di filtrazione e flottazione;
l'impianto produceva un quantitativo medio di reflui trattati pari a 297.500 mc. circa (calcolato sulla base dei 245.000 mc. di progetto del 1995 e dei 350.000 mc. indicati nela relazione agronomica di Codep, del 21.9.2007, come specificato alla nota 9 di pag. 80 della relazione);
non tutte le sezioni di trattamento erano correttamente gestite, con particolare riferimento a quella di sedimentazione, risultata appunto "by- passata", "...con la conseguenza che il refluo in uscita dalla sezione di ossidazione non viene separato dala componente fangosa prodota a seguito del trattamento aerobico cui sono sottoposti i liquami..";
i liquami - composti, alla luce della citata parziale lavorazione, da una "componente liquida parzialmente trattata e frazione fangosa in essa sospesa.." -  venivano aspirati con autopompa e immessi nell'anello consortile di irrigazione con successivo scarico sui terreni, non dalla laguna bensì direttamente dalla vasca di ossidazione, e il liquame invece scaricato in laguna veniva comunque inviato direttamente sui terreni attraverso altra condotta irrigua;
dalle analisi dei liquami operate il 1° giugno, il 22 giugno e il 20 luglio del 2007, era poi risultato che le concentrazioni di sostanze inquinanti corrispondevano a valori superiori a quelli ammessi dalla tabella 3 allegato 5 della terza parte del Dlgs 152/99 cosìcchè, oltre al COD pari a circa 3000 mg/l a fronte di un limite massimo ammesso per lo scarico in corpi idrici pari a 160 mg/l, la media dei valori analitici di azoto totale riscontrati era risultata - a fronte dei tre campionamenti realizzati -  pari a 1496 mg/l (cfr. tab. A pag. 82) di azoto totale; il rame, sempre in termini di media, era risultato pari a 0,7 mg/l, lo zinco pari a 4,4 mg/l ed era anche emerso un elevato contenuto di sostanze solide pari allo 0, 24 %, composte da fanghi non separati "...in conseguenza della mancata sedimentazione....".  
Ha altresì sottolineato che dai dati analitici acquisiti (liquami finali pari a una media annua di 297.500 mc/die, 1,496 kg di azoto al mc, azoto nei fanghi pari a 64 kg Azoto/t sostanza secca ) e alla luce dei limiti di legge in tema di quantità massime di azoto riversabile in aree vulnerabili e non vulnerabili, sarebbero occorsi alla Codep 1854 ettari di terreno, anche solo a considerare i maggiori limiti previsti per le aree vulnerabili, concludendo quindi per la insufficienza degli ettari all'epoca disponibili per Codep al fine di utilizzare per la pratica agronomica tutti i liquami finali trattati. E tanto, secondo il ct., da irrigare più volte i medesimi pochi terreni disponibili "..sino a impaludarli...".
Peraltro, si noti, trattasi di una conclusione in certo qual modo "benevola" atteso che nel calcolare il rapporto azoto - terreni, il ct ha ritenuto che la Codep disponesse sin dal 2006 di ben 700 ha., laddove, a ben leggere le comunicazioni agronomiche, risultano ancor meno i quantitativi di ettari riconosciuti idone dalla medesima Codep, sopratutto nelle prime comunicazioni agronomiche, arrivando solo con le ultime, della metà del 2008, a poco più di 600 ha. dichiarati.
A fronte di tutto ciò il ct., anche nel corso dell'esame dibattimentale, ha insistito nel rilevare che l'impianto della Codep non fosse altro che un depuratore produttivo di scarichi di reflui industriali effettuati senza autorizzazione, estraneo a qualisivoglia ricostruzione in termini di struttura per l'utilizzo agronomico di liquami zotecnici.       
Quanto ai fanghi sversati su terreni, ha premesso che i dati ufficiali erano relativi ai soli anni 2004, 2005 e 2006, sostenendo tuttavia che tali quantità non potevano considerarsi veritiere, essendo in contrasto con quelle che si sarebbero in realtà dovute produrre ogni anno in impianto. Tanto ha sostenuto esaminando le progettazioni a disposizione. In particolare dal progetto sulle specifiche tecniche delle apparecchiature elettromeccaniche risultava che a fronte di un trattamento di circa 1000 mc giornalieri di liquami si producevano circa 412 mc. di fango anaerobico al 6 % di sostanza secca, per un valore totale annuo pari a 9.023 t/anno. Dalla relazione tecnica del 1995, più volte citata, emergeva poi che il progettista aveva calcolato una produzione di fanghi in sostanza secca pari a 5220 t/anno. Ha quindi concluso che alla luce delle analisi svolte sulla frazione solida in ingresso nel digestore, e dei predetti dati di riferimento, il quantitativo realmente prodotto in impianto dovesse essere addirittura pari a valori compresi tra 15.000 e 25.000 t/die. Superiore dunque a quelli dichiarati da Codep per il 2004 - 2006, aggiungendo come fosse sconosciuto il destino e le modalità di smaltimento dei rimanenti quantitativi di fanghi. Ha in proposito anche sottolineato la circostanza per cui lo specifico quantitativo di fanghi rinvenuto come riversato sul terreno della ditta Ricciarelli, in occasione delle attività del 22.6.2007, non era risultato autorizzato.

Quanto al quesito relativo alla "...conformità degli scarichi ...alla normativa in materia di scarichi sul suolo di reflui da attività zootecniche ed industriali..." ha premesso il divieto di scarico sul suolo di reflui urbani e industriali superiori "..anche se depurati ai limiti previsti dalla tabella 3 allegato 5 alla terza parte del Dlgs 152/06 ex tabella 3 allegato 5 Dlgs 152/99" . Ha aggiunto che ove autorizzati (ex art. 103 comma 1), tali scarichi devono rispettare i limiti di cui alla tabella 4 allegato 5 alla terza parte del Dlgs 152/06, per poi concludere che i liquami scaricati su terreno dalla Codep "..non rispettano i valori tabellari di scarico di cui alle tabelle 3 e 4 ..".
Ha quindi aggiunto che in realtà la Codep non avendo attivato la sezione di sedimentazione e non avendo realizzato quelle di flottazione e filtrazione, aveva scaricato sul suolo, assieme a liquami veri e propri, anche i fanghi "...di depurazione in sospensione nei rifiuti liquidi..".
A conferma di tali considerazioni, è utile in proposito citare il parere del Dipartimento Provinciale di Perugia, formulato nella seconda metà del 2007 su richiesta del Comune di Bettona a fronte della proposta della Codep di realizzare un "impianto SBR per il trattamento di reflui zootecnici". In particolare, laddove si evidenziarono "...i gravi problemi provocati dal passaggio di solidi in sospensione nella laguna di stoccaggio finale (in gran parte dovuto alla inosservanza delle prescrizioni impartite per la corretta gestione dell'impianto dopo gli interventi finanziati con il programma PTTA 1994 - 1996) sarebbe auspicabile la proposta di inserire un ulteriore trattamento finale di abbattimento dei solidi sospesi mediante filtrazione ... e mai attuato (in allegato 35 della difesa di Menganna  alle cui produzioni pure si rinvia per i medesimi atti indicati dalla difesa di D'Amico).
Il ct. ha poi evidenziato che non solo i liquami finali in esame non potevano essere correttamente riversati al suolo o su corpo idrico in relazione alle predette disposizioni normative, ma anche che non poteva parlarsi di corretto utilizzo agronomico dei medesimi "...in quanto sono stati scaricati sul suolo agricolo ingenti quantitativi di rifiuti liquidi misti a fanghi superiori ai limiti ammessi... " dalle normative nazionali e regionali dettate in materia e identificate dal dr. Iacucci in particolare nel Dlgs 152/99, nel DM 7.2.2006 e nelle DGRU 22.12.2000 n. 1577, n. 2052/205, n. 1423/2006. Non erano risultate rispettate neppure le tecniche e i modi di smaltimento indicati nei documenti tecnici trasmessi dalla Codep agli enti preposti. Inoltre, con riferimento evidentemente al periodo anteriore al deposito da parte della Codep della prima comunicazione agronomica, avvenuto nel 2006, ha rilevato il mancato inoltro della dovuta comunicazione tecnica per uso agronomico dei liquami zootecnici ai sensi della delibera preesistente, rispetto a quella del 2006 n. 1492; ribadendo l'insussistenza anche di una corretta fertirrigazione e sottolineando come l' assenza di tale comunicazione e degli atti allegati si traducesse non in una violazione meramente formale, bensì di sostanza, atteso che ciò impediva ogni verifica sulla effettiva superficie utilizzabile per lo scarico anche in relazione alle eventuali fasce di rispetto, e ogni valutazione circa l'effettivo utilizzo agricolo a fini colturali dei suoli su cui sono scaricati i reflui in uscita (cfr. pag. 94 in nota 14).  
Il ct. ha anche censurato le modalità di ricezione da parte della Codep dei liquidi conferiti a mezzo autobotti e quindi dei cd. "rifiuti liquidi", evidenziando come la Codep fosse stata autorizzata a ricevere tali rifiuti con la prescrizione di "...adeguare lo scarico ai limiti dell'allegato 3 tabella 5 al Dlgs 152/99 ..", laddove invece i liquami finali sono risultati al di fuori dei citati limiti tabellari per lo scarico finale, tanto da ricorrersi alla "soluzione", comunque non realizzata correttamente, di ricondurli a reflui zootecnici utilizzati per la pratica agronomica.  
Sussistevano invece per il ct le autorizzazioni per la gestione dei rifiuti gassosi costituiti da biogas.
Un accenno ha poi formulato in tema di inquinamento delle falde, laddove ha osservato come il riversamento su terreni, dei liquami nei quantitativi suddetti e al di fuori di ogni regola sia stato tale da far ritenere che "...appare che stia risentendo la qualità delle acque sotterranee; infatti dalle analisi svolte su campioni di acqua di falda prelevati in data 18.7.2007 dall'Arpa di perugia è risultato che il paramertro nitrati nei pozzi precedentemente già citati ...è ...superiore a 50 mg/litro ...prevsito dala normativa..Nel caso del pozzo in uso a Vescovo A. la concentrazione dell'azoto ammoniacale è risultata addirittura superiore a quella ammessa per gli scarichi fognari in acque superficiali...".
In proposito, è utile precisarlo, in funzione di quanto si osserverà in ordine ai reati contestati in tema di avvelenamento e disastro ambientale, il ct si è premurato di riferire, in sostanza, di non avere approfondito tali specifici temi - non rientranti nei quesiti sottopostigli -, essendosi limitato ad una mera prima valutazione dei citati risultati analitici sulle acque dei pozzi.
Occorre peraltro già in questa sede osservare quanto segue: i verbali di prelievo di campioni delle acque dei sopra citati pozzi, del 18.7.2007, sono stati prodotti dal Pm all'udienza del 4.7.2013: dal loro esame emerge che furono effettuati i campionamenti in presenza di tecnici dell'Arpa (Bagnetti e Menganna), di un Carabiniere del Noe (per lo più De Crescenzo) e di un civile in qualche modo titolare o utilizzatore del pozzo. Emerge altresì che non si dava avviso ad alcuno del giorno e dell'ora dell'analisi successiva e, piuttosto, si precisava in ogni verbale che "...ogni comunicazione sull'esito delle analisi dovrà essere effettuata esclusivamente al NOE - Perugia.."; ciò sebbene nelle successive "note aggiuntive" si precisasse che si stava trattando di "analisi chimica di routine per acque potabili e metali pesanti (rame e zinco)". Inoltre, dalle dichiarazioni dei testi, compresi taluni della pg, risulta che i predetti accertamenti furono svolti a fronte proprio delle denunzie di civili che lamentavano l'incidenza, sulle acque dei loro pozzi, della attività di "fertirrigazione" della Codep.
Dunque, per quanto sopra indicato, i prelievi e le analisi avvennero in un contesto investigativo già dispiegato in parte, sia dal punto di vista degli indagati che dei reati ipotizzati; cosicchè deve ritenersi che si sia trattato di una vera e propria attività di indagine testimoniata, lo si ribadisce, sia dalla presenza, accanto agli uomini dell'Arpa, anche dei Carabinieri del Noe (che altrimenti non operano nel corso di normali accertamenti amministrativi, tanto più se di "routine", dell'Arpa stessa) sia dalla precisazione riportata sul  verbale, di riferire gli esiti delle analisi esclusivamente ai Carabinieri stessi del Noe.   
La conferma di un quadro investigativo ormai rivolto nei confronti della Codep e dunque di suoi rappresentanti, anche con riferimento alle falde acquifere, è fornita dallo stesso Capitano Schienalunga, che dapprima ha ricordato come nel 2005 sopraggiunse una querela di Pucciarini Mario in relazione all'asserito inquinamento di suoi pozzi a causa dello spandimento di effluenti da allevamento e poi ha precisato che, sempre in relazione a denunzie di Pucciarini Mario, si effettuarono con l'ausilio del CT campionamenti nella zona di interesse, in ordine all'acqua prelevata da taluni pozzi che inerivano ad abitazioni prive di allaccio con l'acquedotto comunale. Anche altri testi di pg, sopra citati, hanno ricondotto le analisi in parola nel contesto investigativo già in corso nei confronti della Codep.
Consegue che ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 220 e 223 comma I c.p.p. disp. att. - trattandosi di campioni di acque, come tali notoriamente sottoposti a rapida modifica - al momento del prelievo si sarebbe dovuto procedere a rituale avviso della data, ora e luogo delle analisi in favore dei soggetti sia indagati (a partire dal Siena) che indagabili in quel momento, all'interno del presente procedimento. I secondi certamente individuabili quantomeno nei soggetti (Mattoni Renato, Schippa Paolo e Bagnetti Antonio),per i quali si sono riconosciute tali qualità con l'ordinanza di questa Corte emessa in tema di utilizzabilità delle analisi conseguenti ai prelivi di campioni effettuati nell'estate del 2007, presso l'impianto della Codep e presso taluni terreni, sotto la direzione del Ct dr. Iacucci. Ordinanza cui per questa parte si rinvia.
L'assenza di tale circostanza determina l'inutilizzabilità delle analisi in parola nei termini soggettivi prima spiegati.
In proposito, è noto a questa Corte l'indirizzo di legittimità per cui l'omesso avviso in questo caso darebbe luogo solo ad una nullità a regime intermedio. Come tale ormai non più rilevabile, non essendo mai stata sollevata, tantomeno tempestivamente, la relativa eccezione.
A tale opzione interpretativa si oppone quella secondo cui, in assenza del citato avviso, si determina l'inutilizzabilità dei risultati di analisi piuttosto che la nullità nei termini predetti. Opzione preferita da questo Collegio e che trova una chiara affermazione nella sentenza della Suprema Corte n. 15372 del 2010  sez. 3 del 10/02/2010 rel. Franco, imp. Fiorillo N. R. Generale   025177/2009, secondo cui, in estrema sintesi:
- le previsioni e le garanzie, di cui all'art. 223 cit. riguardano i prelievi e le analisi inerenti alle attivita amministrative, ossia alla normale attività di vigilanza e di ispezione.
- dagli stessi bisogna distinguere le analisi ed i prelievi rientranti in attività di polizia giudiziaria nell'ambito di una indagine preliminare, per i quali devono invece trovare applicazione le norme dell'art. 220 disp. coord. c.p.p., secondo cui ove durante attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice;
- devono operare in tali casi le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, anche laddove emergano indizi di reato nel corso di un'attività amministrativa, che in tal caso non può definirsi extra-processum. L'attività di prelievo e di analisi ha natura amministrativa purchè non venga eseguita su disposizione del magistrato o non esista già un soggetto determinato, indiziabile di reati ovvero non sussista anche solo la mera possibilità di attribuire rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata;
- a fronte quindi della violazione, in presenza di analisi irripetibili, delle disposizioni del codice di procedura e delle garanzie difensive previste dal codice stesso per assicurare le fonti di prova e raccogliere elementi utili alle indagini, ".......i risultati delle analisi in tal modo ottenuti non possono assumere efficacia probatoria e, quindi, non sono utilizzabili ."
- inoltre, "anche qualora fosse applicabile l'art. 223 e non invece l'art. 220 disp. att. c.p.p. dovrebbe ...ritenersi che i risultati delle analisi, a causa del mancato avviso agli interessati sarebbero inutilizzabili (cfr. Sez. 6^, 5.11.1992, n. 592, Urzi; Sez. 6^, 8.10.1993, n. 189, Meini; Sez. 3^, 4.3.1993, n. 2581, Terenziani, m. 193378; Sez. 3^, 21 febbraio 1994, n. 5310, Elena; Sez. 3^, 20.11.2002, n. 1068/03, Manzolillo; Sez. F., 3 agosto 2006, Paolillo), sia perchè si tratterebbe di prove raccolte in violazione del divieto di effettuare le analisi di cui all'art. 223 cit., comma 1 senza avere dato previamente avviso all'interessato, sia perchè del medesimo art. 223, il comma 3 dispone che, se non sia stata seguita la procedura ivi prevista, i verbali delle analisi non possono essere raccolti nel fascicolo del dibattimento e sono, quindi, inutilizzabili..."
Non si tratta di un arresto giurisprudenziale isolato, quanto, piuttosto, dell'esito inevitabile di precedenti e autorevoli approfondimenti sul tema.
In particolare rileva innanzitutto la sentenza della Corte Costituzionale 248/83, la quale nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 comma settimo legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento) come sostituito dall'art. 18 legge 24 dicembre 1979, n. 650, nella parte in cui non prevedeva che il Laboratorio Provinciale di Igiene e Profilassi desse avviso al titolare dello scarico affinché potesse presenziare, eventualmente con l'assistenza di un consulente tecnico, all'esecuzione delle analisi, ne individuò il fondamento essenzialmente nel diritto di difesa.
Osservò infatti che :
- il diritto di difesa sarebbe violato qualora la nozione di "procedimento", nel quale il secondo comma dell'art. 24 Cost. garantisce la difesa come diritto inviolabile, venisse intesa escludendo le attività preordinate a una pronuncia penale, che si traducono in processi verbali di cui é consentita la lettura in dibattimento e posti in essere al di fuori del normale intervento del magistrato. In tale concetto di "procedimento", devono quindi includersi gli atti di polizia giudiziaria e la fase di revisione delle analisi, da riconoscersi come ".....situazioni (che) si riscontrano ........ nella fattispecie ora all'esame della Corte.....";
- in tema di controllo sugli scarichi, è comprensibile che l'Amministrazione cui compete il diritto di effettuare i campionamenti delle acque non abbia l'obbligo di preavvisare il titolare dello scarico circa il momento in cui verranno effettuate le operazioni di prelievo per evitare che possano essere apportate modifiche agli scarichi e fatte sparire le tracce di ogni irregolarità. Inoltre, le analisi delle acque campionate devono realizzarsi con la massima tempestività attesa la loro deteriorabilità, da cui consegue anche la loro irripetibilità nello stesso eventualmente successivo procedimento penale. Da qui, secondo la Corte, la particolare efficacia probatoria "..delle analisi compiute dal Laboratorio Provinciale di igiene e profilassi con un procedimento che é un vero e proprio accertamento assimilabile, nella sostanza, ad una perizia, fonte, quindi, di convincimento del giudice; tanto più che le relazioni sulle analisi sono allegate agli atti del procedimento penale e di esse lo stesso giudice può tener conto e darne lettura".
Con l'importante conclusione per cui "..proprio questa particolare efficacia probatoria del risultato delle analisi impone che sia dato avviso alla parte onde consentirne la presenza con l'eventuale assistenza di un consulente tecnico..".
Lungo tale impostazione ermeneutica si colloca quindi la sentenza delle SS.UU della Suprema Corte del 18 giugno 1991, Pres. Boschi, Est. Mele, imp.  Tallia, secondo cui le analisi di tipo amministrativo dei campioni di acque devono svolgersi in maniera tale, in particolare con riguardo all'intervallo tra il momento di prelievo e quello di analisi stessa, da non rendere fittizio il diritto del titolare dello scarico a partecipare agli accertamenti di laboratorio.  
Con successiva sentenza del 18.3.1993 (sez. III n. 2581 PM in proc. Terenziani) la Suprema Corte ha quindi sottolineato, alla luce della cornice giuridica disegnata dalle predette due fondamentali decisioni, che la piena rilevanza probatoria in sede penale delle analisi amministrative e irripetibili di campioni, presuppone necessariamente il preavviso all'interesato per consentirgli di presenziare, anche con l'ausilio di un tecnico, alle medesime. Cosicchè il preavviso costituisce "presupposto di utilizzabilità".
La rilevanza dell'avviso, strumentale alla effettuazione di analisi connotate dalla partecipazione o dalla potenziale partecipazione dell'interessato, lascia comprendere come si tratti non già di una mera modalità di svolgimento, quanto di un connotato essenziale delle stesse, che in quanto espressione del diritto di difesa condiziona la rilevanza che alle analisi stesse si riconosce in sede penale, in termini di piena utilizzabilità.
Discende da tale ricostruzione ermeneutica la riconduzione della assenza dell'avviso di cui all'art. 223 c.p.p., anche in caso di espletamento di analisi nel quadro di attività di indagine., nella categoria dell'inutilizzabilità piuttosto che di quella delle nullità.
E' infatti noto che rientrano tra le prove sanzionate dall'inutilizzabilità non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche "quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla costituzione" (cfr. Cass. Pen. SS.UU. 24.9.1998 n. 21 Gallieri rv 211196), tra le quali, per quanto sinora osservato, deve ritenersi rientrino anche le analisi in parola.
Tornando così al tema specifico, relativo alle acque di pozzi campionate e analizzate, non può che concludersi per l'inutilizzabilità delle verifiche stesse nei confronti dei soggetti indagati e indagabili all'epoca delle medesime attività, con i secondi individuati nell'ordinanza di questa Corte prima già richiamata.  

Quanto infine alla fase del controesame affrontata dal ct Iacucci, è qui utile e sufficiente limitarsi ad osservare che le principali obiezioni difensive si sono concentrate sulla validità (sub specie della asserita mancata filtrazione dal campione liquido della componente solida) delle analisi citate dal CT e relative ai prelievi in impianto del 2007, oltre che sulla significatività delle medesime, e quindi sui calcoli finali desunti dalle stesse. La valutazione di tali problematiche viene qui rimandata alla parte dedicata all'esame delle prove raccolte. Sia per ragioni di migliore utilità espositiva sia perchè tali problematiche appaiono superate o, comunque, poste in secondo piano, dalla necessità e possibilità di fondare le considerazioni finali di questa Corte, in maniera preponderante, su dati ulteriori e diversi.


U - Il Ct Refrigeri

Fornisce apporti per il completamento di taluni profili oggetto di indagine anche la relazione tecnica del dr. Refrigeri, le cui considerazioni dibattimentali sono risultate analoghe al contenuto della medesima, cosicchè anche per questo consulente del Pm è sufficiente richiamare la relazione acquisita.  
Va precisato che l'attività del ct, svoltasi nel 2009 e dunque in sostanza al termine delle indagini, ha avuto due oggetti:
- la gestione dei liquami da parte della Codep. che è stata peraltro limitata al solo anno 2008;
- l'attività di gestione dei propri liquami da parte della Ditta Vapor nell'anno 2008.

Quanto alla prima verifica, l'agronomo ha acquisito presso la Codep i dati degli effluenti in ingresso, li ha controllati anche alla luce degli accertamenti della p.g. e li ha integrati per alcuni periodi mancanti attraverso l'inserimento di valori medi, ricavati dai quantitativi pervenuti nei mesi immediatamente vicini; alfine ha accertato che i liquami pervenuti nell'anno 2008 corrisposero a 143.000 mc.
Ha quindi verificato, alla luce dei documenti di trasporto pure acquisiti presso la Codep ed esaminati, che per tale anno ben 28.000 mc di liquami furono  condotti su terreni diversi da quelli oggetto del cd. "anello irriguo".
Il Ct ha peraltro anche verificato i dati riguardanti i trasportatori che condussero nel 2008 i liquami sui terreni e le quantità trasferite da ciascuno di essi, oltre che le date delle rispettive operazioni e i luoghi.  Tanto emerge dalla lettura della consulenza con i suoi allegati.  
In tal modo si individua l'attività di trasporto liquami provenienti dalla Codep ed effettuata da:
 - Mattoni Giovanni, anche spesso su suoi terreni in Bettona, dal 2.1.2008 e sino al 18.9.2008. Per un totale di ben 22140 mc. circa. Con meta finale in Bastia Umbra (az. Vetturini Giorgio - Servettini Enrico - Cristofani Tiziana ) Bettona (az. Roscini - Servettini M. e Figli - Siena Francesco) Bevagna ( az. Giacomo Iraci Borgia);
- Longetti Sergio per F.lli Longetti, tra giugno e agosto 2008. Per un totale di circa 1708 mc. Con meta finale in Bastia Umbra (Cristofani Tiziana ) Bettona ( az. Roscini -) Bevagna ( az. Giacomo Iraci Borgia),
 - Beretta Gianni l'1, il 2, il 4, il 18 febbraio del 2008, per un tolate di 11 viaggi e di 88 mc su Bastia Umbra ( az. Vetturini G); il 25.7.2008 per un totale di 150 mc. trasportati e riversati su terreni siti in Bettona (disponibilità data da Beretta Giuliano);  
- Taglioni Nicola per 64 viaggi compresi dal 14.8.2008 al 18.9.2008, presso terreni di Spalloni Adriana in Bettona e di Rafae Zoo in Bastia Umbra per un totale di 756  mc..  

Per la restante parte dei circa 28.000 mc. calcolati dal Ct, si tratta per lo più di trasporti effettuati con propri mezzi dalla Codep, oltre che da altri trasportatori quali: "Az. Agr. Calisti" per la quale non è emersa in dibattimento la titolarità, oltre a tale Malvizi Sergio.
 
A fronte di tali dati, il consulente ha quindi cercato di stabilire quali fossero i terreni di Codep realmente idonei per il 2008 per l'effettuazione, sui medesimi, della corretta pratica di utilizzazione agronomica. A tal fine ha elaborato una particolare procedura, coinvolgendo in sostanza tutti i soggeti titolari dei terreni, che la Codep aveva indicato come a sua disposizione, per la fertirrigazione, nella corrispondente comunicazione agronomica.
Tale coinvolgimento si è concretizzato nella predisposizione, da parte del dr. Refrigeri, di una "scheda agronomica", dallo stesso poi inviata "a ciascun titolare dell'autorizzazione firmatario di impegni di messa a disposizione dei terreni ai fini dell'utilizzazione agronomica dei reflui di Codep.."; a costoro si chiedeva di confermare o meno la superficie effettiva della particella di riferimento del proprio terreno, di indicare per ogni particella la coltura praticata distinta per il primo e secondo semestre dell'anno, l'avvenuta effettuazione o meno dello spandimento di liquami, oltre a dare la possibilità, in apposito spazio della scheda, riservato alle note, di fornire ulteriori ragguagli.
Il Ct ha quindi riferito che tutti i soggetti così coinvolti avevano risposto, previa ricezione del modulo a mezzo raccomandata, riempendo le schede e sottoscrivendole. In taluni casi essi stessi avevano ridotto la superficie utlizzabile (ad esempio per tare di coltivazione presenti) ovvero avevano escluso ogni utilizzo agronomico effettivo.
Ha poi aggiunto che avendo avuto notizia, attraverso le riferite schede, della coltura effettivamente praticata su ogni terreno interessato, nell'anno 2008, ha verificato che "il dato richiesto circa lo spandimento nei due semestri fosse coerente e conforme alle pratiche agronomiche". E così "..in base al ciclo colturale delle colture praticate e delle precessioni è stato verosimile ipotizzare che in taluni periodi dell'anno i terreni potevano non risultare di fatto disponibili per lo spandimento stante lo stadio di sviluppo della pianta, il raccolto imminente, l'impraticabilità del terreno in quanto sottoposto a lavorazione..".
Alla fine, escludendo dal novero delle superfici indicate da Codep come disponibili, quelle inidonee sia secondo le indicazione in proposito fornite da coloro che risposero alle richieste di cui alla scheda agronomica, sia in ragione delle colture presenti, come comunicate sempre dai sottoscrittori delle predette schede, il ct ha determinato la superfice totale di terreni effettivamente "idonea" per Codep nell'anno 2008; ciò ha fatto anche tenendo conto della minore quantità di azoto spandibile nei terreni rientranti nelle aree cd. vulnerabili ed altresì escludendo anche quei terreni per i quali gli autori delle citate schede agronomiche avevano negato che vi fosse stato un utilizzo agronomico con i liquami.
Il risultato è stato nel senso che a fronte di poco più di 600 ha di terreni ritenuti e dichiarati idonei da Codep, in realtà avevano tali caratteristiche ed erano risultati effettivamente usati per l'uso agronomico solo 305 ha ( cfr. pag. 22 e ss. della consulenza). Sempre riferendosi ai dati delle schede agronomiche il ct., valutando e incrociando altresì quelli emergenti dai documenti di trasporto dei liquami verso terreni posti al di fuori dell'anello irriguo e quindi raggiunti mediante autobotti (in particolare valutando i quantitativi di liquami così trasportati pari a 28.000 mc. e le loro destinazioni) ha stabilito che dei 305 ha di terreni realmente idonei e utilizzati nel 2008, 143 ha erano stati impiegati per l'attività di fertirrigazione effettuata con liquami trasportati a mezzo autobotti.  

Non si ritiene che la Corte possa fare valido uso di quest'ultimo risultato indicato dal CT, inerente la individuazione di 305 ettari di terreni da considerare realmente idonei e usati da Codep (assieme a quello correlato, relativo ai 143 ha interessati da spandimenti lontani dall'area del cd. "anello irriguo")

Occorre premettere che il Refrigeri ha operato come consulente del Pm nel quadro dell'indagine dal medesimo condotta.
I dati provenienti dagli asseriti titolari dei terreni, indicati dalla Codep per la fertirrigazione, non sono il frutto di attività di indagine della pg ovvero del PM.
Piuttosto, si tratta di notizie raccolte dal Ct del Pm, e neppure mediante una richiesta di informazioni direttamente rivolta dal Ct a soggetti pienamente identificati; piuttosto, trattasi di dati emersi solo in via mediata, ossia attraverso una scheda precompilata, contenente in sostanza  domande, inviata a mezzo raccomandata, e quindi restituita con la apposizione di una firma. Firma ritenuta dal Refrigeri corrispondente al destinatario della scheda senza tuttavia poter disporre di alcuna forma di autenticazione o, comunque, senza alcuna equivalente conferma della autenticità.  

Sembra quindi che già per tali motivi possa concludersi che le informazioni così acquisite dal CT siano il frutto di attività alquanto abnormi nell'ambito della liturgia processuale di tipo sostanziale.
Invero si rammenti che ai sensi dell'art. 359 c.p.p., riguardante espressamente il consulente del PM, il legislatore nel disciplinare al comma II le modalità con cui quest'ultimo può espletare la propria attività, si limita a prevedere esclusivamente la possibilità che il consulente sia autorizzato dal PM "ad assistere ai singoli atti di indagine".
Solo per il perito invece, all'art. 228 comma III c.p.p. il codice ha previsto che possa chiedere notizie all'imputato, alla persona offesa o ad altre persone.  
Dunque le informazioni raccolte dal ct. del PM, dr. Refrgeri, non rientrano affatto nella previsione, stabilita espressamente per il perito, di cui all'art. 228 c.p.p.
E' pur vero che la Suprema Corte ha riconosciuto che ".....gli elementi istruttori acquisiti dal consulente tecnico nominato dal pubblico ministero a norma dell'art. 360 cod. proc. pen. sono utilizzabili unicamente per rispondere ai quesiti e non come prova, in quanto la disciplina prevista per l'attività istruttoria del perito dall'art. 228, comma terzo, cod. proc. pen. si estende analogicamente alla medesima attività istruttoria del consulente tecnico per identità di "ratio legis" (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 2001 del 13/11/2007 Ud.  (dep. 15/01/2008 ) Rv. 238846 Presidente: Postiglione A.  Estensore: Onorato P.  Relatore: Onorato P.  Imputato: R.).
Tuttavia, come emerge già dalla stessa massima, si tratta di una estensione analogica in relazione al caso in cui il consulente del PM operi ai sensi dell'art. 360 c.p.p. atteso che effettivamente in tal ipotesi - analogamente alla perizia in cui è assicurata anche la partecipazione di consulenti di parte -  la figura e l'azione del CT non pare dissimile da quella del Perito.
Tanto del resto conferma un altro dato: quello per cui la previsione riportata all'art. 228 c.p.p. comma 3 oltre a rispondere all'esigenza di assicurare la piena possibilità di approfondimento all'attività demandata al perito, si giustifica anche in considerazione del fatto che le informazioni possono essere chieste all'imputato o ad altre persone comunque nell'ambito di una procedura che - diversamente da quella che connota l'agire del CT del PM, che non è tenuto ad operare in presenza di altri soggetti e tantomeno di chi possa rappresentare interessi dell'imputato - contempla e permette anche la presenza delle parti contrapposte. Assicurando un contradittorio.
Questa Corte quindi, ritiene che la ratio dell'art. 228 comma III c.p.p., impone di limitarne l'estensione in via analogica a favore del ct. del Pm, consentendolo solo per quelle situazioni in cui il consulente operi secondo modalità assimilabili a quelle del perito, come sopra evidenziato.
Si noti peraltro che nelle cd. indagini personologiche, che il Pm può legittimamente scegliere di affidare al consulente ( si pensi al tema degli abusi sessuali su minori), quest'ultimo in realtà non chiede informazioni alla p.o., quanto piuttosto rivolge domande per valutare le capacità dichiarative e quindi la maturità della persona. Cosicchè anche in tal caso, di apparente richiesta di informazioni da parte del consulente, quest'ultimo non è in realtà autorizzato a avanzare domande a persone informate dei fatti d'indagine o alla persona offesa alla stessa stregua di quanto espressamente previsto per il perito.

Orbene, anche a volere tralasciare le considerazioni evincibili dal rilievo per cui solo al perito il codice attribuisce espressamente la possibilità di chiedere notizie all'imputato, persona offesa o ad altri soggetti informati, mentre ex art. 359 c.p.p. al consulente del Pm si consente espressamente solo di assistere ai singoli atti di indagine, si deve riconoscere che la lettura dell'art. 228 comma III c.p.p. pone nel caso in esame un serio ostacolo ad un corretto utilizzo della consulenza del dr. Refrigeri, nella parte in cui indica i terreni realmente idonei e utilizzati della Codep.
L'art. 228 comma III stabilisce invero che gli elementi acquisiti a seguito della richiesta di notizie all'imputato, alla persona offesa o ad altre persone, "..possono essere utilizzati solo ai fini dell'accertamento peritale..".
Questa forma limitata di utilizzo è possibile, a ben vedere, ove si consideri il particolare e tipico contenuto della perizia, elaborativo e scientifico, atteso che ai sensi dell'art. 220 c.p.p. la stessa è disposta "quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche scientifiche o artistiche". Cosicchè quand'anche si acquisiscano informazioni da terzi, dovendo essere poi vagliate dal perito alla luce di particolari cognizioni tecniche, che diano luogo ad una risposta che inevitabilmente trascenda dalle singole notizie, rielaborandole e filtrandole, per giungere a conclusioni uteriori, autonome e distinte rispetto ai dati di partenza, è ben comprendsibile che l'utilizzo delle conclusioni peritali non si traduca in automatico uso, ai fini della decisone di merito, delle dichiarazioni fornite da terzi al perito (si pensi, ad esempio, al caso di dichiarazioni rese da minori al perito nell'ambito di processi per reati sessuali, le quali sono funzionali ad un giudizio scientifico ulteriore e distinto rispetto al contenuto delle affermazioni medesime, con la conseguenza per cui l'utilizzo della perizia non si traduce automaticamente nell'uso del contenuto delle dichiarazioni).    
Al contrario, nel caso di specie, la particolare natura delle informazioni raccolte, siccome di fatto compendianti il contenuto della risposta finale del ct., arricchita da pochi altri dati acquisiti per via documentale (i soli 28.000 mc di liquami sparsi mediante autobotti) e priva di elaborazioni scientifiche, se non per quella minima e impecisata parte inerente il rapporto tra talune colture dichiarate dagli "intervistati" e la possibilità di fertirrigazione, impedisce ex art. 228 comma III c.p.p. l'utilizzazione delle conclusioni del perito. Ciò perchè, altrimenti, il relativo impiego si tradurrebbe automaticamente nell'uso, pedissequo, anche ai fini del giudizio di responsabilità degli imputati, di informazioni raccolte dal CT presso terzi, di cui la risposta del dr. Refrigeri qui in esame è solo la sintesi.
Si vuole rilevare, in altri termini, che la conclusione del Ct secondo cui, rispetto a circa 600 ha di terreni dichiarati da Codep, solo 305 erano idonei ed erano stati usati per la fertirrigazione, è stata formulata alla luce di schede compilate da terzi, il cui contenuto essenziale era la conferma della disponibilità in capo alla Codep dei terreni medesimi, in uno con la dichiarazione circa l'avvenuto utilizzo o meno, a fini agronomici, del medesimo terreno da parte della Codep e circa la sussistenza di colture; la conseguente conclusione del CT si è allora tradotta in una indicazione di tipo meramente illustrativo, quand'anche in via di sintesi, di tali fatti e vicende, e non in una risposta elaborativa, alla luce di cognizioni scientifiche, di dati acquisiti ascoltando terzi.
Cosicchè in assenza di una significativa distinzione, scientifica, tra dati di partenza e conclusioni finali, ove questa Corte venisse a considerare il dato così riferito dal dr. Refrigeri e sopra riportato, verrebbe inevitabilmente ad usare in maniera pressocchè automatica oltre che "nascosta" - come base di un eventuale giudizio di responsabilità - le affermazioni provocate e raccolte dal Refrigeri presso terzi, deponenti nel senso proprio di una insufficienza dei terreni della Codep in relazione ai liquami da smaltire.

Va aggiunto che osta all'utilizzo delle specifiche conclusioni peritali in esame anche la scarsa attendibilità delle medesime. Che consegue alle modalità di acquisizione dei dati che si sono posti a base della conclusione finale raggiunta dal dr. Refrigeri.
Come accennato infatti, le notizie relative ai terreni indicati dalla Codep come disponibili, su cui il perito ha fondato la sua conclusione qui in discussione,  sono state acquisite a mezzo posta, mediante schede "precostituite" inviate alla residenza di chi appariva al CT titolare dei vari terreni e poi restituite, compilate e munite di una presunta firma di ciascuna delle persone così individuate.
Nessuna certezza esiste dunque, circa il reale autore di tali schede. Nè tantomeno può stabilirsi in base a quali dati e a quali ricordi si sono riempite le citate schede.
Manca in sostanza qualsiasi elemento per valutare la paternità effettiva delle schede oltre che l'attendibilità di chi le abbia compilate.
Nè può supplire l'assicurazione del Ct per cui diversi soggetti contattati redassero le schede previ chiarimenti acquisiti "telefonicamente" con lo stesso Refrigeri o un suo collaboratore.
Si tratta dunque, di un metodo di acquisizione di dati connotato da estrema incertezza, caratterizzato innazitutto dal carattere sostanzialmente anonimo del compilatore di ciascuna scheda oltre che dalla assenza di qualsiasi informazione per considerare quanto ivi indicato come perfettamente aderente alla realtà che si è chiesto di illustrare.
A fronte di ciò fare propria la specifica conclusione del Ct in tema di terreni "idonei" di Codep, significherebbe introdurre nel processo informazioni dal carattere assolutamente incerto, tanto nella paternità come nella sostanza dei contenuti. Mai vagliate e mai passate attraverso quel contraddittorio tra le parti che, salvo eccezioni specificamente ammesse e disciplinate, costituisce uno dei principi fondamentali per la formazione della prova idonea a fondare un giudizio di responsabilità penale.

Va quindi ribadito che del primo lavoro del consulente Refrigeri va utilmente considerata solo la conclusione per cui i liquami pervenuti in Codep nell'anno 2008 corrisposero a 143.000 mc e di questi, 28.000 mc vennero trasportati e sversati su terreni diversi da quelli oggetto del cd. "anello irriguo". Inoltre le comunicazioni all'Arpa ex art. 14 della DGR 1492/2006 hanno riguardato il 10% soltanto dei reflui gestiti.

La seconda relazione tecnica illustrata e depositata dal Ct Refrigeri ha avuto ad oggetto la ditta Vapor dell'imputato Zanotti.
Valgono le soprascritte considerazioni in ordine alle conclusioni fondate su dati acquisiti a mezzo "scheda agronomica".

Ciò che appare di interesse, oltre alla assenza di comunicazioni all'Arpa ex art. 14 citato, è la seguente circostanza.
In data 21.1.2008 la Vapor redasse una prima comunicazione agronomica indirizzata ai comuni di Cannara e Assisi in cui, singolarmente, già riferiva il conferimento di liquami in Codep con recupero di eguale quantità di reflui trattati in impianto della medesima, secondo uno schema di accordo stipulato con questa ultima società solo il successivo 16.2.2008. In tale comunicazione si richiamava per il liquame recuperato dalla Codep un valore di azoto pari a 1,080 kg/mc, siccome evidentemente ricavato da comunicazione agronomica della Codep dell'11.7.2007. Il 30.10.08 la Vapor inviava ai comuni di Cannara, Assisi, Bevagna, Fratta Todina, Marsciano, Avigliano Umbro e Sangemini una nuova comunicazione agronomica analoga, se non identica nei contenuti inerenti i liquami a quella precedente.
Va sin d'ora osservato che per i liquami prelevati da Vapor presso la Codep, in contropartita a quelli conferiti, trattandosi di reflui "prodotti" dalla Codep medesima, quest'ultima avrebbe dovuto redigere un'altra autonoma comunicazione agronomica riferita specificamente a tali liquami "prodotti" e consegnati a Vapor per l'utilizzo, così come la Vapor avrebbe dovuto indirizzare al comune di Bettona una comunicazione agronomica per i liquami specificamente "prodotti" e conferiti in Codep, specificando anche le quantità e percentuali di azoto proprie di tali reflui. Così innanzitutto consentendo un incrocio di dati, per quantità e qualità di liquami, con analoghe comunicazioni che avrebbero dovuto in autonomia redigere le altre ditte conferenti liquami in Codep; per permettere da ultimo un più adeguato e corretto calcolo delle quantità e qualità dei liquami in ingresso in Codep così da potere correttamente stabilirne e controllarne anche la depurazione e quindi i valori finali in uscita.  Nulla sussiste di tutto ciò, ma si tratta di materia che sarà meglio illustrata in sede di motivazione.
Va aggiunto che a fronte del riconoscimento da parte dello Zanotti, operato in dibattimento, per cui non si completò positivamente la pratica agronomica per l'utilizzo di terreni in Cannara, emergono in allegato alla consulenza del Refrigeri documenti per il trasporto di liquami inviati, nonostante ciò, proprio per la fertirrigazione nel citato comune e in quantitativo superiore ai 400 mc. Trasporti operati mediante viaggi con autobotti aventi ciascuno un volume di 8 mc.  

V - I dipendenti e collaboratori della Codep.

Nel corso del dibattimento alcuni dipendenti della Codep hanno illustrato l'organizzazione interna della attività della stessa anche con riguardo alle modalità di effettuazione della pratica agronomica.

Rileva innazitutto la deposizione di Santucci Pietro.
In servizio presso la Codep dal 1985 al 2009 svolse nel tempo varie funzioni, così che da capo operaio agì anche come elettricista e conducente di automezzi. In origine fu l'unico dipendente per diversi anni.  
Quanto ai conferimenti di liquami alla Codep rammentava che essi avvenivano solo a mezzo di condutture connesse direttamente con gli allevamenti, atteso che come conferitore esterno di liquami a mezzo autobotti ne ricordava solo uno, tale Servettini di Ospedalicchio. Quanto alle acque di vegetazione, egli si occupava anche dello scarico delle stesse dalle autobotti che le conferivano.
Confermava che sia che si trattasse di liquami addotti a mezzo dell'anello irriguo sia si trattasse di reflui giunti in loco a mezzo autobotti, lo spandimento era poi completato con i cd. "rotoni" agganciati all'anello irriguo ovvero alle autobotti.  
Con riferimento alla pratica di utilizzazione agronomica dei reflui, il Santucci premetteva che in Codep vi erano 5 dipendenti, di cui uno stabilmente presente all'interno dell'impianto, mentre il teste assieme ad altri tre colleghi si occupava di assicurare l'adduzione dei liquami presso i terreni, e il relativo spandimento a mezzo dei rotoni.
Rammentava che normalmente i liquami pervenivano ai terreni mediante il cd. anello di fertirrigazione, e che solo "ultimamente", senza meglio specificare, erano stati acquisiti in disponibilità della Codep dei terreni lontani dall'anello stesso, come ad esempio in Ospedalicchio, cosicchè in tali casi si portavano i liquami mediante autobotti.
Le autobotti a tal fine usate erano di "Mattoni Giovanni con i figli", di "Longetti" e talvolta "Berretta" per un totale di quattro autobotti complessive utilizzate, di cui una della Codep. Un'autobotte aveva un volume di circa 30 mc., le altre di circa 15 mc.  
I terreni ove egli si recò nello svolgimento della predetta attività inerente la fertirrigazione risultarono dislocati solo nei comuni di Bettona, Cannara, Bastia "cioè Ospedalicchio", comprendendo sia i terreni adiacenti all'anello irriguo che lontani dal medesimo.
Il teste seguiva le disposizioni che di volta in volta gli venivano date e con cui essenzialmente gli si indicava il terreno ove effettuare lo spandimento, previa consegna all'inizio di un elenco di terreni di Codep dove il liquame avrebbe poi dovuto essere portato di volta in volta. Aggiungeva che la quantità da spargere su ogni terreno gli veniva di volta in volta riferita dal "Presidente" oppure dalla sua segretaria, che gli riportava gli ordini del Presidente, senza che egli controllasse nè potesse controlare se si trattava di una quantità corretta; cosichcè il Santucci si limitava solo ad eseguire le indicazioni ricevute. Gli venivano indicati i mc. da spandere e non le ore di lavoro del singolo rotone. Aggiungeva che nella stessa annata era anche capitato di effettuare fertirrigazione più volte sul medesimo terreno.
Precisava di essersi recato solo sui terreni dei tre predetti comuni e di non sapere se altri suoi colleghi si fossero mai recati altrove.
Quanto poi alle caratteristiche dei terreni oggetto di spandimento dei liquami, anche con riferimento alla presenza sui medesimi di colture, il teste forniva importanti indicazioni.
Precisava che negli anni precedenti al 2005 si era effettuata da parte sua e dei suoi colleghi ("noi") attività di spandimento dei liquami anche curando la coltivazione dei campi ove si effetuava lo spandimento stesso, mentre a partire dal 2005, come specificamente richiestogli dal PM, non si fece più tale attività connessa alla fertirrigazione, per cui il loro operato in sostanza si era ridotto da qual periodo ad una mera attività di irrigazione dei liquami, seguita dall'abbandono del terreno di cui "...si lasciava quindi ricrescere l'erba e poi ripassato il tempo ci ritornavamo insomma...Non c'era coltura mentre noi facevamo la fertirrigazione " PM : sì ma non c'era la coltura mentre facevate e poi la coltivavate successivamente oppure non la coltivavate punto Santucci: : no, no noi non la coltivavamo"). Quanto invece ai terreni semplicemente affittati da Codep e quindi in uso ad altri aggiungeva che la coltivazione rientrava nella competenza di costoro e non degli uomini della Codep. Considerazione, come si vedrà, erronea, risultando onere della Codep, in tali casi, l'attività di coltivazione.
Richiesto di spiegare poi, come veniva calcolato il liquame in uscita sui campi e proveniente dall'anello irriguo (che si provvedeva a collegare ai rotoni per lo spargimento con le connesse "ali" o "braccia", ndr), il Santucci premetteva che dall'impianto dell'anello irriguo non vi era un contalitri che misurasse i liquami in uscita e sparsi con uno scarico diretto sui terreni vicini, atteso che lo stesso era stato installato solo "ultimamente.....più o meno gli ultimi due tre anni..." e quindi, incalzato dal PM, riferiva che per calcolare il liquame in uscita, destinato allo spandimento sui singoli terreni, si procedeva in maniera "...un pò ...cioè approssimativa ...a occhio sì. Sai che il rotone porta più o meno x litri lo tieni acceso x ore. Più o meno così. Non è che si ....cioè non contavamo proprio il litro preciso ...... poteva essere meno, come poteva essere qualcosa in più. E' Chiaro. Cioè cento metri cubi, 110 o 90 potevano essere....".
Alla ulteriore domanda circa il rispetto o meno delle ore di spandimento eventualmente prefissate, la risposta risultava a dir poco sorprendente quanto brutale, ove si ponga mente alla circostanza per cui lo spandimento doveva essere il frutto di un attento e preciso calcolo dei quantitativi di liquame e connesso azoto riversabile, elaborato in rapporto alla tipologia del terreno (vulnerabile o meno) e alle caratteristiche della coltivazione propria del terreno medesimo: ".....orientativo credo di sì. Credo di sì però siccome non è che avevamo il contalitri quindi questo è un pò....";  spiegando così che per lo più il parametro di riferimento per terminare lo spargimento dei liquami era essenzialmente la "passata di tutto il campo...", seppur cercando di sminuire la portata di tale pratica aggiungendo che essa poteva al più determinare un prolungamento di poche decine di minuti rispetto al tempo massimo entro cui il rotone avrebbe dovuto essere acceso per assicurare uno spargimento corretto dei quantitativi di liquame.
Quanto ai dipendenti dell'Arpa che svolgevano controlli sui campi, rammentava che erano normalmente gli stessi, in particolare tendenzialmente il Menganna e il Bagnetti, ricordando di avere egli stesso talvolta contattato telefonicamente taluno di essi, su disposizione del Presidente della Codep, per avere istruzioni sul comportamento da tenere a fronte di qualche disfunzione dell'impianto verificatasi e da risolvere.
Ammetteva anche la circostanza di essere stato a sua volta contattato in ragione di qualche disfunzione, sempre occorsa all'impianto, di cui il Menganna o Bagnetti avevano avuto notizia; ciò perchè effettuasse un controllo sull'impianto stesso per verificare l'esitenza o meno di tali evenienze.
Espressamente richiesto, illustrava la pratica della "rippatura", che veniva intesa, nell'ambito della attività da lui svolta, come un'aratura preventiva del campo interessato dalla fertirrigazione (per una profondità suscettibile di variazione tra i 50 e 70 cm.), volta a fare assorbire subito il liquido dal terreno, così da evitare il diffondersi dei cattivi odori ed il ruscellamento del liquame medesimo. Va evidenziato che in proposito il teste in più passaggi della sua deposizione ribadiva che la sua attività di fertirrigazione prevedeva prima la "rippatura" del terreno, per consentire l'effettiva penetrazione del medesimo con i liquami, e poi la vera e propria attività di spandimento; senza mai accennare, invece, ad una attività di rilavorazione del terreno entro le 24 ore dalla diffusione sullo stesso dei liquami, descritta invece come utile e necessaria nell'ambito di una corretta pratica agronomica, da Igor Cruciani, agronomo, già citato collaboratore della Codep, la cui deposizione sarà di  seguito riportata.

Quanto ai liquami sparsi su terreni lontani dall'anello irriguo e quindi condotti con autobotte precisava che lui si occupava di approntare, sul terreno interessato, "il rotone con la motopompa e poi il trasportatore andava là accendeva e faceva la fertirrigazione " senza poi essere ingrado di dire, su specifica domanda, chi in questi casi effettuasse il controllo del quantitativo del liquame distribuito sui vari campi. Aggiungeva che per lo spandimento lontano dall'anello irriguo ogni viaggio avveniva per l'intera portata della autobotte usata(pag. 303).
A domanda della difesa altresì, aggiungeva che i quantitativi da riversare erano stabiliti in base alla superficie del terreno di destinazione.
Quanto al fenomeno dei rotoni "affossati" nei terreni, il teste lo spiegava con quei casi in cui fosse intervenuta la pioggia successivamente alla lavorazione, sebbene questa tesi non spieghi la circostanza per cui nelle foto mostrate dai testi di pg si vedano rotoni "affossati" con pozzanghere limitate solo dintorno all'impianto di diffusione e non su tutto il terreno, come avrebbe dovuto accadere se la causa fosse stata davvero la pioggia sopravvenuta.
Il teste quindi, sentito sulle conversazioni telefoniche trascritte nn. 1056 e 1058 del 7.6.2007, rit 629 - che gli venivano sottoposte ad esame, sub specie del contenuto essenziale per cui emergeva un contatto da parte di tale Antonio (Bagnetti ndr.) che segnalava la presenza di un allarme di una centralina posta su di un fiume vicino all'impianto della Codep, chiedendo di andare a controllare le vasche dell'impianto medesimo e in caso di fuoriuscita di reflui di intervenire per risolvere il problema - il teste osservava che ben poteva trattarsi di una telefonata tra lui e il Bagnetti ("ci può essere benissimo", poi confermando che l'interlocuotre era il Bagnetti); quindi, rimanendo nell'ambito di un ricordo non preciso, affermava che se l'interlocutore fosse stato realmente lui certamente fece il controllo richiesto, probabilmente per uno sversamento, aggiungendo che dopo dovrebbe comunque essere sopraggiunto il personale dell'Arpa perchè "dopo veniva sempre" "cioè interveniva sempre...dopo ogni volta che c'è stato qualcosa l'Arpa interveniva sempre". Aggiungeva che l'invito a "cosare", rivolto dall'interlocutore in caso di esistenza di una avaria dell'impianto, avrebbe probababilmente dovuto intendersi come un invito a "ripulire" il terreno intorno alla vasca interessata dai liquami.
Precisava che l'allarme connesso alla presenza di tracce di inquinamento sul fiume poteva riferirsi a fenomeni che potevano avere varie cause, per cui la telefonata in esame poteva avere il senso di una richiesta del Bagnetti di verificare con immediatezza, a mezzo del Santucci, se - tra le possibili cause dell'allarme (tra cui anche sversamenti sul fiume da fogne comunali) - rientrasse l'impianto della Codep; così che il Bagnetti potesse poi indirizzare il suo intervento sullo stesso impianto piuttosto che presso altre possibili cause dello sversamento.  
Riferiva altresì dell'esistenza di un sistema di monitoraggio elettronico sull'impianto, per cui giungeva l'allarme, in caso di disfunzioni, sul suo telefonino o su quello di altri dipendenti e precisava che l'impianto di adduzione della Codep fiancheggiava prima il fiume Topino e poi il Chiascio.
Sempre in tema di intercettazioni, indicava come proprio il telefono n. 347 2274692 intercettato in una telefonata n. 11 di progressivo, del 3 maggio 2007, di cui ricordava il contenuto rammentando di essere intervenuto per ripristinare un guasto e senza ricordare se in quella occasione intervenne poi il Bagnetti.
Con riguardo alla conversazione avente n. di progressivo 570 dell'agosto 2007, rit n. 389 il teste si limitava a formulare un laconico " può essere avvenuto",  così come per la n. 573. E nell'ipotesi in cui si fosse trattato di una sua conversazione, spiegava che l'espressione "...l'ha pizzicata.." poteva intendersi nel senso che in caso di sversamento di sostanza inquinante nel fiume questa era stata "pizzicata" dalla centralina che, ovviamente, è maggiormente in grado di cogliere il fenomeno se lo stesso avviene a breve distanza dalla medesima, senza che vi sia stato il tempo di una diluizione con l'acqua del fiume. Aggiungeva che l'espressione "ripulire" poteva intendersi nel senso di togliere il liquame con autoespurgo.

X - Camilletti Nicoletta.
Omissis

Z - Igor Cruciani

Igor Cruciani, agronomo, operò all'interno della società SQA, con legale rappresentante Giuliano Bibi, con la quale la Codep aveva stipulato un contratto di consulenza per l'assitenza "sulla parte tecnica, normativa, su quello che era la gestione dell'impianto..".  
Ricordava di avere innanzitutto verificato la rispondenza dell'impianto della Codep alle normative ambientali e di avere quindi avviato la predisposizione della relazione agronomica preventiva, che serviva per l'utilizzazione dei liquami, redatta ai sensi della DGR 1577 del 2000, che prevedeva limiti di sversamento pari a 200 mc. di carico idraulico ad ettaro oltre che vincoli legati al tipo di colture presenti sui terreni interessati. Era la prima relazione agronomica che Codep presentava. Nel tempo l'impianto ricevette anche reflui dai frantoi oleari che venivano miscelati con i reflui zootecnici.
La struttura veniva considerata da tutti un impianto di depurazione, laddove a suo giudizio si trattava piuttosto di un impianto di produzione di biogas in cui l'azoto delle sostanze trattate ivi - costituente il parametro fondamentale per la corretta pratica di utilizzazione agronomica dei liquami - "..rimaneva più o meno inalterato cioè diminuiva pochissimo rispetto al trattamento che veniva fatto..".
Dopo la DGR 1577 del 2000 intervenne la DGR 2052 del 2005 e la 1492 del 2006. La prima (2052) riguardava le zone vulnerabili cosicchè fu ripresentata la comunicazione agronomica. Le comunicazioni erano a firma del presidente in carica e secondo contratto la Codep dovette consegnare alla sua società SQA una serie di documenti, necessari alla redazione della comunicazione;  si trattava principalmente di documenti afferenti i terreni nella disponibilità di Codep, perchè in proprietà o in affitto.
Se di proprietà di Codep, tali terreni dovevano essere coltivati a cura della medesima; se concessi da un diverso e distinto proprietario  la coltivazione rimaneva onere di costui.
Questi terreni furono quindi sottoposti all'esame di un geologo per la valutazione di idoneità: con riferimento anche alla esistenza di eventuali fasce di rispetto in rapporto all'esistenza di pozzi o corsi d'acqua, con valutazione anche della profondità della falda. La possibilità di utilizzo variava anche a fronte della percentuale massima di pendenza consentita, perché bisognava evitare il ruscellamento dei reflui. Quindi il geologo fece la sua valutazione con estrapolazione, dalla totalità dei terreni formalmente disponibili, delle superfici realmente utilizzabili. Il geologo fu identificato nella dottoressa Fiorucci. Seguì poi la relazione agronomica preventiva redatta da parte della sua società per l'utilizzo dei liquami finali, in cui si esclusero i terreni reputati inidonei seppur disponibili, indicandosi invece alla Cooperativa Codep le aree ove portare il liquame "...nel rispetto del quantitativo di azoto che veniva fornito dalla struttura tramite analisi presso il laboratorio..noi avevamo il quantitativo di zoto medio presente in un metro cubo e con quello andavamo a predisporre la comunicazione preventiva che veniva anche redatta in funzione delle colture agricole che venivano poi coltivate perchè non avendo tutte la stessa capacità di assorbimento di utilizzazione si facevano delle valutazioni su quei quantitativi che erno, nelle ultime comunicazioni, 240 chili di azoto nel caso di utilizzasse la parte liquida e 340 chili di azoto ad ettaro nel caso fosse per il palabile. E se eravamo in atea vulnerabile il limite era 170 chilogrammmi per ettaro..".
Ribadiva che i terreni effettivamente idonei erano quelli conseguenti all'esame di cui alla citata relazione geologica, in cui poteva anche indicarsi, rispetto ad una particella disponibile più ampia, una superficie idonea e quindi realmente utilizzabile anche più piccola rispetto alla estensione catastale. E poteva ivi distinguersi la superficie utilizzabile per il riversamento di parte liquida rispetto a quella idonea in caso di riversamento di parte solida.
A fronte delle prime comunicazioni, ricordava il teste, intervenne anche una sequela di integrazioni (effettivamente in atti ndr), atteso che sin dalla redazione della prima comunicazione era emerso che il problema essenziale della Codep era dato dalla sua indisponibilità di superfici agricole adeguate, rispetto all'azoto conferito in impianto. Problema che il teste ricordava essere stato evidenziato, come effettivamente è riscontrabile, nelle stesse comunicazioni agronomiche, laddove venne scritto che solo parte dei liquami a valle erano utilizzabili per la fertirrigazione. Nello stesso contratto stipulato con la sua società la Codep si era impegnata a trovare maggiori quantità di terreni disponibili "perchè altrimenti sarebbe stata destinata alla chiusura.." una volta che si fossero riempite tutte le vasche.
Il contratto prevedeva anche che la cooperativa si impegnava a cercare una "soluzione vera di trattamento di depurazione", tanto che con la sua società  S.Q.A.  erano stati commisisonati studi di valutazione di fattibilità di un nuovo intervento sull'impianto che assicurasse la depurazione e non il trattamento per il biogas, come tale diretto ad abbattere significativamente l'azoto. Questo avrebbe consentito che la superficie necessaria per l'utilizzazione in via agronomica dell'azoto sarebbe stata minore: "...però questo non è mai successo...cioè lo studio è andato avanti ma i costi erano eccessivi.." atteso che il trattamento sarebbe costato troppo. Da qui la continua ricerca, da parte della Codep, di terreni, fino a quando tutto il procedimento, osservava il Cruciani, si bloccò con la chiusura dell'impianto.
Il teste quindi aggiungeva che non aveva mai verificato cosa facesse l'azienda "durante le fasi di fertirrigazione ...". In proposito sottolineava di avere cercato di capire durante le varie fasi "...come lo utilizzavano e quali erano le modalità. E quindi come fate a determinare i quantitativi che vanno sull'appezzamento? In che modo riuscite a controllare che effettivamente rispettate le fasce? Ma erano domande che si facevano. Però io non ho mai avuto riscontro di questo........ ..."
Rammentava altresì un sopralluogo svolto con il Capitano Schiernalunga presso un terreno ove era in corso attività di spandimento e dove trovarono " ....un appezzamento che si era allagato nel senso che si era rotto un tubo e quindi il liquame sversava e aveva fatto un lago..."; tanto che il teste provò vergogna per questa situazione, rispetto alla quale, nel suo ricordo, da confrontare invero rispetto a quanto rappresentato dallo Schienalunga e da altri testi di pg, gli fu fornita come giustificazione la sopravvenuta rottura di un tubo; salvo poi, nel prosieguio della deposizione e in sede di controesame, nel rivedere la foto illustrativa del tubo da cui fuoriusciva il liquame, correggersi e riconoscere che si trattava di un apposito tubo intenzionalmente messo sul braccio di distribuzione, per spargere dallo stesso il liquame. Dunque non si trattava di una rottura. Rammentava anche che, in quella occasione, un tecnico, non meglio identificato dal Cruciani, ed evidentemente riconoscibile nel ct Iacucci, effettuò misurazioni per calcolare la portata del macchinario per lo scarico dei reflui sul terreno. Esaminate le foto riferite al sopralluogo dei Noe del 22.6.2007 (in atti e anche allegate alla CTU del dr. Iacucci) il teste riconosceva in alcune di esse la situazione da lui prima descritta; quindi, nel rilevare altre foto in cui taluni tubi di distribuzione del liquame, di cui ai "bracci o ali" dei rotoni, erano chiusi sottolineava come "evidentemente la distribuzione non avviene in modo omogeneo...."; mentre, quanto alle foto della diversa frazione palabile, rilevava che comunque, secondo la normativa vigente, era prevista la possibilità di effettuare cumuli per poi distribuire tale frazione solida ed interrarla.
Il teste poi, partendo dalla considerazione delle pozzanghere riprodotte in foto, osservava che durante la distribuzione del refluo può accadere che si incontrino situazioni di impermeabilità del terreno diverse, con taluni casi di maggiore difficoltà a penetrarvi, così che è previsto che entro "...le ventiquattro ore successive alla fertirrigazione venga fatta una lavorazione ....l'interramento del prodotto E questo è necessario dal punto di vista agronomico ma anche per una ...corretta gestione perchè si evita che il male odore che arriva ...possa diffondersi sul territorio..."..

Ricordava quindi, che una volta ricevuto l'incarico subito evidenziò gli inadempimenti di Codep per l'utilizzo agronomico dei reflui, a partire dalla assenza di una regolare comunicazione agronomica preventiva.
Con riferimento alla sua prima comunicazione agronomica, ricordava che  rispetto a 350.000 m³ di refluo trattato, tenuto conto dei terreni disponibili e idonei, si potevano utilizzare per la pratica agronomica solo 56mila mc di refluo, cosicchè la scelta fu di utilizzare questo quantitativo e di tenere la restante parte nelle vasche dell'impianto, in attesa peraltro della realizzazione di una seconda vasca di stoccaggio che consentisse, altresì, la realizzazione del già citato nuovo impianto di depurazione. Tuttavia, su domanda del PM, il teste riferiva di non avere poi mai controllato se sui terreni fossero stati riversati solo i quantitativi di liquame indicati nella comunicazione agronomica e non, piuttosto, anche quantitativi in eccesso.
Aggiungeva che rispetto alla prima comunicazione agronomica, il totale riempimento dell'impianto e in particolare della laguna, era una questione di "settimane, di mesi". Tanto che cercarono anche, ad un certo punto, di contattare depuratori dove riversare gli eccessi. Senza tuttavia riuscirci, perchè il depuratore esterno individuato "..non era correttamente dimensionato...".

Quanto ai terreni inclusi per l'utilizzo agronomico dei liquami, riferiva che quelli di proprietà della Codep dovevano essere coltivati dalla medesima, mentre quelli in affitto dovevano essere coltivati dal diverso proprietario. Su domanda del PM riferiva di non sapere chi provvedesse alla coltivazione dei campi di Codep, salvo aggiungere, con un ragionamento di tipo deduttivo, che essendo taluni soci di Codep anche agricoltori oltre che allevatori, questi avevano anche gli strumenti per assicurare la coltivazione.
Sulle modalità di spandimento ribadiva che esso, per norma, doveva essere realizzato in maniera omogena su tutto il campo, che il terreno doveva essere lontano da pozzi d'acqua, con una falda freatica posta ad una profondità maggiore di due metri, e che deve essere coltivato perchè vi deve essere una pianta che utilizzi proprio l'azoto riversato. Azoto che altrimenti, in caso di piogge, verrebbe"lisciviato e va a percolare in profondità...". Inoltre, non era vietato che un terreno fosse in montagna, in ciò evidentemente il teste riferendosi alla diversa norma che impone il rispetto di limiti di inclinazione del terreno, che prescindono, effettivamente, dalla sua precisa collocazione geografica. Rispondendo poi a specifica domanda riguardante terreni siti in Trevi, il Cruciani ricordava che alcuni di tali terreni rimasero inidonei e non furono inseriti nell'elenco ufficiale di cui alla comunicazione agronomica, in ragione del "filtro" in tal senso operato dalla geologa. Tornando poi sul tema della necessità di una effettiva coltivazione dei terreni interessati dallo spandimento, ricordava che la Codep comunicava le notizie sui tipi di coltivazione propria dei vari terreni disponibili; cosicchè il Cruciani con la sua società di riferimento operava il calcolo dell'azoto riversabile. Senza quindi effettuare un controllo anche sulla effettività delle colture.

Quando "...nell'ultima fase.." utilizzarono ad un certo punto terreni lontani dalla Codep, venne attrezzato un carro botte con dietro una barra di distribuzione. Sul piano amministrativo, ogni comune poi doveva ricevere la comunicazione per lo spandimento.
Ricordava quindi la circostanza per cui era stata avanzata una richiesta di rilascio di AIA per la Codep, predisposta dalla sua società: verificando, in una fase iniziale, le carte in possesso, il teste con i suoi colleghi si indusse a far presentare tale domanda secondo il Dlgs n. 59, considerando che già vi era una autorizzazione per l'utilizzazione di fanghi da depurazione che "...ci aveva portato a dire che è un impianto che rientra tra quelli soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale..".
Sopraggiunse però poi, la disciplina di cui al Dlgs 152/2006, secondo cui il refluo zootecnico usato in maniera "agronomica" non doveva più considerarsi un rifiuto; pertanto su richiesta apposita della Codep, la Regione Umbria comunicò che non vi era bisogno del rilascio dell'AIA che invece, se rilasciata, avrebbe tenuto luogo della comunicazione agronomica e degli adempimenti connessi. Codep comunque continuò a redigere i MUD per i rifiuti interni, come l'olio esausto del motore del cogeneratore.
Con la delibera regionale 1492/2006, erano esclusi dai rifiuti anche le acque di vegetazione se utilizzate "tali e quali" salvo poi a dire, il Cruciani, di non ricordare se questa DGR consentisse la possibilità di miscelarle con altre sostanze, come di fatto accadeva all'interno dell'impianto.
Alla fine, ribadiva che l'unico reale problema era costituito dall' insufficienza dei terreni necesssari per l'uso agronomico dei reflui: "non si risuciva ad avere il ciclo chiuso diciamo dell'azoto prodotto dall'allevamento..".

Accennava quindi alla determinabilità del quantitativo di refluo prodotto attraverso il riferimento al peso vivo medio di suini presente in stalla e alla possibilità di stabilire il numero dei capi presenti nel tempo in una stalla mediante il registro di stalla.

In sede di controesame il teste aggiungeva:
- che con la DGR 1492/2006 si commisura la quantità di azoto disponibile con le reali esigenze della coltivazione; la novità di tale normativa fu costituita dalla introduzione della possibilità di riversare azoto su tutte le colture seppure limitatamente alle esigenze effettive delle stesse, mentre con la precedente DGR 1577/2000 talune colture erano escluse;
- che effettivamente la Codep nel 2007 deliberò di realizzare un progetto di ammodernamento dell'impianto, mirato alla riduzione consistente dell'azoto,  chiamato Envis. Verso il giugno 2007 la situazione era migliorata rispetto a prima, ma comunque "ancora non eravamo in condizione...cioè siamo partiti da cento ettari siamo arrivati a seicento settecento però....". Era stata acquista nel medesimo periodo la "cantierabilità" di una seconda laguna per 100,000 mc in funzione del nuovo progetto di depuratore e vi erano anche vasche in cemento che erano di norma usate per stoccaggio di acque di vegetazione, le quali ultime non venivano immesse "..tutte insieme perchè avrebbero cambiato il ph della flora microbica ...quindi si sarebbe spento il depuratore.....quindi serviva metterne un pò per volta di quel prodotto...". Sempre nel giugno 2007, si contattarono impianti per verificare la possibilità di inviare ivi parte dei liquami e nel frattempo intervenne la più volte citata ordinanza 46/2007. Conseguentemente il teste riferiva, ma in maniera generica, che i capi degli allevamenti "piano piano si riducevano" ma " c'è sempre stato qualcuno che aveva in allevamento i capi..". Aggiungeva anche, che in quella fase, dovendosi gli allevatori che disponevano di più di 2000 capi suini o 750 scrofe, anche adeguare alla nuova normativa sull' AIA, che imponeva ammodernamenti, alcuni di essi chiusero e quindi diminuiva il refluo;
- che in relazione al sopralluogo fatto con il Noe e prima descritto, in cui si riscontrò l'impaludamento, non si sapeva da quando il fatto era iniziato e quindi quanto azoto era andato sul campo.
- che nel luglio 2006 egli redasse il primo PUA con firma di Mattoni Renato: in quel momento la situazione era ancora sotto controllo ma era necessario evidenziare che " di li' a breve sarebbe stata inevitabilmente una chiusura..".
- che si rapportò essenzialmente con i Presidenti dell'epoca, Mattoni Renato Schippa Paolo, Proietti, e Siena e che in generale tutti i consiglieri conoscevano i problemi, non meglio definiti, di Codep; quanto a Rinaldo Polinori,  "...non era uno dei protagonisti della cooperativa ...era un conferitore importante dell'impianto..però era..non gestiva ..non era molto attivo gli altri erano molto più presenti...";
- che non ricordava la presenza di un contalitri e che comunque conoscendo la capacità di portata della pompa di distribuzione, bastava contare quanto tempo la si teneva accesa per stabilire i quantitativi riversati; tuttavia non aveva mai visto una documentazione interna sul tempo di accensione delle pompe usate per riversare i liquami;
- che la zona intorno all'anello irriguo sul comune di Bettona era tutta vulnerabile. Tale deve considerarsi la zona nella quale sia stata rinvenuta una alta quantità di azoto in falde;
- che il fermo agronomico era previsto dalla DGR 1492 e dalla DGR 2052 e corrispondeva a due o tre mesi nel periodo invernale e riguardava le aree vulnerabili;
- che quando predispose la pratica per l'AIA vi era già una autorizzazione per utilizzo di fanghi, e per emissioni in atmosfera, mentre non ricordava se vi era autorizzazione per acque di zuccherifici.
- che il numero 075 5970727 di cui alla telefonata trascritta avente n. di progressivo 1007 era un numero telefonico di Confagricoltura (di cui lui faceva parte quale impiegato e di cui la SQA era una promanazione) Era un numero che lui usava anche se non in via esclusiva;
- che terminò il suo incarico nell'ottobre del 2008 quando l'impianto chiuse. Comunque, secondo il teste mai venne superata la linea di non ritorno perchè nel tempo mutavano le condizioni complessive: degli allevamenti, che diminuivano, come dei terreni, che aumentavano, e anche dei quantitativi di azoto ("..il quantitativo di azoto anche quello cambiava e in funzione di quello potevo dare più o meno mc.."). Così che si rimodulavano, aggiornandole, le comunicazioni agronomiche. La Codep informava la sua struttura dei quantitativi di liquami entrati, di quelli sparsi, come dei quantitativi che rimanevano nelle vasche.

Affermazioni che tradiscono il tentativo di ridimensionare le anomalie invece prima riferite e comunque riscontrate dal complesso dell'istruttoria.
Tanto più ove si ponga anche mente ad alcune intercettazioni riportate di seguito, da cui traspare un personaggio non sempre pronto nel tenere un atteggiamento attento e corretto nell'affrontare le tematiche di competenza.

Peraltro, anche gli accenni sulla incidenza della fase di produzione del biogas e più in generale sulle capacità dell'impianto di riduzione delle sostanze in ingresso appaiono stranamente fumose e fuorvianti, ove si tenga presente che è appurato che quel tipo di macchinari e di trattamento assicurava riduzioni diverse a seconda del tipo di sostanza, incidendo in misura ridotta sui quantitativi di azoto.

Nel corso di tale deposizione il PM produceva il fascicolo di rilievi fotografici predisposto dai CC del Noe (in particolare il maresciallo Colavita) in occasione dell'accertamento del 22.6.2007, su cui interveniva il consenso all’utilizzazione ad opera di tutte le parti, comprensivo anche dell’utilizzo delle indicazioni delle particelle raffigurate, ma con esclusione delle didascalie di commento ivi riportate. Si tratta, si ribadisce, di foto illustrative di ampie pozzanghere d’allagamento. Emerge anche la presenza alle estremità delle “ali” di un tubo con sottostante un'ampia pozza. Altre foto illustrano numerose ed estese pozzanghere sui terreni interessati dal "rotone" presente. Una foto descrive anche la presenza di fanghi su un terreno. Il consenso interveniva anche su una annotazione di pg del 22.6.2007, prodotta solo per rinvenire e utilizzare l'indicazione delle particelle ispezionate.

AA - Il geologo, dr.ssa Fiorucci.

La teste svolse la sua attività, in funzione della comunicazione agronomica di Codep. Ella collaborò direttamente con la SQA: alla luce della normativa sopraggiunta predispose solo il documento di valutazione di idoneità dei terreni indicatile dalla Codep. Si trattò di verificare tra l'altro le fasce di rispetto, le zone vulnerabili etc. Alla fine consegnò la sua relazione all' agronomo Cruciani, che la inserì in una comunicazione agronomica.
Nello svolgimento di questo incarico ella esaminò l'elenco dei terreni, la base catastale, se si trattasse di seminativo od altro; usò la base catastale verificando le distanze da pozzi, la profondità della falda; effettuò anche sopralluoghi talvolta, ma dedusse molte informazioni dalle carte: tra queste le pendenze dei terreni,  deducibili dalle CTR. I sopralluoghi furono svolti per lo più, ad esempio, per esaminare i pozzi, per assicurarsi che la profondità di falda fosse idonea allo spandimento. Le capitò di escludere terreni, ad esempio perché collocati in fasce vulnerabili a vulnerabilità "alta", o per le pendenze troppo elevate. Non ricordava se escluse terreni siti in Trevi.
Ricordava di aver fatto uso all'epoca del cellulare con numero 328 8234221 e riconosceva, seppur successivamente mostrando incertezza, di avere commentato telefonicamente con Cruciani l'esclusione di terreni, probabilmente parlando di "fossi e scatafossi"; così usando comunque una mera una forma gergale, per intendere "cose scoscese" ed aggiungendo che, probabilmente, poteva riferirsi a terreni siti in Trevi.  
In tema di pendenze poi, riferiva che il parametro normativo massimo di riferimento era - per quanto ricordasse al momento della deposizione - pari ad un valore del 15% e non sapeva dire se i terreni di Trevi interessati eventualmente dal predetto limite di pendenza furono poi inseriti o meno nella dichiarazione agronomica finale della Codep:  "io producevo un foglio excel. Poi io quello che ci fa e quello che ci facevano non lo so...".
Aggiungeva ancora che mai Cruciani le disse di avere inserito nella comunicazione agronomica terreni da lei esclusi e che il suo giudizio di idoneità su ogni terreno poteva anche aver rigurdato solo una parte di esso, come del resto già sostenuto dallo stesso Cruciani. Furono escluse anche aree cd. "ad alta vulnerabilità".
I fogli dove indicò l'idoneità o meno dei terreni non furono da lei firmati ma vennero più semplicemente consegnati da lei al Cruciani.

BB - I trasportatori e i titolari dei terreni indicati dalla Codep per la fertirrigazione.

Va premesso che si tratta di testi introdotti dal PM, che sono stati chiamati a riferire in tema di trasporti di liquidi verso la Codep e in tema di spandimento di liquami su propri terreni.
Pertanto, non potendo la Corte sin dall'inizio stabilire se trattavasi di dichiarazioni suscettibili di tradursi in elementi  auto - accusatori per tali soggetti, in tema di reati in materia di rifiuti, solo dopo una complessiva considerazione della deposizione, in rapporto alle risultanze finali della istruttoria dibattimentale, è stato possibile stabilire l'inutilizzabilità delle dichiarazioni di taluni di essi, di seguito indicati. Se ne riporta comunque il sunto della deposizione, anche per la migliore comprensione della suddetta scelta.
Tale scelta si impronta, in particolare, sulla valutazione di un duplice profilo:
- sul dato, emerso in dibattimento e ricavabile anche in contestazione, per cui la Codep dall'ottobre del 2007 non risultò più titolare di autorizzazione alla ricezione di rifiuti, unito con la considerazione, meglio illustrata appresso in sede di motivazioni, per cui i citati conferimenti di acque di vegetazione devono qualificarsi in termini di conferimento di "rifiuto liquido", con conseguente abusività dei medesimi in assenza appunto di titolo abilitativo al conferimento/ricezione;
- sul dato, che sarà anche esso illustrato in motivazione, per cui la Codep non riuscì mai ad effettuare una corretta pratica di utilizzazione agronomica dei liquami, per cui quelli in particolare trasportati con autobotti in terreni lontani devono considerarsi "rifiuti liquidi", smaltiti abusivamente sui terreni.  
Da qui, in considerazione degli oneri di informazione circa l'esistenza dei titoli abilitativi e di corretta gestione che incombono sui trasportatori come sui produttori del rifiuto e più in generale sui "gestori" del medesimo, emerge la necessità di dichiarare l'inutilizzabilità di alcuni dei seguenti testi. Tanto a causa delle dichiarazioni indiziarie auto - accusatorie da loro stessi rese, di cui, per le ragioni anticipate sopra, si riporta il contenuto e l'eventuale dichiarazione di inutilizzabilità.
Va comunque anche ricordato, come pure riportato in questo paragrafo nelle pagine immediatamente seguenti, che la Corte già cogliendo la possibilità di tale problematica si è premurata in dibattimento - dopo le prime deposizioni, e nella eventualità che anche le successive fossero del medesimo tenore, in termini di eventuale inutilizzabilità - di richiamare i suesposti criteri valutativi dei testi, tutti del PM, riservandosene la successiva conclusiva applicazione.

Omissis

CC - I testi in servizio presso l'Arpa.
Mirko Nucci.
Responsabile del servizio rete monitoraggio acque dell'Arpa, presso il Dipartimento Provinciale, di Perugia, il teste ne illustrava preliminarmente l'organizzazione interna: il Dipartimento Provinciale è suddiviso in settori tematici facenti capo al Direttore del Dipartimento. Sussistono poi le sezioni territoriali ciascuna competente per il proprio territorio di riferimento. I servizi dunque, sono dotati di competenze per materia a livello provinciale, le sezioni sono titolari invece di competenze generali in ambiti territorialmente delimitati.
Precisava che per quanto gli risultava, la competenza sull'attività svolta dalla Codep spettava alla sezione territoriale dell'Arpa facente capo alla dr.ssa D'Amico, la quale operava su un'area comprendente i territori di Todi, Marsciano e Bettona.

Illustrava quindi le proprie specifiche competenze, inerenti il monitoraggio di acque superficiali e sotterranee sia mediante controllo "in continuo", con centraline di verifica stabili, sia mediante monitoraggio "discreto", ossia effettuato  su date zone e solo in determinati momenti.
I parametri di tipo ambientale, presi in considerazione per definire la qualità dei corpi idrici sotterranei, e valutati nella citata attività di monitoraggio, sono dati dal Dlgs 152/99 e del 2006, oltre che dal Dlgs 30/2010; mentre i parametri di potabilità delle acque sono diversi e di competenza dell'ASL.
Il teste quindi illustrava attività svolte in connessione con la gestione di reflui operata da Codep.
Rammentava di avere esaminato dati provenienti dal monitoraggio continuo delle acque: dati inerenti acque superficiali e in particolare del fiume Chiascio. Ricordava altresì di avere analizzato le acque sotterranee poste nella zona afferente l'anello irriguo di Bettona.
Quanto al monitoragio del Chiascio, osservava che ci si era avvalsi di tre stazioni di monitoraggio: una posta sul fiume Topino, prima della confluenza con il Chiascio, la seconda posta sul Chiascio prima della confluenza nel Tevere, la terza sul Tevere subito dopo la confluenza del Chiascio.
Il teste quindi riferiva che dall'inizio dell'utilizzo di tali stazioni da parte del suo Dipartimento, coinciso con l'anno 2004, sopratutto sulle stazioni del Topino e del Chiascio si accertarono, a fasi alterne, dei segnali di presenza di inquinanti "generici", secondo picchi "bruschi" che dall'ottobre del 2004 si ripetevano di notte e con cadenza giornaliera. Si aggiunsero quindi, quale oggetto del monitoraggio, parametri ulteriori rispetto a quello unico ed originario di "conducibilità elettrica", che era solo un indicatore del "rilascio generico di inquinanti"; così, tra il gennaio ed il luglio del 2008 si installò un elettrodo specifico per il monitoraggio dell'azoto ammoniacale, siccome presente tanto nei reflui di natura zootecnica che umana. Si cercò nel contempo di caratterizzare chimicamente i picchi rilevati, al fine di attribuire loro una plausibile origine. Ciò in quanto nei reflui di natura zootecnica esiste una elevata concentrazione di rame e zinco, in quanto inseriti nella tipica alimentazione dei capi suinicoli al fine di farli ingrassare rapidamente. Quindi, la presenza di azoto ammoniacale associato con rame e zinco "avrrebbe lanciato l'ipotesi che l'evento potesse essere stato originato dal rilascio di liquami di natura zootecnica..". Nel contempo si cercò di verificare anche l'eventuale presenza, nei "picchi", di tensioattivi, perchè in caso di rilascio di reflui fognari, ad uso civile, in genere si riscontra nei corsi d'acqua un incremento di tensioattivi, per cui la valutazione anche di questi ultimi permetteva alfine di ricondurre i picchi a liquami zootecnici o a liquami umani.
Il teste poi precisava che la stazione di monitoraggio relativa al fiume Chiascio era a circa 2,8 Km. dalla laguna della Codep.
Il 18.1.2008, in particolare, vi fu un'emergenza ambientale per la presenza nel Chiascio di acqua “ di pessimo aspetto e con schiuma.....”, così che l'Arpa si attivò prelevando campioni, previo allarme rilevato dalla stazione di monitoraggio sita sul Chiascio (Ponte Rosciano) e sul Tevere.
Il picco rilevato sul Chiascio iniziò verso le 2 di notte e durò circa 20 ore. Poi venne anche rilevato a valle dalla stazione di monitoraggio sita dopo la confluenza del Chiascio sul Tevere, ma in forma più attenuata. Si misurarono sui campioni, allora, concentrazioni di 1,3 microgrammi su litro di azoto ammoniacale, 4.1 microgrammi su litro di rame, e una quantità non rilevante ma percettibile di tensioattivi. Non emerse anche lo zinco, perché esso fu analizzato dal laboratorio dell’agenzia ma con un limite di rilevabilità strumentale troppo alto, parti a 20 microgrammi al litro. Alla luce di tali dati e del contesto generale, si giunse a supporre che la causa dell'evento fosse stata determinata da un rilascio di natura zootecnica. E si redasse una relazione ove “ in maniera….estremamente approssimativa” si determinò la quantità di liquami di natura zootecnica che poteva avere generato quell’evento, partendo da due diversi ipotetici presupposti: il primo, che fosse liquame non trattato, il secondo, che invece si trattasse di liquame pretrattato. Ciò perchè, avendo le due categorie di liquami una quantità di azoto ammoniacale necessariamente diversa (maggiore in quelli non trattati), la concentrazione riscontrata avrebbe rimandato a quantità di liquami diverse. E si stimò alfine il rilascio  "...se non ricordo male di di 130 mc ove fosse stato rilasciato liquame non trattato, e poco più di 200 mc. in caso di liquami pretrattati. Sempre nell'ipotesi che si fosse trattato di liquami di natura zootecnica.""
Aggiungeva comunque, che tale relazione aveva uno spessore scientifico “buono ma non eccellente” con “ delle ingenuità”, in quanto era stato prelevato solo un campione, cosicchè non si riuscì a caratterizzare tutto il picco.

Un successivo lavoro svolto nel marzo del 2009, invece, fornì risultati “ molto più concreti ed affidabili”.
Invero, da gennaio del 2009 furono notati di nuovo picchi anomali, che si ripetevano con una “determinata cadenza” e alla fine di febbraio si individuarono due o tre picchi,  cosicchè con i suoi collaboratori decise di installare un campionatore automatico per prelevare un flacone ogni ora, che concordasse con i valori orari rilevati dalla stazione di monitoraggio. In tal modo riuscirono a caratterizzare in pieno uno di questi picchi "anomali", quello del 6.3.2009.
Presero quindi undici campioni, il primo riferito al picco del giorno prima, gli altri riferibili al picco del 6.3.2009.
Emerse una netta correlazione tra rame, zinco e azoto ammoniacale, rilevato dall’elettrodo della stazione, mentre non sussisteva alcuna correlazione con i tensioattivi, del tutto assenti.
Da ciò derivò la certezza che quell’evento “ e preresumibilmente anche gli analoghi che l’avevano preceduto”, potevano ricondursi  al rilascio di liquami zootecnici. Fu redatta una relazione illustrativa di quanto sopra riportato (acquisita, trattandosi di atto elaborato all'interno di una autonoma attività di verifica amministrativa, avendo il teste precisato che a monte non vi fu alcuna richiesta esterna di attivazione per l'Arpa, in particolare di organi giudiziari); in essa alfine (cfr. pag. 14 figura 3.1.) si correlò la concentrazione di azoto ammoniacale rilevata dalla stazione di monitoraggio con il rame e zinco riscontrati nei campioni suindicati, rilevando che quando l’azoto risultava alto anche il rame e lo zinco presentavano concentrazioni più elevate. Quando diminuiva l'azoto diminuivano gli altri parametri suddetti, perchè il picco operava " a fasi alterne".  
Sucessivamente intervennero altri controlli, ma il teste ricordava che non riuscirono mai più ad avere una "nettezza" di risultati di tale tipo.
In sede di controesame aggiungeva che :
- per sua esperienza picchi particolari di una certa entità come quelli presi in considerazione non nascevano da fognature. E con deduzione logica ritenne con i suoi colleghi che anche i picchi anteriori a quello caratterizzato fossero dello stesso tipo.
- fece una relazione statistica sui risultati emersi dall' 1.1.2008  al 31.7.09, con dati delle stazioni di Bettona e Ponte Rosciano.
- per tale periodo intervennero 403 picchi anomali, il 57 % circa di notte, il 75% in concomitanza con eventi piovosi, e la pioggia, osservava il teste, può determinare l’attivazione degli scolmatori di piena dei depuratori, così come può essere occasione per il riversamento di tipo doloso, atteso che in tal modo si "maschera" meglio il refluo sversato;
- sulla stazione di monitoraggio del Chiascio si rilevarono eventi statisticamente più duraturi rispetto a quelli segnalati sul Topino (così dunque evidenziando sversamenti anche a monte del Topino). Di tanto fu redatta una seconda relazione, di cui nessuna parte comunque disponeva.
Il teste aggiungeva che il valore dell’azoto ammoniacale di cui ai dati poi esaminati nella relazione era indicato da un elettrodo “un po’ impreciso”, tanto che tale indicatore non viene neppure riportato nelle pubblicazioni ufficiali dei dati di monitoraggio periodicamente raccolti da Arpa, perché “ non hanno un livello di dettaglio tale diciamo da soddisfare i nostri requisiti di qualità interna quel valore nello specifico di azoto ammoniacale non viene pubblicato”.

Quanto alle segnalazioni delle centraline che monitoravano l’acqua superficiale, e quindi i relativi dati, riferiva che essi erano osservati ogni giorno, per poi consentire alle sezioni territoriali di intervenire per eventuali problemi. Da febbraio 2005 le segnalazioni erano comunque inviate, dal servizio cui era preposto il teste, solo al direttore del Dipartimento, il quale  poi provvedeva secondo le sue competenze. Solo da aprile del 2009 il direttore chiese di inviarle anche ai responsasbili delle sezioni territoriali, oltre che al Direttore tecnico.

Va precisato che proseguendo la sua deposizione, anche mediante controesame, il teste ammetteva che nel periodo di monitoraggio lungo il segmento fluviuale di interesse vi erano oltre alla Codep anche diversi allevamenti, pur non conoscendo bene nel dettaglio la situazione. Non sapeva quindi se in quel periodo gli allevamenti avessero o meno capi di animali e quanti.
Conseguentemente riconosceva che non era in grado di attribuire i picchi esaminati a sversamenti di liquami provenienti dalla Codep, atteso che quei "picchi" avrebbero potuto dipendere anche da sversamenti provenienti da altri centri produttivi di liquami, trattati o anche non trattati. Ricordava su domanda, che nella zona insistono anche due depuratori importanti: uno di Spello, collocato a monte della Codep, con il relativo scarico posto a monte della prima stazione di monitoraggio, presso il torrente Ose, che è un effluente del Topino. Cosicchè i relativi malfunzionamenti emergono da rilevamenti della stazione di monitoragio posta sul Topino.
Altro depuratore ancor più importante è quello di Costano, posto a sette km e mezzo dalla stazione di monitoragio di Ponte Rosciano, collocata sul fiume Chiascio. Il depuratore con il relativo scarico è a monte della Codep.
Ribadiva alfine l'impossibilità di ricondurre gli sversamenti ipotizzati alla Codep piuttosto che ad altri gestori di animali o comunque di relativi liquami, e riconosceva altresì che nella relazione esibitagli in precedenza dalla difesa aveva osservato che non era possibile, comunque, determinare l'origine organica o chimica dell'azoto rilevato. Solo indagini isotopiche avrebbero forse potuto rivelarlo, come tali forse realizzabili, a detta del teste,  dal CNR e non dall' Arpa.
 
Il Nucci quindi accennava anche ad attività di monitoraggio delle acque sotterranee: in particolare gli fu chiesto, a partire dall'agosto del 2009, di monitorare la qualità delle acque sotterranee nella zona afferente l’anello fertirriguo e quindi a nord est dell’impianto della Codep. Si visitarono quindi periodicamente 18 pozzi di natura privata, con cadenza quadrimestrale, poi semestrale e poi annuale e dopo due anni la Regione Umbria chiese di ampliare la zona monitorata, perché fu riperimetrata la zona, definita vulnerabile da nitrati, di Petrignano di Assisi.
In tal modo esaminò con i colleghi  come si è evoluta la contaminazione da nitrati nel sottosulo” attraverso i dati di cui al predetto periodo.
Il teste redasse relazioni per ogni campagna, l'ultima del maggio 2014 che contiene la serie storica più importante.
Premetteva al riguardo che la geologia della zona è disomogenea: sabbie argille etc. e disomogenei sono i pozzi privati, non conoscendosi la profondità. Cosìcchè si potevano usare solo indicatori statistici generici per illustrare la situazione (indicatori statistici sintetici sono invece come noto la media e la mediana). Alla fine gli operatori considerarono le concentrazioni di nitrati emergenti da dati forniti dai 18 pozzi e determinarono la media, e nel tempo verificarono l’andamento del valore.
Con particolare riferimento alla campagna svolta tra l'agosto del 2009 e il settembre del 2009, riscontrano una contaminazione rilevante da nitrati. Sembrava, al teste, pari a 150 mg per litro, per un valore massimo normativo di 50 milligrami/litro. Nel tempo poi, la situazione è andata migliorando in maniera altalenante, anche a seconda delle condizioni climatiche, perché i nitrati si distribuiscono sul terreno e poi con le piogge vanno in falda e la contaminano.

Sempre con riguardo al riferito studio delle acque sotterranee, precisava che  pur a fronte di una zona geologicamente omogenea a quella studiata, che si diparte dall'area di Petrignano e viene delimitata lungo Assisi Bettona e Cannara, con i suoi collaboratori esaminò solo 18 pozzi e siti solo sulla zona del cd. "anello irriguo". Su Petrignano furono realizzati altri studi non svolti da lui ma da un altro gruppo, trattandosi per quest'ultima, di zona vulnerabile da nitrati, non rientrante nelle sue competenze interne.  
Sempre quindi su domanda della difesa, che esibiva un Bollettino regionale 2014 dell'Umbria, ove si fa riferimento a una relazione del teste che citava l'attività sui 18 pozzi, il Nucci ripercorreva parte di tale pubblicazione con riguardo ad un passaggio inerente al periodo 2012 - 2013, per il quale si osserva che l'andamento di medie e mediane " mostrano .......un marcato e repentino peggioramento rispetto alle ultime campagne pur rimanendo in un contesto complessivamente positivo nel medio ternine..." In particolare, la concentrazione media di nitrati risultante dalle campagne del 5/13 e del 5/12 risultava raddoppiata. Al riguardo il teste forniva una spiegazione individuata in motivi climatici, stante per il 2012 la sussistenza di una forte siccità e per il 2013 la sopravvenienza di una stagione piovosa, cosicchè nel 2013 l'azoto ammoniacale rilasciato sui terreni scese in falda, mentre nell'anno precedente era rimasto nei terreni.

Aggiungeva che varie zone dell'Umbria sono dichiarate vulnerabili da nitrati e che la presenza di azoto in falda costituisce un problema diffuso, in Italia e in Europa.

All'esito si depositava una relazione su "eventi anomali nel chimismo delle acque riscontrati nel mese di marzo 2009" dal contenuto analogo a quanto sul punto riferito dal teste; compresa l'impossibilità di stabilire sia l'origine tipologica "certa" dell'inquinamento, pur propendendosi in via "presumibile" per una fonte  di tipo zootecnico, sia l'origine geografica, essendo prevalente la possibilità di localizzarla in area lungo il fiume Chiascio ma senza escludere, seppure in via "remota", un'origine geografica in area posta lungo il soprastante fiume Topino.
Altro documento, confermativo dei passaggi salienti della deposizione, riguarda il "riadeguamento della perimetrazione nella ZVN di Petrignano di Assisi e nuovo programma di azione". Cio' che in qui peraltro rileva è il riferimento, in tale atto, ad un incarico affidato con DGR del 2010 all'Arpa, nel senso di operare un monitoraggio delle acque sotterranee e superficiali nonchè di suoli ricadenti in un'area di ampliamento "della ZVN di Petrignano di Assisi e una sua porzione già designata relativa all'anello fertirrigio Codep ". Si tratta per quest'ultima, di area già in passato oggetto di monitoraggio, attraverso i 18 pozzi come riferito dal teste, laddove invece i nuovi monotoraggi risultavano svolti su 51 pozzi "..che rispecchiano la variabilità spaziale e verticale dei depositi fluvio lacustri presenti nell'area in esame (ghiaie sabbie limi e argille) .." oltre ad aversi " ..una forte variabilità stratigrafica ...in queste condizioni non è semplice capire se i pozzi attingano acque riconducibili a falde freatiche a falde in pressione oppure ad entrambe e di conseguenza se alcune specie chimiche siano presenti per motivi naturali ( es. ammoniaca in falde in pressione ...) oppure per cause antropiche....Tali informazioni sono utili per valutare il problema della contaminazione da nitrati : le falde freatiche sono direttamente interessate dal "trasporto' verticale dei nitrati/nitriti/ammoniaca contenuti nel suolo ad opera delle piogge ...Le falde in pressione invece hanno  un'area di ricarica che può essere sensibilmente distante dal punto di osservazione (pozzo) e potrebbero non essere rappresentative delle condizioni del suolo nell'area ad esso circostante; essendo inoltre in condizioni riducenti, al loro interno la la forma stabile dell'azoto non è più il nitrato bensì lo ione ammonio...".
Questo passaggio, come sarà appresso meglio illustrato, è sintomatico della difficoltà e complessità delle indagini da svolgere per addivenire a conclusioni sicure su eventuali situazioni di inquinamento delle falde e sulle loro cause.

DD - Il teste della difesa: Marchetti Giancarlo

Gli argomenti trattati dal teste Nucci rendono opportuno riportare, subito dopo, l'illustrazione delle dichiarazioni rese da un teste introdotto dalla difesa dell'imputata D'Amico.
Marchetti Giancarlo, direttore tecnico dell'Agenzia Regionale per la protezione ambientale dal 1999, rammentava che sin dai primi studi sulle falde acquifere umbre si rilevò in taluni casi la presenza di inquinamento da nitrati. Esaminati documenti prodotti dalla difesa e relativi a pubblicazioni cui aveva partecipato egli stesso, il Marchetti procedeva alla relativa illustrazione, rappresentando, in sintesi, che nel corso degli studi accennati:
- si era accertato che nella valle Umbra c'erano aree con presenza di nitrati in valori anomali, anche superiori a 50 mg/l, tra cui l'area di Petrignano;
- l'Arpa nel 2000 elaborò una proposta indicando alla Regione Umbria le aree da sottoporre ai limiti propri delle "aree vulnerabili" da nitrati.
Aggiungeva che la determinazione della origine antropica o animale della presenza in falda di nitrati consegue a studi particolari, quali le indagini isotopiche o anche analisi batteriologiche.      

16. La valutazione delle prove.

17. I capi f) g) h) i).  

Alla luce degli elementi di prova raccolti e dei principi giuridici preliminarmente illustrati, occorre innanzitutto sottolineare come la valutazione delle contestazioni formulate passi preliminarmente attraverso l'esame della fondatezza o meno dei capi di imputazione inerenti alle attività di gestione dei liquami (relativi alla fattispecie di cui all'art. 260 Dlgs 152/2006), atteso che gli altri capi di imputazione sono stati formulati secondo un rapporto di stretta derivazione dalle predette condotte.

Sul piano giuridico invece, occorre evidenziare innazitutto il criterio fondamentale con cui analizzare le predette condotte di gestione dei reflui zootecnici, così come emerse. Criterio che si identifica nella distinzione tra "scarico" e "rifiuto liquido"
Consegue che quanto agli effluenti conferiti stabilmente e direttamente alla Codep mediante l'illustrato sistema di condotte di adduzione, e altrettanto stabilmente e ininterrottamente trattati e quindi distribuiti sui terreni mediante il cd. "anello fertirriguo", essi integrano forme di "scarico" e quindi, ove non operi la disciplina derogatoria assicurata in caso di corretto ed effettivo utilizzo agronomico dei liquami così riversati, rientrano nell'ambito della disciplina corrispondente in materia di tutela delle acque (di cui al Dlgs 152/99 prima e alla parte III del Dlgs 152/2006 poi). Infatti, il sistema di conduzione dei liquami, dagli allevamenti fino all'impianto della Codep e da questo verso i terreni raggiunti direttamente con l'"anello", è stato attivato e gestito in maniera stabile ed ininterrotta, così come richiesto dalla giurisprudenza in precedenza richiamata al fine di configurare la sussistenza di uno "scarico" di reflui. Così che appare al riguardo sufficiente richiamare, ad ulteriore precisazione della piena corrispondenza tra il suddetto sistema di gestione dei liquami e i principi legislativi e giurisprudenziali in materia di "scarico", la già citata pronunzia della Suprema Corte secondo cui, rientra comunque nella nozione di scarico, la canalizzazione che risulti anche soltanto periodica o discontinua o occasionale di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazione, o altro sistema, stabile, di canalizzazione (cfr. Cass.  Pen. Sez. III. Sez. 3, Sentenza n. 47038 del 07/10/2015 Ud. (dep. 27/11/2015) Rv. 265554 Presidente: Franco A. Estensore: Di Nicola V. Relatore: Di Nicola V. Imputato: Branca). Laddove quindi, anche l'eventuale esistenza di intervalli temporali in relazione alla attività di spandimento attraverso "l'anello fertirriguo" non esclude  la configurabilità della predetta nozione di "scarico".
Al contrario, i liquami o comunque il materiale liquido conferiti dagli allevamenti o dai frantoi in Codep mediante autobotti, assieme agli effluenti poi trasportati e sversati dalla Codep stessa su terreni lontani, con i medesimi automezzi, integrano forme di gestione di "rifiuto liquido", e quindi, ove non operi la disciplina derogatoria assicurata in caso di corretto ed effettivo utilizzo agronomico dei liquami così riversati, rientrano nell'ambito della normativa corrispondente (prima il Dlgs 22/97 e quindi la parte IV del Dlgs 152/2006).

Tanto premesso, considerato che in relazione al reato ex art. 260 Dlgs 152/06 sono state formulate due contestazioni, l'una di cui al capo g) nei confronti di Giammarioli Nicoletta, Longetti Sergio, Mattoni Renato Mencarelli Giuseppe, Meschini Giuseppe, Proietti Giampaolo Schippa Paolo Taglioni Renato Mattoni Giovanni Polinori Rinaldo, condotte commesse in Bettona sino al 2007, l'altra, pressochè "gemella", al capo b), nei confronti di Siena Graziano, Polinori Rinaldo Taglioni Nicola Zanotti Stefano, Bagnetti Antonio Berretta Gianni, D'Amico Susanna, Longetti Sergio Mattoni Giovanni Mencarelli Massimo Menganna Claudio, con condotte commesse in Bettona Bastia Bevagna e Cannara sino al luglio 2009, occorre esaminare innanzitutto la contestazione di cui al capo g).

Tanto si impone non solo per ragioni di tipo cronologico, atteso che i fatti di cui al capo g) sarebbero avvenuti sino al 2007, bensì anche per ragioni inerenti il tipo di approfondimento probatorio raggiunto.
Infatti, per quanto sinora illustrato, le indagini sono state svolte solo in minima parte nel 2006 (con primi accessi presso l'impianto della Codep svolti dal Ct Iacucci in qualità, all'epoca, solo di ausiliario di pg), mentre sono state concretamente e costantemente avviate solo a partire dal giugno del 2007, con l'effettuazione di accertamenti sempre presso il predetto impianto e la realizzazione di attività di prelivo e campionamento. Sono del periodo indicato nel capo g), altresì, i due verbali di incontri tra pubbliche autorità e rappresentanti di Codep tenutisi in Bettona e sopra descritti in sede di riscostruzione documentale dei fatti, le due comunicazioni agronomiche di Codep del 2006 (a firma dell'allora Presidente Mattoni Renato) e quindi del 2007, assieme alle missive con cui il Presidente di Codep del 2007 cominciò a sollecitare il Comune di Bettona ad intervenire per fronteggiare lo stato di emergenza conseguente all'intervenuta saturazione della cd. "laguna di stocaggio"  (atti quindi tutti a firma di Graziano Siena, che tuttavia non è imputato per i fatti di cui al capo g)). Risalgono agli ultimi 4 mesi del 2007 - anno finale della contestazione in esame - l'ordinanza 46/07 del Comune di Bettona per il dimezzamento dei capi presenti negli allevamenti direttamente connessi e conferenti in Codep, in uno con il cd. "divieto di reinstallo" nonchè l'autorizzazione a realizzare una seconda laguna"provvisoria"; altre missive del Siena sul mancato rispetto dell'ordinanza da parte di taluni allevatori soci di Codep; la delibera per la realizzazione di un nuovo impianto di ammodernamento della Codep, nella prospettiva di una migliore riduzione del carico d'azoto degli effluenti; l'avvio di procedimenti interni alla Codep con l'esclusione di taluni soci, anche morosi. Per la rimanente parte di atti assunti nell'epoca in esame si rimanda alla lettura dell'analitica esposizione contenuta nell'apposito paragrafo.
Sul piano fattuale è emerso che fino al 2007 - in particolare fino all'ottobre del 2007 alla luce della data dei Fir allegati alla consulenza del dr. Iacucci - vi furono periodici conferimenti annuali, a mezzo autobotti, di acque di vegetazione provenienti da frantoi, per lo più umbri. La Codep era munita all'epoca anche di autorizzazione alla ricezione di rifiuti liquidi, rimasta operativa fino all'ottobre del 2007. Sempre verso la fine del 2007 furono conferiti circa 100 mc di emulsioni oleose provenienti da una raffineria colpita da un incendio, come anche meglio illustrato nelle pagine precedenti.
Sempre sul piano fattuale, rimandano a quest'epoca talune conversazioni intercettate e intervenute tra taluni degli imputati, per la cui imputazione soggettiva sovvengono ampiamente illustrazioni fornite in tal senso talvolta dai diretti interessati (con la specificazione della propria utenza telefonica o comunque il ricordo della singola conversazione), talaltra in via breve e incidentale da alcuni testi del Noe e poi, in gran parte, dalle specificazioni fornite dal teste Capitano Schienalunga a seguito della sua nuova convocazione disposta da questa Corte su tale aspetto, ai sensi dell'art. 507 c.p.p.
Cosicchè possono in sintesi riportarsi le seguenti interlocuzioni telefoniche:
- telefonata n. progressivo 571 del 28.5.2007 in cui Schippa Paolo e Polinori Rinaldo discutevano del possibile esito delle nuove elezioni per la presidenza della Codep: Polinori Rinaldo premetteva di non avere il tempo necessario per potere assumere la carica, dopo che la stessa era stata ricoperta già dallo stesso Schippa Paolo e, a fronte delle paventate dimissioni da parte dell'allora Presidente Giampaolo Proietti, discutevano dapprima dell'opportunità di ottenere l'elezione di un "tecnico" e comunque di far coadiuvare il prossimo Presidente con una figura di ausilio, un direttore, e poi parlavano anche della possibilità che si candidasse Mattoni Renato, manifestando comunque compiacimento "perchè ci va una persona che deve averci i maiali dentro; ....il direttore serve serve l'approvazione del bilancio..". In una successiva telefonata del 5.6.2007 n. prog. 857, Rinaldo Polinori rappresentava allo Schippa la possibilità di proporre un ampliamento del numero dei componenti del Consiglio di Amministrazione così includendo anche la possibilità di eleggere Presidente un "non socio". In altra n. 1339 del 20.6.2007, parlavano quindi di deleghe per la votazione;
- telefonata n. prog. 6984 del 31.65.2007 in cui Schippa Paolo parlava con Giammarioli Nicoletta che sembrava declinare ogni possibile ruolo in Codep;
- telefonata n. prog. 1007 del 11.6.2007 tra Schippa Paolo e Igor Cruciani in cui i due discutevano dell'acquisizione di terreni a fini agronomici per la Codep: ad un certo punto il Cruciani avendo affermato che i terreni andavano pagati poco - considerato che rimanevano nella disponibilità di chi li forniva, che continuava a suo giudizio coltivarli - e considerato che servivano solo "sulla carta", veniva immediatamente ripreso dallo Schippa, così da correggersi immediatamente e precisare che intendeva dire, in realtà, che su quel terreno la Codep ci portava "solo il liquame", senza ricavare altro beneficio agricolo, che appunto rimaneva in capo a terzi;
- telefonata n. 2412 del 6.8.2007 in cui Schippa Paolo chiedeva a Siena Graziano se avessero ripreso la fertirrigazione e a fronte della risposta negativa invitava il Siena a sollecitare " il fatto al Comune";
- telefonata n. 3390 del 13.9.2007 in cui Schippa Paolo parlava con un soggetto all'apparenza socio di Codep, che lo contattava da cellulare -  tuttavia non identificato e quindi neppure esaminato in dibattimento -; l'uomo  lamentava la situazione di emergenza insorta, con il sopraggiunto riempimento totale della laguna e gli rappresentava come in passato la Codep fosse stata amministrata riversando nel fiume i liquami della laguna stessa (e accusando nello specifico Mattoni Ugo di tali condotte). Senza ottenere tutavia dallo Schippa, che sottolineava di non esssere Presidente da due anni, una risposta confermativa di tali condotte. E anzi, l'interlocutore giungeva ad un certo punto ad affermare, rivolto sempre allo Schippa, che "sul fiume nè tu nè Mattoni ce lo avete buttato mai (il liquame ndr), Renato, e allora ci siamo riempiti di merda e basta!...La forza di Ugo è stata che lui buttava il piscio sul fiume era questo il discorso...come ce lo ha buttato Giammarioli...";
Infine alla luce della annotazione di pg acquisita con il consenso delle parti, che illustra le persone che ricoprirono cariche nel corso del tempo, all'interno della Codep, sempre con riguardo agli imputati di cui al capo g) emerge quanto segue:
Mattoni Renato Mencarelli Giuseppe, Schippa Paolo Taglioni Renato Polinori Rinaldo furono consiglieri dal 1997 al 2000 con presidente Mattoni Ugo.
Dal 2000 al luglio 2005 furono consiglieri Polinori Rinaldo, Mattoni Giovanni, Proietti Giampaolo, Mencarelli Giuseppe Taglioni Renato Mattoni Renato con presidente Schippa Paolo. Dal 20.7.2005 al 16.4.2007 fu presidente Mattoni Renato, con precedenti consiglieri confermati nella carica. Poi fu Presidente per circa due mesi Proietti Giampaolo e dal 20.6.2007 Siena Graziano, con vice presidente Schippa Paolo, e consiglieri Mattoni Renato, Taglioni Renato, Taglioni Nicola Mencarelli Giuseppe, Proietti Giampaolo ( fino al novembre del 2007) Mattoni Giovanni, Giammarioli Nicoletta (dal 27.4.2006 al 24.1.2008) Polinori Rinaldo.

Tale essendo il compendio probatorio utilizzabile in relazione al capo g) in esame, si deve rilevare come emerga soltanto l'effettuazione, da parte della Codep e dunque di suoi uomini, di una attività di trattamento di liquami zootecnici ricevuti direttamente tramite condotte collegate ad allevamenti di suini, facenti capo a soci della società cooperativa medesima. A tali liquami si aggiungevano le acque di vegetazione annualmente conferite a mezzo autobotti, e ricevute legitimamente in virtù della persistenza della necessaria autorizzazione alla ricezione. Al più con violazione - di tipo contravvenzionale - della prescrizione da ultimo imposta di adeguare normativamente gli scarichi finali.
A valle della lavorazione, non emerge che sino all'anno preso in considerazione furono effettuate attività di spandimento di liquami su terreni raggiunti mediante autobotti.
E del resto, dai dati emergenti dalle relazioni progettuali del 1984 e del 1995 deve ricarvarsi che l'impianto in esame non nacque immediatamente nel contesto di una concezione funzionale indirizzata verso l'utilizzo agronomico dei liquami, quanto piuttosto nel più semplice quadro di una progettazione relativa ad un mero impianto di trattamento ovvero depurazione di liquami, per successivo scarico dei medesimi in corpo ricettore, per il quale sarebbe stata necessaria una autorizzazione; autorizzazione che, sempre in base alla ricostruzione documentale della vicenda e dell'impianto, operata nelle precedenti pagine, e confermata dallo stesso Ct Iacucci, non fu mai rilasciata. E tantomeno fu rilasciata allorquando, con il nuovo progetto del 1995, si ritenne di inserire l'impianto in un contesto di "nuove esigenze", costituite per la prima volta dalla prospettata utilizzazione agronomica degli effluenti trattati. Anzi, a leggere i due verbali di riunione del 2006 pure precedentemente citati, e in particolare gli interventi del direttore dell'Arpa Micheli, la preoccupazione di costui, ancora in quegli anni, era piuttosto quello di ricondurre la qualità dello "scarico" nell'ambito delle tabelle dettate per la legittimità del medesimo, in coerenza con il rilievo dello stesso Micheli, il quale riferiva che il progetto originario del 1980 mirava a "smaltire in tabella a)" il refluo finale.
Peraltro, nonostante il sopravvenire di normativa regionale al riguardo, costituita innanzitutto dalla DGR 1577/2000, la Codep a lungo non si attivò, se non per la prima volta nell'estate del 2006, per presentare una formale comunicazione agronomica.
Dunque, sotto il profilo fattuale, e in assenza di dati diversi, deve ritenersi che la Codep a lungo provvide semplicemente a "scaricare" a mezzo del suo "anello irriguo" i liquami "trattati", così realizzando una attività che dal punto di vista giuridico, non riguardando "rifiuti liquidi", bensì reflui oggetto di "scarico", si inseriva nella disciplina delle acque di cui al Dlgs 152/99 e poi alla parte III del Dlgs 152/2006. In proposito, non pregiudica la presente ricostruzione la riportata conversazione relativa all'asserito riversamento di liquami nel vicino fiume, attesa la mancata individuazione del "narratore" e il conseguente mancato approfondimento della vicenda.
Nè incide il racconto del teste Nucci sui "picchi" di inquinamento registrati su acque superficiali dal 2004, essendo sempre rimasta incerta l'origine, seppur zootecnica, della fonte dell'inquinamento.
Peraltro, si trattava di scarico di rifiuti di tipo industriale, tale dovendo essere considerato - in quel contesto - la natura dell'impianto Codep, piuttosto che una mera "fase", di trattamento e stabilizzazione, di una più ampia operazione di utilizzo agronomico.
Tanto più, lo si accenna già per questo capo g) in esame, ove si consideri che nel contempo ai liquami zootecnici si aggiungevano, miscelandole, le acque di vegetazione, così realizzando un'ulteriore condotta ostativa a una corretta configurazione delle operazioni in termini di utilizzazione agronomica (cfr. quanto sopra riportato in tema di regime diciplinante l'utilizzo agronomico delle acque di vegetazione e l'impossibilità di miscelarle con i reflui zootecnici). E addirittura, nel dicembre del 2007, si aggiunsero residui oleosi di una raffineria. Per i quali, le assicurazioni pure formulate anche da organi pubblici come l'Arpa, circa la compatibilità "tecnica" di tali residui con il trattamento dei liquami e delle acque di vegetazione da frantoio, non vale comunque ad escludere la sussistenza di un'operazione del tutto avulsa da un corretto - anche dal punto di vista giuridico - trattamento di liquami zootecnici, prodromico ad un altrettanto legittimo loro spandimento a fini agronomici.
Va aggiunto che a fronte di questi appurati "scarichi", non sussiste neppure un principio di prova in termini di attività, svolte all'interno della Codep, per riversare i liquami secondo modalità e su tipi di terreni occupati da colture adeguate, così da ricondurre in qualche modo tali "scarichi" nell'alveo di una corretta pratica agronomica. Circostanze che, lo si rammenta rimandando alle apposite pagine che precedono, a rigore, potendo integrare una "deroga" a norme penali in materia, dovrebbero comunque essere dimostrate - ancor più  a fronte di un così stringente quadro probatorio indirizzante in senso opposto - dai diretti interessati.

Si trattava, alfine, piuttosto che di una attività organizzata di traffico di rifiuti -  da un punto di vista giuridico non individuabili, seppure in termini di "rifiuto liquido" -, di una condotta integrante, all'epoca, il reato contravvenzionale di scarico non autorizzato di reflui industriali. Tanto più ove si pensi che anche la più recente assimilazione (ex art. 101 co. 7 Dlgs 152/06) degli effluenti di allevamento alle acque domestiche (ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni), non si espande in senso retroattivo e favorevole, sulle condotte così descritte, perchè riguardanti piuttosto che meri reflui da "imprese dedite all'allevamento di bestiame" (ex art. 101 co. 7 cit.), liquami zootecnici misti ad acque di vegetazione. Sempre che poi, a ben vedere, una volta esclusa l'attività di utilizzazione agronomica, e dunque la connessione funzionale tra le imprese di allevamento di animali e la struttura di depurazione (connessione normativamente configurata proprio per i casi di effettiva pratica agronomica), non si debba tornare a qualificare il depuratore  della Codep come impianto di tipo industriale anche in ragione della sua ricezione pure di acque di vegetazione e altri rifiuti liquidi, individuandosi anche per tale via, in realtà, uno scarico industriale non autorizzato e penalmente rilevante in via contravvenzionale.

Va aggiunto che risulta intervenuta prova certa, per il 2007, alla luce di intercettazioni e dichiarazioni di testi, essenzialmente di un solo episodio di sversamento da una vasca di rilancio della Codep. Mentre un altro episodio pare afferire ad un pozzetto esterno alla Codep, di dubbia riconducibilità quanto alla proprietà alla medesima piuttosto che ad un allevamento.  Ciò fa sì che si debba ridurre il predetto unico sversamento esclusivamente ad una episodica fattispecie contravvenzionale di riversamento non autorizzato di rifiuto liquido, senza alcun possibile contributo, di tale fattispecie, per la configurazione del delitto ex art. 260 Dlgs 152/06, contestato al capo g) sino al 2007.  

Non si dimentica che dalla consulenza del dr. Iacucci emerge anche l'accusa, mossa a Codep, di avere, negli anni in esame, smaltito abusivamente notevoli quantitativi di fanghi a fronte delle poche decine di tonnellate annue dichiarate. Si tratta tuttavia di un'accusa non adeguatamente supportata. Come già evidenziato nel paragrafo relativo alla ricostruzione documentale dell'impianto della Codep, emerge dalle relazioni progettuali citate, nel contesto anche dei nuovi impianti da realizzare, il calcolo di almeno 5000 tonnelate annue di fanghi da prodursi. Tuttavia non si indica in tale calcolo il numero di ore giornaliere lavorate delle sezioni d'impianto, che furono  poste a base di tale previsione. Nè soccorre il mero dato emergente dagli allegati del dr. Iacucci, attestante solo una costante produzione di energia elettrica per quegli anni. Laddove invece, per suffragare la predetta previsione, sarebbe stato necessario invece conoscere, da una parte, il numero di ore lavorate preso in considerazione nelle relazioni progettuali assieme alla corrispondente quantità di energia elettrica consumata, e dall'altra gli effettivi consumi elettrici realizzatisi in relazione alle effettive ore lavorative delle macchine d'impianto. Con particolare riferimento a quelle strumentali alla separazione delle componenti solide finali.
Va aggiunto che l'impossibilità di considerare come un dato reale, effettivamente verificatosi, l'indicata cifra previsionale di almeno 5000 tonnellate annue di fanghi, consegue anche alla sussistenza di elementi che depongono in realtà per un mancato corretto funzionamento dell'impianto, sub specie di una mancata attivazione o mancato funzionamento dei macchinari. Sopratutto quelli deputati alla separazione della componente solida e quindi alla formazione dei fanghi.
Si richiamano al riguardo talune conversazioni:
- la n. 1274 del 12.12.2007, in cui Siena Graziano, allertato per un imminente accesso in Codep da parte dell'Arpa per effettuare prelievi, chiamava il dipendente Santucci Piero esordendo con una frase emblematica per quanto ora in esame: "ascolta l'impianto funziona adesso?"; per poi proseguire con la raccomandazione di attivare ogni macchina: "metti tutto quanto, agitatori insufflatori"; così da ingenerare dapprima la risposta perplessa dal Santucci che riferiva di disporre del " prodotto solo per due o tre ore....". Il Santucci peraltro, pressato dal Siena affinchè mettesse tutto in funzione rapidamente, stante l'imminente arrivo dei controlli, così rispondeva: " ci posso provare........ci vuole un'ora buona a partire Deve fare i prodotti, diluire come l'altro ieri capito che fa?". Obiezione che non ostacolava il Siena rispetto al suo intento di creare un'apparenza positiva dell'impianto, atteso che lo stesso soprassedeva dalla seria considerazione dei problemi prospettatigli dal Santucci per un corretto avviamento della struttura depurativa, invitandolo piuttosto ad iniziare in ogni modo le citate attività preliminari di avvio, per poter così dire falsamente, a chi sarebbe sopraggiunto per effettuare i prelievi, che l'impianto era stato poco prima fermato solo per riparare " ...che ne so ...una pompa ieri, abbiamo cosato e via capito?"; così che era ormai "pronto" per partire;
- la n. 53 del 24.9.2007 in cui Alberto Micheli, dirigente dell'Arpa, intervenuto anche alle riunioni di cui ai già citati due verbali del 2006, interloquendo con Ugo Mattoni osservava che il problema della Codep era tra l'altro quello di "...giustificare perchè tutte quelle attrezzature non le hanno fatte funzionare....perchè io l'altra sera sono capitato e ho riguardato, tutte quelle attrezzature non sono state messe in moto affatto...";
- la n. 317 dell' 8.10.2007, con cui il predetto Alberto Micheli riferendo di contatti intervenuti tra "Nicoletta" (probabilmente Giammarioli o la segretaria di Codep, comunque una persona introdotta in Codep, alla luce di quello che riferiva) e il Sindaco di Bettona che l'aveva contattata, essendo convinto che non fosse vero che gli impianti non venivano fatti funzionare, rappresentava la risposta di Nicoletta: " ..gliel'ha detto 'guarda che tu ti sbagli perchè tu basta che guardi i consumi dell'energia elettrica fino al 31 dicembre del '99 quando c'era Ugo e guardi quelli dopo e nonostante l'impianto era stato ampliato e quindi chiedeva più energia c'è stato un calo pauroso dei consumi...".
- la n. 941 dell'11.5.2007, delle 9.55, in cui si riferiva il mancato funzionamento della seconda centrifuga e poi si affermava l'impossibilità di procedere alla fertirrigazione perchè "...è troppo scuro ci sono passato adesso ...ma è troppo scuro per fare la fertirrigazione quello ...";  quindi la n. 1007 del 11.6.2007 in cui gli interlocutori osservavano che la seconda centrifuga da sei mesi non funzionava.
Si tratta del resto di conversazioni che trovano conferme nei racconti del Ct Iacucci, che ha rilevato che in occasione dei suoi accessi taluni macchinari non funzionavano, così come nelle stesse caratteristiche visive dell'effluente presente in laguna: di tipo fangoso piuttosto che chiarificato, evidente indice di una fortissima presenza di sostanze solide non adeguatamente lavorate, e quindi, innanzitutto non sedimentate. Dunque, non separate in funzione della produzione di fanghi. Da qui uno stato qualitativo anomalo dei liquidi finali, che prescindeva dall'assenza della fase di filtrazione, pure progettata e mai realizzata.
Cosicchè va alfine ribadita la mancata prova anche di uno smaltimento nascosto e abusivo dei fanghi.
Tali essendo i fatti e la loro qualificazione giuridica, è evidente che la contestazione, formulata in relazione ad una abusiva attività di gestione di rifiuti piuttosto che di reflui, impedisce anche qualsiasi riqualificazione del medesimo fatto.
Con conseguente assoluzione degli imputati, ex art. 530 c.p.p., perchè il fatto non sussiste, e rendendosi nel contempo del tutto inutile ogni approfondimento sui ruoli effettivamente tenuti dagli imputati in ordine ai fatti realmente verificatisi.
La configurabilità, peraltro, di diverse ipotesi  di reato, comprese anche quelle di cui alle fattispcie spesso "satellite" rispetto a fenomeni criminali di cui alla legislazione speciale ambientale, a partire da quelle di cui all'art. 674 c.p., impone anche la trasmissione degli atti al PM per quanto di sua competenza.

L'assenza di fatti riconducibili al delitto ex art. 260 Dlgs 152/06 fa sì che frani anche la contestazione di cui al capo f), incentrata sulla prospettazione di una associazione ex art. 416 c.p. realizzata tra i medesimi imputati di cui al capo g) ed operante proprio "..nel settore della illecita gestione di rifiuti speciali non pericolosi...".
Al di là di tale rilievo, lo scarno apporto probatorio relativo a quella che avrebbe dovuto essere una "ramificata associazione criminale" tra gli imputati, ciascuno dedito alla gestione dei rifiuti speciali, e capeggiati dai Presidenti pro tempore Schippa Paolo, Mattoni Renato e Proietti Giampaolo, consente di escludere la sussistenza di un vincolo stabile tra i pretesi consociati, l'indeterminatezza del programma criminoso, la sussistenza di una struttura organizzativa idonea ed adeguata, seppure rudimentale.
Infatti, manca ogni indagine circa i ruoli concretamente svolti nella prospettata associazione e i concreti apporti partecipativi assicurati, in un quadro stabile, in direzione dell'indeterminato programma criminoso: nulla infatti è emerso circa l'attività svolta dagli imputati nella prospettiva criminosa attribuita loro, nel corso dei lunghi anni in cui hanno avuto interessi nella Codep, innanzitutto in quanto soci e, quindi, consiglieri o Presidenti. E tanto meno circa i rapporti e vincoli così tra loro instaurati e necessariamente trascendenti il rapporto societario.
Nè soccorrono le poche intercettazioni prima citate, che hanno al più illustrato una preoccupazione di Schippa Paolo e Polinori Rinaldo per le imminenti elezioni interne alla Codep. Dato che di per sè, in assenza come detto di altri utili elementi significativi per l'ipotesi accusatoria, appare del tutto legittimo da una parte, e neutro dall'altra, rispetto alla fattispecie in esame. Anzi, le stesse telefonate, così come talune dichiarazioni di testi di pg prima riportate, descrivono un progressivo e rapido allontanamento ed esclusione, anche in ragione di sopraggiunti contrasti, di Schippa Paolo e Polinori Rinaldo dalla compagine sociale. Neppure è provata l'asserita scelta di un Presidente ( Siena Graziano) che rispondesse alle direttive occulte di Schippa Paolo e Polinori Rinaldo: la telefonata che fonderebbe tale tesi non solo non è stata accompagnata da prove di concrete attività successivamente spiegate, ma comprende anche passaggi in cui i due, e sopratutto il Polinori,  ad un certo punto manifestavano apprezzamenti positivi anche in caso di rielezione di Mattoni Renato, siccome esperto e capace.
Non va dimenticato che anche Igor Cruciani ha descritto il Polinori come soggetto ormai posto al di fuori della gestione della cooperativa.
Proprio tale evidente carenza probatoria rende del tutto irrilevante ai presenti fini la mera formale qualifica sociale assunta di volta in volta da taluni imputati, all'interno della compagine sociale.
Consegue anche in tal caso l'assoluzione ex art. 530 c.p.p. perchè il fatto non sussiste.

Quanto ai capi h) ed I) di imputazione, circoscritti, rispetto ai "gemelli" capi c) e d), nel limite temporale dell'anno 2007, si impone anche per essi la formula assolutoria precedentemente prescelta.
Con particolare riferimento al contestato disastro ambientale - costituito dallo "stravolgimento e ..compromisisone dell'equilibrio naturale dei terreni e delle acque ..." attraverso lo spandimento di rifiuti speciali anche con inquinamento delle falde acquifere per l'alta concentrazione di azoto nitroso nitrati e altri metalli -  anche in tal caso alla base della suindicata opzione decisoria finale si pone la riscontrata assenza di elementi probatori, sia pur minimi. Assenza così ampia da rendere inutile ogni preliminare disquisizione, proposta dalle difese, circa l'operatività astratta del disastro ex art. 434 c.p., in relazione alle vicende ambientali prospettate.
Anticipando ciò che si osserverà più ampiamente in relazione al capo C) "gemello" rispetto al capo h) e rimandando a talune osservazioni ivi spiegate siccome comuni, è qui sufficiente osservare quanto segue in ordine alla "compromissione delle acque":
il "disastro" è contestato come avvenuto su terreni in Bettona, ma nessun approfondimento risulta essere stato  condotto, e come tale lasciato emergere in dibattimento, circa gli specifici terreni interessati, non essendo stato dimostrato in alcun modo quali, con precisione, sarebbero stati i terreni coinvolti nello spandimento, fino al 2007, dei reflui di Codep. Non essendo sufficiente a tali fini il controllo non sistematico ed organico operato dai CC su talune aree, mediante servizi cd. di OCP;   
l'assenza del predetto approfondimento si è accompagnata alla corrispodente assenza dell'individuazione e studio (per caratteristiche geologiche, morfologiche etc) delle falde acquifere realmente sottostanti ai terreni colpiti dallo spandimento o comunque correlabili a fenomeni di percolazione di acque e lisciviazione di azoto, provenienti dai citati terreni, rimasti di fatto ignoti.
Da ultimo, è mancata una significativa indagine - non riducibile ai pochi campioni di acque esaminati dal dr. Iacucci ed estratti da pochi pozzi neppure specificati circa la loro geolocalizzazione in rapporto alla possibile falda di riferimento - sulle concentrazioni in falda di azoto e altri metalli in contestazione.

Analoghe considerazioni devono formularsi in ordine alla prova di un intervenuto "stravolgimento e compromissione" di terreni. Prova non riducibile a pochi campioni di sostanza solida prelevati ancora una volta da terreni neppure ben individuati nelle loro coordinate geografiche. Carenza che si accompagna a mancati approfondimenti sia in ordine ai rapporti di causalità tra concentrazioni di azoto e metalli rinvenute su terreni e condotte di spandimento imputabili a uomini della Codep da una parte, sia in relazione alle interconnessioni tra le predette concentrazioni e la presenza di eguali forme di tali sostanze nelle acque sotterranee.
Tanto si deve sottolineare, ancor prima di considerare quanto già rilevato nelle precedenti pagine, cui si rinvia, in ordine alla inutilizzabilità delle analisi effettuate sui campioni prelevati il 18.7.2007 dall'Arpa dalle acque di alcuni pozzi e rientranti tra i pochi dati su cui appare fondata l'ipotesi accusatoria. Oltre che in ordine alla parziale inutilizzabilità soggettiva di talune analisi su campioni di liquami e terreni, come disposta con ordinanza di questa Corte già richiamata, riportata per estratto in sede di illustrazione dello svolgimento del processo.

Il risultato probatorio dibattimentale sembra alfine ridursi alla mera supposizione dell'esistenza di forme di disastro ambientale derivanti dalla considerazione per cui, fino al 2007, la Codep deve avere scaricato nelle sue - non meglio individuate - vicinanze, i liquami trattati, certamente comprensivi di azoto e altre sostanze potenzialmente tosicche.
Del resto, non sfugge che a supporto della contestazione in esame si richiama nel capo di imputazione, non quale circostanza da dimostrare, bensì quale asserito e precostituito elemento di prova dei fatti immediatamente prima riportati nel capo di imputazione, l'intervenuto inserimento di "specifiche aree" non meglio indicate, "negli atti della Regione Umbria quali zone vulnerabili ai nitrati secondo i criteri dettai dalle diretive comunitarie".
Laddove, come è emerso dal dibattimento, e come meglio si dirà di seguito, la presenza di nitrati in terreni e falde dell'Umbria è un problema da decenni persistente e preesistente. Una situazione da considerare come dato preesistente, e di cui quindi tenere conto per valutare l'emergere o meno di un disastro da inquinamento di nitrati e altre sostanze attribuibile alla gestione di liquami operata in Codep; piuttosto che considerarlo come prova esso stesso di tale disastro.

Le stesse considerazioni immediatamente prima formulate per l'assoluzione inrente ai fatti di cui al capo h) devono essere ripetute per spiegare l'assoluzione, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., perchè il fatto non sussiste, cui questa Corte ritiene di pervenire in relazione alla contestazione di cui alla lettera I) e relativa a reati di cui agli artt. 81, 110, 112 e 439 c.p.

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I
18. I capi a) b) c) d) e).  

Con riferimento ai restanti capi di imputazione, analoghi a quelli precedentemente illustrati, ma estesi sia cronologicamente ( "sino al 2009") sia geograficamente (includendo quali luoghi di commissione, oltre a Bettona, anche  Bastia, Bevagna, e Cannara), si ritiene opportuno, anche per essi,  innanzitutto ribadire che la loro valutazione deve passare preliminarmente attraverso l'esame della fondatezza o meno del capo di imputazione relativo alle attività organizzata di gestione dei liquami (inerente alla fattispecie di cui all'art. 260 Dlgs 152/2006 richiamata al capo b)), atteso che gli altri capi di imputazione sono stati formulati secondo un rapporto di stretta derivazione dalla predetta condotta.

Sul piano giuridico va egualmente ribadito il criterio fondamentale con cui analizzare le condotte di gestione dei reflui zootecnici, così come emerse. Criterio che si identifica nella distinzione tra "scarico" e "rifiuto liquido" in ragione del quale - per motivi di migliore e immediata comprensione - si riporta in sintesi quanto già illustrato in sede di introduzione alla analisi dei capi di imputazione contestati fino al 2007: quanto agli effluenti conferiti stabilmente e direttamente alla Codep, mediante l'illustrato sistema di condotte di adduzione, e altrettanto stabilmente e ininterrottamente trattati e quindi distribuiti sui terreni mediante il cd. "anello fertirriguo", essi integrano forme di "scarico", e quindi, ove non operi la disciplina derogatoria assicurata in caso di corretto ed effettivo utilizzo agronomico dei liquami così riversati, rientrano nell'ambito della disciplina anche penale corrispondente (oggi corrispondente alla parte III del Dlgs 152/2006).
Al contrario, i liquami o comunque il materiale liquido conferiti dagli allevamenti o dai frantoi in Codep, mediante autobotti, assieme agli effluenti poi condotti e sversati con i medesimi mezzi dalla Codep stessa su terreni lontani, integrano forme di gestione di "rifiuto liquido", e quindi, ove non operi la disciplina derogatoria assicurata in caso di corretto ed effettivo utilizzo agronomico dei liquami così riversati, rientrano nell'ambito della normativa corrispondente (attualmente la parte IV del Dlgs 152/2006).

19. Il capo b) di imputazione.

Diversamente dai capi di imputazione relativi ai fatti commessi sino al 2007, il compendio probatorio raccolto per quelli qui in esame è comunque più ampio.

Ed invero, accanto ai documenti e alle vicende svoltesi nel 2007, illustrati nelle pagine precedenti, cui si rinvia, rileva innanzitutto il dato di peculiare interesse costituito dalla presentazione da parte di rappresentanti di Codep di comunicazioni agronomiche (a partire da quella del 2006 ai sensi della delibera 1577/2000 firmata da Mattoni Renato e del 2007 ai sensi della delibera regionale 1492/2006 firmata da Siena Graziano) accompagnate anche da progressive integrazioni sino al 2008. Oltre alla circostanza dell'avvio di attività di trasporto, a mezzo autobotte, dei liquami poi sparsi su terreni lontani dall'"anello irriguo".
La interrelazione tra le prime comunicazioni agronomiche del 2006 e del 2007 e le vicende succedutesi anche dopo, in particolare nel 2008 e nel 2009 secondo i capi di imputazione, impone di partire dalla analisi anche e innanzitutto di tali comunicazioni agronomiche, rinviando quanto alla generale ricostruzione, anche  documentale, dei fatti verificatisi o accertati in quegli anni, ai paragrafi precedentemente riportati.   

Ebbene, è emerso dal dibattimento che a fronte delle problematiche per la prima volta ufficialmente insorte nel 2006 in ordine alla gestione dell'impianto della Codep, tanto da dare luogo a ben due riunioni con rappresentanti delle autorità pubbliche locali e dell'Arpa, la predetta cooperativa stipulò, come riferito dal teste Igor Cruciani, agronomo, un contratto di consulenza con la società SQA, di cui faceva parte lo stesso Cruciani, per avviare pratiche di utilizzazione agronomica dei reflui prodotti a valle del processo di trattamento effettuato dalla Codep.   

Non fu tuttavia mai realizzata una effettiva e corretta attività di utilizzazione agronomica dei liquami, quanto, di fatto, una attività di mero riversamento su corpi recettori, innanzituto terreni, dei reflui medesimi, del tutto esorbitante anche da una mera "irregolare", ma effettiva, fertirrigazione.

Vari elementi depongono in tal senso. Ed occorre preliminarmente valutare tale aspetto, al fine di potere validamente escludere, anche per le vicende di cui alla contestazione in esame, l'operatività della disciplina "derogatoria" dell'utilizzo agronomico dei reflui.
Per poi affrontare i temi della sussistenza di una gestione organizzata di rifiuti (liquidi), della sua abusività, della ingente quantità dei rifiuti movimentati. E quindi dei soggetti coinvolti nel reato di cui al capo b).  

Innanzitutto, deve evidenziarsi il dato storico per cui la Codep e in particolare le sue vasche, a partire dalla cd. laguna di stoccaggio, pari a 90.000 mc., già nel 2006 e poi nel 2007 risultavano sature di liquami. Con un breve periodo di abbassamento del livello di guardia intervenuto solo nell'estate del 2008, per poi risalire nuovamente, anche a fronte delle numerose autorizzazioni a conferire in Codep, concesse a vari allevamenti in ragione prima della ordinanza n. 59 dell'aprile del 2008 e poi della cd. "malattia vescicolare". Tanto da indurre alfine, le stesse autorità competenti, a sancire l'interruzione di ogni conferimento e quindi del funzionamento della Codep medesima.
 
Si tratta di un dato che già contrasta con lo spirito della disciplina della pratica agronomica in esame, la quale, anche laddove stabilisce quantitativi minimi di volume delle vasche di stoccaggio dei reflui da riversare su terra, li rapporta a periodi non superiori a 120 - 150 giorni; ciò nel chiaro intento di disciplinare un'attività di raccolta, trattamento e spandimento, che nel corso di un arco temporale qualificato, al più annuale, assicuri che tutti i quantitativi prodotti e liberamente e previamente indicati nele comunicazioni agronomiche siano interamente utilizzati in maniera efficace, a fini colturali.  
In altri termini, a giudizio di questa Corte, la lettura complessiva della disciplina dell'utilizzo agronomico di reflui, non solo zootecnici, lascia intendere che la deroga alla disciplina penale di riferimento, nascente da un corretto ed effettivo utilizzo di reflui, è comunque legata ad un'idea di fondo: quella di assicurare che tutti i liquami indicati e prescelti come prodotti e destinati, in piena autonomia decisionale, alla fertirrigazione, da una azienda o un complesso di aziende - come nel caso in esame -, siano effettivamente utilizzati per l'agricoltura. E non solo una parte, come invece addirittura formalmente attestato all'interno delle stesse comunicazioni agronomiche.  
Diversamente, attraverso la disciplina derogatoria in parola, prospettando l'utilizzo agronomico di solo "parte" dei liquami trattati, depositati e prodotti,  per un quantitativo mai previsto "a priori", ma condizionato da vicende esterne e imprevedibili - come è sempre avvenuto nel caso in esame - e conservando, di converso, costantemente, una cospicua parte dei medesimi in lagune e vasche, a tempo "indeterminato", per un ipotetico utilizzo agronomico futuro e incerto, mai poi realizzato, si verrebbe a sottrarre alla ordinaria disciplina del conferimento, trattamento, stoccaggio e sversamento di liquami ( sub specie di reflui o di rifiuti liquidi a seconda dei casi), notevoli quantità di tali elementi e poderose attività di gestione dei medesimi.
Un "escamotage" che invece la normativa non consente.
In tal senso depone l'attenta e articolata disciplina della pratica agronomica in parola, con la sua precisa e puntuale indicazione dei contenuti delle comunicazioni agronomiche: dalla indicazione - preventiva - innanzitutto delle quantità e qualità dei liquami prodotti, alla altrettanto precisa e preventiva indicazione delle quantità e qualità dei liquami alfine trattati e da spandere; fino alla fissazione di volumetrie delle vasche di stoccaggio dei liquidi, non a caso parametrate su quantitativi di reflui prodotti al più nell'arco di 120 o 150 gg. ossia di 4 o 5 mesi (e non certo di anni), e dichiarate espressamente funzionali a raccogliere liquidi per tenerli "pronti" per i successivi mesi più favorevoli allo spandimento. Previsioni tutte, che lasciano intendere che il sistema normativo è incentrato sull'idea per cui è possibile derogare alla disciplina, anche penale, delle acque e dei rifiuti, ma solo per quantitativi predeterminati - dallo stesso soggetto interessato - di liquidi,  da riversarsi nel corso di spazi temporali delimitati. Tanto che, non a caso, viene anche determinata la durata della "annata agraria" di riferimento, compresa tra il novembre e l'ottobre di due anni consecutivi.     
Diversamente, si verrebbe ad ammettere la possibilità di sottoporre alla disciplina derogatoria in parola gestioni di liquami o altre sostanze liquide, comprensive di fasi di conferimento, trattamento, stoccaggio e smaltimento normalmente regolate con altre norme, attraverso la mera affermazione, non connessa ad una effettiva realizzazione della stessa, della "intenzione" di procedere, in un tempo ben superiore alla singola annata agraria e anzi "a tempo indeterminato",  all'utilizzo agronomico di quanto, genericamente e ipoteticamente, si verrà alfine a produrre dopo il trattamento e lo stoccaggio.

Laddove, al contrario, è l'intero sistema normativo dettato in materia di acque e rifiuti in particolare, ad essere improntato al rispetto di un principio di "effettività", che come tale declina come altro da sè ogni forma di gestione di materiali o liquidi improntata a mere affermazioni, prive dall'inizio e in maniera evidente, di serie possibilità di realizzazione.

Si pensi esemplificativamente alla disciplina del deposito preliminare o della messa in riserva, già per legge destinati a tradursi in discariche ove si protraggano oltre dati limiti temporali, o alla disciplina del regime autorizzatorio delle forme di recupero, condizionata negativamente da tutti i casi in cui risulti evidente l'assenza di qualsiasi connessione reale tra la fase del deposito e quella successiva del recupero medesimo cui il deposito sia  strumentale.

Ebbene, risulta acclarato che la Codep negli anni in esame, e già dal 2006, a fronte di enormi quantitativi di liquami conferiti in impianto annualmente (pari a diverse centinaia di metri cubi) non ha ricondotto, con le sue comunicazioni agronomiche, nell'ambito del relativo regime, solo i liquidi effettivamente spandibili e realmente riversati. Così quindi considerando la restante parte dei reflui e la relativa attività di gestione, come sottoposta alle ordinarie regole in tema di acque e di rifiuti.
Al contrario, ha inteso sottrarli tutti alla diciplina, anche penale, della acque e dei rifiuti, pur avendone costantemente conservata, una ingente parte, all'interno delle sue vasche e della laguna, addirittura per un triennio e senza mai avere una reale prospettiva di spandimento. Tanto da dichiararlo espressamente nelle sue comunicazioni agronomiche, come pure precisato, nella sua deposizione, dal teste Igor Cruciani.
Dunque, già da questo punto di vista, prettamente giuridico, la gestione dei liquidi operata dalla Codep è stata del tutto estranea ad un quadro di effettiva operatività della disciplina in tema di utilizzo agronomico dei medesimi.
Si aggiunga sin d'ora, sempre in una prospettiva innanzitutto giuridica, che lo stesso discorso vale ancor più se si consideri che la Codep oltre a introitare liquami di allevamenti, riceveva ogni anno e trattava e quindi scaricava o spandeva, quantitativi non insignificanti di acque di vegetazione (autorizzate sino a 14.000 mc., tanto che in una conversazione del 2007 ne emerge anche addirittura il superamento del limite: tel. n. 1018 dell'11.6.2007 in cui una donna, Debora, parlava con Paolo Schippa, ed entrambi osservavano il superamento per il 2006 del limite ricevibile delle acque di vegetazione, aggiungendo che "secondo Nicoletta", verosimilmente la segretaria della Codep,  la quota era stata superata già anche per il 2007).  
Laddove, come riportato nelle precedenti pagine in tema di riscostruzione dei principi giuridici di riferimento, cui si rinvia, la normativa espressamente escludeva, nel contesto dell'utilizzo agronomico dei reflui zootecnici o delle acque di vegetazione, la miscelazione tra gli stessi.  
Va aggiunto che la chiara autonomia delle pratiche di fertirrigazione dei liquami zootecnici e delle acque di vegetazione, emerge anche dalla ancor più serrata disciplina dettata per l'uso agronomico di queste ultime, come in precedenza illustrata, secondo cui, senza contemplare affatto la possibilità di un fenomeno di separazione di "fasi" come per i liquami (produzione, trattamento e utilizzazione), già il produttore delle acque, ossia il titolare del frantoio, avrebbe dovuto espressamente indicare le stesse, i relativi quantitativi e i terreni su cui spanderle, ltre ad allegare, tra l'altro, apposita relazione tecnica, illustrativa in sintesi del terreno interessato allo spandimento e delle sue caratteristiche anche in funzione dell'utilizzo agronomico, assieme alle modalità di spandimento e con indicazione del trasportatore incaricato.
Pratica del tutto omessa, nel contesto di una prassi che prevedeva solo il mero conferimento materiale dei predetti liquidi in Codep, poi miscelati, trattati, scaricati o sparsi assieme ai liquami.
                                       
Nella medesima ottica di cui sopra, osta all'inquadramento giuridico nel regime della pratica di utilizzazione agronomica, anche l'acquisizione nel dicembre del 2007 di 1000 mc. di emulsioni oleose conseguenti al'incendio di una raffineria, ancorchè supportate da parere dell'Arpa e prefettizio, che comunque non costituivano titolo per inserire giuridicamente questi elementi in una attività di utilizzo agronomico di "effluenti zootecnici". Liquidi evidentemente poi trattati e depositati o scaricati o sversati nel 2008.
                                              
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Un ulteriore dato che depone invece nel senso della mancata fertirrigazione, si ricava oltre che dal mancato rispetto dell'"impianto di fondo" e dunque della portate effettiva della disciplina derogatoria in esame, come spiegato in alcune pagine precedenti, anche dalla palese violazione delle specifiche norme della disciplina dettata in materia e per la quale si rinvia alle pagine a ciò dedicate.
Occorre premettere che tale disciplina appare strutturata in maniera articolata e puntuale, prevedendo un complesso sistema di comunicazioni, illustrative di aspetti anche inerenti le quantità e qualità tanto dei terreni interessati che dei liquami. E' un sistema attentamente strutturato per consentire la previa e responsabile indicazione, da parte di ogni interessato, di dati quantitativi e qualitativi, il cui esame già deve poter permettere una prima significativa verifica della effettività della pratica agronomica prospettata.
Ciò ancor più emerge nel caso - corrispondentente a quello di specie - in cui risultino distinte, tra soggetti diversi, le fasi della produzione del liquame, del trattamento e quindi della utilizzazione.
Rimandando per una dettagliata illustrazione alle apposite pagine a ciò dedicate, è qui sufficiente rilevare la costante preoccupazione del legislatore di far sì che ogni soggetto indichi qualità e quantità dei liquami pertinenti alla propria fase, accanto a quella di assicurare che oltre alla comunicazione agronomica preventiva, nell'imminenza delle singole operazioni di utilizzazione agronomica se ne dia specifico avviso ad organi pubblici, pochi giorni prima.  
E' dunque un sistema in cui la forma acquista sostanza, atteso che esso consente un incrocio di dati provenienti da fonti distinte ed egualmente coinvolte nella corretta pratica economica, come tali indotte a fornire indicazioni precise e veritiere, che se attentamente esaminate devono già consentire rilievi positivi o negativi circa l'effettività dell'utilizzo agronomico dei liquami.
Tanto può dirsi, a ben vedere, anche per la disciplina che riguarda l'utilizzo agronomico delle acque di vegetazione. Per la quale si rinvia all'apposito paragrafo.
A causa di tali considerazioni questa Corte, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., disponendo già della comunicazione agronomica della Codep per il biennio  2006 - 2007, ha disposto la verifica e l'eventuale acquisizione, in particolare, della comunicazione della Codep per il 2008, e delle comunicazioni di tutti gli altri soggetti coinvolti nelle distinte fasi della complessiva operazione di dichiarata utilizzazione agronomica dei liquami in parola. Si fa riferimento a quelle comunicazioni agronomiche che, ai sensi della DGR 1492/2006, si sarebbero dovute assicurare sia da parte dei singoli allevamenti produttori dei propri liquami, poi convogliati o conferiti verso la Codep, illustrandone tra l'altro i quantitativi e la qualità, anche inerente ai composti azotati, sia da quei soggetti che avessero provveduto in prima persona, in luogo di Codep, ad effettuare l'utilizzazione finale del liquame sui terreni.
Ebbene, come riferito alfine dai CC del Noe delegati, il risultato è stato scarno, essendo emerse come rispettose dei propri doversi testè illustrati, non più di una decina di aziende (rispetto alle circa 40 allacciate alla Codep e in essa conferenti). In particolare, come già ricordato in precedenza, è emerso che presso il Comune di Bettona per l'anno 2006 solo la Codep, e quindi nessuno degli allevatori conferitori o degli utilizzatori di liquami in proprio, effettuò comunicazione agronomica. Per l'anno 2007 oltre alla Codep  effettuarono comunicazioni agronomiche ex art. 12 comma II della DGR 1492/2006 solo 12 aziende collegate al "ciclo" dei liquami trattati da Codep: Azienda Agraria Proietti G., Allevamento suinicolo la Campagna, Azienda Agraria Mattoni R., Az. Agr. Mencarelli E. e G., Azienda Monacchia L., Suinicola Taglioni, Az. Agr. Giammarioli, Az. Agr. Gigliatti A., La Collina di Rinaldo Polinori, Az. Agr. di Mattoni U., Az. Agr. di Mattoni Ivo, Agricola Polinori.
Quanto al comune di Bastia Umbra, per l'anno 2007 è emersa una comunicazione del mese di novembre della Azienda Agricola Servettini - loc. Ospedalicchio, e per il 2008 tre comunicazioni rispettivamente di Agricola Polinori  (del 19.9.08) Az. Agr. Cristofani (del 26.11.2008) Az. Agr. Meschini (del 30.12.2008).
Ciò assieme peraltro ad una significativa assenza delle comunicazioni ex art. 14 della DGR 1492/2006, da indirizzarsi all'Arpa immediatamente prima dello sversamento (si rammenti in proposito, tra l'altro, le indicazioni del ct Refrigeri, che le ha registrate in termini ridotti per il 2008).

Si tratta di comunicazioni la cui assenza ha evidentemente inciso sulla possibilità di controllare, come voluto dalla normativa citata, tanto tramite un incrocio di dati tanto attraverso sopralluoghi immediati, i quantitativi totali di liquami ricevuti, lavorati, sversati e dichiarati dalla Codep oltre che di carico azotato complessivo dei medesimi, sempre riferito dalla Codep nelle sue comunicazioni agronomiche.
Laddove è evidente che, seppur con una limitata approssimazione, la somma delle quantità dei liquami conferiti dagli allevamenti in uno con la correlata somma del carico azotato, ben può e poteva essere messa a confronto con i quantitativi di liquami dichiarati da Codep in ingresso da una parte, e le qualità dell'azoto sia in ingresso che in uscita dall'altra. Tanto più ove si consideri che, come emerge da plurimi documenti già illustrati, l'impianto, per le sue caratteristiche, poteva abbattere fortemente elementi  come il COD, mentre invece l'incidenza del trattamento sull'azoto rimaneva alquanto ridotta.
Con la conseguenza della violazione, anche sotto tale aspetto, della disciplina sull'utilizzo agronomico dei liquami, che per quanto prima detto, è anche in tal caso estremamente sintomatica e confermativa della assenza di una reale pratica di corretta ed effettiva utilizzazione agronomica dei materiali liquidi e solidi in esame. Tanto più nell'ampio e grave contesto probatorio in cui si inserisce.

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Una ulteriore violazione della disciplina sull'utilizzo agronomico dei liquami, rilevante non solo giuridicamente ma anche come altro dato sintomatico della assenza di una concreta pratica di corretta ed effettiva utilizzazione agronomica dei materiali liquidi e solidi in esame, è costituita dalla assenza di una attenta, puntuale e costante attività di "integrazione" delle comunicazioni agronomiche principali.
Posto che le integrazioni accertate si sono concentrate essenzialmente sulla indicazione, progressiva, di nuovi terreni disponibili per la Codep (nell'ottica dell'unica proccupazione di creare una mera apparenza di legalità, con precipuo riferimento al rapporto liquami - carico di azoto - terreni disponibili), rileva al contrario l'assenza, nelle stesse, di una puntuale indicazione delle variazioni, che nel corso del tempo, intervenivano in punto di riduzione degli allevamenti conferitori ovvero di introduzione di conferimenti ulteriori. Circostanze che, è facile osservare, incidevano non solo sulle quantità di liquami, ma anche sulle corrispondenti qualità finali del refluo da sversare. Che di conseguenza avrebbero dovute essere contestualmente riaggiornate nelle medesime integrazioni e che, invece, rimasero stabilmente ancorate ai valori inizialmente dichiarati da Codep.
E' utile al riguardo rimandare innanzitutto alle pagine relative alla ricostruzione documentale dei fatti oltre che ai riferimenti dichiarativi raccolti in tema di variazioni di conferimento intervenute nel tempo. Ed è quindi sufficiente  ricordare in proposito come, a partire dalla fine del 2007, a fronte di talune esclusioni - per svariate ragioni - di allevamenti, nell'ambito di quelli cui era stato consentito sino ad allora di conferire liquami direttamente in Codep, si realizzarono, dall'altra parte, inserimenti di nuove aziende conferitrici.
Si fa riferimento a quegli allevamenti - a partirte dalla Vapor, nel febbraio del 2008 fino a giungere alla Acem e ad altri sopra citati - che si accordarono per conferire liquami a patto di prelevare, a valle del trattamento "assicurato" dalla Codep, altrettanti quantitativi (normalmente poi non prelevati). Così come si fa riferimento a tutti gli allevamenti autorizzati nuovamente a  conferire in Codep, ai sensi della ordinanza comunale n. 59 dell'aprile del 2008, ed a quelli autorizzati anch'essi a riversare liquami in Codep, sempre nel 2008, con ordinanze comunali, a causa della cd. "malattia vescicolare" e fino al persistere dell'emergenza.
Ebbene di tutti questi nuovi apporti, di rilevanza quantitativa e qualitativa, così come delle variazioni che intervenivano all'interno di allevamenti già conferitori, non vi è traccia alcuna. Non vi è traccia da parte dei nuovi conferitori, che avrebbero dovuto redigere apposita comunicazione agronomica per la propria "fase" di produzione degli effluenti zootecnici, non vi è traccia da parte della Codep che, lo si ribadisce, avrebbe dovuto integrare ogni volta la comunicazione agronomica principale di riferimento, con riguardo alle quantità in ingresso e alle mutate qualità - a partire dal contenuto del carico azotato -  del refluo in ingresso e sopratutto in uscita. Con ulteriore comunicazione che - nei casi di sversamento sui terreni non realizzato dalla Codep bensì da parte di allevatori diversi da Codep, come quelli che si erano impegnati a prelevare un refluo equivalente, per quantità, a quello conferito - si sarebbe dovuta redigere da parte di questi ultimi. Ovviamente facendo riferimento, in questa loro comunicazione, tra l'altro, a quella qualità "azotata" del refluo finale che la Codep avrebbe dovuto riaggiornare e che invece non provvide mai a riconsiderare, rimanendo immutata a lungo dal 2006.
Ad onor del vero, si rinviene per quanto attiene al presente tema, solo una comunicazione agronomica integrativa della Codep dell'aprile del 2008 espressamente indicativa solo delle "nuove particelle catastali che si sono rese disponibili per lo spandimento" e in concreto corrispondenti a 123,64 ha di terreno facenti capo alla ditta Iraci, sita in Bevagna. In questa comunicazione si precisava che le ditte conferenti erano passate a 21 e si confermava il conferimento di acque di vegetazione da frantoi oleari. Mancava, è bene sempre sottolinearlo, ogni allegazione delle doverose comunicazioni agronomiche dei singoli frantoi oltre che le specifiche comunicazioni che Codep avrebbe dovuto redigere separatemente per tali acque (comunque non miscelabili). Il contenuto medio in azoto totale dei liquami passava in tal caso dai più di 1 Kg/mc della comunicazione del 2007 a circa 0,85 kg/mc, allegandosi però una sola analisi dell' 11 febbraio 2008, asseritamente inerente ad un campione prelevato il 6.2.2008, oltre a indicarsi il valore dei fanghi come pari a 6 kg/mc., con allegazione di una sola analisi del 26.3.2008. Analisi peraltro entrambe prive di ogni altra indicazione, innanzitutto metodologica, e per le quali vale tutto quanto osservato poco prima; oltre a segnalarsi la singolarità di un'integrazione qualitativa operata dalla Codep solo in funzione di una rappresentazione della riduzione dei carichi azotati e assente, invece, allorquando si sarebbe dovuto tenere conto dei vari nuovi conferimenti verificatisi sempre nel 2008, in grado di incidere in termini, al contrario, di aggravamento dei medesimi carichi di azoto.     

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La circostanza della gestione di notevoli quantitativi di liquidi, solo in parte destinati ad apparenti finalità agronomiche, e della dichiarazione ufficiale, nella comunicazione agronomica, di tale scelta "parziale", rileva anche da un punto di vista fattuale, contribuendo anch'essa ad evidenziare la violazione totale della disciplina dell'uso agronomico degli effluenti zootecnici. Sia sotto il profilo del rispetto del necessario rapporto tra liquami, carico d'azoto e terreni idonei utilizzati, sia sotto il profilo delle doverose tecniche e regole di spandimento (omogeneità dello sversamento, assenza di periodi piovosi etc)..

Rimandando integralmente, per questa parte inerente al contenuto delle varie comunicazioni e integrazioni della Codep, al paragrafo riguardante la ricostruzione documentale dei fatti, si rende opportuno comunque - per una immediata e specifica cognizione - ricordare alcuni profili essenziali innanzitutto della comunicazione agronomica del 13.7.2006: era corredata da una relazione geologica del marzo del 2006 a firma del dr. Matteo Brestuglia, che si  concludeva indicando come potenzialmente utilizzabili sotto il profilo geologico, ai fini della fertirrigazione, circa 225 ettari e 91 are di terreni, su un totale complessivo di circa 300 ha di terreni nella disponibilità di Codep.
Nella stessa comunicazione, dopo avere precisato l'esistenza di un collegamento all'impianto di ben 44 aziende suinicole per 140.000 suini all'ingrasso e 5000 scrofe, e un contenuto medio in azoto totale di 1,080 kg/mc. nei fanghi e liquami, si affermava che i liquami avrebbero dovuto essere fatti oggetto di utilizzazione agronomica ma che le relative quantità annualmente usate dipendevano "dalle superfici di anno in anno effettivamente disponibili e dalle norme di utilizzazione ...".
Si aggiungeva che "la variabilità delle superfici annualmente disponibili ha costituito da sempre un problema di difficile soluzione  e ....non risolutivi sono stati gli interventi di miglioramento delle strutture di trattamento e stoccaggio realizzate allo scopo di diminuire il carico impattante ridotto a valori particolarmente bassi come dimostrano le analisi effettuate sul refluo..". Da qui anche il rinvio a nuovi miglioramenti tecnici per completare il trattamento di depurazione, deliberati nel dicembre 2005 dal CDA.
Fatta tale premessa, la Codep comunicò che per una produzione finale "stimata" di refluo trattato, pari a 310.000 mc netti annui (con riduzione dal maggior valore al lordo, del 15%, calcolato per evaporazione e con contenuto medio in azoto totale per i liquami pari a 1,080 kg/mc), si sarebbero avuti terreni utilizzabili pari solo a 87,50 ha per l'annata agraria 2005/06 (scadente per quanto in precedenza rilevato il 10.11.2006) e a 205,55 ha per l'annata agraria 2006/07; questi ultimi da impiegare però, si noti bene, secondo quanto indicato nella comunicazione, solo entro il luglio del 2007, pur essendo maggiore l'intervallo (dal 11.11.2006 al 10.11.2007) della annata agraria 2006/07. Ciò perchè nella comunicazione medesima si sviluppava un piano della durata espressa di 12 mesi. Per tale complessivo periodo si sarebbero utilizzati alfine, a fini agronomici, solo 56.000 mc., mentre la restante parte del refluo finale secondo la Codep:
1) sarebbe rimasta in stoccaggio nelle strutture esistenti per una capacità "residua" di 50.000 mc.;
2) sarebbe stata inviata in depuratori comunali per altri 114.000 mc.;
3) sarebbe stata stoccata in una nuova vasca ( la cd. "seconda " laguna, i cui lavori iniziarono in realtà solo alla fine del 2008) che si sarebbe dovuta realizzare entro 4 mesi, per un quantitativo di 90.000 mc.
Più in particolare, per l'annata 2005/06 si sarebbero utilizzati a fini di uso agronomico su terreni solo 17.000 mc. di refluo finale, e per quella 2006/07 39.000 mc. (per un totale, prima già indicato, di 56.000 mc. su 12 mesi).  
Seguirono integrazioni alla comunicazione, dell'agosto 2006, a fronte della acquisizione in disponibilità di altri terreni, con elevazione delle quantità di refluo da utilizzare per l'annata 2005/06 fino a 25.000 mc, e per l'annata 2006/07  - ma sempre fino al luglio 2007 - fino a 52.000 mc. circa (pag. 4 della integrazione), per un totale, per i previsti 12 mesi, pari a 77.000 mc. .
Rimanendo in tema di comunicazioni agronomiche, di rilievo fu poi quella intervenuta nel luglio del 2007 ad opera del nuovo Presidente della Codep Siena Graziano, attuale imputato. Comunicazione questa volta operata ai sensi della sopravvenuta DGR 1492/2006 (oltre che della DGR 2052/2005) e indirizzata ai Sindaci dei Comuni ove erano ubicati i terreni su cui effettuare la preventivata utilizzazione agronomica. Con valutazione sia delle aree vulnerabili che non vulnerabili.  
Si confermavano i dati organizzativi e numerici di cui alla precedente comunicazione del 2006 e si ribadiva la ricezione e trattamento anche di acque di vegetazione provenienti da frantoi oleari.
Non compariva, in sede di illustrazione del processo di trattamento,  la nuova laguna indicata come "in fieri" nella precedente comunicazione del 2006, venendo indicata come luogo di stoccaggio finale solo la già preesistente "laguna" di circa 90.000 mq.
In tale contesto allora, si comunicava che per una produzione finale stimata di effluente trattato, questa volta pari a 350.000 mc netti annui e per un contenuto complessivo di azoto totale pari a 378 tonnellate (con contenuto medio in azoto totale per i fanghi pari a 7 kg/mc e per i liquami ancora una volta pari a 1,080 kg/mc), si sarebbero avuti terreni ritenuti utilizzabili pari a 653,01 ha, ripartiti tra aree vulnerabili e non vulnerabili.
Diversamente dalla precedente comunicazione, in maniera alquanto singolare, anche in rapporto al contrario disposto della normativa regionale vigente, non si indicavano i quantitativi precisi - seppur "parziali" rispetto al totale - di liquame e fanghi che si sarebbero utilizzati sui terreni. Nè si indicavano i quantitativi da riversare specificamente sui nuovi terreni acquisiti in disponibilità, solo limitandosi a richiamare la futura redazione del Pua per le aree vulnerabili.
Piuttosto, si continuava a ribadire la sussistenza del problema di Codep circa la disponibilità dei terreni necessari per il completo utilizzo agronomico degli effluenti finali prodotti, operando un previo, generico quanto laconico richiamo ad un "progetto di ristrutturazione dell'impianto di trattamento e di ampliamento delle vasche di stoccaggio", con "vasche di affinamento depurazione e stoccaggio",  che avrebbe consentito in futuro di "..ridurre il carico azotato da 1,080 kg/lt attuale ad un decimo circa, riducendo parallelamente la superficie di terreno necessaria alla utilizzazione agronomica a circa 200/250 ha già ampiamente disponibili...", e di fatto ulteriormente ammettendo il deficit nel rapporto tra reflui prodotti e terreni disponibili per l'utilizzo agronomico, nella parte in cui si richiamava un previsto " raddoppio" delle vasche quale "serbatoio necessario per accogliere volumi di refluo eccedenti la capacità recettiva dei terreni.". Si concludeva la comunicazione semplicemente affermando indistintamente che " ...si dimostra pertanto che l'azienda può smaltire parte dei reflui prodotti mediante la loro utilizzazione agronomica..".
Nè meglio esaustiva risultò l'integrazione del 21 settembre del 2007, di fatto operata solo per riportare un maggior quantitativo di terreni ritenuti idonei, passandosi dai precedenti 653,01 ha ai nuovi 680,09 ha.. Ma sempre priva della indicazione, in realtà doverosa, dei quantitativi da riversare nell'annata di riferimento.

Ebbene, a leggere con attenzione i dati riportati nelle due comunicazioni agronomiche emerge che gli stessi non sono coerenti.
Si deve partire dalla considerazione per cui già nel 2006 la Codep versava in una situazione d'allarme.
Con la prima comunicazione del 2006 e la sua integrazione dell'agosto del 2006, rispetto ai 350.000 mc. ritenuti prevedibili, si rappresentò alfine un utilizzo agronomico complessivo di soli 77.000 mc. La restante parte per 114.000 mc. avrebbe dovuto esser smistata in altri depuratori,  per 50.000 mc. avrebbe colmato la parte ancora libera della esistente "laguna". Tutto il rimanente sarebbe stato sversato in una nuova laguna che nella comunicazione del 2006 si prospettava come da erigere nel breve tempo di soli 4 mesi.
Come noto le cose andarono in tutt'altro modo.
Non risulta che nel 2006 furono convogliati reflui in altro depuratore (che invece solo nel settembre del 2007, e dunque senza che possano calcolarsi nel presente conteggio del 2006/ luglio 2007, andarono nel depuratore di Olmeto - Marsciano in misura di poco superiore a 10.000 mc.).
Non fu realizzata in quegli stessi 12 mesi del 2006/2007, ma neppure, a dire il vero, nel 2007, la seconda laguna per stoccare i reflui rimanenti (a seguito, lo si ripete, del prospettato utilizzo agronomico di 77.000 mc. da una parte e  dell'invio al depuratore di 114.000 oltre all'inoltro nella vecchia laguna di 50.000 mc).
In altri termini, anche a volere dare per buono l'invio su terreni di 77.00 mc. di liquami rispetto ai 350 .000 mc. totali da gestire a valle dell'impianto Codep, avrebbero dovuto rimanere in tale impianto non solo i dichiarati 50.000 mc. con cui si sarebbe saturata la laguna già esistente, ma anche i 114.000 mc. mai inviati in altri depuratori e gli altri restanti metri cubi che si sarebbero dovuti stoccare nella nuova laguna, mai in realtà realizzata.
Insomma, già la prima comunicazione agronomica del 2006 si tradusse nella mera elencazione di numeri, laddove i liquami incombevano nella loro concretezza.
A fronte di tutto ciò la successiva, seconda comunicazione del luglio del 2007 avrebbe dovuto certificare un solo dato: la chiusura della Codep, ormai sovrastata dai liquami.
Al contrario, con la seconda comunicazione si ricominciò a rappresentare una produzione finale di più di 300.000 mc. (rectius 310.000 ) e lo smaltimento di "una parte" di essi. Unica concessione alla logica e alla realtà fu quella di guardarsi bene dall'indicare quanta parte sarebbe stata alfine riversata sui campi a fini agronomici.
Attraverso tale rappresentazione, è facile osservarlo, si cancellarono di un colpo tutti i liquami che alla luce della precedente comunicazione agronomica del 2006 dovevano considerarsi già presenti in ogni vasca, in ogni tubazione, in ogni recondito volume libero dell'impianto della Codep. Quegli stessi liquami che, ove presenti, come dovevasi necessariamente ricavare alla luce del mancato verificarsi delle prospettazioni contenute nella predetta comunicazione del 2006, avrebbero di fatto dovuto impedire l'arrivo di quei 310.000 nuovi mc. indicati con la comunicazione del 2007. A meno di realizzare una perenne esondazione di reflui dalle vasche e condotte di adduzione dagli allevamenti alla Codep medesima. Che invece, guarda caso, mai si registrò in tali apocalittici termini.
Si vuole dire che, già leggendo le indicazioni, a tratti surreali, contenute nelle due comunicazioni del 2006 e del 2007 e tenendo conto dei ridotti spazi ancora disponibili nell'impianto della Codep sin dal 2006, in uno con la circostanza per cui, nonostante ciò, continuarono a pervenire in tali periodi altri reflui all'interno del depuratore in parola, si deve ricavare che in quegli anni circolarono al di fuori della Codep, incontrollati, enormi quantitativi di liquami misti ad acque di vegetazione.
E per tale motivo anche al di fuori di ogni coerente e minimamente effettiva attività di utilizzo agronomico.
E ciò, evidentemente, valse anche per gli ulteriori 143.000 mc che pervennero nel 2008.
Insomma, per un contesto pluriennale del tutto sottratto a qualsiasi coerente rappresentazione numerica di reflui in ingresso e sopratutto in uscita, in cui le incoerenze dell'anno precedente non potevano che riversarsi su quelle dell'anno successivo, in una sorta di catena ingravescente per gravità e incontrollabilità, non può che concludersi nel senso che già le carte, in particolare le comunicazioni agronomiche, rivelavano la sussistenza di una gestione di liquidi del tutto avulsa da ogni ipotesi di effettiva fertirrigazione.  

Del resto, seppure in ritardo, questa vicenda si concluse proprio sul rilievo della totale ingestibilità e incontrollabilità del fenomeno in esame. Si ponga mente a quanto già riportato in sede di ricostruzione documentale dei fatti, con riferimento alla nota dell'Arpa del 10.7.09  - che segnalava una situazione di fatto ritenuta incontrollabile in ordine ai volumi riversati sui terreni e in contrasto totale con il codice di buona pratica agronomica - e alla conseguente ordinanza del Sindaco di Bettona dell'agosto del 2009, con cui si dispose il totale divieto di svolgimento della attività di utilizzazione agronomica su tutto il territorio comunale e nei confronti dei soggetti segnalati da Arpa in apposito allegato, a partire dalla Codep.

La presente ricostruzione della realtà, come emergente dalla lettura dei dati riportati nelle comunicazioni agronomiche, trova conferma anche in alcune conversazioni captate.
Si fa riferimento alla telefonata n. 315 del 8.10.2007 tra il dr. Alberto Micheli di Arpa Umbria e un interlocutore sconosciuto, in cui il primo parlando del nuovo impianto integrativo della struttura Codep ( cosiddetto SBR) di cui evidenziava l'impossibilità di realizzazione per tempo, contestualmente osservava che in quel quadro, a fronte della necessità di realizzare la laguna questa tuttavia non era neppure iniziata "..e ancora neanche si sa se la possono costruire...."; concludendo che in ragione di ciò "...bisogna avere il coraggio di dire che per un periodo di tempo gli allevamenti non possono funzionare, perchè sennò deve arrivare tutta questa merda dove cazzo te la metti?".
Una conversazione dal significato per certi versi ancor più pregnante è la n. 237 del 22.6.2007. Igor Cruciani chiamava un uomo con il termine "dottò" il quale rivelava di ben conoscere la situazione della Codep, tanto da osservare, a fronte delle intense indagini in corso da parte degli uomini del Noe, che nonostante ciò gli addetti della Codep :"continuano a baloccarsi ma io sono contento cazzo Voglio vedere questi imbecilli adesso..il problema, chi ci rimette in primo luogo sono gli amministratori ...e poi gira vedrai che li faranno chiudere sul serio a questo punto; perchè loro dove fanno a dimostrare dove spandono il coso che non hanno terra?". Che la relazione nostra era per due mesi, tre mesi, quattro mesi di produzione mica più".  Quindi proseguendo, continuando a confermare in maniera specifica le ricostruzioni di questa Corte, il predetto interlocutore aggiungeva, ad un Cruciani che sul punto laconicamente assentiva, che "quando ad un certo punto cominceranno a fare un pò di conti diranno....quando leggeranno la relazione si accorgeranno che il piano di spandimento è per 80 metri cubi e loro ne producono 600 mila 400 mila, 300 mila, quant'è, dice : 'il resto che fine ha fatto?....perchè loro il piano di spandimento da quello che dici tu non lo hanno rispettato per niente?.". Non sposta il senso reale di questa conversazione la risposta data dal Cruciani a quest'ultima domanda - "come no? Tutto hanno fatto tutto ma che dici è tutto a posto" -, la quale si spiega con il tentativo di attenuare la gravità del quadro da parte di chi era a stretto contatto con gli uomini di Codep e per tale via ne avvertiva una sorta di corresponsabilità. Del resto lo stesso interlocutore del Cruciani liquidava quest'ultima sua risposta con un eloquente espressione : " sì na sega". E proseguiva intimando al Cruciani, in sostanza, di dare una svolta nel rapporto con la Codep: "tu adesso fai come ti pare ma a loro, diciamo, cominciano ad ascoltare quello che uno dice sennò si fano dare sul culo per conto mio perchè con questi c'è solo da rimetterci ..".
Alla fine i due interlocutori abbandonavano ogni ritrosia critica e, nella preoccupazione di non rimanere coinvolti nelle responsabilità degli uomini della Codep, addirittura ipotizzavano di precisare, nella nuova comunicazione agronomica da preparare per la Codep, che ....il consulente declina ogni responsabilità circa l'esecuzione dello stesso piano (di spandimento, ndr)." concludendo alfine dicendo che "tanto lì o chiudono o dovranno fare qualche cosa..".

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Non mancano altri elementi che indirizzano univocamente verso la tesi della insussistenza di una sia pur minima forma di utilizzazione agronomica.
Come emerge anche dalle suesposte conversazioni, non solo era impossibile una gestione fondata su dati coerenti negli anni, come sopra illustrato, ma anche ciò che alfine veniva sparso sui terreni, veniva riversato secondo modalità del tutto estranee alle regole della corretta pratica agronomica e, piuttosto, ispirate alla mera esigenza di liberarsi di quanto più liquame possibile.
E' qui sufficiente richiamare innanzitutto le plurime testimonianze degli uomini del Noe, che in uno con le foto e le annotazioni acquisite con il consenso delle parti, illustrate analiticamente nelle precedenti pagine, cui si rinvia, hanno delineato un quadro connotato da attività di sversamento, del 2007 ma anche del 2008 e del 2009, frequentemente realizzate creando ampi impaludamenti - tanto da affossare talvolta i rotoni stessi - oppure perpetrate sotto la pioggia o in giorni immediatamente susseguenti a periodi piovosi. Fino a giungere a casi in cui lo sversamento veniva realizzato anzichè mediante ugelli collegati a tubicini prossimi al terreno, in modo da cercare di evitare anche fenomeni di dispersione e nel contempo di impaludamento (in conformità delle regole di buona pratica agronomica), con un unico grosso tubo posto alle estremità di ciascuno dei due bracci del mezzo semovente per la fertirrigazione. Operazione funzionale, evidentemente, ad uno spandimento, rapido, di notevoli quantità di liquami, ma non ad esigenze di lenta e uniforme dispersione del refluo. Dalla citata telefonata 237 emerge che a quest'ultimo episodio assistette lo stesso Cruciani, tanto da rammaricarsene, quale agronomo innazitutto oltre che collaboratore di Codep, con il suo interlocutore: " ..ci sarà un lago in mezzo al campo ..".

Particolarmente eloquente e significativa è, poi, la testimonianza resa su tali aspetti da Santucci Piero, dipendente di Codep, che ha anche essa disvelato modalità di spandimento corrispondenti ad un mero, indistinto scarico di liquami, piuttosto che ad una attenta e puntuale pratica di utilizzo agronomico.
Si fa riferimento a quella parte della sua deposizione dibattimentale in cui il teste ha precisato che solo negli anni precedenti al 2005 si era effettuata da parte sua e dei suoi colleghi attività di spandimento dei liquami accompagnata dalla coltivazione dei campi ove si effettuava lo spandimento stesso; mentre, a partire dal 2005, non si effettuò più tale attività connessa alla fertirrigazione, per cui il loro operato, in sostanza, si era ridotto da quel periodo ad una mera attività di irrigazione dei liquami, seguita dall'abbandono del terreno di cui "...si lasciava quindi ricrescere l'erba e poi ripassato il tempo ci ritornavamo insomma...Non c'era coltura mentre noi facevamo la fertirrigazione " PM : sì ma non c'era la coltura mentre facevate e poi la coltivavate successivamente oppure non la coltivavate punto Santucci: : no, no noi non la coltivavamo".

Si tratta di precisazioni di estremo rilievo, ove si consideri che il senso della utilizzazione agronomica dei reflui è quello di mettere a disposizione delle colture agricole sostanze utili per la loro crescita; nel contempo la presenza di colture sui campi è garanzia che le sostanze ivi diffuse, a partire da quelle azotate, vengano recuperate dagli impianti radicali delle piante e in tal modo non raggiungano le falde acquifere mediante lisciviazione. Si comprende quindi che lo spargimento di liquami zootecnici come di acque di vegetazione su terreni incolti è vietato nella pratica agronomica e, di converso, si traduce in una mera operazione di gestione di reflui o rifiuti.
Ciò che quindi è di estremo interesse, è il dato per cui dal 2005 le operazioni di spargimento di liquami di Codep, avvenivano su campi incolti.

Il Santucci ha anche aggiunto che quanto invece ai terreni semplicemente affittati a Codep e quindi in proprietà di altri, la coltivazione doveva rientrare a suo giudizio nella competenza di costoro e non degli uomini della Codep.
A tale proposito va invece notato che la necessità di coltivare i terreni, al fine di rendere lo spargimento dei liquami coerente con la prospettata attività di fertirrigazione, si imponeva a carico degli uomini di Codep non solo per i terreni nella diretta disponibilità della stessa, innanzitutto presenti lungo tutto l'anello fertirriguo, ma anche per quelli affittati dalla stessa Società.
Diversamente infatti da quanto sostenuto dal Santucci, nei contratti di affitto, agli atti, era espressamente previsto l'onere della Codep di procedere alla relativa coltivazione. Cossicchè dalle parole del Santucci si ricava che anche per questi terreni, quand'anche interessati da un effettivo riversamento di liquami, la Codep non provvide mai alla relativa e necessaria coltivazione. Del resto, come risulta anche dalle comunicazioni agronomiche, i dipendenti operanti all'interno di Codep erano solo 7, tutti addetti all'impianto e mai sono emersi dati circa altri soggetti incaricati di effettuare le coltivazioni imposte dai citati contratti di fitto.
Si aggiunga che le dichiarazioni del Santucci sul punto paiono pienamente attendibili, atteso che il suo ruolo di uomo in prima linea, sul piano operativo, all'interno di Codep, si ricava anche dalle conversazioni captate, in cui interloquiva di frequente con i vertici dell'Azienda o con organi dell'Arpa, o dalla circostanza della sua frequente presenza, come rappresentante della Cooperativa, in occasione degli accertamenti di pg. Per cui deve ritenersi che il Santucci abbia illustrato tali circostanze a ragion veduta.

Il teste peraltro ha offerto sul tema in esame altre importanti indicazioni.
Ha spiegato come veniva calcolato il quantitativo del liquame sparso sui campi e proveniente dall'anello irriguo, premettendo che su tale anello non vi era un contalitri che misurasse i liquami in uscita, atteso che lo stesso era stato installato solo "ultimamente........". Ha quindi affermato che per calcolare tale liquame si procedeva in maniera "...un pò ...cioè approssimativa ...a occhio sì. Sai che il rotone porta più o meno x litri lo tieni acceso x ore. Più o meno così. Non è che si ....cioè non contavamo proprio il litro preciso .... poteva essere meno, come poteva essere qualcosa in più. E' Chiaro. Cioè cento metri cubi, 110 o 90 potevano essere....".
Ha anche aggiunto che il parametro di riferimento per terminare lo spargimento dei liquami era essenzialmente la "passata di tutto il campo...", seppur cercando di sminuire la portata di tale inadeguata pratica aggiungendo che essa poteva al più determinare un prolungamento di poche decine di minuti rispetto al tempo massimo entro cui il rotone avrebbe dovuto essere acceso, per assicurare uno spargimento corretto dei quantitativi di liquame.
Si tratta di un'ulteriore conferma del fatto per cui all'interno della Codep l'unica preoccupazione era quella di liberarsi di metri cubi di liquami per fare spazio agli altri che sopraggiungevano, senza alcuna cura dei pur minimi criteri di una corretta pratica agronomica. Nessun reale e puntuale calcolo di ciò che doveva essere riversato sui campi, ma una gestione, per usare le parole del Santucci, "...cioè approssimativa ...a occhio sì".

Di interesse è anche quanto riferito dal teste con specifico riguardo ai liquami sparsi su terreni lontani dall'anello irriguo e quindi condotti con autobotte. In questi casi lui, come i suoi pochi colleghi svolgenti le medesime attività (altri tre), si occupava esclusivamente di approntare, sul terreno interessato, "il rotone con la motopompa e poi il trasportatore andava là accendeva e faceva la fertirrigazione " senza poi essere ingrado di indicare chi in questi casi fosse deputato al controllo del quantitativo del liquame distribuito sui vari campi. Una forma dunque ancora più evidente di mero sversamento incontrollato di reflui, atteso che in tal caso ogni "controllo" di regolarità veniva omesso, dal momento che semplicemente si affidava al trasportatore di turno il compito di assicurare il riversamento dei liquami. Un'ulteriore conferma di una gestione lontana, per forma e per sostanza, anche solo da un principio, minimo, di attività di fertirrigazione.

Utili sono anche le dichiarazioni in tema di "rippatura", ossia quella pratica di aratura del campo interessato dalla fertirrigazione, che come riferito anche dal Santucci era astrattamente finalizzata, legittimamente, a favorire il rapido assorbimento del liquido dal terreno, così da evitare il diffondersi dei cattivi odori e del ruscellamento del liquame medesimo. Ebbene, al riguardo il teste ha anche riferito che la sua attività prevedeva prima la "rippatura" del terreno, per consentire l'effettiva penetrazione del medesimo con i liquami subito dopo riversati e per evitare così il ruscellamento la diffusione dei cattivi odori, e poi la vera e propria attività di spandimento; senza mai accennare, invece, ad una attività di rilavorazione del terreno entro le 24 ore dalla diffusione sullo stesso dei liquami, descritta invece come utile e necessaria dal teste Igor Cruciani.
Ma ciò che pare ancora più interessante è la considerazione, che va fatta, per cui pur a fronte di questa asserita preventiva aratura, i testi dei Carabinieri giunti sui campi "fertirrigati" rinvennero comunque, spesso, pozzanghere e impaludamenti. Che quindi, a maggior ragione, devono ritenersi espressione di un utilizzo non agronomico dei reflui, atteso che - alla luce delle dichiarazioni del Santucci - deve concludersi che le ampie pozze ritrovate ( si vedano anche le foto) si formarono nonostante la previa "rippatura", che avrebbe dovuto escluderne invece la presenza. A conferma dell'enorme e indiscriminato riversamento dei liquami sui terreni.

Le circostanze da ultimo esposte trovano conferma anche in alcune conversazioni in cui emerge la descrizione di operazioni di spandimento di reflui con creazione di ampie pozzanghere o impaludamenti.
A parte la già citata conversazione del 22.6.2007 di Igor Cruciani che descrive un "lago in mezzo al campo", si richiama la telefonata n. 2511 del 26.6.2007 in cui Santucci Piero parlava di un "campo mollo", quella n. 2124 del 21.6.2007 in cui sempre il Santucci parlava del sistema di irrigazione che ""allaga troppo .." e prospetta l'opportunità di spandere sul medesimo terreno solo una volta e non più volte come fatto altre volte (e come invece spesso accertato ed evidenziato dai Carabinieri operanti del Noe), tanto che il suo interlocutore concordava osservando che " ...una volta e via non succede ninete... ....va una bomba ..non allaga ".

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Nel solco di quest'ultimo aspetto, inerente la gestione dei reflui da parte di uomini di Codep, si pone il tema del rispetto di tutte le doverose modalità di utilizzo dei terreni, vissuto non in prospettiva diretta a consentire l'effettiva utilizzazione agronomica dei reflui bensì in quella di contribuire semplicemente a creare la mera apparenza di una tale attività.

In tal senso depone la conversazione n. 754 del 31.5.2007 tra Igor Cruciani, e la segretaria della Codep Nicoletta, i quali discutevano di terreni non coltivati e che invece dovevano esserlo, ai fini della fertirrigazione, concludendo per la semina, in quei giorni, di mais, pur trattandosi di un'operazione colturale ormai tardiva; che tuttavia il Cruciani suggeriva in ogni caso di realizzare, facendo presente che si trattava di circostanze che comunque, da un lato,  non sarebbero mai state scoperte e che dall'altro servivano invece per creare una situazione di apparente correttezza: "Donna : siamo in tempo per seminare il mais? ...Cruciani:  no veramente no, però si può mettere già lo stesso. Non verrà fuori niente, ma anche se lo mettiamo giù 'a sbrollo' intanto  ce lo mettiamo...".
Seguiva la considerazione per cui "gli amministratori di Codep" pur informati di questo requisito (della coltura dei campi) per la corretta fertirrigazione non si erano mai mostrati attenti a ciò: "Cruciani: io l'ho detto mille volte.....ma tanto sono più sordi delle campane...".
Infine, il Cruciani parlava con Schippa Paolo rappresentandogli che i terreni in affitto andavano coltivati, a conferma quindi del fatto che ciò non avveniva. E concludeva, si noti, per una procedura certamente inadeguata per l'uso agronomico dei reflui, sintomatica ancora una volta della esigenza di creare una mera apparenza:  "Cruciani: anche se fosse coltivato alla meglio, ...basta che coltiviamo....che viene viene, insomma l'importante che risulti coperta la superficie di qualche cosa, magari sarebbe il caso di buttarci giù il più possibile (di liquame, ndr) poi lavorarla e metterci un qualche cosa. E ove mai l'indicazione non fosse stata chiaramente recepita il Cruciani si preoccupava di concludere in tal senso: "...Eventualmente attacchi subito le pompe due giorni, le fai pompare su questi campi, poi aspetti che si asciuga, lavori e butti giù qualche cosa..".

Rileva anche la conversazione n. 1007 dell'11.6.2007 in cui Igor Cruciani conversando con Paolo Schippa, a fronte della possibilità, comunicata da quest'ultimo, di pagare con somme significative l'affitto di terreni, dapprima evidenziava l'inopportunità dei pagamenti, osservando  come si trattasse di terreni che, siccome fertirrigati da Codep, fornivano un vantaggio economico ai titolari che non dovevano procedere a concimazione (considerazione erronea, stante la lettera dei contratti, sopra già illustrata, che imponeva la coltivazione alla Codep); poi, aggiungeva che la disponibilità di terreni "..ci serve solo sulla carta ." Con affermazione subito contestata dallo Schippa (con fondati dubbi che si trattasse di una reazione dettata dal timore di intercettazioni), tanto che il Cruciani si correggeva affermando di essere stato frainteso e che solo voleva dire che alla fine i vantaggi di una coltivazione sul terreno li conservava il titolare dello stesso, mentre la Codep portava su tali aree solo il liquame.

La scelta di ricercare, trovare e quindi indicare, nei documenti ufficiali, terreni e liquami, solo in un'ottica volta a creare mera apparenza, a fronte di una acclarata impossibilità di utilizzare i reflui trattati nel quadro di una effettiva pratica di utilizzazione agronomica dei medesimi, traspare anche dalla conversazione n. 2398 del 11.7.2007, in cui un Uomo non identificato parlava con Graziano Siena e gli rappresentava che gli avrebbe inviato la nuova comunicazione agronomica (anche definita "piano"), raccomandandogli di comprendere come fosse poco dettagliata "....nell'ottica che salti agli occhi il meno possibile..". Pur dovendosi comunque riservare una comunicazione più precisa, quale l'obbligatorio PUA da presentare ad ottobre.  
In effetti, come già fatto notare, a differenza della comunicazione del 2006, con quella del 2007 la Codep non indicò i quantitativi di liquami che avrebbe riversato sui terreni, limitandosi più genericamente a dire che sarebbe stata comunque utilizzata in via agronomica "...una parte" dei liquami totali trattati. Si tratta quindi, di una conversazione che conferma quanto già notato dal confronto tra le due comunicazioni: la scelta di creare una equivoca apparenza di legalità formale, realizzata nel contesto di una costante carenza di terreni su cui spandere, in via agronomica, tutti i liquami prodotti. Si tratta, in altri termini, della conferma, dall'"interno" di Codep, dell'esistenza di un concreto approccio al problema dello spandimento dei liquami mediante effettiva fertirrigazione di tipo puramente speculativo, volto a consentire semplicemente la creazione di una patina di correttezza, dietro cui nascondere una consapevole operazione di abusiva gestione di reflui e rifiuti liquidi.

A tale ultimo riguardo è utile rammentare anche quanto emerso da diverse testimonianze dei Carabinieri del Noe, a partirte dal Capitano Schienalunga: gli operanti chiesero a più riprese negli anni i documenti attestanti i trasporti di refluo trattato verso i terreni lontani dall'anello irriguo, ma ne ottennero solo una minima parte in relazione invece al maggior numero di terreni lontani, ufficialmente indicati da Codep nelle sue comunicazioni agronomiche. Tale, ad esempio, fu il caso di terreni siti in Trevi, per i quali mai si ottenero documenti attestanti l'avvenuto trasporto, ivi, di liquami. E tale è il caso di quei testimoni che hanno riferito di non avere avuto conoscenza di liquami sparsi su propri terreni concessi in disponibilità o affitto alla Codep.   

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Pur nell'acclarata effettuazione, da parte di uomini della Codep, di una gestione degli effluenti completamente estranea a qualsiavoglia principio di effettiva pratica agronomica, occorre comunque formulare, sia pure incidentalmente, delle brevi considerazioni circa altri aspetti che, secondo l'accusa, anch'essi convergerebbero verso la dimostrazione della sussistenza di tale abusiva attività della Codep, e per i quali, invece, secondo questa Corte, non è emersa la relativa prova.
Rimanendo ai terreni siti in Trevi, sopra citati, se per un verso è significativa ai fini accusatori l'assenza di documenti di trasporto di effluenti verso di essi, dall'altra non appare dimostrato che gli stessi non fossero idonei alla fertirrigazione, in particolare perchè connotati da eccessiva pendenza, non rispettosa delle condizioni di legge.  
In proposito vengono in rilievo a supporto di tale affermazione due soli elementi.
Da una parte, la già citata relazione di pg inerente il sopralluogo effettuato in loco dal Capitano Schienalunga con alcuni suoi uomini: in essa si dice, in sostanza, che i terreni erano inadeguati perchè posti in montagna e raggiungibili attraverso una strada impegnativa. Troppo poco per provare, tuttavia,  l'unico aspetto d'interesse, ossia la pendenza oltre norma dei terreni medesimi: invero, nulla può escludere che un terreno raggiungibile con un impegnativo percorso in montagna, si distenda secondo un'andatura pianeggiante.
Egualmente, non si è rivelato idoneo a suffragare la specifica accusa in esame per i terreni di Trevi, neppure il richiamo alla conversazione, agli atti, n. prog. 671 del rit 749/07, intervenuta in data 28.6.2008, tra Igor Cruciani e il geologo dr.ssa Fiorucci, nella quale quest'ultima, nel commentare taluni terreni siti in Trevi ed indicatile dalla Codep come da esaminare, per valutarne la idoneità agronomica, si lamentava per la qualità di alcuni di essi parlando di "fossi...... scatafossi ....impiccati su per il monte in montagna, una pendenza assurda ..poi c'è il prato pascolo cespugliato va bene? no? Erba così scritto volevo dire 'sì marjuana'   ...mi sa che li scarto tutti..".
La dr.ssa Fiorucci, richiesta di chiarire tali affermazioni in udienza, ha affermato di avere effettivamente selezionato i terreni che le erano stati indicati scartandone tutti quelli inidonei e di non sapere se, poi, queste sue indicazioni furono seguite in sede di redazione della comunicazione agronomica del 2007 e relativi allegati. Aggiungendo, in sostanza, di non potere escludere di avere ammesso, anche magari tra quelli di Trevi, quantomeno taluni di essi siccome non connnotati da eccessiva pendenza oppure, per le stesse ragioni, solo una parte del medesimo terreno.
Ebbene, a fronte di tali chiare affermazioni, astrattamente anche legittime e verosimili, è mancata l'introduzione agli atti dibattimentali di una verifica tecnica (geologica) sui terreni di Trevi riscontrabili nelle comunicazioni agronomiche, che avesse accertato la loro compatibilità o meno ai requisiti astrattamente previsti per la pratica agronomica, a partire dalla pendenza. Cosicchè non può escludersi, in assenza di valida prova contraria, che i terreni di Trevi, di cui alle comunicazioni agronomiche, siano corrispondenti a quei pochi agri che la Fiorucci alfine intese includere perchè regolari.
                        
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A fronte di così univoci dati probatori, che escludono l'avvenuta effettuazione di una reale pratica di utilizzazione agronomica da parte della Codep e di suoi uomini, non deve comunque dimenticarsi il già citato principio per cui, ai fini dell'applicazione delle norme derogatrici della ordinaria disciplina penale in materia di reflui e rifiuti, è onere dell'interessato fornire la prova della sussistenza dei presupposti e circostanze da cui dipende l'applicabilità delle predette disposizioni, di tipo eccezionale. In altri termini, con riguardo al caso di specie, ".....le disposizioni in tema di fertirrigazione, presuppongono l'applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali in tema di rifiuti e, come tali, impongono a chi le invoca l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per la loro applicazione (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5039/2012 cit. che richiama, con riferimento a disposizioni diverse, Sez. 3 n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3 n. 35138, 10 settembre 2009; Sez. 3 n. 37280, 1 ottobre 2008; Sez. 3 n. 9794, 8 marzo 2007; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004;. Sez. 3 n. 30647, 15 giugno 2004)...". (cfr. Cass. Pen. sez. III Sez. 3, Sentenza n. 15043 del 22/01/2013 Cc.  (dep. 02/04/2013) Rv. 255248 Presidente: Lombardi AM.  Estensore: Orilia L.  Relatore: Orilia L.  Imputato: Goracci).
Ma nessuna prova, univoca, puntuale, costante, è stata fornita in tal senso da alcun imputato.  
 
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In considerazione di una così serrata e convergente serie di elementi probatori oltre che di considerazioni giuridiche dalle indubitabili ricadute in tema di mancata fertirrigazione, deponenti per il granitico accertamento della effettuazione, all'interno della Codep, di una attività di gestione dei liquami e altri liquidi estranea a qualsivoglia pratica di utilizzazione agronomica, e piuttosto inquadrabile nell'ambito delle ordinarie norme dettate in materia di acque e di rifiuti, perde importanza l'ampia disquisizione, svoltasi nel corso del dibattimento, circa la correttezza o meno dei calcoli svolti dal Ct Iacucci sui quantitativi di azoto presenti nei materiali trattati da Codep. E quindi circa la corretezza delle analisi sottostanti a tali calcoli. Tanto più, peraltro, ove si ponga mente alla ordinanza di questa Corte, con la quale si è sancita l'inutilizzabilità soggettivamente parziale delle analisi effettuate dall'Arpa, durante gli accertamenti tecnici del Ct Iacucci.

Ed invero, per quanto sinora osservato, ai fini della esclusione di una corretta ed effettiva attività di fertirrigazione depone innanzitutto la raggiunta prova sia di un palese contrasto con la normativa di riferimento, così da escludere già su questo piano l'esistenza di una tale pratica, sia della effettuazione di una attività di gestione dei liquami totalmente confusa e incontrollata, per quantitativi esorbitanti e ben differenti da quelli indicati da Codep  e secondo modalità di spandimento assolutamente estreanee, se non palesemente contrapposte, alle esigenze sottese alla pratica di utilizzo agronomico e quindi ai relativi criteri di realizzazione. Cosicchè, si ripete, non risulta prioritariamente rilevante una problematica di corretto e preciso calcolo tra azoto prodotto e riversato e quantità di terreni utilizzati.

Possono tuttavia utilmente formularsi alcune brevi considerazioni.
Già con i calcoli dell'azoto contenuto nei liquami, come operati dalla Codep e indicati nelle sue comunicazioni agronomiche, è risultato - per la stessa ammissione della società - che con i terreni disponibili non si sarebbe potuta effettuare un'attività di utilizzazione agronomica per tutti i liquami a valle, ma al più per una "parte" (mai precisata sia nel 2007 che nel 2008). Tanto più poi, ove si riporti alla mente quanto in precedenza osservato circa il contenuto illogico delle comunicazioni del 2006 e 2007, con inevitabili riflessi su quella del 2008, emergente a fronte di situazioni prospettate per illustrare la complessiva gestione dei liquami e non realizzatesi (si ricordi la creazione della seconda laguna indicata sin dal 2006, o l'invio di 114.000 mc. in altri depuratori, mai avvenuto).
E si è dimostrato che una tale operazione di parziale, quanto incerta e discrezionale separazione, tra reflui asseritamente usati in futuro per la pratica agronomica e reflui mantenuti a stoccaggio, non può consentire di ritenere sottratti, alla disciplina ordinaria in tema di acque e rifiuti, tanto i primi che i secondi, con le relative attività di gestione. E, piuttosto, impone di inquadrare l'intera attività e, quindi, tutti i materiali liquidi coinvolti, nel campo di operatività delle ordinarie norme dettate per le acque e per i rifiuti.

Inoltre che il quantitativo di azoto presente nei liquami trattati, come dichiarato dalla Codep nelle sue comunicazioni agronomiche (pari a circa 1086 mg/l), non possa prendersi in seria considerazione ai fini dell'applicazione della deroga nascente dal riconoscimento di una corretta ed effettiva pratica agronomica, si ricava anche dalla analisi della disciplina di riferimento. Nella parte in cui prende cura di specificare persino le modalità, con cui pervenire alla individuazione e successiva indicazione, del quantitativo di azoto da illustrare nella comunicazione agronomica. Si fa riferimento alla previsione dell'allegato I al DM 7.4.2006 - comunque riscontrabile anche nelle corrispondenti norme regionali tecniche - per cui, per i valori degli effluenti da utilizzare da parte degli interessati per i propri oneri informativi e comunicativi, si può attingere a quelli indicati nella tabella 1, 2 e 3 dell'allegato, corrispondendo essi a quelli riscontrati con maggiore frequenza a seguito di misurazioni dirette ed effettuate in numerosi allevamenti, appartenenti ad una vasta gamma di casi quanto a indirizzo produttivo ed a tipologia di stabulazione.
Tuttavia, nel caso fossero ritenuti validi per il proprio allevamento valori diversi, secondo la citata disciplina occorre presentare una relazione tecnico-scientifica che illustri dettagliatamente:
- materiali e metodi utilizzati per la definizione del bilancio azotato aziendale basato sulla misura dei consumi alimentari, delle ritenzioni nei prodotti e delle perdite di volatilizzazione, redatto seguendo le indicazioni contenute in relazioni scientifiche e manuali indicati dalle regioni. In alternativa possono essere utilizzati valori analitici riscontrati negli effluenti, di cui vanno documentate le metodiche e il piano di campionamento adottati;
- risultati di studi e ricerche riportati su riviste scientifiche atti a dimostrare la buona affidabilità dei dati riscontrati nella propria azienda e la buona confrontabilità con i risultati ottenuti in altre realtà aziendali;
- piano di monitoraggio per il controllo, nel tempo, del mantenimento dei valori dichiarati.
Tanto, invero, è perfettamente riscontrabile nella DGR 1492/2006 in relazione alla "nota introduttiva alle tabelle 1 e 2 ", ove si prevede che in alternativa all'utilizzo dei valori di cui alle tabelle allegate possano usarsi altri valori e, in tal caso "il legale rappresentante dell'azienda ai fini della comunicazione potrà utilizzare tali valori presentando una relazione tecnico scientifica sottoscritta da un tecnico abilitato ....che illustri dettagliatamente: materiali e metodi utilizzati per la definizione del bilancio azotato aziendale basato sulla misura dei consumi alimentari, delle ritenzioni nei prodotti e delle perdite di volatilizzazione, redatto seguendo le indicazioni contenute in relazioni e manuali scientifici. In alternativa possono essere utilizzati valori analitici riscontrati negli effluenti, di cui vanno documentate le metodiche e il piano di campionamento adottati;
- risultati di studi e ricerche riportati su riviste scientifiche atti a dimostrare la buona affidabilità dei dati riscontrati nella propria azienda e la buona confrontabilità con i risultati ottenuti in altre realtà aziendali;
- piano di monitoraggio per il controllo, nel tempo, del mantenimento dei valori dichiarati.
Ebbene, nessuna delle tre suesposte metodiche di calcolo dell'azoto risultano seguite e applicate nelle comunicazioni agronomiche di Codep. Metodiche peraltro ben note, come dimostra la lettura, ad esempio, della comunicazione agronomica del 2008 della Vapor, agli atti, in cui appare seguita la prima metodica di calcolo.
Piuttosto, risulta la mera indicazione di un valore pari a poco più di 1000 mg/l ed estraneo a qualsivoglia criterio di cui alle sopra citate tabelle di calcolo allegate alla DGR 1492/2006, così come estraneo a qualsiasi conclamato e comprovato complesso di studi o piano di campionamento e analisi vicino al periodo di riferimento della singola comunicazione.

Che si tratti di un dato qualitativo discutibile emerge anche dalla circostanza che esso appare ingiustificatamente vicino ai dati elaborati in materia all'epoca delle citate e lontane relazioni di progetto; dati consistenti, per i liquami, in circa 900 mg/l di azoto totale, ed individuati alla luce di un ampio spettro di analisi operate su altrettanto ampi spazi temporali e per quantitativi di reflui prodotti ben inferiori a quelli in esame, siccome attestati intorno a circa 245.000 mc, piuttosto che intorno a circa 330.000 mc medi per gli anni 2006 - 2007.  
Cosicchè, a fronte di una produzione di liquami acclarata come corrispondente a quantitativi ben superiori ai citati 245.000 mc.; a fronte di una altrettanto acclarata cattiva gestione dell'impianto (si pensi al mancato funzionamento del sedimentatore accertato più volte dal ct Iacucci e alle riportate telefonate svoltesi in tema tra Siena e Santucci, così come alle conversazioni in tema di consumi energetici immutati a fronte di aumentati macchinari); in considerazione dell'inoltro ai campi, di liquame prelevato all'uscita della vasca di ossidazione piuttosto che all'esito di un ulteriore periodo di stabilizzazione realizzato nella laguna, e talvolta verosimilmente anche prelevato prima dell'inizio del previsto trattamento; in ragione dell'accertato stato della laguna, contenente un liquido paludoso piuttosto che chiarificato e quindi comprensivo di alte quantità di solidi sospesi, anche essi incidenti sulle concentrazioni di azoto; a fronte di tutto ciò, appare scarsamente verosimile se non impossibile un dato analitico di poco superiore a 1000 mg/l, se non addirittura inferiore, come sostenuto dalle difese.   

E alfine si prospetta, in tal modo, come non lontano dalla realtà, piuttosto, il dato analitico riferito dal Ct Iacucci, significativamente superiore a 1000 mg/l e tale quindi da rendere ancora più inadeguato, ai fini della fertirrigazione, il rapporto, imposto per legge, azoto/terreni idonei.
La considerazione, sia pure indiziaria, di tale dato, è possibile una volta respinta, preliminarmente, la tesi difensiva della presenza, nei campioni liquidi del liquame analizzato da Arpa e citato da Iacucci, anche della componente solida, in ragione di una asserita mancata filtrazione ricavabile dalla soggettiva lettura del rapporto di analisi, come operata e illustrata dal consulente di parte della difesa. Laddove, piuttosto, si ritiene che alla luce di una lettura complessiva del rapporto di analisi e anche del corrispondente verbale di prelievo, in cui già si precisava la futura attività di filtrazione del refluo in funzione della prevista analisi, e alla luce dei richiamati metodi analitici dei rapporti di prova, si possa ritenere avvenuta la previa filtrazione dello stesso campione liquido.

Con ulteriore precisazione, tuttavia.
Nel senso che il numero non elevato di campioni (inferiori alla decina), raccolti in un breve lasso di tempo (circa un mese), rispetto ad una attività della Codep protrattasi negli anni, rende i risultati analitici richiamati dal ct Iacucci statisticamente non significativi di per sè.
Così da doverli e poterli valutare nel quadro più ampio delle altre prove raccolte, come sopra già accennato.
Quadro che per quanto sinora visto, è connotato, tra l'altro, da:
- un funzionamento degli impianti per quantitativi di liquami in ingresso oltre misura rispetto a quanto progettualmente previsto (con conseguente pregiudizio dell'efficienza degli stessi);
- un incompleto funzionamento di tutti i macchinari (si ricordi la telefonata tra Siena e Santucci o i rilievi sul sedimentatore di Iacucci);
- prelievi di liquami da irrorare sui campi effettuati ancor prima del loro passaggio in laguna e quindi del completamento, con una ulteriore forma sia pur ridotta di sedimentazione dei solidi, del normale ciclo di trattamento, così da favorire ancor di più la presenza di parti solide (si ricordino le foto della laguna, "paludosa", o al Santucci che parlava di liquame "troppo" nero).
Si pensi altresì, alla sentenza (citata) passata in giudicato per un reato diverso da quelli in esame, e relativa a Siena Graziano e Mattoni Giovanni, da cui emerge un valore dell'azoto pari a 1 kg., comunque in questa sede considerabile quale circostanza distinta e valutabile rispetto all'oggetto del giudicato; nonchè alle analisi riferite dal teste Roscini, alle cui dichiarazioni si rimanda, in ordine ad accertamenti del 2009, rivelatrici anch'esse di un carico di azoto ben vicino a quello considerato dal ct Iacucci.
Tutti dati che alfine, come già accennato, consentono di recuperare in una valutazione complessiva degli elementi probatori raccolti, i risultati analitici illustrati dal ct Iacucci, quantomeno in termini di indicatori di valori diversi e superiori a quelli attestati ufficialmente dalla Codep.
Senza che a ciò ostino gli ulteriori dati analitici prodotti dalla difesa, per gli anni in esame e fino al 2009.
Sia perchè comunque anche essi non numerosi, sia perchè per lo più privi di ogni indicazione dei metodi di campionamento e analisi ( in particolare quelli a firma del dr, Vitali), sia perchè anche essi comprensivi talvolta di valori ben superiori a 1000 mg/l,  sia perchè, non lo si trascuri, in assenza dell'esame dei diretti operatori, non è dato conoscere il carattere a sorpresa o meno del prelievo di riferimento. Tanto più alla luce della disponibilità degli uomini della Codep ad "aiutare" a proprio favore i valori analitici finali (si pensi alla illustrata conversazione del Siena con il Santucci, per mettere in funzione l'impianto, intervenuta subito dopo l'acquisizione della notizia dell'imminente arrivo dell'Arpa per attività di campionamento).

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Può concludersi che l'attività svolta dalla Codep non è stata solo palesemente  in contrasto - sul piano fattuale - con ogni regola e criterio di effettiva utilizzazione agronomica (comprese quelli per le acque di vegetazione), ma ha anche completamente dato luogo a innumerevoli profili di antigiuridicità: in sintesi costituiti dalla inammissibile, pretesa configurabilità della disciplina di utilizzazione agronomica a tutti i reflui trattati e stoccati, seppure solo in parte usati per la (apparente) fertirrigazione. Profili di antigiuridicità enumerabili nella totale e profonda violazione della procedura disciplinante la pratica di utilizzazione agronomica, di liquami come di acque di vegetazione, compreso il divieto di miscelazione di queste ultime. Con conseguente applicabilità, piuttosto, della ordinaria disciplina in tema di acque e rifiuti e correlata assenza, quindi, dei necessari titoli abilitativi previsti da tale normativa (in primis le autorizzazioni ai conferimenti di rifiuti liquidi in ingresso, siccome scadute nell'ottobre del 2007, le autorizzazioni agli scarichi e quindi ai trasporti e smaltimenti su terreno dei rifiuti liquidi).
Da tutto ciò consegue, come già evidenziato nelle pagine dettate in tema di disciplina della attività di utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici, l'impossibilità di riconoscere la mera sussistenza di "irregolarità" nell'ambito di una reale, effettiva attività di fertirrigazione; come tali al più integranti la fattispecie ex art. 137 comma 14 Dlgs 152/2006, ove si segua la interpretazione, criticata, che inclina verso una operatività "unitaria" di tale norma, siccome intesa come applicabile a prescindere dalle modalità di spandimento, se operato a mezzo scarico o mediante rifiuto liquido.
Al contrario, la totale esorbitanza della gestione svolta dalla Codep dai dettami giuridici e pratici della attività di utilizzazione agronomica degli effluenti in parola, riduce la stessa, piuttosto, ad una condotta da ricondurre, lo si ripete, alla disciplina in tema di acque o di rifiuti, e per quest'ultimo caso, alla integrazione del delitto ex art. 260 cit. che è qui in esame.

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Ebbene, rispetto alla attività esaminata nelle pagine precedenti con riguardo al capo g), anche esso riferito all'art. 260 Dlgs 152/06, per le quali si è accertata la mancanza di ogni prova in ordine a forme di riversamento finale del refluo diverse da uno "scarico", così da sancire l'insussistenza del fatto, parzialmente diverso è il discorso formulabile con riferimento alla analoga contestazione di cui al capo b).
Deve ritenersi infatti, alla luce delle prove raccolte, che sebbene la gran parte delle forme di riversamento finale del liquame trattato si svolsero mediante "scarico", non mancarono quelle invece realizzate mediante autobotti, che prelevarono i reflui prodotti a valle per scaricarli su terreni lontani dal cd. "anello fertirriguo". Così integrando, per quanto sinora detto, forme di trasporto e smaltimento di rifiuti liquidi non autorizzate, da considerarsi ingenti per dimensioni quantitative e qualitative.
Ad esse devono aggiungersi le eguali forme di trasporto e smaltimento di liquami realizzate attraverso i conferimenti di liquidi mediante autobotti (comprensivi di acque di vegetazione e in alcuni casi anche di liquami zootecnici). Anche in tal caso l'impossibilità di rivendicare la "deroga" conseguente ad una effettiva pratica agronomica, impone la disciplina relativa ai rifiuti ( liquidi) e l'abusività dei conferimenti, atteso che dall'ottobre del 2007 la Codep fu sprovvista della necessaria autorizzazione alla ricezione.
Si aggiungano, siccome strumentali in tale contesto di mero e sistematico riversamento di rifiuti liquidi, i diversi episodi di tracimazione da vasche interne a Codep, integranti appunto, per quanto illustrato in tema di principi generali, non uno scarico ma uno sversamento di rifiuti liquidi. Non autorizzato.
Va poi aggiunta, nel quadro della abusività delle attività, trattandosi di presupposto rilevante anch'esso in relazione al reato ex art. 260 Dlgs 152/2006 di cui al capo b) qui in esame, la circostanza della violazione persino della normativa sub primaria disciplinante i rapporti tra il Comune di Bettona e la Codep, secondo cui ogni nuova ammissione di conferimenti di liquami o acque doveva passare per il beneplacito della Giunta comunale. Cosa non avvenuta, a partire dai più volte citati accordi di nuovo conferimento di liquami, condizionati, puramente sulla carta, dal prelievo di eguali quantitativi di refluo trattato.  
Presupposta quindi la nozione ampia del carattere abusivo dell'attività organizzata di gestione dei rifiuti, funzionale ad integrare il delitto in esame, atteso che tale requisito ricorre in tutti i casi in cui la condotta si svolga nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni, oppure in assenza delle autorizzazioni o quando esse siano scadute oppure palesemente illegittime o comunque il regime giuridico di apparente riferimento - come nel caso di specie - non risulti commisurato al tipo di attività e di rifiuti (cfr. in tal senso, per tute, Cass. Pen. sez. III 5, Sentenza n. 40330 del 11/10/2006 Cc.  (dep. 07/12/2006 ) Rv. 236294 Presidente: Foscarini B.  Estensore: Di Tomassi M.  Relatore: Di Tomassi M.  Imputato: Pellini), deve ritenersi che tale caratteristica connoti l'attività di gestione dei rifiuti liquidi effettuata presso l'impianto di Codep e anche fuori del'impianto medesimo.

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Per quanto attiene all'ulteriore requisito costituito dalle "ingenti quantità" di rifiuti gestiti, si richiama preliminarmente il principio per cui "in tema di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, la nozione di ingente quantitativo deve essere riferita al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta..."  (cfr. Cass. Pen. sez. III Sentenza n. 12433 del 15/11/2005 Cc.  (dep. 07/04/2006) Rv. 234009 Presidente: Vitalone C.  Estensore: Squassoni C.  Relatore: Squassoni C.  Imputato: P.M. in proc. Costa.).
Ebbene, da quanto sinora illustrato deve ribadirsi che per l'anno 2007 non sono emerse indicazioni certe circa un uso di autobotti per il trasporto di rifiuti al di fuori dell'anello "irriguo" e tantomeno secondo caratteristiche tali da lasciare emergere una attività organizzata per il traffico. A conferma possono anche richiamarsi le illustrazioni di testi di pg e le annotazioni acquisite con il consenso, da cui traspare essenzialmente l'indicazione dei rotoni (e non delle autobotti) e delle modalità di spargimento, peraltro normalmente effettuate in Bettona (zona di operatività dell'"anello irriguo"), cui si è conformata geograficamente anche la contestazione di cui al capo g); cosicchè sino a quell'epoca l'attività finale emersa è stata solo di "scarico" in senso tecnico degli effluenti. Ne' nell'ambito dell'art. 260 Dlgs 152/06 paiono riconducibili, richiamando quanto già accennato al riguardo in precedenti pagine, gli sporadici casi verificatisi a quell'epoca, di sversamento sul terreno di liquame proveniente da vasche o condotte di adduzione, che rientrano nel regime della disciplina dei rifiuti, in assenza di regolare e stabile condotta di riversamento, ma che proprio per la loro episodicità se non unicità di quell'anno, paiono rimanere nell'ambito delle corrispondenti fattispecie contravvenzionali. Mentre i conferimenti di acque di vegetazione del 2007 sono apparsi, lo si ripete, legittimati da apposita autorizzazione alla ricezione di rifiuti liquidi, operante sino all'ottobre del 2007.

Neppure paiono riconducibili nell'alveo del delitto ex art. 260 Dlgs 152/06 qui in esame, terre e rocce da scavo che sarebbero state conseguenti all'inizio dei lavori della seconda laguna, del novembre del 2008. In proposito è sufficiente osservare come si tratti di una vicenda essenzialmente accennata, senza alcuna puntuale e precisa illustrazione, da alcuni testi di Pg. Nè sono stati prodotti documenti o atti irripetibili di pg utili per inquadrare la stessa, in relazione al tipo di lavori, alle quantità di terre e rocce, ai progetti presentati e al loro contenuto in ordine a tali terre e rocce.  Ne emerge piuttosto una frastagliata illustrazione, a volte neppure convergente tra i testi che ne accennano, che pertanto rende insussistente la base fattuale e giuridica da cui partire per valutare la sussistenza di rilievi penali e la riconducibilità del fatto nell'ambito del delitto in esame. A ciò si aggiunga che oltre alla citata carenza di precisi dati probatori, emerge al contrario la sussistenza di elementi che paiono evidenziare che in ogni caso l'attività fu appaltata dalla Codep ad una ditta (impresa Vitali Ottavio) e a soggetti che operarono autonomamente e separatamente rispetto alla Codep:  circostanza che pone anche il problema della assenza di prova circa il coinvolgimento, nella vicenda, di taluni dei responsabili del reato ex art. 260 Dlgs 152/06 in esame, e in particolare di Graziano Siena.

Si deve quindi osservare che è dal 2008 che sono state dimostrate condotte abusive organizzate di gestione  e traffico dei rifiuti liquidi e per ingenti quantità, effettuate da uomini della Codep e nei termini poco prima illustrati.
Plurime sono le fonti di prova.
Da un punto di vista documentale, rimandando alla apposita ricostruzione delle pagine precedenti, è qui sufficiente e utile ricordare quanto emerge da relazioni di sopralluogo svolte dagli uomini dell'Arpa Territoriale, in particolare essenzialmente il Bagnetti e Menganna, con sottoscrizioni anche della D'Amico (note del 5, 27 marzo 2008, 10.4.2008, 16.6.2008, di cui alla citata produzione difensiva del'imputata D'Amico, oltre che ulteriori accertamenti dell'estate del medesimo anno). In tali atti è rappresentata la descrizione di attività di fertirrigazione in alcuni casi operata anche mediante trasporto con  autobotti.
Rileva l'accordo del 16.6.2008 tra Codep (in persona del Siena) e la azienda "F.lli Longetti" rappresentata da Longetti Sergio, in funzione dell'espletamento di attività di utilizzazione agronomica anche su terreni lontani dal cd. "anello irriguo", mediante trasporto di liquidi trattati.
Trasporti poi realmente realizzati come emerge, tra l'altro, anche da fatture emesse dalla ditta F.lli Longetti s.s. nell'anno 2008, per la cui illustrazione si rinvia alle pagine precedenti.
Giova osservare che tra gli atti acquisiti rientra e qui rileva una autorizzazione al trasporto di materiali di origine animale per Longetti Andrea quale titolare dell'allevamento F.lli Longetti e per autocisterna tg. pg 471580, che tuttavia non osta alla attuale ricostruzione dell'attività organizzata dei rifiuti, atteso che comunque il trasporto inevitabilmente, al fine di svuotare la cisterna, si concludeva con lo sversamento abusivo del liquame medesimo da parte del trasportatore o in ogni caso con la fattiva collaborazione del trasportatore stesso (si pensi alle dichiarazioni del Santucci in proposito). E atteso che ciò, come sopra illustrato, si inseriva in un contesto anche giuridico in cui - esclusa l'operatività della fertirrigazione - sarebbero state necessarie le ordinarie autorizzazioni, comprese quelle per lo sversamento. Sub specie di smaltimento, ove mai rilasciabile.  
Rileva ancora l'accordo stipulato tra Codep e Vapor del 16.2.2008, che consente di individuare, assieme alle dichiarazioni dello stesso imputato Zanotti e ai ddt rinvenuti, anche riferiti al trasportatore Berretta G., l'avvenuta effettuazione di attività di prelievo con autobotte dei reflui a valle dell'impianto di Codep e di successivo sversamento abusivo su terreni, innanzitutto in Cannara, assieme ad un caso di conferimento, con autobotte, di reflui da Vapor a Codep e, dunque, non utilizzando in questo caso le ordinarie condotte di conferimento diretto.  
In questo quadro probatorio si inseriscono anche diverse note della Codep, Presidente Siena (da agosto a ottobre 2008) in cui si contestava ad un certo punto sia l'assenza di prelievi nelle quantità pattuite, da parte di Vapor, di refluo trattato, siccome effettuati in quantità "scarsa", sia i mancati pagamenti.

Assume importanza anche l'ordinanza comunale n. 195 del 29.12.2008, con la quale si autorizzava la Codep a ricevere i liquami prodotti non solo da allevamenti di soci - che dunque conferivano a mezzo condotta e quindi mediante "scarico", qui non rilevante -  ma anche da meri utenti, che quindi conferivano inevitabilmente con autobotti. Così come con autobotti conferivano ancora, in quei mesi, i conferitori di acque di vegetazione e sanse umide olearie " di provenienza esclusivamente regionale" . Sul punto si rimanda anche alle testimonianze dei testi di PG sul rinvenimento a metà del 2008, presso Codep, di documenti attestanti conferimenti di acque di vegetazione.

Tra i dati documentali ancor più specificamente illustrativi delle attività di conferimento in Codep oppure di trasporto e sversamento di rifiuti liquidi prodotti a valle della Codep, si richiamano anche in queste pagine - per una immediata cognizione - numerosi DDT (id est documenti di trasporto).
Per essi occorre premettere che trattandosi, per quanto sinora illustrato, di attività non riconducibile nell'ambito di una effettiva e regolare pratica di utilizzazione agronomica, sarebbero stati necessari, in luogo dei citati "DDT", degli ordinari Formulari di identificazione del rifiuto (cd. "fir"). Così emergendo un ulteriore aspetto di abusività delle condotte in esame.
Si tratta, in particolare, di 75 DDT relativi al trasporto ad opera di Codep  di "fanghi provenienti dall'impianto di depurazione" della stessa verso "terreni agricoli" della azienda di tale Natalini Luca in Bettona, fl. 15 e 9 per varie particelle. Sono relativi a trasporti compiuti tra il 2.10.08 e il 17.10.08 e su "trattore" con volume pari a 4 mc. e un totale di circa 300 mc. Documenti peraltro in alcuni casi privi persino di data, numero e orario di partenza. Si richiama in essi la comunicazione agronomica del 13.7.2007.
Giova qui osservare che diversamente dai fanghi ufficialmente trasportati e sversati dalla Codep nel 2007, ritenuti da questa Corte gestiti legittimamente, a fronte anche della mancata prova della occultata produzione e smaltimento di maggiori quantitativi ipotizzata dal dr. Iacucci, non può dirsi lo stesso per quelli prodotti e riversati sui terreni dal 2008: posto che la loro legittima gestione richiedeva oltre che il rispetto degli illustrati criteri di corretta pratica agronomica, come normativamente fissati (e da questa Corte rienuti come costantemente violati), anche il rilascio di titoli abilitativi ex Dlgs 92/99, si evidenzia l'assenza di tutti i profili di legittimità suddetti.
Risultano poi circa 60  DDT dal 7.7.2008 al 29.7.2008, riguardanti trasporti effettuati da "F.lli Longetti di "refluo zootecnico proveniente da impianto di depurazione" della Codep, con automezzo tg. PG 471580 avente volume di 14 mc.,  e diretto a "terreni agricoli" di "A.A. Giacomo Iraci Borgia" in Bevagna, fl. 14 per numerose particelle. Si tratta in totale di 840 mc. Che appare riscontrato da quanto emerge dalla consulenza del Ct Refrigeri - con i relativi allegati - su tali aspetti.
E' utile notare come si tratti di attività di gestione pienamente valutabile da questa Corte, in quanto la sentenza di proscioglimento, passata in giudicato il 21.11.2013, del Gup presso il Tribunale di Perugia, acquisita in atti, ha riguardato Mattoni Giovanni, Taglioni Nicola, Siena Graziano per fatti relativi agli artt. 81, 112 e 260 Dlgs 152/2006 ma commessi in Bettona e Bevagna nel diverso periodo compreso tra il 26.1.2009 e il 9.2.2009; ulteriore conseguenza, che sin da ora si evidenzia, è che comunque, limitatamente a tali fatti così circoscritti, si impone una dichiarazione di non doversi procedere nei confronti dei tre suddetti imputati perchè l'azione penale non poteva essere proseguita.
Si rinvengono inoltre circa 230 DDT relativi al trasporto ad opera di "Az. Agr. Mattoni Giovanni" con trattore tg rim ae427s di "refluo zootecnico proveninte da impianto di depurazione" della Codep diretto a "terreni agricoli" di  "A.A. Giacomo Iraci Borgia" in Bevagna, fl. 14 per numerose particelle e su automezzi aventi volume variabile tra 14 e 28 mc, per un periodo compreso tra il 4.7.2008 e il 15.9.2008. Il totale complessivo dei liquami anche a voler considerare i volumi pari sempre al minimo di 14 mc, è almeno pari a 3220. Che appare riscontrato da quanto emerge dalla consulenza del Ct Refrigeri - con i relativi allegati - su tali aspetti. Con la precisazione che i quantitativi trasportati da Mattoni, siccome riversati anche su altri terreni, sono complessivamente superiori come appresso si evidenzierà.
Risulta poi che in data 28.8.2008 la Codep comunicava al comune di Bastia l'avvio di attività di spandimento su terreni della azienda Rafe Zoo di cui alla comunicazione agronomica. Di tali spandimenti si rinviene una illustrazione analitica delle date e quantità nella consulenza del ct Refrigeri con i suoi allegati.

Risultano altresì 15 DDT relativi a Ranalletta Enzo: descrivono autotrasporti effettuati dal 26.3.2008 al 2.7.2008, ciascuno per metri cubi 25 di fanghi provenienti da Codep e con causale non meglio specificata, quale : "sperimentazione" e apparente destinazione presso la ditta del Ranalletta, indicato cessionario, sita in Abruzzo (laddove se usati da Codep per fertirrigazione, alla luce dele relative comunicazioni agronomiche avrebbero dovuti essere ricondotti nei terreni umbri nelle stesse indicati). Tuttavia tale ditta del Ranalletta, sugli stessi documenti risulta specificata come ditta di Autotrasporti e non certo dedita alla lavorazione di fanghi. Si tratta peraltro di documenti privi di altra indicazione.
Emerge poi una doppia copia di un DDT n. 34 del 2.7.2008. In particolare una delle due copie oltre a recare i dati di cui sopra, riporta anche la causale "per concimazione terreno". L'altra copia invece, specifica in aggiunta la targa del mezzo, la comunicazione agronomica presentata al comune di Bettona del 13.7.2007, la causale “per concimazione terreno”, mentre il Ranelletta è indicato cessionario, legale rappresentante, con sede in Aquila, della sua azienda di trasporti.
E' certamente il documento di riscontro al racconto che hanno reso alcuni testi di pg del Noe, sugli accertamenti svolti nei confronti del predetto Ranelletta e sulla abnormità dei trasporti ivi indicati, tanto che la seconda copia fu l'effetto di un tentativo marchiano di integrare i contenuti della prima.
Consegue in maniera lapalissiana, sia alla luce di quanto sinora osservato circa il carattere abusivo della gestione di rifiuti liquidi operata dalla Codep, sia dalle caratteristiche di tali documenti, integranti DDT e non fir, tanto più a fronte del relativo contenuto, evidenziante una chiara gestione abnorme dei fanghi, l'illegittimità e illiceità anche di tali trasporti operati dalla Codep attraverso il Ranelletta.  
Risultano, ancora, dei DDT riguardanti Berretta Gianni, che si rinvengono anche all’allegato 3 della relazione del Ct del PM Refrigeri, indicanti quale destinazione Assisi o Cannara, e la provenienza dei liquami da Codep.
Si tratta in particolare di 25 documenti relativi a trasporti tra l'8.5.2008 e il 12.5.2008 di circa 8 mc. ciascuno, inerenti liquami della Vapor definiti come "provenienti da impianto di depurazione" sebbene lo "speditore" sia comunque identificato nella Vapor (che non aveva però un impianto di depurazione), verso terreni siti in Cannara della Vapor medesima, senza specificazione di una data comunicazione agronomica.  Per un totale di 200 mc. Si ricordi che la Vapor fu diffidata dall'effettuare utilizzo agronomico in Cannara.
Seguono dal 15.5.2008 e fino al 17.6.2008 analoghi DDT dalla Vapor e con destinazione in terreni agricoli di Assisi fl. 152 part. 76 - 80 richiamanti una comunicazione agronomica del 21.1.2008 al Comune di Assisi, in numero di 120 circa.
Risultano poi altri 35 DDT dal 9.10.2008 al 14.10.2008, analoghi a quelli di cui sopra e differenti solo per l'indicazione dello speditore, identificato nella Codep, ma pur sempre con destinazione identificata in terreni agricoli della Vapor, siti in Assisi.
Ulteriori 26 DDT dal 5.3.2009 al 16.3.2009, risultano analoghi a quelli precedenti e quindi ancora una volta recano l'indicazione dello speditore identificato nella Codep, ma muta la destinazione: non terreni agricoli della Vapor siti in Assisi bensì ubicati in Cannara, fl. 5 part. 83 - 91, sito per il quale risulta documentalmente, oltre che da dichiarazioni del medesimo imputato Zanotti, titolare della Vapor, la assenza di titoli abilitativi alla pratica agronomica. In questo caso poi, si cita una comunicazione agronomica di Vapor sempre del 21.1.2008, ma indirizzata al comune di Cannara. Il totale in mc. emergente è pari a 226.
Partono inoltre dal 5.3.2009, giungendo sino al 13.3.2009, ben 19 DDT relativi a trasporti con autobotte di liquami zootecnici dalla sede della Vapor all'impianto della Codep con espressa causale corrispondente a "invio ad impianto di trasformazione (depuratore biodigestore ecc) ..". Per un totale ufficiale di 152 mc. di liquami. Peraltro lo stesso giorno della consegna, del 5.3.2009, in Codep, il Beretta prelevava dalla stessa liquami per 8,5 mc. che trasportava sui terreni di Cannara di Vapor, sempre con riferimento alla comunicazione agronomica del 21.1.2008 già citata.  
Il Beretta, trasportatore con sede in via Perugia 12 Bettona, trasportò anche fanghi della Codep: come documentato da 15 DDT (richiamanti la comunicazione agronomica della Codep del 13.7.2007) a partire dal 25.7.2008, indicanti nella Codep la provenienza e la destinazione in terreni di "Berretta G" siti in Bettona; di quest'ultimo "Berretta G" - alla luce di atto di messa a disposizione rinvenuto da questa Corte inatti, deve identificarsi nel diverso Berretta Giuliano.
Sempre in via documentale risulta dimostrata una attività compiuta su propri terreni dall'imputato Mattoni Giovanni il 27.3.2008 attraverso 8 o al più 16 viaggi compiuti con autobotte di circa 10 mc. Attività emerse da sentenza del 19.9.2011 (in prod. difensiva avv.to Bacchi - n. 2607/2010 RG Dib del GM della sezione distaccata di Assisi) passata in giudicato il 2.11.2014 che però, è opportuno precisarlo, riguarda l'assoluzione ex art. 530 c.p.p. co. II in relazione al reato ex art. 256 Dlgs 152/06, per una imputazione attinente non a trasporti, quanto più specificamente all'immissione, da parte del Mattoni assieme a Graziano Siena come rappresentante di Codep,  "..illecitamente in acque superficiali in modo incontrollato, di liquami provenienti dall'attività di fertirrigazione..". Cosicchè, va considerato che il giudicato non impedisce di valutare ad altri fini rispetto alla sentenza intervenuta, circostanze comunque emerse, secondo il noto principio per cui "...è legittima la valutazione con autonomo giudizio di circostanze di fatto raccolte in altro procedimento conclusosi con una sentenza irrevocabile....in quanto la preclusione di un nuovo giudizio impedisce soltanto l'esercizio dell'azione penale in ordine al reato che è stato oggetto del giudicato mentre non rigurda la rinnovata valutazione di dette circostanze una volta stabilito che le stesse possano essere rilevanti per l'accertamento di reati diversi..." (cfr. Cass. Pen. sez. I sent. n. 1495 del 5.2.99 rv. 212271). Pertanto, trattasi di sentenza per questa parte pienamente utilizzabile, tanto più nel contesto di riferimento e di riscontro fin qui illustrato. In particolare, alla luce di tale sentenza e degli elementi di prova complessivamente raccolti, che sopratutto documentalmente la riscontrano, a partire dalla inclusione nelle comunicazioni agronomiche di Codep, di terreni di Mattoni Giovanni, risulta che costui effettuò trasporti su suoi terreni, indicati da Codep appunto in comunicazione agronomica, e recanti un valore di azoto pari ad 1 kg/mc.

Compendiano tali rilievi anche i dati emergenti dalla già citata consulenza del dr. Refrigeri. Sul punto peraltro incontestati.
Per immediata considerazione si riportano anche in queste pagine.
Emerge attività di trasporto liquami provenienti dalla Codep effettuata da:
 - Mattoni Giovanni, anche spesso su suoi terreni in Bettona, dal 2.1.2008 e sino al 18.9.2008. Per un totale di ben 22140 mc. circa. Con meta finale in Bastia Umbra (az. Vetturini Giorgio - Servettini Enrico - Cristofani Tiziana ) Bettona (az. Roscini - Servettini M. e Figli - Siena Francesco) Bevagna ( az. Giacomo Iraci Borgia);
- Longetti Sergio per F.lli Longetti, tra giugno e agosto 2008. Per un totale di circa 1708 mc. Con meta finale in Bastia Umbra (Cristofani Tiziana ) Bettona ( az. Roscini -) Bevagna ( az. Giacomo Iraci Borgia),
 - Beretta Gianni l'1, il 2, il 4, il 18 febbraio del 2008, per un tolate di 11 viaggi e di 88 mc Su Bastia Umbra ( az. Vetturini G); il 25.7.2008 per un totale di 150 mc. trasportati e riversati su terreni siti in Bettona ( disponibilità data da Beretta Giuliano);  
Per la restante parte dei circa 28.000 mc. calcolati dal Ct, si trata per lo più di trasporti effettuati con propri mezzi dalla Codep oltre che da altri trasportatoriv quali: la ditta "Taglioni Mangini", "Az. Agr. Calisti" per le quali non è emersa in dibattimento la titolarità, oltre a tale Malvizi Sergio.

Rilevano poi le descrizioni fornite da testi di pg in ordine ad accertati episodi di sversamento di liquami tramite previo trasporto con autobotti. Accertamenti spesso documentalmente riscontrati.
E' utile rimandare alla apposita illustrazione delle testimonianze dei testi di pg.
E limitarsi in questa sede quindi, per soddisfare comunque esigenze di immediata cognizione dei fatti, a effettuare soltanto un rapido accenno alle verifiche suddette, peraltro talvolta richiamate anche da più testimoni.
Si ricordi quindi la deposizione del Capitano Schienalunga dove ha illustrato:
- l'accertamento riguardante tale Mattoni Andrea, del 17 giugno 2008, quando i Carabinieri del Noe fermarono, appena uscita dall'impianto di Codep, una autobotte destinata verso terreni siti in Bevagna, di Mattoni Giovanni. Circostanza confermata dal teste Cordasco e dal Calavita alle cui deposizioni si rimanda;  
- l'accertamento relativo all'invio di sostanze solide in Abruzzo, da Codep, tramite il trasportatore più volte citato, Ranelletta. Riscontri sono nel racconto del teste Cordasco;
- l'accertamento di un trasporto di fanghi per conto di Codep, a seguito del quale i CC denunziarono Taglioni Nicola, acquisendo al riguardo documentazione di trasporto, pari a 64 documenti di trasporto, dal 14 agosto 2008 al 18.9.08.  Vi erano anche fatture di pagamento intercorse tra la Codep e il Taglioni. Un riscontro emerge dalla consulenza del Refrigeri con riguardo alla elencazione di trasporti effettuati dalla Taglioni Mangimi, atteso che effettivamente risultano effettuati 64 trasporti dal 14.8.2008 al 18.9.2008, presso terreni di Spalloni Adriana in Bettona e di Rafae Zoo in Bastia Umbra per un totrale di 756  mc..  
Quanto ad altri testi di pg che hanno descritto casi di trasporti lontani dall'anello irriguo, possono ricordarsi sintenticamente, rimandando alle più ampie illustrazioni precedenti, le dichiarazioni di Cordasco allorchè ha rammentato:
- l'accertamento di trasporti verso Bevagna presso la ditta Iraci nell' estate del 2008 (oltre che nel febbraio del 2009), che effettivamente trovano riscontro in documenti di trasporto in atti.;
- gli accertamenti nei confronti di Longetti Sergio, titolare di un allevamento che conferiva liquami a Codep e ne ritirava, dopo il trattamento, altrettanti, sostenendo di procedere per essi ad attività di fertirrigazione in proprio. Secondo il teste risultavano 198 i trasporti effettuati da Longetti per conto di Codep verso terreni esterni, come emergeva documentalmente, ed erano stati realizzati dal 16.6 al 14.10.08.
-  un sopralluogo del 7.3.08: si riscontrava uno spandimento da parte della Codep sotto la pioggia, in località Ospedalicchio - Bastia - su terreni di tale Servettini. A conferma rileva anche il racconto del teste Patrizi Mirco cui si rinvia.
Si noti, ad ulteriore riscontro, che dalla consulenza del Refrigeri e dai relativi allegati emerge che quel giorno sul terreno di Servettini Enrico in Bastia stavano trasportando e riversando liquami sia Mattoni Giovanni che la Codep in proprio;
- accertamenti relativi alla Vapor, e al trasportatore Berretta Gianni, già citati e per i quali si rinvia alle precedenti e anche successive pagine dedicate specificamente all'attività di questa società e del suo titolare Zanotti;
- accertamenti nei confronti di Longetti Sergio e sui suoi terreni, come inseriti dalla Codep nella sua comunicazione agronomica del 2007. In particolare ricordava che costui il 24 ottobre 2008 effettuò una comunicazione di utilizzo agronomico su propri terreni per una estensione di 10 ha, ed in ordine a reflui da lui prelevati presso Codep. Con nota comunicata ad Arpa operata 48 h. prima, il Longetti rese nota la sua attività di spandimento che in tal modo sarebbe iniziata il 27.1.2009.  Ma non emerge con certezza la successiva realizzazione;
Si ricordano anche le dichiarazioni del Roscini. Così per l'accertamento del 19.3.2009, in cui rilevò presso l'impianto della Codep, la presenza di documenti di trasporto di liquami dalla Codep verso alcuni terreni della Azienda Servettini, ove poco prima aveva riscontrato tracce di spandimento di effluenti. Dall'esame di tali documenti accertò che erano stati trasportati 740 metri cubi di liquame e, esaminando un certificato di analisi, consegnato da personale della Codep, si giunse a stabilire il quantitativo di azoto presente nei liquami trasportati e quindi riversato sui terreni.
Il teste specificava che dai documenti reperiti (ddt riferiti all'invio presso talune particelle di una "azienda Servettini", richiamate anche nella comunicazione agronomica di Codep), ricavarono l'avvenuta effettuazione di corrispondenti 35 viaggi di trasporto, operati con  autobotti aventi volumi di carico anche differenti tra loro, e svoltisi tra il 2 marzo e il 13 marzo 2009, data del primo accertamento del gruppo coordinato dal teste Roscini. Precisava che le tracce di liquami furono rinvenute tuttavia solo su due ettari delle diverse particelle della azienda Servettini che avrebbero dovuto essere interessate dallo spandimento secondo la comunicazione agronomica di Codep. In altri termini, le restanti particelle erano rimaste asciutte siccome mai oggetto di sversamento e senza che la assenza di tracce di liquami potesse essere dipesa da successive rilavorazioni della terra, atteso che delle stesse egualmente non si riscontrò traccia.

Infine si rimanda alle dichiarazioni del teste Patrizi Mirco sugli accertamenti del 2008: del 15.1.08; del 16.1.2008 in Bastia Umbra.

Quanto a Colavita Cosimo, in questa sede breve è il richiamo delle annotazioni da cui in particolare emerge un accertamento del 2.2.2009 attraverso il quale tra l'altro si individuarono ed esaminarono 12 documenti di accompagnamento ai sensi della DGR Umbria 1492/06 relativi a trasporti effettuati da Mattoni Giovanni; 9 documenti analoghi per trasporti effettuati da Mattoni Giovanni con veicolo AC 855 KL e 7 effettuati da Codep con veicolo tg. AW 238 KZ. Sempre senza indicazioni di date. Altri tre documenti del medesimo tipo di quelli prima indicati inerenti a trasporti effettuati da "F.lli Longetti" con veicolo pg 471580.

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Quanto all'epoca di comprovata realizzazione della condotta materiale, che come tale va imputata interamente alla Codep e per essa a Siena Graziano, come appresso illustrato, essa ricopre non solo l'anno 2008, ma anche il 2009. Si fa riferimento al riguardo, e da ultimo, ai trasporti di liquami prelevati dalla Codep e inviati, tramite il Berretta, ai terreni di Cannara su cui la Vapor era stata diffidata a non operare in termini di utilizzo agronomico.  In proposito si rammentino i 26 DDT descrittivi di trasporti (e qujndi di relativi sversamenti sui terreni) dal 5.3.2009 al 16.3.2009, nei quali risulta che lo speditore era la Codep, e la destinazione era costituita da terreni della Vapor ubicati in Cannara, fl. 5 part. 83 - 91. Il totale in mc. emergente è pari a 226.
Si comprendono anche, quale prova, i 19 DDT che vanno dal dal 5.3.2009, giungendo sino al 13.3.2009, relativi a trasporti con autobotte di liquami zootecnici dalla sede della Vapor all'impianto della Codep con espressa causale corrispondente a "invio ad impianto di trasformazione (depuratore biodigestore ecc) ..". Per un totale ufficiale di 152 mc. di liquami. Peraltro, lo si rammenta nuovamente, a fronte della notevole congerie di dati disponibili che ne rende difficoltosa la memorizzazione, nell'ambito di una vicenda così ampia e articolata, lo stesso giorno della consegna, del 5.3.2009, in Codep, il Berretta prelevava dalla stessa liquami per 8,5 mc. che trasportava sui terreni di Cannara di Vapor, sempre con riferimento alla comunicazione agronomica del 21.1.2008 già citata.
In proposito, rinviando a quanto si dirà specificamente per l'imputato Zanotti, è sufficiente osservare che: per i liquami provenienti da Codep, e inviati a Cannara per conto di Vapor, ostano plurime considerazioni negative per configurare l'utilizzo agronomico. Innanzitutto il contesto giuridico e fattuale sinora descritto e inerente alla Codep - da cui provenivano i liquami - che ne escludeva ogni effettiva e giuridica funzionalità agronomica.
Quindi la circostanza per cui risultava ulteriormente violata la normativa sulla pratica agronomica.
Trattandosi infatti, di una situazione inerente a liquami prodotti e conferiti da Vapor in Codep, miscelati con altri liquami e quindi solo trattati da Codep, per essere alfine utilizzati su terreni da Vapor, non poteva bastare l'unica comunicazione agronomica di Vapor, in cui si riferiva di conferire liquami in Codep, con successivo prelievo, a valle, di altri reflui, da spandere poi su propri terreni.
Per diverse ragioni.
Quanto alla comunicazione di Vapor citata, si affermava che il liquame prelevato da Codep aveva un carico di azoto pari a circa kg/mc 1,080: valore che si è dimostrato lontano dalla realtà a fronte di una gestione d'impianto notoriamente incontrollata. Peraltro nota allo Zanotti, quale soggetto comunque costantemente interessato, per la sua ditta, alle vicende della Codep medesima. Nella stessa comunicazione, more solito, non si specificavano le quantità di liquami che si sarebbero sparse in rapporto ai terreni, limitandosi a dire che i rifiuti "conferiti in Codep" si sarebbero poi utilizzati agronomicamente previa depurazione. Affermazione peraltro non corretta, trattandosi piuttosto, quanto ai liquami che Vapor avrebbe dovuto prelevare da Codep a valle del trattamento, non degli stessi liquami da essa conferiti, bensì di reflui "indifferenziati", siccome corrispondenti a quelli  risultanti dal trattamento di tutti i reflui conferiti a monte dai vari allevamenti e frantoi.
Va aggiunto che tra gli allegati citati nella comunicazione di Vapor non si rinviene alcun riferimento alle necessarie relazioni tecniche sulle caratteristiche dei terreni da utilizzare, di cui taluni ancora da acquisire, così che anche tale aspetto pregiudicava ogni serio indizio di utilizzo agronomico.   
La Codep, da parte sua, avrebbe dovuto, piuttosto, redigere una nuova e autonoma comunicazione agronomica, quale soggetto meramente competente per la fase del trattamento dei reflui di Vapor, nella quale quindi rivelare i quantitativi dei liquami e la reale qualità, da consegnare alfine alla Vapor.
Comunicazione assente, su cui entrambe le ditte rimasero dunque silenti in maniera evidentemente interessata.
Infine, emerge lo spandimento su area di Cannara, per la quale il comune rinvenendo motivi di andeguatezza delle dichiarazioni di Vapor, adottò ripetute diffide di utilizzo.
Più semplici i rilievi suoi conferimenti di liquami, a mezzo autobotte, da Vapor alla Codep, del 5.3.2009.
Posto quanto sinora detto sulla inapplicabilità della disciplina derogatoria esaminata, configurandosi per i conferimenti di rifiuti liquidi la ordinaria disciplina sui rifiuti, la Codep risultava priva di ogni autorizzazione a ricevere rifiuti liquidi. Quali erano evidentemente i liquami inviati con autobotte da Vapor alla Codep medesima.
Al 2009 ancora risalgono i trasporti e sversamenti accertati dal teste Roscini il 19.3.2009.
Cosicchè atteso che non risultano dimostrati altri trasporti e spandimenti successivi,  tantomeno di Rinaldo Polinori, come appresso riportato, la data ultima di effettuazione dei trasporti deve intendersi corrispondente al 19.3.2009. Al riguardo è utile osservare che la consumazione del reato di cui al capo b) in esame coincide con la cessazione della più complessiva attività organizzata finalizzata al traffico illecito (cfr. Cass. Pen. sez. III del 22.10.2015 imp. Bettelli e altro rv. 265573); tuttavia dai risultati dibattimentali non emergono altri elementi che lascino individuare come ancora persistente, dopo la predetta data di accertamento degli ultimi trasporti e sversamenti,  una attività organizzata di gestione di rifiuti posta a corredo di trasporti e sversamenti effettuati e/o  da effettuare, che permetta di individuare la data di consumazione del reato ex art. 260 Dlgs 152/06 in un'epoca ulteriore e successiva.

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20. I soggetti responsabili del delitto di cui al capo b). Graziano Siena.

Alla illustrazione delle fonti di prova, da cui si ricava la dimostrazione della consumazione del reato ex art. 260 Dlgs 152/06, in ragione della avvenuta effettuazione di attività organizzata di traffico di rifiuti liquidi, e in particolare di trasporto e sversamento di effluenti zootecnici, assieme alla altrettanto abusiva attività di ricezione, siccome non autorizzata, di ulteriori rifiuti liquidi, sub specie di acque di vegetazione, consegue necessariamente l'attribuzione di tali condotte ad alcuni degli imputati, in uno con la considerazione della sussistenza del dolo del reato.
Con la precisazione, ai fini della corretta configurazione del reato ex art. 260 Dlgs 152/06, che si tratta di attività continuative, come emerge anche dai dati cronologici, che coprono l'anno 2008 e l'inizio del 2009, e sono inserite in un contesto diretto a consentirne l'ininterrotta realizzazione, anche reperendo automezzi acquisti in proprietà dalla Codep ovvero noleggiandoli e, comunque, stipulando negozi con trasportatori, oltre che mettendo al loro servizio macchinari di diffusione finale dei liquami, da collegarsi alle autobotti.

Innanzitutto, le predette attività siccome sempre correlate a reflui conferiti in Codep ovvero partiti dalla Codep, a mezzo autobotti, devono tutte addebitarsi all'imputato Siena Graziano, Presidente della Codep dal giugno del 2007.
Si premette al riguardo che la Codep era strutturata nel senso che la figura del Presidente riassumeva in sè tutti i poteri, gli oneri e le competenze necessarie per assicurare la gestione dell'impianto. E tale fu il ruolo concreto che assunse il Siena dal momento della sua elezione.
In tal senso convergono i pochi documenti sociali prodotti, sempre evidenzianti innanzitutto l'operato del Siena, le missive inviate dallo stesso ad organi istituzionali o gli accordi intercorsi con soggetti terzi, le comunicazioni agronomiche sempre sottoscritte dal Siena a partire dal luglio 2007, i poteri istituzionalmente attribuiti al Presidente della cooperativa. E ancora, rilevano le intercettazioni, da cui emerge la figura del Presidente in generale, e del Siena in particolare, come punto di riferimento principale ed unico dell'ente, le dichiarazioni del dipendente Piero Santucci e della segretaria di Codep, da cui risulta che si faceva riferimento sempre al Siena per ogni aspetto, anche operativo, riguardante la Codep, comprese le indicazioni dei quantitativi di reflui da spandere sui terreni. Infine, più in particolare, assumono importanza le conversazioni con il Cruciani, il quale dopo la sua elezione si rapportava sempre con il Siena nell'esplicazione della sua attività di ausilio.
Ebbene, è opportuno partite dalla considerazione per cui Graziano Siena,  con l'ausilio del consulente Igor Cruciani, presentò la seconda comunicazione agronomica del luglio del 2007 in un contesto di piena consapevolezza della situazione critica in cui versava l'impianto, e tuttavia senza tenere conto, in alcun modo, della correlazione con la precedente comunicazione del 2006, a fronte della quale, in ragione del palese fallimento delle indicazioni "programmatiche" contenute nella stessa, (in tema di effettuazione della seconda laguna e di invio di 114.000 mc di liquami ad altri depuratori), non avrebbe potuto prospettare in alcun modo la possibilità di stoccare ancora liquami all'interno dell'impianto, a partire dalla laguna, se non avallando una situazione abnorme già in corso. Si tratta dunque, del primo atto con cui il Siena ufficializzò una deliberata operazione fraudolenta, in cui l'unico precipuo scopo era quello di creare una falsa rappresentazione di una corretta pratica agronomica. Ciò al fine di potere sversare ingenti quantitativi di effluenti zootecnici e acque di vegetazione che, altrimenti, dovendosi applicare le discipline di cui alle parti III e IV del Dlgs 152/06, non si sarebbero potuti in alcun modo nè ricevere, nè trattare nè sversare da parte degli uomini delle Codep, in assenza di tutte le necessarie autorizzazioni.
La consapevolezza di tale situazione e l'intenzione di nasconderla, emerge da altri plurimi elementi.
Il 22.1.2008, dopo averlo già affermato in precedenti documenti cui si rinvia, il Siena durante la riunione del Consiglio di Amministrazione nuovamente sottolineava la necessità di ammodernare l'impianto e chiosava dicendo che "senza la realizzazione del progetto di ammodernamento la Cooperativa non può in alcun modo andare avanti perchè la laguna di stoccaggio anche per le nuove normative deve intendersi sottodimensionata e le nuove delibere regionali pongono una riduzione delle quantità di azoto per ettaro e di conseguenza la Codep dovrebbe avere a disposizione una quantità maggiore di terreni per l'uso agronomico fatto questo che presenta soverchie e note difficoltà..". Nulla di più chiaro e confermativo di quanto qui si sostiene.
Va peraltro detto che ancor prima di redigere la comunicazione del luglio del 2007, il Siena era già consapevole della totale esorbitanza delle attività svolte in impianto e fuori dello stesso, rispetto agli ordinari criteri di fertirrigazione. Era infatti a conoscenza del non corretto funzionamento dell'impianto, come tale inadeguato ad assicurare il sia pur minimo abbattimento dell'azoto e quindi i valori di tale sostanza come ufficializzati nelle comunicazioni agronomiche; consapevolezza che si desume dalle citate, preoccupate conversazioni con il Santucci, in vista dell'arrivo dell'Arpa per i campionamenti. Da ciò, invero, si ricava che il Siena aveva piena consapevolezza di aspetti funzionali critici, come lo spegnimento ovvero il "by pass" (come rilevato più volte dal Ct Iacucci) di macchinari essenziali come il sedimentatore. Del resto, proprio la centralità ed essenzialità in via generale della figura del Presidente in Codep, come anche descritta nella conversazione intervenuta al riguardo tra Rinaldo Polinori e Paolo Schippa e in precedenza citata, lascia comprendere che all'interno della società tutto faceva capo e tutto era riferito a chi rivestiva, di volta in volta, tale ruolo.   
A fronte di ciò il Siena, spesso presente in impianto allorquando giungeva il personale di Pg, non poteva quindi che avvedersi anche dello stato reale dei liquami, per nulla chiarificati, bensì paludosi, come emerge dalle foto allegate alla consulenza del dr. Iacucci, e come talvolta evidenziato dallo stesso Santucci con l'eloquente  espressione : "nero".  Con conseguente consapevolezza di sversare liquidi ben distanti dalle caratteristiche ufficializzate nelle comunicazioni agronomiche.
In proposito non si dimentichi che nel febbraio del 2008 l'Arpa territoriale, in persona del Bagnetti e della D'Amico, rilevò che a fronte della laguna ormai piena, la Codep stava prelevando i reflui da spandere o scaricare direttamente dal digestore anaerobico, ossia senza affatto realizzare il dichiarato completo processo di trattamento. Operazione questa, così rilevante, atteso che incideva sul processo di produzione, che certamente doveva fare capo ed essere conosciuta da chi si occupava ogni giorno di seguire e dirigere l'impianto ed i suoi uomini: Siena Graziano.  E lo stesso evidentemente doveva avere anche egli osservato - come fece l'Arpa rilevandolo in una nota, già citata, del settembre del 2008 - che a fronte del breve abbassamento della laguna verificatosi nell'estate del 2008 - si era avuta l'emersione di " ingentissime quantità di fango sedimentato...".  Chiaramente anche esse incidenti sulla reale e più ingente quantità di carico azotato presente nei reflui scaricati o sversati come rifiuti liquidi. E sempre il Siena ben sapeva e aveva voluto che, come riferito dai testi, il contalitri del liquame in uscita fosse installato solo nel 2009. La sua assenza nel periodo precedente, aveva certamente favorito, impedendone il rilevamento ufficiale, l'abnorme forma di scarico e smaltimento qui rilevata.
Il Siena era certamente consapevole anche del dovere, funzionale anche esso  ad una effettiva utilizzazione agronomica, di assicurare la coltivazione dei terreni fertirrigati, propri di Codep o in affitto, tanto più ove si consideri che tale onere era contemplato in questi ultimi contratti, anche da lui stesso stipulati. Onere peraltro anche a lui evidenziato, come amministratore di Codep, dallo stesso Cruciani (come emerge in altra telefonata in precedenza citata), seppure senza che il Cruciani stesso ottenesse alcun riscontro. E che non vi fosse stato un positivo riscontro alle preoccupazioni del Cruciani è emerso dallo stesso Santucci, secondo il quale dal 2007 almeno, i terreni di Codep o da questa affittati, non furono mai coltivati e solo, quindi, furono imbibiti di reflui.
Situazione, anche questa, che il Siena certamente conosceva e sopratutto gestiva in tal senso, alla luce altresì delle dichiarazioni del Santucci, come della segretaria di Codep, dalle quali si ricava che per qualsiasi attività della cooperativa si faceva sempre riferimento al Presidente.  
E siccome era sempre al Presidente, ossia al Siena, direttamente o tramite la segreteria, che il Santucci e i suoi pochi colleghi facevano capo, anche per avere le periodiche indicazioni dei terreni da fertirrigare e sui quantitativi di liquame da spandere, lo stesso evidentemente conosceva - essendone egli stesso causa, a volte anche per via omissiva - le concrete modalità operative di spandimento, avulse da una attenta e regolare fertirrigazione, illustrate sempre dal Santucci.
Tanto è suffragato anche dalla circostanza per cui il Cruciani, secondo quanto riferito in dibattimento, cercò di conoscere questi aspetti, siccome preoccupato del reale modo di procedere alla fertirrigazione in Codep, senza tuttavia ottenere risposte e notizie. Che evidentemente il Siena non voleva  divulgare. E che certe notizie non dovessero essere divulgate emerge anche dalla nota del giugno 2008 del Direttore Provinciale di Arpa, Micheli, in cui dopo avere denunziato il livello "allarmante" degli effluenti stoccati in laguna - superiore a quello del marzo 2008 - si evidenziava l'omissione da parte di Codep del dovere di monitorare e riferire i quantitativi di effluenti in ingresso, nel quadro delle nuove autorizzazioni di conferimento assicurate con la ordinanza comunale n. 59 dell'aprile del 2008.
Laddove, invece, era sempre il Siena ad avere il polso della situazione circa i reflui sversati ogni giorno (si considerino le intercettazioni pure intervenute sul tema e disponibili in atti), a fronte del programma di utilizzazione agronomica (PUA) che contemplava una precisa indicazione dei liquami da spandere anche in rapporto ai terreni. Cosicchè ben conosceva l'anomalia di molti terreni lontani dall'anello irriguo, da una parte calcolati per potere sostenere quantomeno il "parziale" utilizzo agronomico degli effluenti e tuttavia, dall'altra, mai interessati da operazioni di trasporto e conseguente spandimento; ciò sebbene l'arrivo costante di nuovi liquami in impianto, imponesse di fare spazio e, quindi, a rigore, di usare rapidamente, tutti i terreni dichiarati. Ma era certamente più utile ed economico spandere i reflui direttamente dall'anello irriguo in quantità esorbitanti ma utili al piano perseguito, piuttosto che mediante autobotti (che rimasero soltanti in numero di circa 4).
In sintesi, il ruolo di Presidente, i relativi poteri, la centralità anche operativa della sua figura, la prassi interna a Codep incentrata tutta sulle scelte e indicazioni, anche particolari, provenienti dal Presidente, lasciano comprendere che già tutte le palesi anomalie e violazioni accertate come realizzate nel corso delle attività di gestione dei reflui in Codep, fossero pienamente note al Siena, oltre che gestite dal medesimo.   

Sul piano poi, della conoscenza della normativa di riferimento, va osservato che il Siena non solo era tenuto - per la funzione svolta e l'attività che aveva dichiarato di realizzare - a ben conoscere la normativa in tema di utilizzo agronomico dei liquami di allevamento, come anche quella delle acque di vegetazione. Insieme ai relativi rapporti con la normativa penale.
Ma era in concreto effettivamente ben addentro alla predetta materia.
Quale sottoscrittore delle comunicazioni agronomiche, di quelle integrative, quale interlocutore costante del Cruciani.
Peraltro si tratta di normativa in sè articolata quanto, tuttavia, di immediata comprensione.
Cosicchè non può che addebitarsi ad una scelta del Siena quella di trascurare il pieno rispetto, anche formale, della disciplina in parola. Dalla redazione delle comunicazioni agronomiche, che avrebbero dovute essere assicurate non solo dalla Codep, ma anche dagli allevamenti conferenti i liquami e da chi li avesse poi utilizzati "in proprio" ( in tal senso, agli atti risulta persino una intercettazione in cui era la stessa titolare di un terreno reso disponibile a Codep, che rappresentava alla segreteria della società il suo contemporaneo onere di effettuare una sua personale comunicazione agronomica), fino alla normativa regolante i criteri con cui addivenire ad una corretta indicazione del carico azotato dei reflui. Profili non a caso aventi anche una portata "sostanziale", come in precedenza illustrato, atteso che il relativo rispetto è strumentale ad assicurare un effettivo controllo, già in via documentale, anche con incrocio di dati, della effettività della pratica di utilizzazione agronomica.
Egualmente non può che addebitarsi ad una scelta del Siena quella di trascurare il pieno rispetto, anche formale, pure della disciplina relativa all'utilizzo agronomico delle acque di vegetazione: la cui ottemperanza avrebbe impedito il conferimento, alquanto remunerativo, delle predette acque, stante il divieto di miscelazione con gli effluenti zootecnici, non superabile con una mera delibera regionale. E stante la cessazione nell'ottobre del 2007 della autorizzazione alla ricezione delle acque medesime.  
Con precipuo riguardo al divieto di miscelazione, si rimanda a quanto già scritto in ordine ai rapporti tra la disciplina statale e regionale da una parte, e la sopravvenuta DGRU del 2008 n. 456, con prevalenza delle prime.  In proposito va solo aggiunto che tale ultima delibera, pubblicata nel maggio del 2008, avrebbe comunque, a rigore, operato solo a partire dalla nuova annata agraria (del novembre del 2008), e che, sopratutto, non è emerso nessun elemento - da fornirsi dalla difesa stante il principio dell'onere di provare i presupposti fondanti una deroga alla disciplina penale ambientale in parola -  dimostrativo della avvenuta attivazione in Codep di meccanismi volti, in ogni caso, ad assicurare, come voluto dalla citata DGRU, una miscelazione "limitata"; in particolare tale da far sì che le frazioni diverse dagli effluenti di allevamento (e quindi le acque di vegetazione) non potessero eccedere il 15% del totale trattato giornalmente. Circostanza peraltro inverosimile, ove si consideri la scarsa efficienza operativa ed organizzativa dell'impianto della Codep.

Non osta a tali considerazioni, il dato della interruzione, comunicata dalla Regione alla Codep, della procedura di rilascio dell'AIA. Anche tralasciando le brevi riflessioni giuridiche già accennate con riguardo alla fondatezza di tale scelta della Codep e della regione, cui comunque si rimanda, va osservato che la comunicazione della Regione Umbria conseguì ad una missiva del 6.9.07, con cui il Siena mirò a porre nel nulla la precedente richiesta, del gennaio 2007, con cui si era domandato il rilascio dell'AIA ai sensi del Dlgs 59/2005 (evidentemente in applicazione della clausola di salvezza di cui all'attuale art. 112 co. I Dlgs 152/06 per cui, in caso di utilizzazione agronomica, gli allevamenti intensivi di cui al punto 6.6. dell'allegato I devono comunque munirsi di AIA.)
In particolare, il Siena aveva rappresentato, con quest'ultima lettera del settembre 2007, che la Codep era dedita al solo trattamento di reflui zootecnici e di acque di vegetazione poi utilizzati in agricoltura, come tali da ritenersi sottratti alla disciplina sui rifiuti e quindi, a suo dire, anche del Dlgs 59/2005.
A fronte di tale dichiarazione la Codep ottenne dalla Regione Umbria, sul rilievo per cui quei materiali erano secondo quest'ultima "esclusi dal campo di applicazione dei rifiuti ai sensi dell'art. 185 comma 1 let. e) del Dlgs 152/06",  una "presa d'atto di quanto dichiarato dalla Soc. Codep ", in data 15.10.07, con correlata comunicazione per cui "il procedimento di rilascio dell'Autorizzazione Integrata Ambientale è interrotto".
Dunque, Siena in ogni caso ben sapeva che la citata interruzione, e l'esclusione della sua attività  "dal campo di applicazione dei rifiuti ai sensi dell'art. 185 comma 1 let. e) del Dlgs 152/06 era legata - anche per la Regione Umbria - alla sola condizione che la Codep effettivamente procedesse al trattamento agronomico di reflui zootecnici e di acque di vegetazione. Quindi, ben sapeva che, in concreto, non procedendo al trattamento agronomico di "tutti" i reflui (come invece comunicato alla Regione nel momento in cui non precisava che tale utilizzo era solo per "parte" dei reflui) e, ancor di più, non procedendo affatto ad un reale, effettivo utilizzo agronomico, ma ad un mero sversamento incontrollato e ingente di liquami, la sua attività non poteva godere di quella deroga legata a ben altra gestione degli effluenti e delle acque di vegetazione. Quindi, era consapevole del fatto che avrebbe dovuto munirsi delle necessarie autorizzazioni (ove mai rilasciabili e a fronte di quella sciagurata situazione) dettate in materia di acque e rifiuti liquidi dal Dlgs 152/2006, rispettando tutta la relativa normativa, compresi il ricorso a Fir, e non a DDT, per il trasporto. Atteso che il ricorso a DDT intanto poteva risultare anch'esso legittimo, nella misura in cui si fosse operato nel pieno rispetto formale e sostanziale della disciplina della pratica agronomica dei reflui.

Il Siena, inoltre, non solo operò nella piena consapevolezza di amministrare una mera attività inerente lo scarico di reflui ovvero la gestione di rifiuti liquidi, assolutamente esorbitante da qualsiasi principio di attività di utilizzo agronomico, ma fece ciò perseguendo ingiusti profitti.
Invero, come risulta chiaramente dalla citata conversazione tra Igor Cruciani e altro suo collega della SQA, la situazione sotto la Presidenza del Siena era tale per cui ".... lì o chiudono o dovranno fare qualche cosa..". E questo elemento ulteriore era stato individuato dalla SQA, e fatto proprio dalla Codep, nella creazione della cd. "seconda laguna", già citata nella comunicazione agronomica del 2006 e invece meramente iniziata, con lavori di scavo, solo nel novembre del 2008. A ciò si aggiunse poi la considerazione di un impianto cd. "sbr" che rimase di fatto sempre aleatorio.
Consegue che, quando già si accertò nel 2006 che il progetto della nuova laguna, in cui immettere circa 80.000 liquami, non era neppure stato approvato, così che il piano di gestione degli effluenti esauriva la sua efficacia entro circa 4 mesi di possibile operatività, come pure accennato nella sopra citata conversazione del Cruciani, non si sarebbe dovuto fare altro che "chiudere". Come del resto osservava obiettivamente anche il dr. Micheli dell'Arpa nella conversazione n. 315 dell'8.10.2007 allorquando dichiarava che "...bisogna avere il coraggio di dire che per un periodo di tempo gli allevamenti non possono funzionare, perchè sennò deve arrivare tutta questa merda dove cazzo te la metti?. In linea con tale consapevolezza si poneva lo stesso Siena, come pure si evince dalla conversazione n. 70 del rit. 862/07 del 31.8.2007,  in cui esortava ad acquisire  altri terreni solo perchè ciò "allunga l'agonia".
Eppure il Siena non si determinò mai nel senso di cessare una attività del tutto ilegittima e illecita, anzi, diede vita ad un indirizzo d'azione imperniato sulla apertura dell'impianto, con correlati introiti economici, a partire dalla vendita della energia elettrica prodotta, mediante la creazione di un'apparente fertirrigazione.

Nè osta a tale ricostruzione la notazione per cui il Siena spinse egli stesso perchè il comune adottasse la ordinanza 46/2007, ove si consideri che accanto alla riduzione dei capi vi era la tanto agognata seconda laguna, che avrebbe consentito ancor di più di stoccare liquami, in tal modo continuando a fingere, senza le preoccupazione e ansie dell'epoca, di effettuare fertirrigazione. Nè osta osservare che il Siena stesso si lamentò alla fine del 2007 della violazione della ordinanza 46/07 da parte di taluni allevatori, considerato che era proprio il rispetto di tale ordinanza a costituire lo strumento e il presupposto per mantenere in vita la Codep - con la descritta situazione "apparente" - in funzione del superiore obiettivo della creazione della laguna. E per le medesime ragioni neppure osta l'espulsione di taluni allevatori, siccome morosi anche per le nuove spese deliberate.
Tanto più se si osservi che a fronte di questa determinazione contro taluni allevatori, il Siena non si tirò indietro nel consentire ad alcuni di quelli che erano stati esclusi dai conferimenti (es la ditta dela Giammarioli o la Vapor o Acem) di riallacciarsi, a fronte della mera promessa, peraltro mai o poco mantenuta, di prelevare liquame a valle, equivalente a quello conferito.
E ciò fece persino in violazione del dovere di acquisire in tali casi l'approvazione della Giunta Comunale. Nonchè in contrasto con la situazione emergenziale dell'epoca che, in un'ottica di buona amministrazione, avrebbe dovuto far guardare con favore alle occasioni di "alleggerimento" del carico dei liquami dell'impianto, mediante esclusione legittima di alcuni allevamenti.
Non solo, ma pur a conoscenza del cattivo funzionamento dell'impianto di trattamento, si attivò, appena possibile, per nascondere tali aspetti alla vista degli organi di controllo; inoltre, pur avendo cognizione del mancato rispetto di aspetti essenziali per una effettiva fertirrigazione, dalla mancata coltivazione dei terreni irrorati, allo spandimento operato senza alcuna predeterminazione precisa e senza alcun controllo delle quantità spandibili su ogni area, da disperdere anzi con massima rapidità e massime quantità, diede sempre e soltando indicazioni per proseguire in questa sciagurata attività.
In tal modo assicurando, come accennato, plurimi ingiusti vantaggi.
Da una parte, evidenti guadagni della Codep, che proseguendo nel suo funzionamento poteva continuare a produrre energia elettrica poi rivenduta. Dall'altra vantaggi, anche economici, per gli allevatori, a partire dai soci, che conferendo liquami in Codep potevano continuare lo svolgimento della propria remunerativa attività di allevamento. Peraltro a costi ridotti rispetto a quelli altrimenti da affrontare in caso di smaltimento dei liquami in depuratori lontani, mediante autobotti. In tal senso, eloquente è anche la conversazione n. 857 del 20.6.2007, in cui Rinaldo Polinori rappresentava al suo interlocutore, Ugo, le spese ridotte sino ad allora consentite agli allevatori allacciati alla Codep e, quindi, la necessità di mantenere in vita la situazione esistente.
 
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21. Gli altri imputati concorrenti nel delitto di cui al capo b).

Sono individuabili altri complici del Siena nel reato in esame.
Si tratta innazituttto di Mattoni Giovanni.
Per quanto sinora illustrato, egli è stato consigliere della Codep sin dal  16.3.2000 così da esserlo per tutti gli anni qui in esame. Fu tra gli allevatori autorizzati al reinstallo di capi suini ex ordinanza 59 dell'aprile del 2008. Fu talvolta rinvenuto come presente presso la stessa Codep in occasione delle sue attività di trasporto, alle quali si predispose assicurandosi appositi automezzi. La sua attività, consistita nel trasporto e correlato riversamento di liquami sui terreni di destinazione, si è svolta anche in contrasto con le essenziali regole della pratica agronomica, come l'interruzione degli sversamenti in periodi di pioggia ed ha avuto ad oggetto più di 20.000 mc. di rifiuti liquidi.
Si tratta di un soggetto dunque ben addentro a tutte le problematiche della Codep e per tutto il periodo qui in esame, costantemente presente: sia per i propri interessi, tanto da rientrare anche tra gli allevamenti nuovamente autorizzati al reinstallo dei capi ex ordinanza 59/2008, sia nell'esplicazione delle specifiche attività di trasporto, tanto da essere rinvenuto anche in Codep dal personale di pg.
E', dunque, non solo uno di quegli "amministratori" che il Cruciani ha riferito di avere reso edotti delle problematiche della Codep e della pratica di fertirrigazione, seppure senza utili esiti; non solo uno di coloro che non risultano assenti nelle poche delibere del consiglio di amministrazione di Codep agli atti;  ma è anche uno dei consiglieri per i quali è comprovata la presenza attiva nel contesto delle attività di gestione della Codep e la conoscenza degli atti più rilevanti, a partire dalle comunicazioni agronomiche.
Cosicchè già tale contesto, operativo e giuridico, rivela come Mattoni Giovanni fosse consapevole del fatto che era in atto una mera gestione di reflui e rifiuti liquidi, estranea a qualsivoglia principio, sia pur minimo, di pratica agronomica degli effluenti.
Va aggiunto che tali cognizioni gli derivavano anche quale trasportatore, avendo egli, in tale qualità, l'onere di verificare, avendo operato nella prospettata linea della attuazione della pratica agronomica, tanto da ricorrere a DDT, che il soggetto a lui conferitore dei liquami da trasportare e poi versare (Codep) stesse legittimamente operando in tal senso. Cosa che non poteva che escludere, sia alla luce del bagaglio di conoscenze di cui sopra sia perchè, sempre come trasportatore e concorrente nell' "utilizzo" finale dei reflui, avrebbe dovuto anche verificare la correttezza formale dei titoli su cui la Codep fondava la sua attività. Così accorgendosi delle plurime violazioni: dalla assenza delle separate comunicazioni per ciascuna delle distinte fasi (produzione, trattamento, utilizzazione), all'illegittimo contenuto delle comunicazioni (dal generico riferimento a "parte" dei rifiuti da usare a fini agronomici alla autoreferenziale e persistente indicazione - nonostante il continuo variare delle condizioni di riferimento - dei medesimi profili qualitativi dei liquami); fino a tutte le altre carenze, anche in tema di utilizzo delle acque di vegetazione e di immediate comunicazioni all'Arpa ex art. 14 della DGR 1492/2006, finora illustrate.
Alla chiara coscienza e volontà della gestione organizzata dei rifiuti finora descritta, si aggiungeva alfine il perseguimento dell'ingiusto profitto. Atteso che il Mattoni, per le ragioni sopra indicate, condivise le stesse finalità del Siena, siccome comuni al suo medesimo interesse di consigliere e allevatore conferitore; con l'aggiunta di un altro personale fine di profitto ingiusto, costituito dal perseguimento dei corrispettivi economici conseguenti alla illegittima attività di trasportatore, oltre che di materiale riversatore, da solo o con complici, dei liquami, sui terreni finali.         

A fronte di questa chiara compartecipazione, va tuttavia rilevato che la condotta del Mattoni così illustrata si è esaurita alla metà del settembre del 2008. Ciò in quanto dopo tale data non emerge più la presenza, tantomeno fattiva, del Mattoni, nella gestione del processo produttivo della Codep, tanto più ove si consideri, in assenza di documentazione interna di Codep, che ne illustri la vita sociale per tale ultimo periodo, il ruolo assorbente assunto in via istituzionale ed effettiva dal Presidente Siena.
Cosicchè, considerata la presenza di un periodo di soli 28 giorni di sospensione della prescrizione e la durata massima della stessa, per il delitto in esame, pari ad anni 7 e mesi sei, comprensiva della interruzione, il reato ascrivibile a Mattoni Giovanni deve considerarsi estinto per intervenuta prescrizione alla data del 12.4.2016.
Con conseguente dichiarazione di non doversi procedere ex art. 531 c.p.p.

Altro compartecipe risulta Taglioni Nicola.  
Per tale imputato devono formularsi sostanzialmente le medesime considerazioni eleborate per Mattoni Giovanni.
Ha ricoperto la carica e funzione di consigliere della Codep sotto la presidenza di Siena Graziano. E come tale è da annoverarsi tra gli allevatori conferenti liquami nell'impianto di Codep. Rientrante altresì nell'elenco di coloro che, con la ordinanza comunale 59/08, furono autorizzati al reinstallo di capi suini con conferimento in Codep.
Secondo quanto riferito da diversi testi, non solo fu talvolta rinvenuto come presente, in occasione delle sue attività di trasporto, ma fu anche spesso presente, come consigliere e quindi rappresentante di Codep, agli accertamenti svolti dai Carabinieri del Noe, all'interno e all'esterno dell'impianto della Codep,; a partire da talune attività di campionamento e prelievo dei materiali zootecnici trattati e qui in esame. Oltre che per quelle svolte nel 2007, egli fu presente anche in occasione dei campionamenti effettuati dal teste Roscini il 19.3.2009, allorquando l'avviso della data e ora di effettuazione di analisi fu consegnato anche al Taglioni.
Non solo è stato rinvenuto quale trasportatore di  fanghi per conto di Codep, con utilizzzo di ben 64 documenti di trasporto, dal 14.8.2008 al 18.9.2008, presso terreni di Spalloni Adriana in Bettona e di Rafae Zoo in Bastia Umbra, per un totale di 756  mc., ma risulta operativo anche tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 nei trasporti verso la ditta Iraci. Sebbene si tratti di attività emergente da una sentenza, citata, passata in giudicato, i limiti da esso derivanti non impediscono, come noto, di considerare circostanze  che ne sono state oggetto, ad altri fini. E per quanto interessa in tale sede rileva, a dimostrazione almeno della presenza di Taglioni Nicola e sua consapevolezza della presente gestione abusiva, la circostanza che il Taglioni fossse stato operativo in attività di trasporti effettuate, per conto della Codep, ancora nei predetti periodi.
Anche per costui può dirsi, dunque, che si tratta di un imputato che operò attivamente all'interno di Codep e per Codep, con piena consapevolezza di tutte le problematiche e per tutto il periodo qui in esame, essendo costantemente presente sia per i propri interessi istituzionali quale consigliere, sia nell'esplicazione delle specifiche attività di trasporto.
Egli, quindi, risulta non solo uno di quegli "amministratori" che il Cruciani ha riferito di avere reso edotti delle problematiche della Codep e della pratica di fertirrigazione, seppure senza utili esiti, non solo uno di coloro che non appaiono assenti nelle poche delibere del consiglio di amministrazione di Codep agli atti, ma è anche uno dei consiglieri per i quali è comprovata la presenza attiva nel contesto delle attività di gestione della Codep e la conoscenza degli atti più rilevanti, a partire dalle comunicazioni agronomiche.
Cosicchè tale contesto operativo e giuridico rivela il Taglioni come soggetto consapevole dell'avviata gestione organizzata e abusiva di reflui e rifiuti liquidi, estranea a qualsivoglia principio, sia pur minimo, di pratica agronomica degli effluenti.
Tali cognizioni gli derivavano anche quale trasportatore, avendo egli l'onere di verificare - avendo operato nella prospettata linea della attuazione della pratica agronomica, tanto da ricorrere anche egli a DDT - che il soggetto che gli consegnava i materiali da trasportare e poi riversare (Codep) stesse legittimamente operando in tal senso. Cosa che non poteva che escludere, sia alla luce del bagaglio di conoscenze di cui sopra sia perchè, sempre come trasportatore e concorrente nell' "utilizzo" finale, avrebbe dovuto anche verificare la correttezza formale dei titoli su cui la Codep fondava la sua attività. Così accorgendosi delle plurime violazioni: dalla assenza delle separate comunicazioni per ciascuna delle distinte fasi (produzione, trattamento, utilizzazione), all'illegittimo contenuto delle comunicazioni (dal generico riferimento a "parte" dei rifiuti da usare a fini agronomici alla autoreferenziale e persistente indicazione - nonostante il continuo variare delle condizioni di riferimento - dei profili qualitativi dei liquami); fino a tutte le altre carenze, anche in tema di utilizzo delle acque di vegetazione e di immediate comunicazioni all'Arpa ex art. 14 della DGR 1492/2006, finora illustrate.
Va aggiunto che non risulta che il Taglioni avesse un'autorizzazione al trasporto di rifiuti.
Alla chiara coscienza e volontà della gestione organizzata dei rifiuti finora descritta, si aggiungeva alfine il perseguimento dell'ingiusto profitto. Il Taglioni, per le ragioni sopra indicate, condivise le stesse finalità del Siena, siccome comuni al suo interesse di consigliere e allevatore conferitore; con l'aggiunta di un altro personale fine di profitto ingiusto, costituito dal perseguimento dei corrispettivi economici conseguenti alla illegittima attività di trasportatore, oltre che di materiale riversatore dei liquami, da solo o con complici, sui terreni finali.         
Anche per Taglioni Nicola deve comunque riconoscersi l'intervenuta prescrizione delle condotte criminose attribuibili.
La sua condotta criminosa si è esaurita, secono il racconto dei testi di pg e secondo quanto emerge dai documenti disponibili, il 18.9.2008. Infatti anche per lui dopo tale data non emerge più la presenza, tantomeno fattiva, nella gestione del processo produttivo della Codep; tanto più ove si consideri, in assenza di documentazione interna di Codep, che ne illustri la vita sociale per tale ultimo periodo, il ruolo assorbente assunto in via istituzionale e effettiva dal Presidente Siena.
Cosicchè, considerata la presenza di un  periodo di sospensione della prescrizione pari solo a 28 giorni e la durata massima della stessa per il delitto in esame, pari ad anni 7 e mesi sei, comprensiva della interruzione, il reato ascrivibile a Taglioni Nicola deve considerarsi estinto per intervenuta prescrizione alla data del 15.4.2016.
Con conseguente dichiarazione di non doversi procedere ex art. 531 c.p.p.

Si rinviene un terzo concorrente in Longetti Sergio.
Egli è stato consigliere della Codep dal 16.3.2006 al 27.4.2006, così da avere acquisito piena cognizione delle problematiche della società, che non mutarono certamente per i periodi successivi.
Risulta che stipulò, in data 16.6.2008, un accordo con cui noleggiava alla Codep, con il relativo autista, un autocarro finalizzato espressamente al trasporto di reflui per l'utilizzazione agronomica (all. 99 prod. Bacchi). Trasporti poi realmente realizzati, con relativa emissione di fatture. In data  29.12.2008 di seguito ad apposite autorizzazioni comunali a favore della azienda F.lli Longetti per il conferimento in Codep di liquami, stante la malattia vescicolare, pattuì tale conferimento con impegno, da parte della Azienda che egli rappresentava, al ritiro di pari quantitativi di liquami trattati; con correlata comunicazione agronomica per lo spandimento, a firma sempre di Longetti Sergio, priva anche essa di indicazione dei quantitativi da riversare e di PUA, e recante il solito, singolo certificato di analisi su "campione medio" non meglio specificato, raccolto in laguna, recante un valore di azoto totale pari ad 858 mg/l a firma del dr. Pietro S. Vitali e privo di qualsivoglia timbro di laboratorio oltre che di indicazioni di metodiche di prelievo e campionamento.
Emerge anche la sua partecipazione, alla luce di documentazione afferente il rendiconto dei controlli operati dall'Arpa Territoriale dal 24.7.2008 al 30.7.2008, ad attività di trasporto su terreni mediante la sua autobotte tg. pg471580.
Secondo Camilletti Nicoletta collaborò nei trasporti sia con un proprio mezzo che alla guida di un'autobotte della Codep. E si noti cher per tali automezzi non risulta che la Codep si munì di autorizzazione, evidentemente presupponendo, abusivamente, la deroga derivante dalla disciplina sulla fertirrigazione.
Non si limitò ad effettuare trasporti, confermati peraltro anche dal fratello Longetti Marco in sede dibattimentale ma, in data 24 ottobre 2008, redassse e presentò anche una comunicazione di utilizzo agronomico su propri terreni, per una estensione di 10 ha, ed in ordine a reflui da lui prelevati presso Codep. Con nota comunicata ad Arpa operata 48 h. prima, il Longetti rese nota la sua attività di spandimento che in tal modo sarebbe iniziata il 27.1.2009. E' peraltro di interesse in questa sede, a riprova di una persistente, anomala e incontrollata gestione dei liquami, il dato per cui secondo quanto emerso dalle testimonianze i medesimi terreni (fg/part 12 /41 13/7 13/25 13/267 14/22.) indicati in comunicazione dall'imputato risultavano rappresentati per utilizzo agronomico sia da costui che dalla Codep. In proposito vale anche ricordare e condividere - a fronte della obiezione difensiva per cui la comunicazione agronomica di Codep era del 2007 mentre la nota del Longetti era dell'ottobre 2008, così dovendosi fare riferimento a due annate agrarie diverse - il rilievo, del testimone dei Carabinieri che ha illustrato questi aspetti, secondo cui la comunicazione agronomica dura 5 anni e non risultava, per la precedente comunicazione della Codep, una decurtazione riferita ai terreni poi citati anche dal Longetti nella sua comunicazione del 2008.
Va tuttavia evidenziato che non è emerso con chiarezza, dalle dichiarazioni rese dai testi, su quest'ultimo punto alquanto incomplete e imprecise, se le successive verifiche del Capitano Schienalunga, riguardanti l'effettività o meno di questi ulteriori sversamenti preannunziati per il 2009 da parte del Longetti, ebbero o meno risultato positivo; cosicchè deve ritenersi, allo stato, la sussistenza della prova di una attività di trasporto e sversamento, come compendiata nelle consulenze del dr. Refrigeri e riscontrata anche da testimonianze su specifici episodi cui si rinvia, limitata fino all'agosto del 2008.   
Anche per quest'ultimo imputato deve riconoscersi che operò con piena consapevolezza delle problematiche della Codep, perseguendo costantemente i propri interessi, sia per assicurarsi i conferimenti in Codep, pur dopo iniziali esclusioni, sia nell'esplicazione delle specifiche attività di trasporto.
La sua esclusione nel 2007 non gli impedì evidentemente - a fronte della costante correlazione di interessi tra la sua attività di allevatore e quella della Codep come punto di riferimento per il conferimento dei suoi liquami, in cui fu nuovamente incluso verso la fine del 2008, organizzando anche una "apparente" attività di utilizzo agronomico in proprio con la citata comunicazione del 24.10.2008 - di conoscere le vicende e gli atti di rilievo della Codep.
Cosicchè, era consapevole dell'esitenza di una mera gestione di reflui e rifiuti liquidi, estranea a qualsivoglia principio, sia pur minimo, di pratica agronomica degli effluenti.
Tali cognizioni gli derivarono anche quale trasportatore, avendo egli l'onere di verificare - avendo operato nella prospettata linea della attuazione della pratica agronomica, tanto da ricorrere a DDT -, che il soggetto che gli consegnava i liquami da trasportare e poi versare (Codep) stesse legittimamente operando in tal senso. Situazione che non poteva che escludere, sia alla luce del bagaglio di conoscenze di cui sopra sia perchè, sempre come trasportatore e concorrente nell' "utilizzo" finale dei reflui, avrebbe dovuto anche verificare la correttezza dei titoli su cui la Codep fondava la sua attività. Così accorgendosi delle plurime violazioni: dalla assenza delle separate comunicazioni per ciascuna delle distinte fasi (produzione, trattamento, utilizzazione), all'illegittimo contenuto delle comunicazioni (dal generico riferimento a "parte" dei rifiuti da usare a fini agronomici alla autoreferenziale e persistente indicazione - nonostante il continuo variare delle condizioni di riferimento - dei profili qualitativi dei liquami); fino a tutte le altre carenze, anche in tema di utilizzo delle acque di vegetazione e di immediate comunicazioni all'Arpa ex art. 14 della DGR 1492/2006, finora illustrate.
Alla chiara coscienza e volontà della gestione organizzata dei rifiuti finora descritta, si aggiungeva anche per Longetti Sergio il perseguimento dell'ingiusto profitto. Per le ragioni sopra indicate, egli condivise le stesse finalità del Siena, siccome comuni al suo medesimo interesse di allevatore che, anche a fronte di periodi di esclusione, sempre coltivò l'interesse al conferimento, poi ottenuto nella seconda metà del 2008; con l'aggiunta di un altro personale fine di profitto ingiusto, costituito dal perseguimento dei corrispettivi economici conseguenti alla illegittima attività di trasportatore, oltre che di materiale riversatore dei liquami, da solo o con complici, sui terreni finali.         
Per l'imputato deve alfine rilevarsi, come già accennato, che la sua condotta criminosa si è esaurita, secondo il racconto dei testi di pg e i documenti disponibili, nell'agosto del 2008 (per un totale di circa 1708 mc., con meta finale in Bastia Umbra - Cristofani Tiziana - Bettona - az. Roscini -, Bevagna - az. Giacomo Iraci Borgia). Infatti, anche per lui dopo tale data non emerge una presenza, tantomeno fattiva, nella gestione del processo produttivo della Codep, tanto più ove si consideri l'assenza di una sua carica sociale in quel periodo.
Cosicchè, considerata la sussistenza di un periodo di soli 28 giorni di sospensione della prescrizione e la durata massima della medesima per il delitto in esame, pari ad anni 7 e mesi sei, comprensiva della interruzione, il reato ascrivibile a Longetti Sergio deve considerarsi estinto per intervenuta prescrizione nel marzo del 2016. Con conseguente dichiarazione di non doversi procedere ex art. 531 c.p.p.

Devono ricondursi tra i concorrenti nel reato anche Zanotti Stefano e Berretta Gianni.
Come risulta anche dalle dichiarazioni rese in sede di esame, Stefano Zanotti subentrò con la sua società, la Vapor, ad altra preesistente ditta, già associata alla Codep per il conferimento, tramite condotte, di liquami di allevamento. Ebbe quindi cognizione del funzionamento dell'impianto e delle problematiche connesse (come illustrato dallo stesso imputato), quantomeno perchè interessato nel garantirsi la continuità dei propri conferimenti, sino alla fuoriuscita della sua ditta intervenuta verso la fine del 2007. A fronte di ciò tuttavia, lo Zanotti si accordò nuovamente con la Codep, nel febbraio del 2008, nei termini già esposti. Accordo peraltro intervenuto in contrasto con la normativa sub primaria e negoziale, secondo cui ogni nuovo conferimento avrebbe dovuto ottenere il previo nulla osta del Comune.
In funzione dell'accordo citato, presentò una comunicazione agronomica già in precedenza illustrata e avviò un'attività di conferimento - mediante condotte dirette - dei suoi liquami, con la promessa, solo parzialmente mantenuta, di prelevare a valle della Codep un quantitativo di liquami corispondente a quelli conferiti, da fare poi oggetto di fertirrigazione. Anche essa non conforme alle regole.
Essenziale in tale operazione, realizzata di concerto con Siena Graziano, fu Berretta Gianni, in qualità di trasportatore.
E' utile al riguardo anche richiamare la già operata illustrazione di questi trasporti e della loro estraneità ad una pratica di utilizzo agronomico.  
Rilevano in particolare i trasporti di liquami prelevati dalla Codep e inviati, tramite il Berretta, ai terreni di Cannara, per i quali la Vapor era stata diffidata dal Comune a non operare in termini di utilizzo agronomico.  Si tratta di 26 DDT descrittivi di trasporti e quindi di relativi sversamenti sui terreni, dal 5.3.2009 al 16.3.2009: in essi lo speditore, ossia il conferitore era la Codep, e la destinazione era costituita da terreni della Vapor ubicati in Cannara, fl. 5 part. 83 - 91. Il totale in mc. emergente è pari a 226.
Si aggiungono per quanto qui interessa i 19 DDT che vanno dal dal 5.3.2009, giungendo sino al 13.3.2009, relativi a trasporti con autobotte di liquami zootecnici, dalla sede della Vapor, all'impianto della Codep, con espressa causale corrispondente a "invio ad impianto di trasformazione (depuratore biodigestore ecc) ..". Per un totale ufficiale di 152 mc. di liquami. Lo stesso giorno della consegna in Codep, del 5.3.2009, il Beretta prelevò dalla stessa liquami per 8,5 mc., che trasportò sui terreni di Cannara di Vapor, sempre con riferimento ad una comunicazione agronomica del 21.1.2008, della Vapor medesima.
Non può che rilevarsi la consapevolezza dello Zanotti di operare al di fuori di un effettivo utilizzo agronomico. Innanzituto alla luce della pregressa conoscenza della situazione in cui versava la Codep, dotata di un impianto sottodimensionato per i reflui da trattare e non funzionale nè completamente funzionante, ed operante in un contesto connotato dalla acclarata impossibilità di effettuare una corretta utilizzazione agronomica, tanto più se in "parte". A tale consapevolezza si aggiunse quella relativa alle predette operazioni, anche esse esulanti da forme di fertirrigazione: per i liquami provenienti da Codep, e inviati a Cannara per conto di Vapor, ostavano  plurime considerazioni negative per configurare l'utilizzo agronomico. Innanzitutto il contesto giuridico e fattuale sinora già descritto e inerente alla Codep - da cui provenivano i liquami, peraltro inamissibilmente misti a acque di vegetazione e olii - che ne escludeva ogni effettiva e giuridica funzionalità agronomica.
Quindi, la circostanza per cui risultava ulteriormente violata la normativa sulla pratica agronomica.
Trattandosi di una situazione caratterizzata da liquami prodotti e conferiti da Vapor in Codep, miscelati poi con altri liquami e, quindi, solo trattati da Codep, per essere alfine utilizzati su terreni da Vapor, non poteva bastare l'unica comunicazione agronomica di Vapor, in cui si riferiva di conferire liquami in Codep, con successivo prelievo a valle di altri e diversi reflui, da spandere poi su propri terreni.
Per le seguenti ragioni.
Quanto alla comunicazione di Vapor citata, si affermava che il liquame prelevato da Codep aveva un carico di azoto pari a circa kg/mc 1,080: valore che si è dimostrato lontano dalla realtà, a fronte di una gestione d'impianto notoriamente incontrollata e certamente nota allo Zanotti, quale soggetto comunque costantemente interessato, per la sua ditta, alle vicende della Codep medesima. Nella stessa comunicazione, more solito, non si specificavano le quantità di liquami che si sarebbero sparse, in rapporto ai terreni, limitandosi a dire che i rifiuti "conferiti in Codep" si sarebbero poi utilizzati agronomicamente previa depurazione. Affermazione peraltro non corretta, trattandosi non già dei medesimi liquami conferiti da Vapor in codep, bensì di reflui "indifferenziati", diversi dai primi e risultanti dal trattamento di tutti quelli conferiti, a monte, nella Codep, dai numerosi alevamenti operanti.
Va aggiunto che tra gli allegati citati nella comunicazione di Vapor, non si rinviene alcun riferimento alle necessarie relazioni tecniche sulle caratteristiche dei terreni da utilizzare, di cui taluni ancora da acquisire, così che anche tale aspetto pregiudicava ogni serio indizio di utilizzo agronomico.   
La Codep da parte sua, avrebbe dovuto, piuttosto, redigere una nuova e autonoma comunicazione agronomica, quale soggetto meramente competente per la fase del trattamento, nella quale quindi rivelare i quantitativi dei liquami con la reale qualità, da consegnare alla Vapor.
Comunicazione assente, su cui entrambe le ditte rimasero silenti, in maniera evidentemente interessata.
Infine, emerge lo spandimento su area di Cannara per la quale il comune, rinvenendo motivi di inadeguatezza delle dichiarazioni di Vapor, adottò ripetute diffide di utilizzo.
Elementi più che sufficienti per rinvenire in capo a Zanotti Stefano la consapevolezza di operare nel contesto di mere operazioni, abusive,  di trasporto e sversamento di rifiuti liquidi; operazioni peraltro ininterrotte e di ingente quantità. Tali essendo quantitativi di ben 226 mc.
Ancor più evidenti i rilievi, analoghi a quelli di cui sopra, sui conferimenti di liquami a mezzo autobotte effettuati dalla Vapor verso la Codep, del 5.3.2009, per 160,5 mc; compresi gli 8.5 mc del trasporto effettuato questa volta da Codep verso Cannara, sempre nella medesima data del 5.3.2009.  
Va ribadito a tale ultimo riguardo circa i conferimenti a mezzo autobotte in Codep, quanto sinora detto sulla inapplicabilità della disciplina derogatoria esaminata, e va sottolineata quindi la necessaria applicazione, per i conferimenti di rifiuti liquidi in Codep, della ordinaria disciplina sui rifiuti.
Ebbene, la Codep risultava priva di ogni autorizzazione a ricevere rifiuti liquidi e quindi i liquami inviati con autobotte da Vapor alla Codep medesima. Nella consapevolezza evidentemente di Zanotti, che quale trasportatore e conferitore aveva l'obbligo di accertare tale situazione, oltre ad averne cognizione per i suoi rapporti con la Codep medesima.
E' evidente dunque, che Zanotti Stefano era consapevole della reale attività organizzata di gestione di liquami effettuata dalla Codep; tale contesto operativo e giuridico, per nulla sconosciuto allo Zanotti, rivela come egli fosse consapevole del fatto che era in atto presso Codep in realtà una mera gestione abusiva di reflui e rifiuti liquidi, estranea a qualsivoglia principio, sia pur minimo, di pratica agronomica degli effluenti.
Tali cognizioni gli derivavano, va ribadito, anche come conferitore dei liquami o  utilizzatore finale di quelli prelevati a valle della Codep, avendo  l'onere di verificare, essendosi posto nella prospettiva di una attività di utilizzo agronomico di liquami, che la sua controparte (Codep) stesse legittimamente operando in tal senso. Cosa che non poteva che escludere, sia alla luce del bagaglio di conoscenze di cui sopra sia perchè, nelle sue qualità avrebbe dovuto anche verificare la correttezza dei titoli su cui la Codep fondava la sua attività. Così accorgendosi delle plurime violazioni: dalla assenza delle separate comunicazioni per ciascuna delle distinte fasi (produzione, trattamento, utilizzazione), all'illegittimo contenuto delle comunicazioni (dal generico riferimento a "parte" dei rifiuti da usare a fini agronomici alla autoreferenziale e persistente indicazione - nonostante il continuo variare delle condizioni di riferimento - dei profili qualitativi dei liquami) fino a tutte le altre carenze, anche in tema di utilizzo delle acque di vegetazione e di immediate comunicazioni all'Arpa ex art. 14 della DGR 1492/2006, finora illustrate.
Alla chiara coscienza e volontà della gestione organizzata dei rifiuti finora descritta, si aggiungeva alfine il perseguimento dell'ingiusto profitto. Invero Stefano Zanotti condivise le stesse finalità del Siena, siccome strumentali al suo interesse di inserire anche la sua ditta all'interno di una apparente pratica agronomica come unico mezzo individuato per proseguire nell'attività di allevamento di suini; con l'aggiunta di un altro personale fine di profitto ingiusto, costituito dal perseguimento dei vantaggi economici, mediante risparmi, di fatto realizzati solo conferendo e non provvedendo a prelevare, se non in minima parte, liquami trattati da Codep, secondo quantitativi equivalenti a quelli conferiti. Che avrebbe dovuto poi trasportare e correttamente smaltire, con ulterioriore dispendio economico.

Per Berretta Gianni, autore dei trasporti commissionati dalla Vapor e sopra indicati oltre che di ulteriori viaggi riguardanti fanghi ( come documentato da 15 DDT a partire dal 25.7.2008, indicanti nella Codep la provenienza e la destinazione in terreni di "Berretta G", ossia Giuliano, siti in Bettona) valgono le stesse considerazioni sopra svolte in ordine alla inevitabile conoscenza della illegittimità della attività della Codep, in ragione degli oneri informativi e di verifica che gli competevano, quale trasportatore oltre che, evidentemente,  quantomeno quale concorrente nel riversamento finale dei reflui condotti dalla sede della Codep, tanto in Cannara che in terreni di Bettona. Va aggiunta la consapevolezza della insussistenza di una reale utilizzazione agronomica di Vapor, siccome effettuata in un contesto in cui lo stesso Comune di Cannara aveva adottato plurime diffide ad operare in tal senso. Da tale situazione conseguiva certamente la consapevole conoscenza, e quindi di fatto condivisione, dei profitti che venivano a ricavare da una parte la Codep e dall'altra la Vapor. Con aggiunta del personale profitto economico, ottenuto svolgendo un'attività di trasporto e sversamento che a rigore non avrebbe mai potuto realizzare, se non per via illecita.

Non è utile dilungarsi sui trasporti e sversamenti realizzati dalla Vapor e da Zanotti in Assisi, sicome il capo b) non estende la contestazione a tale località. Sebbene si debba per questa parte disporre rinvio degli atti al PM per quanto di competenza ed alla luce delle complessive considerazioni sin qui elaborate.  

22. Gli altri imputati.
Polinori Rinaldo e Mencarelli Massimo.

Il capo b) è stato contestato anche a carico di Polinori Rinaldo, Bagnetti  Antonio, D’Amico Susanna, Mencarelli Massimo, Menganna Claudio.
Quanto a Polinori Rinaldo e Mencarelli Massimo si addebita " lo smaltimento illecito di ingenti quantitativi di rifiuti provenienti dall’allevamento condotto da MENCARELLI (in soccida con POLINORI) e dall’allevamento dello ZANOTTI, mediante abusiva utilizzazione delle strutture dell’impianto di depurazione del comune di Bettona, nonostante fossero stati esclusi da tale servizio di depurazione sin dal 14.2.2008 con DGC 28/08. POLINORI, nella duplice qualità di imprenditore a capo di aziende proprie o familiari (la collina di Rinaldo Polinori, agricola Polinori di Bettona, agricola Polinori di Bastia Umbra) e amministratore CODEP, procedeva continuativamente nel corso degli anni allo smaltimento illecito dei rifiuti derivanti dai propri allevamenti conferendoli all’impianto gestito da CODEP, formando allo scopo documentazione mendace, come la dichiarazione del 23.4.2009 indirizzata al comune di Bettona (prot. N. 3812 del 27.4.2009 con la quale attestava: La regolare appartenenza al proprio gruppo imprenditoriale dell’azienda MENCARELLI (esclusa con DGC 28/2008);
Una capacità di stoccaggio nel proprio bacino di 20.000 mc a fronte di una relazione dell’A.R.P.A. del 5.5.2009 che ne riferiva l’inidoneità ed una volumetria di circa 16.000;
Una falsa autonomia di gestione degli stessi effluenti per l’applicazione su propri terreni situati a Cannara e concessi in locazione a terzi, non conseguita per vincoli normativi (mancanza del P.U.A. previsto dalla DGR N. 456/08) e non autorizzata dallo stesso comune di Cannara (prot. N. 4920 del 7.5.2009)"
La responsabilità di tali due imputati va esclusa per assenza di sufficienti  quanto validi elementi probatori. Con assoluzione ex art. 530 c.p.p. per non aver commesso il fatto.
Nel corso del dibattimento non è emersa la prova, nè con precise e articolate dichiarazioni testimoniali nè tantomeno con le opportune produzioni documentali di riscontro, dell'asserito rapporto di soccida tra Mencarelli e Polinori. Egualmente deve dirsi per l'asserita posizione di Polinori Rinaldo quale  "capo di aziende proprie o familiari (la collina di Rinaldo Polinori, agricola Polinori di Bettona, agricola Polinori di Bastia Umbra).."; ciò in quanto sul punto i testi sentiti hanno per lo più fatto richiamo al cognome "Polinori" senza mai adeguatamente spiegare a chi si riferissero, a fronte invece della presenza di più soggetti con tale cognome (a partire da Tarcisio, ad esempio), nè a quale delle varie aziende. Anche in tal caso manca poi, come accennato, ogni utile dato documentale, salve alcune produzioni difensive comunque non sufficienti a ricostruire la rete di rapporti e la titolarità d'imprese indicata in contestazione.   
Va aggiunto che non è stato chiarito dalla istruttoria dibattimentale, sul punto pure scarna e fondata per lo più su mere affermazioni assertive, il concetto di "allaccio abusivo" che si è inteso usare in contestazione, tanto più a fronte di delibere comunali del 2008, di autorizzazione ai nuovi conferimenti.
In ogni caso, va osservato che sia l'azienda del Mencarelli che del Polinori conferivano direttamente mediante condotte, cosicchè i loro conferimenti vanno inseriti nella tipologia dello "scarico", estranea come tale ai rifiuti, liquidi, e quindi alla gestione organizzata dei medesimi.
In tale ultima ottica si comprende ancor meglio l'irrilevanza della richiamata dichiarazione del Polinori del 23.4.2009, ove non acccompagnata, come in questo caso, da alcuna prova di gestione di rifiuti liquidi.
Peraltro, manca agli atti la produzione della predetta dichiarazione. Non risulta provata la asserita discrasia tra la dichiarazione e la relazione dell'Arpa, di cui pure non vi è traccia nè mai tra i testimoni sentiti vi è stato chi ne abbia fornito una puntuale illustrazione.
Va aggiunto che, quanto a Polinori, pur risultando formalmente all'epoca dei fatti consigliere di amministrazione, lo stesso compare soltanto attraverso alcune telefonate del 2007, peraltro in tema di elezioni del nuovo Presidente e di interesse, legittimo, alla individuazione di una persona di propria fiducia. Senza che traspaia alcun ruolo occulto e tantomeno operativo, nè una capacità di influenzare le scelte del Siena, come sostenuto, ma non provato, da taluni testi d'accusa.

23. Bagnetti  Antonio, D’Amico Susanna, Menganna Claudio.

Ai suindicati imputati si contestano plurime condotte, commissive od omissive,  che avrebbero realizzato nell'espletamento delle proprie funzioni, nell'intento di favorire l'attività organizzata di gestione di rifiuti sopra illustrata, avendone piena conoscenza.
Va premesso che gli imputati all'epoca dei fatti in contestazione operavano presso il Dipartimento territoriale di Arpa Umbria con sede in Bastia Umbra. Responsabile di tale area, corrispondente a un distretto operativo su Todi, Marsciano, Bastia ed Assisi, era la dottoressa D'Amico.
Operavano anche gli imputati Bagnetti e Menganna. La direzione generale dell’Arpa aveva sede a Perugia ed al di sotto era collocata la Direzione Provinciale e quindi le sezioni territoriali, quale quella degli imputati.

Occorre esaminare le singole specifiche contestazioni operate in punto di fatto. Anche nuovamente richiamando argomentazioni in parte già illustrate in precedenza, in sede di descrizione della deposizione del teste Schienalunga, per consentire la più semplice e immediata considerazione delle stesse.

Può preliminarmente allora escludersi ogni addebito in relazione alla vicenda delle "terre e rocce" da scavo, alla luce delle considerazioni già in precedenza formulate in ordine alla insussistenza di prove, sia di un preciso quadro della vicenda, anche documentale, su cui concentrare le valutazioni di questa Corte, sia quindi della rilevanza penale del fatto in tema di gestione di rifiuti, sia della riconducibilità al Graziano Siena e quindi, per questa via, della possibilità di includerla nelle forme di gestione di rifiuti d'interesse per il capo di imputazione in parola.
Per completezza, come già illustrato in precedenza, occorre rammentare che in proposito è emerso l'intervenuto rilascio di un permesso di costruire del 28.11.2008, qualificato come emesso "in sanatoria" rispetto a precedente atto del maggio 2008, per una vasca " dell'impianto SBR per il trattamento delle acque trattate dall'impianto di biodigestione di impianti reflui zootecnici con variante in corso d'opera", da identificarsi verosimilmente nella cd. "nuova laguna"; è quindi emersa, dalla documentazione difensiva, una nota dell'Arpa del 28.11.2008 a firma del dirigente G. Marchetti, con cui anche alla luce della più recente normativa (Dlgs 4/2008) si escludeva ogni competenza dell'Arpa in tema di competenza nel valutare e qualificare terre e rocce da scavo come sottoprodotto; comunque si segnalava al comune, Area Urbanistica, l'incompletezza della pratica, per le determinazioni di competenza nell'ambito del settore normativo immediatamente prima citato.
Va aggiunto che lo stesso teste, Capitano Schienalunga, ha riconosciuto che era venuta meno ad un certo punto la citata competenza dell'Arpa sulle valutazioni della progettata destinazione delle terre e rocce da scavo. E tuttavia a suo giudizio, sul presupposto per cui l'Arpa era comunque un organismo di controllo, ritenne grave che la stessa non ebbe a effettuare alcuna segnalazione sul tema in questione (in realtà smentito dalla nota di Marchetti).
Inoltre, il teste non ha riferito specifici accertamenti da cui desumere l'avvenuta conoscenza, e da parte di chi specificamente, all'interno dell'Arpa, degli atti inerenti la vicenda e delle sue asserite carenze.

Non risulta fondato neppure l'addebito in tema di emissioni in atmosfera.
In termini di prova, tutto appare fondato sulla deposizione del Capitano Schinalunga che ha rammentato che la Codep era munita di un’autorizzazione per l’emissione in atmosfera del 2004, per quanto riguardava la produzione di biogas, con obbligo a carico della predetta società di effettuare autocontrolli su queste emissioni, da inviare anche all’Arpa competente territorialmente, ovvero l’Arpa di Bastia Umbra. Secondo il teste tali autocontrolli non risultavano mai realizzati, e mai ciò fu rilevato, prima dell'accertamento dei Carabinieri operanti, da parte di Arpa; anche in questo caso tuttavia, senza alcuna indicazione specifica della persona fisica a ciò incaricata, secondo le sue indagini, nè quindi delle specifiche competenze sul punto dei tre attuali imputati dell'Arpa.  
Tuttavia il Capitano, esaminate due determine provinciali (in atti) in tema di emissioni in atmosfera, sottopostegli in esame dalla difesa, con richiesta di indicare eventuali prescrizioni impositive dell’obbligo per Codep di inviare all’Arpa Territoriale di Bastia Umbra le proprie analisi in autocontrollo, ha riconosciuto che l’Arpa destinataria di tale onere di comunicazione era in realtà da individuarsi in quella di Perugia e non di Bastia Umbra (ossia di quella presso cui operavano i tre attuali imputati). Inoltre, come già illustrato, risulta una nota, firmata da Paolo Schippa come rappresentante della Codep, con invio di cerificato di analisi in materia di emissioni in atmosfera del 18.12.2013 e protocollo di ingresso dell'Arpa "Distretto valle umbra nord", oltre che con destinatario identificato dal mittente nel Dipartimento Provinciale di Perugia. Dunque, si tratta di una vicenda non riconducibile ad alcuna responsabilità del Distretto Territoriale di Todi e Marsciano, degli attuali tre imputati.   
Per completezza, come già evidenziato in sede di illustrazione della testimonianza del Capitano Schienalunga, lo stesso ha anche riferito di conoscere una nota del marzo 2008 (probabilmente da intendersi 2009) con cui la dr.sssa D’Amico segnalava alla provincia competente la violazione dell'autorizzazione in materia di emissioni, da  parte della  Codep, oltre a redigere una correlata comunicazione di notizia di  reato.

Circa l'attribuzione di condotte consistenti nel tenere comportamenti di favore per taluni allevatori e nel contestare, invece, irregolarità a carico di altri vanno formulate preliminari osservazioni sulle indicazioni provenienti dal  capo di imputazione. Nonostante la premessa riferita a più allevatori ingiustamente perseguitati, nella successiva specificazione di tale affermazione si indica, nel capo di imputazione, "esemplificativamente", solo Longetti Giuseppe.
Inoltre, tale comportamento sarebbe stato effettuato dagli imputati "al solo scopo di favorire e tutelare il sodalizio stesso"; affermazione in ordine alla quale  preliminarmente si osserva come non si comprenda appieno la necessità di favorire "il sodalizio stesso" non tanto favorendone i presunti componenti, quanto avversando taluni distinti allevatori.  
In proposito comunque, il teste Schienalunga ha spiegato che tale addebito si sarebbe dovuto collegare ad una contestazione elevata da Arpa, con atto avente n. di protocollo 12.726 del 24 giugno 2009 (oltre che con altra lettera riferita come del “maggio 2009”), contro Longetti Giuseppe, per mancato rispetto di un divieto di reinstallo; laddove secondo il teste, lo stesso non era tenuto a rispettare  tale divieto. Di contro, ha sostenuto che invece altri allevatori, autori di irregolarità, non erano stati sanzionati dalla stessa Arpa; tutavia senza illustrare tali violazioni nè i relativi responsabili in maniera analitica, sebbene nel capo di imputazione si operi una chiara contrapposizione tra gli uni e gli altri.
Al riguardo, precisato che la nota citata dal Capitano non è stata accompagnata da rituale produzione, cosicchè deve ricostruirsi aliunde la vicenda per quanto possibile, occorre osservare che dalla produzione difensiva emerge una nota (in allegato 31 prod. Menganna) dell'Arpa Territoriale a firma Menganna e D'Amico, adottata a seguito di richiesta di chiarimenti avanzata dal Noe il 9.7.2009; con la citata nota gli imputati riferivano, citati alcuni provvedimenti in tema di divieto di reinstalllo del Comune di Bettona, che nei confronti del Longetti Giuseppe era stata da loro segnalata al Comune di Bettona una violazione del Regolamento d'Igiene e di una ordinanza del Comune di Bettona n. 85 del 29.10.2008; provvedimenti che erano risultati entrambi violati, siccome nella pratica di utilizzazione agronomica presentata dal Longetti per il comune di Assisi emergeva lo stoccaggio delle deiezioni anche sotto i pavimenti grigliati delle stalle, in contrasto appunto con i due predetti atti. Si trattò dunque di contestazioni elevate dagli imputati innanzitutto per violazione del Regolamento di Igiene, così superandosi, anche per ciò solo, ogni disquisizione interpretativa incentrata invece dallo Schienalunga sulla operatività o meno del divieto di reinstallo a carico del Longetti, al momento dell'accertamento, contestato,  dell'Arpa.
Per tutte le considerazioni sopra formulate dunque, anche questo aspetto delle contestazioni mosse a D'Amico, Menganna e Bagnetti appare infondato.

Altro tema di contestazione fa riferimento al rilascio di "pareri favorevoli ai sodali per consentire loro di usufruire dell’impianto gestito da CODEP abusivamente". Si contesta, in particolare, che con la nota nr. 2549 del 4.2.2009 D'Amico e Bagnetti, in violazione di disposizioni emanate dagli uffici superiori, avevano "...fornito un parere favorevole all’occupazione, da parte di aziende del gruppo POLINORI in Bastia Umbra, di stalle vuote con animali detenuti in altri siti che, a causa dell’accrescimento degli animali stessi, si trovavano in condizioni di “sovraffollamento”. Grazie a tale parere la USL autorizzava la deroga al divieto imposto dal sindaco di Bastia con O.S. n. 4963 del 28.01.2009, emessa per non aggravare la funzionalità dell’impianto (in analogia e sulla scorta di quella sindacale di Bettona nr. 7 del 27.01.2009 la cui emissione era stata espressamente richiesta proprio dall’ufficio della D’AMICO con la nota n. 1552 del 23.1.2009 già citata) e impedire un maggiore afflusso di liquami all’impianto. Proprio a causa dell’accrescimento degli animali, invece pur non aumentando il numero di capi, aumentava la produzione di liquami e quindi l’aggravamento delle funzionalità dell’impianto. Il parere favorevole fornito dalla D’AMICO è stato funzionale anche ad altre analoghe movimentazioni, come quelle compiute VAPOR di ZANOTTI..".
Rileva anche in tal caso l'illustrazione offerta dal teste Schienalunga. Come già riportato, secondo il Capitano gli organi superiori degli attuali tre imputati dell'Arpa avevano adottato delle note con cui avevano raccomandato "..di non fornire pareri di nessun genere per quanto riguarda gli allevamenti, comunque i pareri avrebbero dovuto essere concordati con la direzione centrale ..".
Tanto avvenne con una nota del 23 giugno del 2008 n. 12932 con cui il dipartimento provinciale aveva scritto direttamente alla responsabile territoriale, dottoressa Susanna D’Amico e con cui di aveva deciso che "data la delicatezza della situazione si dispone che tutti i pareri e i documenti riguardanti l’argomento in oggetto in uscita dalla sezione territoriale di competenza siano preventivamente visionati ed autorizzati dallo scrivente direttore del dipartimento fino a diversa disposizione".
A fronte di ciò il teste ha ricordato che invece, il 4 febbraio 2009, l'Arpa Territoriale su richiesta dell'agricola Polinori formulò un parere per il comune di Bastia Umbra, circa la possibilità di spostare in altra stalla dei capi suini, a fronte del divieto di movimentazione di capi intervenuto all'epoca a causa della cd. emergenza vescicolare. Si  trattava di  capi  che, posti  in una stalla  collegata a Codep per  il  conferimento  diretto  di liquami, crescendo stavano  andando verso una situazione di  sovraffollamento e di pregiudizio per il benessere animale; cosicchè, a fronte della ipotesi prospettata dall’Asl, di spostare, in deroga al divieto di movimentazione dei capi, tali animali in altra stalla vuota, ma sempre collegata direttamente a Codep, il comune chiese un parere al riguardo all’Arpa territoriale.
In proposito, l'Arpa sostenne che lo spostamento da un insediamento preesistente ad un altro vuoto della stessa Azienda non comportava aggravio per l'impianto gestito dalla Codep. L'Asl poi utilizzò tale parere anche per situazioni analoghe (questa Corte ritiene di rinvenire tale ultimo atto, non allegato a corredo immediato della testimonianza, nella produzione difensiva del Menganna n. 33, corrispondente alla nota dell'Asl n. 2 del 25.2.2009). Si trattò di un parere fondato, in sostanza, sulla circostanza per cui, rimanendo immutato il numero dei capi, nulla rilevava che mutasse semplicemente il luogo della loro presenza trattandosi, come riconosciuto dal teste Schienalunga medesimo, di stalle entrambe collegate alla Codep.
L'istruttoria dibattimentale ha alfine chiarito le ragioni poste a base della contestazione: il teste Schienalunga infatti, ha rappresentato criticamente che si trattava di capi che avevano assunto un peso maggiore nel tempo e la cui crescita implicava di per sé un aggravio progressivo per l’impianto di Codep. Cosicchè, ha chiosato  il Capitano, egli ritenne di  contestare il parere dell’Arpa in quanto gli autori non si posero, a suo giudizio, il problema dell’aggravio per l’impianto della Codep, derivante dalla  progressiva  crescita dei capi e, anzi, lo lasciarono irrisolto, laddove si consentì lo spostamento da una  stalla ad un’altra, collegate comunque a Codep. Il teste, a conferma di tale sua impostazione critica, ha altresì riferito che a fronte della crescita dei capi, dal suo punto di vista anzichè formulare il parere positivo incriminato si sarebbero dovute assumere "altre soluzioni"; alla obiezione del difensore per cui quel parere in sostanza non poteva non tenere conto dell'esistenza, in quel periodo, di un divieto di movimentazione dei capi - per  la malattia vescicolare - che  imponeva la  permanenza dei capi stessi nel medesimo territorio comunale, il teste ha ribadito che sussistevano comunque altre soluzioni rispetto a quella prospettata dalla Asl e sostenuta nel parere in questione, quali l’abbattimento degli animali; chiosando con l’osservazione  finale per cui “noi non volevamo entrare nel merito …soggetto competente  in materia dava  un  parere che sostanzialmente consentiva questo continuo affaticamento dell’impianto…”.

Va precisato che all'esito del dibattimento e delle conclusioni delle parti, è rimasta questa la ragione della contestazione, ed è per questo motivo che si è ritenuto utile riprendere in maniera quasi letterale, oltre che completa, la testimonianza del Capitano Schienalunga.
Cosicchè in tale quadro emergono con chiarezza alcuni aspetti:
la stessa accusa più che contestare l'inammissibilità, in diritto o per logica, del parere in esame, lamenta la circostanza che non fosse stata colta l'opportunità di addottare indicazioni ritenute, nella sua prospettiva, migliori;
dalla lettura del parere, si comprende che la scelta adottata in positivo, e contestata invece in imputazione, trovava fondamento sul razionale rilievo per cui, stante il divieto di movimentazione oltre il perimetro stabilito e trattandosi di capi già presenti in un allevamento collegato con la Codep - che quindi già "aggravavano" tale impianto, per quanto legittimamente, e quindi anche a fronte della inevitabile crescita dei medesimi -  il mero spostamento in altro allevamento, anche esso collegato alla Codep non avrebbe inciso negativamente sui flussi di liquami già addotti a quest'ultimo impianto.
Una scelta razionale e neutra, non contrastante altresì con alcuna norma, che quindi non risulta rispondente ad alcuna logica di indebiti favori, cosicchè tale contenuto supera anche qualsivoglia disquisizione circa la mancata osservanza di indirizzi superiori, quanto alla possibilità di emettere, da parte degli imputati, pareri in autonomia.
Va aggiunto che, peraltro, il Direttore Generale dell’Arpa, l'otto maggio 2009, indirizzò una lettera ai Sindaci di vari comuni e alla Dottoressa D’Amico, responsabile della sezione territoriale, con cui affermò che “con la presente si richiama il parere espresso dal distretto di Bastia in data 4 febbraio 2009” e precisò che tale parere doveva intendersi riferito a modesti spostamenti di animali tra allevamenti nell’ambito dello stesso Comune ed era finalizzato a situazioni di sovraffollamento che si erano verificate a causa dell'emergenza vescicolare. Si tratta dunque di una missiva con cui si è confermata, piuttosto che sconfessare (come sostenuto dal Capitano Schienalunga), la validità dell'atto in esame e del suo contenuto.

Altro profilo in contestazione attiene alle omesse rilevazioni di irregolarità nei confronti degli allevamenti VAPOR di Zanotti Stefano, ACEM di Mencarelli, e dell'allevamento di CIOTTI Mario, con particolare riferimento alla circostanza per cui, sebbene esclusi, essi nel 2008 continuarono a conferire i propri effluenti zootecnici all'impianto della Codep.
Ciò sul presupposto, pure indicato in contestazione, per cui D'Amico Bagnetti e Menganna avevano assunto secondo l'accusa piena conoscenza sia delle peculiari posizioni di questi allevamenti che dei conferimenti "...poiché indicati nei continuativi censimenti effettuati dalla USL e in possesso anche dell’ufficio A.R.P.A. facente capo alla D’AMICO...." .
Nel medesimo quadro si addebita una omessa contestazione dell'irregolarità in cui versava la ditta VAPOR di Zanotti dopo l’attività ispettiva richiesta dal comune di Cannara, in conseguenza del sequestro dell’impianto di conferimento operato dal N.O.E. Altresì, secondo l'accusa D'Amico e Bagnetti omisero di chiedere l’adozione di provvedimenti sanzionatori, di competenza del sindaco di Bettona, a carico di CODEP (ai sensi dell’art. 41 della DGR 1492/2006), per irregolare gestione degli effluenti accertata il 17.1.2009; infine, si contesta che i medesimi rappresentarono falsamente, in più occasioni, agli uffici superiori situazioni “non preoccupanti e sotto controllo”, contestate dagli stessi uffici sovraordinati.
Va ribadito, che anche per tali contestazioni non risultano prodotti i documenti scrittti di riferimento per i comportamenti addebitati, che quindi solo in parte si sono reperiti, nella produzione difensiva.
Le predette vicende poi, si sono esaurite nella sola illustrazione offertane dal Capitano Schinalunga.
Il teste, quanto al tema delle ditte escluse dalla possibilità di conferire in Codep e tuttavia operative in tal senso, senza che D'Amico e Bagnetti rilevassero alcunchè, ha rammentato che proprio a seguito di una ordinanza comunale del febbraio del 2008 che le escludeva, la polizia giudiziaria, su richiesta di  verifica da parte del Comune di Bastia Umbra, accertato che nonostante ciò tali ditte continuavano  a conferire in impianto, senza neppure rientrare tra i nuovi possibili conferitori di cui alla successiva ed ulteriore ordinanza comunale, n. 57 dell’aprile del 2008, procedette nell’ottobre del 2008 al sequestro delle relative condotte. Di lì a pochi giorni, il Comune,  richiamando  l’emergenza correlata alla malattia vescicolare, adottò però specifiche ordinanze (dell’ottobre/novembre 2008) con  cui autorizzò  tali  ditte a conferire  in Codep. L’appunto che si solleva contro gli uomini dell’Arpa territoriale è quello per cui, pur potendo tali atti essere reperiti da parte di tutti gli organi  pubblici, e avendone quindi gli imputati conoscenza, essi non sollevarono mai rilievi di tal fatta.
Ebbene, va ribadito in proposito che trattandosi di vicenda in cui si contesta - in sostanza - ai tre imputati Bagnetti, D'Amico e Menganna, di avere avuto cognizione del predetto provvedimento di esclusione e tuttavia di non averlo mai rilevato in sede di verifiche nei confronti di Vapor, è utile osservare che non è stato dimostrato che la predetta esclusione sia giunta alla personale conoscenza dei medesimi. Dalla lettura del capo di imputazione, inoltre, si ricava che tale conoscenza si dovrebbe desumere dalla nota del 5.2.2008 n. 1214 sottoscritta da D'Amico e Bagnetti, che a sua volta fa riferimento a un censimento dell'ASL n 1 in cui sarebbe alfine riportata la notizia dell'esclusione della Vapor tra le ditte conferenti in Codep.
In proposito, va osservato che ove tale notizia fosse davvero riportata nella citata relazione dell'ASL, essa si sarebbe dovuta ricavare, nell'ottica accusatoria, da una comunicazione dell'Asl non avente ad oggetto specificatamente gli allevamenti esclusi sino al gennaio del 2008, bensì un oggetto diverso: il censimento sullo stato delle stalle in relazione al dovere di dimezzare i capi e al divieto di reinstallo. Insomma, sarebbe stata una sorta di notizia " de relato" e "implicita" all'interno di notizie ben diverse. Inoltre, la nota del 5.2.2008 non è a firma del Menganna e, quindi, a seguire tale impostazione già quest'ultimo imputato dovrebbe escludersi da questo specifico adebito.
Va aggiunto che questa Corte ha reperito, nella produzione difensiva, questa nota del 5.2.2008, che non consente di ritenerla dimostrativa della conoscenza, da parte degli imputati, della già avvenuta esclusione della Vapor e delle altre ditte dal novero dei soggetti conferitori. Infatti nella nota del 5.2.2008:
- non si citano le esclusioni in contestazione;
- si richiama una relazione della Asl n. 1 del 21.1.2008 con cui si attestava che "nelle stalle allacciate ......sono presenti oltre 27.400 capi...". Tale relazione non risulta allegata alla nota rinvenuta da questa Corte. Piuttosto nella predetta nota risulta una sorta di presumibile "stralcio" della citata relazione dell'Asl, consistente in una elencazione di allevamenti accompagnata dalla indicazione dei capi presenti in ciascuno di essi. Tra questi allevamenti, solo per quello di Longetti Giuseppe e della Agr. Salceto è riportata la dicitura "condotta interrotta", che poteva lasciare presumere una esclusione o un allontanamento volontario. Per la Vapor invece, risultava solo l'indicazione dei capi suini presenti, così come per la ditta Ciotti Mario e Mencarelli.
Dunque, non si condivide l'assunto di ricavare da tale nota la conoscenza, da parte di Bagnetti Menganna e D'Amico, della avvenuta esclusione delle ditte indicate nel capo di imputazione.  
Del resto, lo stesso Capitano Schienalunga in dibattimento - senza che in sede di conclusioni siano emerse ulteriori e diverse indicazioni - ha fondato l'accusa sul meno pregnante rilievo per cui, trattandosi di atti reperibili da parte di tutti gli organi pubblici, ciò dovrebbe lasciar ricavare che ne avessero avuta cognizione gli stessi imputati.
In realtà, in assenza della predetta prova, va piuttosto osservato che dalla lettura di altra nota dell'Arpa sezione territoriale dell'8.5.2008 (in allegato 20 prod. D'Amico) predisposta da Bagnetti D'Amico e Bodo, risulta che tra le aziende per le quali la Codep aveva effettuato il materiale "distacco" non era indicata anche la Vapor: a conferma della ignoranza in capo agli imputati, ancora a quella data, della citata esclusione di Vapor.
Deve concludersi anche in tal caso per l'infondatezza delle accuse.

Il tema di false rappresentazioni di situazioni “non preoccupanti e sotto controllo”, fornite da parte di D'Amico e Bagnetti, in più occasioni, agli uffici superiori, è anche esso essenzialmente fondato sulla deposizione dello Schienalunga.
Il teste in proposito si è limitato a ricordare il contenuto di una nota a firma degli imputati, del 4.11.2008 n. 13278 (che non risulta prodotta di seguito a tale riferimento), a suo giudizio sostanzialmente falsa laddove si osservava che nulla di irregolare si rilevava nei confronti della società Vapor; mentre invece poco prima i CC del Noe, nell'ottobre del medesimo anno, avevano sequestrato la condotta di conferimento dei liquami verso la Codep, sul presupposto per cui la Vapor non era autorizzata a conferire gli stessi.  
Vicenda che pare risolvibile da questa Corte già solo richiamando l'illustrata, mancata prova, della conoscenza, da parte degli imputati, della esclusione disposta dalla Codep, tra il 2007e il 2008, nei confronti della Vapor stessa, dai soggetti conferitori.

In tema di asserite irregolarità nell'operato degli attuali imputati appartenenti all'Arpa, il Capitano Schienalunga si è limitato a ricordare di avere chiesto all'Arpa territoriale di verificare talune segnalazioni che erano pervenute al Noe il 17.1.09 e con cui si evidenziava uno spandimento, effettuato da parte di uomini di Codep, su un terreno interessato da precipitazioni piovose nei giorni precedenti.
Con lettera a firma degli imputati D’Amico, Bagnetti e Menganna si accertò effettivamente l'irregolarità dello spandimento e la saturazione della laguna. Tuttavia, secondo il teste gli imputati avrebbero violato i propri doveri avendo solo chiesto al Sindaco l'adozione di un provvedimento diretto ad evitare l'aumento del livello della laguna; evitando invece di sollecitare una delle sanzioni amministrative previste in caso di violazioni tecniche in tema di utilizzazione agronomica, ai sensi dell'art. 41 della DGR 1492/2006.
Per tali rilievi, e per sancirne l'infondatezza, è sufficiente osservare che la citata norma  non prevede un dovere di sollecitare sanzioni da parte dell'Arpa. Chiaro in tal senso è il testo normativo che si riporta: "Art 41 Controlli 1. In caso di accertamento, da parte dell'autorità di controllo, di violazioni e inosservanze alle indicazioni e norme tecniche contenute nella presente direttiva, il sindaco può procedere nei confronti del soggetto responsabile della comunicazione, secondo la gravità dell'infrazione: a. alla imposizione di prescrizioni e/o alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità; b. alla diffida e contestuale sospensione delle attività di utilizzazione agronomica per un tempo determinato, ove si manifestano situazioni di pericolo per la salute pubblica e/o per l'ambiente; c. al divieto di esercizio delle attività in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida ovvero in caso di reiterate violazioni che determinano situazione di pericolo per la salute pubblica ovvero situazioni di rischio per le acque, il suolo, il sottosuolo o le altre risorse ambientali ovvero in caso di mancata comunicazione".

Proseguendo nell'illustrazione delle violazioni rilevate nei confronti degli imputati D'Amico Menganna e Bagnetti, il Capitano Schienalunga ha citato una nota n. 402 del 13.6.2008 del Dipartimento Provinciale dell'Arpa con cui si disponevano controlli sugli impianti della ditta Iraci. Ha ricordato che in un'occasione si documentò da parte dell’Arpa di Bastia Umbra che i liquami riversati presso i terreni della predetta ditta venivano trasportati con un carro botte in maniera regolare, mentre invece sussistevano secondo lo Schienalunga due irregolarità:
il Comune di Bevagna non rientrava nell’area di competenza della sezione di Bastia Umbra perché era sotto l’area di Foligno ed inoltre questi trasporti avvenivano presso questo impianto "che era un impianto che produceva biogas, che questa azienda agricola che aveva un impianto di biogas e questi affluenti, questi reflui del depuratore dell’impianto Codep venivano portati presso questa azienda e scaricati in bacini di stoccaggio perché poi sarebbero stati utilizzati per l’avvio dell’impianto, fortificazione e quant’altro di questo impianto che avevano a disposizione il biogas e quant’altro. Cosa che non corrispondeva al vero perché i documenti che venivano erogati da Codep come documenti di accompagnamento per quanto riguarda il trasporto di questi affluenti invece indicavano che questo trasporto avveniva per l’utilizzazione agronomica presso i terreni individuati da specificate particelle e questa cosa ovviamente non era corrispondente alla realtà, perché il documento che come avevo detto prima mi (inc.) il produttore dell’effluente di allevamento, chi è il soggetto che eventualmente lo trasporta, deve indicare eventualmente dove viene stoccato, i soggetti stoccatori o meno devono autonomamente fare comunicazione etc., questa cosa non veniva rispettata perché sul documento veniva indicato “produttore Codap, trasportatore x, Mattoni, Codep stesso perché c’erano altri trasporti, destinazione particella x, y, z”. Si verificava invece che il trasporto avveniva da Codep tramite i mezzi con lo stoccaggio nel bacino dell’azienda agricola Iraci posta in Bevagna, la quale a sua volta per fare lo stoccaggio, anche dovessimo considerare effluenti di allevamento e come abbiamo detto all’inizio non lo erano, ma anche se l’avessimo dovuti considerare affluenti di allevamento, avrebbe dovuto fare a sua volta una comunicazione come stoccatore e comunque il documento di trasporto da Codep all’azienda agricola Iraci doveva indicare dal luogo di produzione al luogo di stoccaggio tramite questo mezzo di trasporto, non dal luogo di produzione al luogo di utilizzazione, perché l’utilizzatore finale sarebbe stata l’azienda agricola Iraci di Bevagna. Ecco, in questa occasione l’Arpa facendo questo controllo riferì con questa nota che richiamava il Pubblico Ministero, riferì che era regolarmente conferito all’azienda Iraci, anche in questo caso senza rilevare le violazioni e parliamo di grossi quantitativi anche in questo caso di refluo.....Acquisimmo i documenti di trasporto, acquisimmo... l’azienda agricola Iraci successivamente al nostro controllo produsse un’autonoma, al Comune di Bevagna perché il luogo di stoccaggio era il Comune di Bevagna, ma soltanto dopo ulteriori controlli perché se non ricordo male avvenne nel gennaio – febbraio 2009, produsse un’autonoma comunicazione per lo stoccaggio di questi reflui che provenivano da Codep per ulteriori attività. Quindi non c’era la comunicazione da parte dell’azienda agricola Iraci al Comune per lo stoccaggio e la documentazione che acquisimmo per i trasporti attestava situazioni diverse rispetto a quelle che erano state riferite da Arpa..".

In proposito, si rileva che non pare che una mera violazione della competenza interna territoriale degli organi dell'Arpa possa fondare i gravi fatti in contestazione. Se non inserita in un fondato quadro accusatorio ben più grave, che sinora non è emerso.
Quanto poi, alla discrasia tra quanto osservato dall'Arpa con la nota del giugno del 2008 e quella che fu, secondo il Capitano, l'effettiva realtà dei fatti, sembra palese l'impossibilità di giungere ad una tale conclusione a fronte di un quadro probatorio costituito dalla sola, suindicata deposizione del teste. Senza peraltro alcun approfondimento sul tipo di controllo all'epoca effettuato dagli imputati, a partire dal fatto che il teste non ha indicato precisamente la data del controllo contestato. Nè è stata fornita la documentazione inerente il sopralluogo contestato dal Capitano.
Troppo poco per addebitare con rigore e certezza omissioni di denunzia e coperture a sostegno di attività criminali di gestione di rifiuti.

Alla luce delle conclusioni cui si deve giungere in ordine alle suesposte vicende contestate, che inducono a ritenere le medesime del tutto irrilevanti penalmente, deve dirsi che cade completamente la più generale accusa  mossa a D'Amico, Bagnetti e Menganna, di avere omesso i controlli di loro competenza, ed avere evitato di rilevare e di riferire "le numerose violazioni di legge commesse nel tempo" o di averle riferite in " maniera errata, sia all’AG che all’Autorità Amministrativa".
Tanto più che anche la tesi per cui questi imputati sarebbero stati ripresi dagli organi superiori a causa della loro inerzia, non trova alcun fondamento; ciò perchè le note che avrebbero dovuto fondare tale tesi - rinvenute in parte nelle produzioni difensive - non depongono - in assenza magari dell'audizione degli autori ovvero della produzione ex art. 512 c.p.p. di eventuali sit - nel senso indicato dall'accusa e, piuttosto, paiono essere espressione di un ordinario potere di direzione e coordinamento; tanto più in considerazione del fatto, da non dimenticare, che talune delle vicende da cui sono scaturite le citate note costituivano un bagaglio di conoscenza che non risulta comune anche agli attuali imputati. A partire, per quanto è emerso, dalle campagne di monitoraggio sulle acque del fiume Topino e Chiascio. Si aggiunga la mole di dati documentali, in parte già richiamati nelle pagine precedenti e cui si rinvia,  da cui emerge una diffusa attività di controllo degli imputati Bagnetti Menganna e D'Amico, non aliena dall'adozione di atti dal contenuto fortemente critico e avverso circa la gestione di effluenti operata in Codep.

Quanto infine alla contestazione per cui BAGNETTI e MENGANNA "reiteratamente vanificavano o tentavano di vanificare gli accertamenti di p.g. in corso, invitando telefonicamente sia il personale dell’impianto CODEP di autocontrollarsi e di rimuovere le tracce degli sversamenti (R.I.T. 389/07 telefonate 108-110-111-526-570-573, R.I.T. 629/07 telefonate 1056-1058), sia altri soggetti (R.I.T. 389/07 telefonate 100 – 104), ovvero preavvertendo di controlli da effettuare, consentendo la tempestiva (e strumentale al controllo) attivazione di sezioni di impianto normalmente lasciate inattive (R.I.T. 862/07 telefonate 1273 e successiva, in cui Graziano SIENA dispone l’attivazione dei dispositivi), ovvero garantendo a soggetti violatori (POLINORI) che la loro presenza avrebbe impedito l’adozione di provvedimenti sanzionatori (R.I.T. 587/07 telefonata 57)" si osserva quanto segue.
Si tratta di conversazioni che riguardano di norma, a seconda della telefonata, separatamente il Bagnetti o il Menganna. La più grave è certamente quella in cui Siena Graziano (dopo contatti in tal senso avuti con il Bagnetti) riferiva al Santucci di avere avuto notizia dell'imminente arrivo di personale di pg per effettuare campionamenti e lo esortava ad attivare l'impianto.
Ebbene, alla luce di quanto sinora accertato, circa l'assenza di condotte reiterate e univoche dirette a coprire l'abusiva gestione degli effluenti trattati in Codep, le conversazioni in parola sembrano doversi ricondure al più ristretto ambito di singole personali omissioni dei doveri di ufficio, magari legate a personali rapporti che legavano l'interlocutore di turno dell'Arpa con uomini di Codep, oppure ad una maggiore comodità e convenienza nell'espletare i propri doveri.
Nel primo senso sembra deporre la circostanza per cui il Bagnetti avvisò di impellenti controlli, in una telefonata, Siena Graziano, ed in un'altra invece il Polinori Renato, ma per una vicenda che pare interna all'allevamento di costui.
Nel secondo senso, sembrano deporre le conversazioni in cui l'interlocutore dell'Arpa contattava il Santucci o comunque un dipendente della Codep, in ragione di allarmi provenienti dalle centraline di monitoraggio poste sul Topino o sul Chiascio, per sapere innanzitutto se erano da ricollegarsi a sversamenti accaduti all'interno della Codep piuttosto che da ricondursi a fenomeni accaduti più a monte, per i quali non sarebbe scattata la propria competenza territoriale. Così evitando, in tale ultimo caso, di doversi attivare, seppure al prezzo, inammissibile ma certamente contemplato e voluto, di avvisare gli ipotetici responsabili dello sversamento, se invece riconducibile alla Codep. Traspare peraltro anche un'inaccettabile sufficienza nel valutare l'importanza dei propri compiti di controllo e quindi la gravità, già in astratto, di ogni fenomeno di sversamento di fonti inquinanti nelle acque; superficialità e sufficienza certamente incompatibili con i doveri di chi, preposto agli uffici dell'Arpa, è titolare di importanti doveri di controllo e prevenzione ambientale.
In proposito, questa Corte ha esaminato una relazione di sopralluogo del periodo di luglio/agosto 2008, redatta da uomini dell'Arpa territoriale facente capo alla imputata D'Amico. Trattandosi di atti certamente provenienti dalla medesima imputata D'Amico, atteso che è emerso che le comunicazioni descrittive dell'attività svolta andavano accompagnate dalla firma della predetta dirigente, tale documento pare per tale motivo utilizzabile. In particolare questa Corte intende fare riferimento a quella parte di tale relazione in cui si rappresenta per iscritto che la sera del 2.7.2008, a fronte dell'allarme di una centralina sul Topino, i tecnici dell'Arpa non si attivarono, come era loro dovere, per recarsi immediatamente in loco per i doverosi controlli, bensì preferirono avvisare il dipendente di Codep Santucci Pietro, che non riscontrò nulla; il giorno dopo i tecnici dell'Arpa effettuarono un sopralluogo verificando effettivamente l'assenza di tracce che riconducessero l'allarme della centralina a sversamenti proveninti da vasche della Codep. Stante l'importanza e la singolarità di tutto ciò si riporta letteralmente il passo: "..si è provveduto ad interessare il personale dellla codep reperibile (Santucci Piero) il quale ha provveduto ad eseguire un sopralluogo presso le vasche di rilancio presenti lungo il Topino ..senza rilevare anomalie....Accertamenti eseguiti in data odierna a cura del personale tecnico della scrivente Arpa non hanno palesato indizi che deponessero per un recente sversamento di deiezioni dal sistema sollevamento dei liquami all'impianto di trattamento.Il Topino........presentava una notevole portata e mostrava una forte colorazione ...per effetto del materiale fangoso in sospensione dovuto alle abbondantissime piogge...".
Dunque, lo si ripete, questo documento conferma l'esistenza di un inammissibile modo di espletare i propri doveri, in particolare da parte degli imputati dell'Arpa operativi in loco, Bagnetti e Menganna (sebbene lasci perplessi anche la circostanza che la stessa D'Amico potesse di fatto avallare queste modalità, con la propria firma apposta su relazioni illustrative delle medesime)
Ed emergono quindi solo singole, autonome fattispecie di reato, con esclusione comunque della D'Amico che non compare nè nelle conversazioni nè mai in loco durante i sopralluoghi, che non risultano assorbite nella contestazione formulata nei confronti dei tre imputati dell'Arpa, in termini di consapevole apporto causale al delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti.
Per quanto attiene, infine, specificamente, alla D'Amico, vale qui aggiungere che la vicenda raccontata dal teste Roscini, circa un suo rifiuto di effettuare campionamenti sul liquame di un rotone in data 19.3.2009, anche alla luce del teste della difesa sentito appare ridimensionabile, in assenza di dati contrari, ad una mera storia di carenza di risorse umane, purtroppo verificabile in ragione delle scarse disponibilità di uomini e mezzi, in generale, presso uffici della P.A.  
Consegue l'assoluzione degli imputati D'Amico, Bagnetti e Menganna ex art. 530 c.p.p. per non aver commesso il fatto. Con trasmissione degli atti al PM per quanto di competenza in relazione alle diverse fattispecie di reato individuabili con riguardo alle conversazioni citate nel presente capo di imputazione.

24. Il Capo a).

La sussistenza di fatti riconducibili al delitto ex art. 260 Dlgs 152/06 non offre alcun valido apporto alla configurabilità della diversa contestazione di cui al capo a), incentrata sulla prospettazione di una associazione ex art. 416 c.p. realizzata tra Siena Graziano, Polinori Rinaldo, Longetti Sergio, Mattoni Giovanni, Mencarelli Massimo, Taglioni Nicola, Zanotti Stefano, Meschini Giuseppe, Taglioni Renato. Laddove il sodalizio sarebbe stato promosso ed organizzato da Mattoni, Polinori e Siena, e tutti si sarebbero attivati allo scopo di commettere una serie indeterminata di reati contro l’ambiente, la salute pubblica e la fede pubblica. Siena, Mattoni Giovanni, Taglioni, Polinori, Meschini e Taglioni Renato in qualità, rispettivamente, di presidente, vicepresidente e consiglieri della CODEP s.c.a.r.l. con sede in Bettona; Polinori, Zanotti, Mencarelli, Longetti, in qualità di imprenditori e legali rappresentanti delle rispettive aziende conferenti liquami nell'impianto pubblico di depurazione di reflui, di Bettona, gestito da CODEP s.c.a.r.l.
Infatti, non si va oltre il rinvenimento di condotte concorsuali nella attività, seppure organizzata, di traffico di rifiuti: invero, come sopra illustrato, da una parte sostanzialmente emerge il ruolo centrale, ma autonomo, del Siena: la sequela dei dati documentali raccolti disegna infatti "un uomo solo al comando", a fronte del quale alcuni soggetti titolari di carica sociale, come Mattoni Renato, Polinori Rinaldo, Meschini, Mencarelli o non compaiono proprio sulla scena della gestione delle attività in esame, oppure si rinvengono semplicemente attraverso poche intercettazioni del 2007, non denotanti il ruolo e l'operatività descritta nel capo di imputazione. Altri, come Mattoni Giovanni e Taglioni Nicola, pur mostrandosi nella veste oltre che di trasportatori, anche di consiglieri della Codep, risentono della stessa solo sul piano della consapevolezza della tipologia di attività illecita in atto e quindi del relativo dolo, ma la propria compartecipazione gestionale si riduce al ruolo, esecutivo, di trasportatori, non accompagnato da stabili rapporti di solidarietà criminosa con il Siena. Piuttosto, si tratta di un ruolo di trasportatori esplicato secondo una logica di mera interrelazione imprenditoriale, seppure di tipo criminale, conchiusa nel solo delitto ex art. 260 cit. Eguali discorsi devono formularsi per Zanotti e Longetti Sergio.
In altri termini, il compendio probatorio è caratterizzato da prove documentali e dichiarative convergenti, quanto alla direzione della Codep, soltanto sul Presidente, Siena, quale soggetto operante all'interno di Codep medesima in maniera autonoma e preponderante; prove altresì descrittive, quanto agli altri compartecipi, di condotte che, seppure ripetute anche entro ampi spazi temporali, appaiono espressive essenzialmente dei personali interessi di questi ultimi, senza che emergano momenti, tantomeno stabili, di coesione criminale, tipici di quell'"affectio" richiesta dalla fattispecie in esame. Del resto, non è senza rilievo, in tal senso, la circostanza per cui non mancarono momenti di scontro (con relative espulsioni o contestazioni) tra il Siena e altri asseriti compartecipi come il Polinori, o Longetti o Mencarelli. A riprova di una vicenda priva di un vincolo criminoso stabile oltre che diretto verso una serie indeterminata di delitti e, piuttosto, piegata alle contingenze anche soggettive del momento, a volte persino produttive di contrapposizioni tra gli imputati del presente capo, e quindi incompatibili con vincoli personali e persistenti tra i medesimi soggetti; contingenze come tali rilevanti per alcuni esclusivamente nel favorire, temporaneamente,  una mera compartecipazione nella gestione organizzata del traffico di rifiuti della Codep. Nè è possibile tradurre automaticamente l'organizzazione imprenditoriale della Codep nell'organizzazione, seppur anche rudimentale, richiesta per configurare la fattispecie in esame.
La carenza probatoria in tema di interrelazioni tra gli imputati idonee a disvelare uno stabile piano organizzativo, che trascendesse dalla mera partecipazione, di alcuni, al solo reato ex art. 260 Dlgs 152 e si indirizzasse dolosamente verso il perseguimento di gravissimi reati ambientali, peraltro alcuni suscettibili di riverberarsi negativamente sulle stesse attività economiche dei consociati, conduce dunque all'esclusione del reato contestato al capo a).
Consegue anche in tal caso l'assoluzione ex art. 530 c.p.p. perchè il fatto non sussiste.

25.  Il capo e)

Si tratta di contestazione strettamente connessa al capo b), atteso che si rilevano false attestazioni in tema di natura, consistenza, destinazione e  qualità dei rifiuti prodotti presso il "depuratore" gestito dalla Codep, per Siena, Longetti, Taglioni, Zanotti e Berrretta, sui documenti di trasporto; per Polinori sul documento presentato il 23.4.2009 al comune di Bettona e ancora per Siena, Longetti, Mencarelli e Zanotti, anche sulle comunicazioni preventive presentate ai vari comuni e sulle relative istanze presentate a corredo, circa la natura, la consistenza, la destinazione e la qualità dei rifiuti prodotti presso il depuratore comunale gestito da Codep; in guisa tale da rappresentare falsamente una situazione conforme alla legge.
Si osserva che per quanto sinora detto si sarebbero dovuti usare nei trasporti i Fir invece dei cd. DDT. In tale contesto quindi, assume rilievo l'assenza del fir, per rifiuti non pericolosi, sanzionata amministrativamente ex art. 258 comma IV Dlgs 152/2006.; laddove il ddt acquisisce importanza come mero strumento di fatto per la creazione di una situazione apparente, di legittimo utilizzo agronomico dei liquami. Come tale, quindi, privo di quella potestà certificatrice richiesta ai sensi dell'art. 484 c.p.
Quanto agli altri documenti contestati - al di là di quanto già osservato in precedenza circa la concreta indisponibilità di questa Corte per alcuni di essi - si osserva che trattasi di comunicazioni indirizzate istituzionalmente ai Comuni, in particolare alla luce della DGR 1492/06, e dunque esulano dall'ambito della fattispecie in contestazione, che invece rimanda ad atti per la cui rilevanza è necessario che sussista un obbligo di registrazione o notificazione alla Autorità di pubblica sicurezza. Si impone quindi l'assoluzione ai sensi dell'art. 530 c.p.p. perchè il fatto non sussiste.

26. I Capi c) e d).

Quanto ai capi c) e d) di imputazione, estesi rispetto ai "gemelli" capi h) e i) dal punto di vista temporale fino al 2009 e, geograficamente, oltre che sul territorio di Bettona, anche su quello di Bevagna, Cannara e Bastia Umbra, anche per essi questa Corte ritiene di addivenire all'assoluzione perchè il fatto non sussiste, ex art. 530 c.p.p.
Con particolare riferimento al contestato disastro ambientale di cui al capo c), costituito dallo "stravolgimento e ..compromisisone dell'equilibrio naturale dei terreni e delle acque ..." attraverso lo spandimento di rifiuti speciali anche con inquinamento delle falde acquifere per effetto dell’alta concentrazione di sostanze inquinanti, in particolare azoto e metalli pesanti, "tanto che ben individuate ed enormi estensioni di terreni, da anni nella disponibilità pressoché esclusiva della CODEP in particolare nei comuni di Bettona e Bastia Umbra, venivano classificate in base a specifiche normative (DGRU 2052/05, art. 94 D.Lgs. 152/06, direttiva 91/676/CEE) come zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola..", si osserva quanto segue.
Si tratta, come accennato, di contestazione pressocchè corrispondente a quella del capo h) già  analizzata, da cui differisce solo per l'estensione cronologica, sino al 2009, e territoriale.
Per tale addebito la Corte rileva che pur a fronte di un maggior apporto probatorio, in termini di condotte che in via astratta e logica possono essere dotate di notevole efficacia causale rispetto allo stravolgimento dell'ambiente naturale, manca anche per esso un valido supporto di riferimento. Che non differisce nella sostanza da quello emerso per la valutazione del capo "gemello" di cui alla lettera h), cosìcchè anche in tal caso deve rilevarsi alfine come la carenza probatoria appaia in ogni caso ampia.
Tanto da rendere inutile, anche rispetto alla presente contestazione, ogni preliminare disquisizione, proposta dalle difese, circa l'operatività astratta del disastro ex art. 434 c.p. in relazione alle vicende ambientali prospettate.
Si osserva che il "disastro" è contestato come avvenuto su terreni siti in Bettona, e anche in Bastia Umbra: tuttavia, manca uno specifico approfondimento volto ad individuare con precisione i terreni interessati concretamente dal riversamento dei liquami e in via generale dei reflui trattati; invero dai DDT e altra documentazione illustrata appare ricavabile una sorta di mappa indicativa dei predetti terreni, tuttavia parziale, atteso che manca poi una parallela verifica circa quegli specifici terreni dell'anello irriguo che furono concretamente interessati dallo scarico diretto dei reflui (tanto più che dalla ricostruzione cui è pervenuta questa Corte, la gestione incontrollata dei reflui e rifiuti si è ben tradotta anche in elevati e preponderanti sversamenti su taluni terreni piuttosto che su altri). Invero, giova ribadirlo, appare parziale e insufficiente il mero eventuale richiamo a quelle poche particelle interessate dai controlli, non sistematici nè organici, effettuati dai CC mediante i loro sopralluoghi.
A ciò corrisponde anche l'assenza dell'individuazione e studio (per caratteristiche geologiche, morfologiche, chimiche etc) dei terreni stessi colpiti dal disastroso sversamento, atteso che la prospettazione probatoria accusatoria rimane ferma, sul punto, a quelle poche analisi di terreno effettuate sotto la direzione del ct Iacucci nell'estate del 2007.  
Eguale assenza di verifiche e dimostrazioni si registra in ordine anche alla individuazione e analisi delle falde acquifere; a partire dalla individuazione di quelle realmente sottostanti o comunque in grado di essere raggiunte da fenomeni di percolazione di acque e lisciviazione di azoto, provenienti dai citati terreni, rimasti di fatto ignoti nella loro individuazione e nelle loro caratteristiche.
Va detto che neppure sono emersi risultati probatori tesi a fornire un necessario quadro dello stato ambientale dei terreni e delle falde sottostanti  "comunicanti", come sussistente prima del verificarsi dei fatti in contestazione, da raffrontare così con quel quadro "successivo" che per quanto sopra detto egualmente non sussiste. Tanto più ove si ricordi che l'unico dato analitico, che è emerso per il passato, indicativo di assenza di inquinamento delle falde, non appare favorevole alla ipotesi accusatoria, siccome collegato comunque già a sversamenti in atto proveninti dalla Codep. Si tratta della già citata nota della Asl del novembre del 1999 (indicata in sede di ricostruzione documentale dell'impianto Codep), ove è riportata la notizia per cui il Laboratorio Chimico Ambientale di Perugia, da 4 anni, aveva avviato un monitoraggio della falda acquifera "dell'area in questione ...sono stati individuati 12 pozzi la cui acqua mensilmente viene sottoposta ad indagini chimico fisiche al fine di accertare eventuali incrementi delle concentrazioni di elementi (N, P, K) contenuti nell'effluente proveniente dall'impianto Codep. Le indagini fin qui condotte non hanno palesato fenomeni di inquinamento della falda..".  
Quanto ai pochi dati probatori disponibili, posto che nulla si è aggiunto rispetto a quelli offerti a sostegno della analoga contestazione del 2007, deve dirsi che appaiono ben poco significativi i campioni di acque esaminati dal dr. Iacucci in relazione alle concentrazioni di azoto e altri metalli in contestazione, siccome estratti da pochi pozzi, neppure specificati circa la loro geolocalizzazione in rapporto alla possibile falda di riferimento. Analogamente deve dirsi per la prova dell'attuale "stravolgimento e compromissione" dei terreni richiamati nel capo di imputazione. Che non può validamente ridursi a pochi campioni di sostanza solida prelevati ancora una volta da terreni neppure ben individuati nelle loro coordinate geografiche, insufficienti anche ai fini, lo si ripete, degli approfondimenti circa i rapporti di causalità tra concentrazioni di azoto e metalli sui terreni e condotte umane di spandimento da una parte, e quelli tra le predette concentrazioni e la presenza di eguali forme di tali sostanze nelle acque sotterranee.
In tale contesto la deposizione del teste Mirko Nucci circa i risultati della attività di monitoraggio avviata dall'Arpa su taluni pozzi, negli anni successivi ai fatti in esame, nulla aggiunge; si tratta di verifiche avviate al di fuori di qualsiasi coordinamento e collegamento con i fatti esaminati, prive di confronto con il passato, peraltro su porzioni di territorio di cui, proprio per la estraneità di fondo di tali monitoragggi rispetto ai fatti in parola, nessuno, in assenza di specifici approfondimenti in tal senso, può sancirne la significatività rispetto alle attività qui accertate ed ai fini in esame. Tantomeno la Corte.  
Anche in tal caso il risultato probatorio dibattimentale, sembra alfine ridursi alla mera supposizione dell'esistenza di forme di disastro ambientale derivanti dalla considerazione per cui la Codep, attraverso alcuni suoi uomini, ha scaricato nelle sue vicinanze o in terreni lontani, in particolare Bastia Umbra, i liquami trattati, certamente comprensivi di azoto e altre sostanze potenzialmente tosicche.
Non soccorre l'ipotesi accusatoria il richiamo all'intervenuta classificazione di "ben individuate ed enormi estensioni di terreni", site sopratutto in Bettona e Bastia Umbra, in base a specifiche normative (DGRU 2052/05, art. 94 D.Lgs. 152/06, direttiva 91/676/CEE), come zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola e sottoposte a particolare forma di tutela.
In proposito è utile ricordare come nella Regione Umbria, in esecuzione degli impegni comunitari derivanti dalla direttiva 91/676/CEE, è intervenuta, di seguito alla DGR 1577 del 2000, la DGR del 19.7.2005 n. 1201, adottata in esecuzione dell'art. 19 del Dlgs 152/99 intitolato "Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola", che ha dettato criteri per l'individuazione di dette zone vulnerabili anche cominciando a designare in apposito allegato (7/a - III)  talune di tali aree "vulnerabili".
Si è anche prevista la possibilità per le Regioni di definire ovvero revisionare, programmi d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola
Ccon la citata Delibera di Giunta la Regione Umbria provvide effettivamente a designare e perimetrare ovvero ad estendere ulteriori "zone vulnerabili da nitrati di origine agricola". Tra queste alcune del "settore orientale dell'Alta Valle del Tevere"; alcune quali porzioni dell'acquifero della Conca Eugubina prossima all'abitato di Gubbio; alcune quali porzioni dell'acquifero della Valle Umbra compresa tra gli abitati di Assisi e Spoleto e definite "zona vulnerabile 'Valle Umbra a sud del fiume Chiascio". Tra quelle ulteriormente "estese", dopo una designazione già avvenuta con varie DGR, del 2002 n. 1240, del 2003 n. 881, del 2004 n. 1090, rientravano alcune zone comprese tra gli abitati di Ponte S. Giovanni e Marciano, ovvero prossime all'area di S. Petrignano di Assisi - porzione settentrionale dell'acquifero della Valle Umbria "in destra del fiume Chiascio ", nonchè altre zone prossime al lago Trasimeno. Tanto venne disposto assumendosi come parte integrante della delibera un allegato documento istruttorio.
Documento di interesse, in quanto, dopo avere richiamato la direttiva 91/676/CEE relativa alla "protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole" e il Dlgs 152/99, si è precisato il criterio fondamentale di riferimento delle determinazioni ivi contenute: ossia il principio per cui "vengono considerate vulnerabili le porzioni di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi..". Criteri di applicazione di tale principio erano la "presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/l ...nelle acque..in particolare destinate alla produzione di acqua potabile;  presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/l ...nelle acque sotterranee; presenza di eutrofizzazione". Quindi, si spiegava che le nuove determinazioni in materia di ulteriori o più estese aree vulnerabili conseguivano ad uno studio commissionato all'Arpa Umbria nel 2002 e trasmesso con nota del novembre del 2004, inerente indagini svoltesi tra il 2003 ed il 2004. In tale documento - che non risulta prodotto agli atti nè tantomeno mai citato dai testi, a partire da quelli d'accusa - si individuavano " ...alcune aree critiche comprendenti sia le porzioni di acquifero che presentano concentrazioni di nitrati superiori a 50 mg/l sia quelle che rischiano di venire presto compromesse, tenuto conto dei carichi inquinanti a cui sono sottoposte ( ....) e dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione ...".  
La suesposta successione normativa appare utile per comprendere la portata della problematica delle aree vulnerabili ai nitrati in Umbria: che involge notevoli estensioni di territorio, che attraversa a ritroso gli anni e collega la tutela dei terreni, si noti, rispetto ai "nitrati di origine agricola": ossia alla presenza di composti d'azoto derivante dalle pratiche agricole, comprensive quindi non solo dello sversamento di composti organici contenenti azoto ma anche di quelli chimici. La perimetrazione inoltre può avvenire sia su aree ".....che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi...".
In sostanza, nell'affrontare il tema delle aree vulnerabili ai nitrati si viene a  considerare una realtà complessa, che non trascura la composizione dei terreni, le caratteristiche originarie, il contesto ambientale e quindi l'utilizzo agricolo fattene. Il tutto in una prospettiva di decenni.
Nel senso peraltro, della complessità dell'approfondimento e della interrelazione dei fenomeni causali dell'inquinamento depone chiaramente il sopra citato studio dell'Arpa, laddove ha riportato che vi sono aree che rischiano "di venire presto compromesse, tenuto conto dei carichi inquinanti a cui sono sottoposte ( ....) e dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione ...".
Tanto risulta confermato anche dal teste Marchetti Giancarlo, direttore tecnico dell'Agenzia Regionale per la protezione ambientale dal 1999, che ha dichiarato che sin dai primi studi sulle falde acquifere umbre si rilevò in taluni casi la presenza di inquinamento da nitrati. Ha aggiunto che la determinazione dell'origine antropica o animale della presenza in falda di nitrati consegue a studi particolari, quali le indagini isotopiche o anche analisi batteriologiche. Che non sono emerse nel corso del dibatimento.
E su quest'ultima linea si è espresso anche il teste del Pm, Mirko Nucci.
Un conforto a queste ultime dichiarazioni si ricava anche da diverse produzioni scientifiche offerte dalla difesa.
Cosicchè, ritornando alla osservazione di partenza prima formulata, per cui non soccorre l'ipotesi accusatoria il richiamo all'intervenuta classificazione di "ben individuate ed enormi estensioni di terreni", si comprende come essa trovi fondamento proprio sulla particolare problematica delle aree vulnerabili ai nitrati, in generale, e in Umbria in particolare; la quale quindi, nel caso in cui si intenda valutare l'incidenza sul territorio e sulle acque di specifiche attività umane, come nell'ipotesi di specie, impone complessi, ampi, e rigorosi studi e verifiche. Che mancano nell'attuale comprendio probatorio.
Va aggiunto che tutte le suddette considerazioni si formulano anche senza tenere conto di quanto già rilevato nelle precedenti pagine, cui si rinvia, in ordine alla inutilizzabilità delle analisi effettuate sui campioni prelevati dalle acque di alcuni pozzi nell'estate del 2007. Oltre che in ordine alla parziale inutilizzabilità soggettiva di talune analisi su campioni di liquami e terreni, come disposta con ordinanza di questa Corte già richiamata e riportata per estratto in sede di illustrazione dello svolgimento del processo.
                    
Le stesse considerazioni immediatamente prima formulate per l'assoluzione inerente ai fatti di cui al capo c) devono essere ripetute per spiegare l'assoluzione, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., perchè il fatto non sussiste, cui questa Corte ritiene di pervenire in relazione anche alla contestazione di cui alla lettera d) e relativa al reato di cui agli artt. 81, 110, 112 e 439 c.p.

                        ****************

Passando alla quantificazione della pena, è necessario tenere conto dei diversi ruoli e della diversa rilevanza delle condotte degli imputati:
Siena Graziano è risultato l'artefice fondamentale dell'attività organizzata di traffico dei rifiuti, protrattasi a lungo nel tempo e solo interrotta a seguito di eventi indipendenti dalla sua volontà, così rivelando una personalità incline a delinquere. La gravità dei fatti commessi e l'assenza di condotte positive valutabili a suo favore esclude l'applicabilità delle circostane attenuanti generiche.
Pertanto, valutati tutti i criteri di cui all’art.133 c.p., si stima equa la pena di anni quattro di reclusione, considerando che la gravità dei fatti, connotati dalla gestione e riversamento di notevoli quantità di rifiuti in grado di pregiudicare l'ambiente, impone di discostarsi in maniera significativa dal minimo edittale previsto.
Berrretta Gianni, si è impegnato in una cospicua attività di trasporto, tanto da avere contribuito nel trasferimento e sversamento di liquami non solo in misura rilevante, ma anche ponendosi al servizio di diversi produttori ovvero detentori dei rifiuti (Codep e Zanotti), così rivelando una personalità incline a delinquere. La gravità dei fatti commessi e l'assenza di condotte positive valutabili a suo favore esclude l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche.
Pertanto, valutati tutti i criteri di cui all’art.133 c.p., si stima equa la pena di anni tre di reclusione, considerando che la gravità dei fatti, connotati dal trasporto e riversamento di rilevanti quantità di rifiuti in grado di pregiudicare l'ambiente, impone di discostarsi in maniera significativa dal minimo edittale previsto.
Zanotti Stefano si è impegnato in una cospicua attività di gestione organizzata per il traffico di rifiuti, tanto da avere contribuito nel conferimento, trasferimento e sversamento di liquami in misura rilevante. Nel contempo ha tenuto una condotta processuale con la quale ha anche di fatto ammesso a suo carico circostanze penalmente rilevanti. Tale comportamento giustifica l'applicazione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., pur  a fronte di fatti gravi. Per le medesime ragioni va applicato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Pertanto, valutati tutti i criteri di cui all’art.133 c.p., si stima equa la pena di anni due di reclusione così calcolata: p.b. anni tre di reclusione, ridotta per le circostanze attenuanti ex art. 62 bis c.p. fino alla pena finale sopra fissata. Pena Sospesa.
Alla condanna segue per legge l’obbligo di pagare le spese processuali.
Letto l’art. 260 comma IV Dlgs 152/06 va ordinato il ripristino dello stato dell’ambiente a cura e spese di Siena Graziano, Zanotti Stefano e Berretta Gianni entro mesi nove dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
Letti gli artt. 260 comma III Dlgs 152/06, 28 e 29 c.p., questa Corte dichiara Siena Graziano e Berretta Gianni interdetti in via temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Letti gli artt. 260 comma III Dlgs 152/06, 30 c.p., la Corte dichiara Siena Graziano, Berretta Gianni e Zanotti Stefano, interdetti da una professione o un’arte per la durata di anni due.   
Letti gli artt. 260 comma III Dlgs 152/06, 32 bis e 32 ter c.p., la Corte dichiara Siena Graziano, Berretta Gianni e Zanotti Stefano interdetti in via temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese nonché incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di anni due.   
Letti gli artt. 529 e 649 c.p.p. questa Corte deve dichiarare non doversi procedere nei confronti di Siena Graziano, Mattoni Giovanni e Taglioni Nicola  perché l’azione penale non poteva essere proseguita in ordine ai fatti di cui agli artt. 81 cpv. c.p. 112 c.p. 260 Dlgs 152/06 commessi in Bettona e Bevagna dal 26.1.2009 al 9.2.2009 perché già oggetto di sentenza del Gup presso il Tribunale di Perugia del 31.1.2013 divenuta irrevocabile il 21.11.2013.

Quanto alle parti civili, corre l'obbligo di premettere come la condotta degli imputati responsabili del reato di cui al capo b) integri un fatto illecito fonte di responsabilità civile, e di danni risarcibili, in virtù del disposto ex artt. 185 c.p. 2043 e 2059 c.c.
Certamente emerge un danno all'ambiente tutelato in capo al Ministero dell'ambiente a fronte del carattere fortemente inquinante dei riversamenti effettuati sui terreni, seppur in assenza di prova che ciò sia addirittura trasmodato in un disastro ambientale e nell'avvelenamento di falde.
Dalla stessa sono certamente derivati altresì a talune parti civili, quali i Comuni di Bettona, Bevagna, Bastia Umbra, Cannara, sul cui territorio si è svolta parte del delitto sopra indicato, danni non patrimoniali, consistiti nel danno morale o d'immagine patito. Tanto più ove si consideri che trattasi di comuni posti all'interno della Regione Umbria, che è nota come "cuore verde" d'Italia, immagine che nasce dai comuni Umbri e al tempo stesso si riverbera sui comuni che compongono la Regione e che costantemente ne ravvivano e sostengono tale caratteristica, peraltro naturale.
Deriva la legittimazione dell predette parti civili a chiedere e ottenere il risarcimento dei danni come sopra indicati.
Quanto al Ministero dell'Ambiente, devono riconoscersi dunque i patiti danni materiali e morali.
Accertato il chiaro nesso di causalità tra i danni patiti dai predetti enti e il reato ascritto agli imputati per cui vi è condanna, questi ultimi devono anche essere condannati al risarcimento dei danni cagionati e si deve rimettere al giudice civile competente la determinazione del loro preciso ammontare.
I medesimi imputati vanno anche condannati al pagamento di una somma a titolo di provvisionale, liquidata in euro 50.000 in via equitativa, per il Ministero dell'Ambiente, in rapporto alla offensività per l'ambiente delle condotte, calcolata tenendo conto oltre che della estensione e durata delle medesime, anche della tipologia, particolarmente pregiudizievole, delle sostanze riversate; per i comuni, la somma è liquidata in rapporto alla incidenza cronologica e quantitativa delle condotte sul rispettivo territorio, e quindi stabilita nei seguenti ammontari:
- per il Comune di Bettona, dove si è concentrata la massima parte delle condotte criminose, euro 20.000,00;
- per il Comune di Bastia Umbra, dove significative parti della attività organizzata di traffico si sono svolte, euro 10.000,00;
- per il Comune di Bevagna, dove significative parti della attività organizzata di traffico si sono svolte, euro 10.000,00;
- per il Comune di Cannara,  dove solo parti residuali della attività organizzata di traffico si sono svolte, euro 5.000,00.
I medesimi imputati Siena, Zanotti e Berretta vanno altresì condannati alla rifusione delle spese processuali così determinata:
per il Ministero dell’Ambiente euro 9126,00 (fase di studio euro 1000, fase introduttiva euro 1000, fase istruttoria euro 4000, fase decisionale euro 3126,00) oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il Comune di Bettona euro 9126,00 (fase di studio euro 1000,00 fase introduttiva euro 1000,00 fase istruttoria euro 4000,00 fase decisionale euro 3126,00) oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Bastia Umbra euro 6750,00 (fase di studio euro 1000,00 fase introduttiva euro 500,00 fase istruttoria euro 3000,00 fase decisionale euro 2250,00) oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Cannara euro 6750,00 (fase di studio euro 1000,00 fase introduttiva euro 500,00 fase istruttoria euro 3000,00 fase decisionale euro 2250,00) oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Bevagna euro 6750,00 (fase di studio euro 1000,00 fase introduttiva euro 500,00 fase istruttoria euro 3000,00 fase decisionale euro 2250,00) oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Per le restanti parti civili ammesse, Comitato popolare salvaguardia dell'ambiente, Lega Ambiente, Pucciarini Mario, Italia Nostra Onlus, oltre che per i responsabili civili Codep Scarl e Arpa Umbria, deve escludersi, rispettivamente a favore e contro, ogni pronunzia di condanna, per le seguenti considerazioni.
Quanto a Pucciarini Mario, si premette che attraverso gli esposti risultati dibattimentali non è stata fornita una prova precisa, di quali siano stati e a chi appartenessero i terreni individuati dal Pucciarini come fonte delle patologie e del denunziato inquinamento di falde del pozzo. Così come assente è stata la prova su chi con certezza abbia eventualmente operato illecitamente su quei terreni. Si è semplicemente assunto e dato per assodato che si trattasse di terreni gestiti da uomini della Codep ma è mancato ogni approfondimento probatorio reale e specifico sui fatti contestati in streto rapporto con la posizione del Pucciarini e sui soggetti ritenuti responsabili. Cosicchè la situazione probatoria in ordine a quanto affermato e lamentato dal Pucciarini è rimasta alquanto evanescente, anche in considerazione delle carenze rilevate in tema di prova dell'inquinamento delle falde e in generale dell'ambiente.
Consegue che anche per l'unico reato provato, di cui all'art. 260 Dlgs 152/2006, non sussiste alcuna dimostrazione della incidenza della relativa attività criminosa sulla sfera personale e patrimoniale del Pucciarini. Le cui richieste di condanna quindi non possono essere accolte.
Quanto alle restanti parti civili, è noto, come già evidenziato in sede di ammissione delle stesse con ordinanza cui si rinvia, che il D.Lgs. n. 152 del 2006 ha abrogato (salvo il comma 5, che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale) la L. n. 349 del 1986, art. 18 e, nell'art. 300 (commi 1 e 2), ha definito la nozione di "danno ambientale" con riferimento a quella posta, in ambito comunitario, dalla direttiva 2004/35/CE. Con l'art. 311 si riserva allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale.
Ai sensi del successivo art. 313, comma 7, si garantisce tuttavia il diritto "dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti dei responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi". Questa normativa speciale dal "danno ambientale" si affianca  alla disciplina generale del danno posta dal codice civile. Pertanto le associazioni ambientaliste sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio", nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale (cfr. Cass., sez. III, 3.10.2006, n. , Censi; 11.2.2010, n. , De Flammineis). Le associazioni ambientaliste come le altre forme organizzate di tutela dei diritti, possono dunque costituirsi parte civile quando perseguano un interesse distinto da quello pubblico, e piuttosto concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l'interesse all'ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato (cfr. Cass. Pen. sez. III del 17.1.2012 imp. Miotti, rv. 252909).
Il danno risarcibile secondo la disciplina civilistica può identificarsi anche sub specie del pregiudizio arrecato all'attività concretamente svolta dall'associazione ambientalista per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo. In tali ipotesi potrebbe identificarsi un nocumento suscettibile anche di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall'ente per l'espletamento dell'attività di tutela.
Orbene, deve dirsi che tanto per il "Comitato popolare per la salvaguardia dell'ambiente, la tutela del territorio e la salubrità dell'aria di Bettona" , che per Lega Ambiente Umbria e Italia Nostra Onlus non risulta dimostrato un valido radicamento sui territori interessati, tale da consentire l'accoglimento delle richieste di risarcimento. Quanto a Italia Nostra Onlus, accanto alla produzione dello statuto e di decreti di riconoscimento ed anche considerando le risultanze dibattimentali, non risulta alcuna dimostrazione della concreta operatività sui territori d'interesse e dunque di un consolidato e valido radicamento all'epoca dei fatti. Considerazioni analoghe vanno svolte per il Comitato popolare salvaguardia dell'ambiente sopra citato: risulta costituito nel febbraio del 2007 a fini di salvaguardia ambientale, anche con riferimento alla ritenuta necessità di proteggere il territorio di Bettona in rapporto alle attività svolte presso l'impianto affidato alla Codep. E' allegata, per la dimostrazione della sua attività e radicamento, una denunzia alla Procura della Repubblica per i fatti oggetto di questo processo, del 13.11.2007, tuttavia predisposta da "sottoscritti cittadini", senza che si riporti il comitato come tale, seppure emerga la possibile firma, tra gli altri, dei 5 sottoscrittori dell'atto costitutivo del Comitato. In essa, semplicemente si cita l'asserita attivazione del comitato in parola attraverso incontri con autorità pubbliche, la presentazione di una petizione, la indizione di manifestazioni pubbliche. Rimaste in tal modo indimostrate siccome solo attestate nella denunzia. Si aggiunge una nota di trasmissione, al Sindaco di Bettona, di una lettera del ministro Ronchi ad opera del coordinatore di un diverso "comitato cittadino antinquinamento di Bettona", del 1996, e dunque palesemente inconferente ai fini in esame. Nulla di aggiuntivo é emerso nel corso del dibattimento in proposito.
Quanto a Legambiente oltre alla produzione dello statuto, con indicazione della sede legale in Perugia, non è dato rinvenire utili elementi documentali ai fini in parola. Nel corso del dibattimento al più è emersa una missiva di Legambiente del 1999 al Comune di Bettona, in relazione a quanto all'epoca lamentava Pucciarini Mario. Null'altro che dimostri una effettiva attività e radicamento nelle aree in esame.
Consegue per tutti tali soggetti la necessità di rilevare la mancata dimostrazione di un effettivo radicamento atto a giustificare i lamentati danni, tanto più ove si consideri che devono essere incidenti su interessi diversi - indimostrati - da quello della tutela dell'ambiente, ormai di esclusivo appannaggio statate.
Per quanto riguarda i costituiti responsabili civili, l'assoluzione degli imputati Bagnetti, Menganna e D'Amico, esclude ogni responsabilità anche di Arpa Umbria.
Quanto a Codep Scarl,  all'udienza del 4.11.2015 il difensore ha concluso chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria del Ministero dell'Ambiente, per difetto di legittimazione passiva, attesa l'intervenuta sottoposizione della Società Codep Scarl a procedura di liquidazione coatta amministrativa. A tal fine ha depositato l'intervenuto decreto Ministeriale del 14.10.2013, recante anche nomina del commissario liquidatore, Cristina Maggesi.
In proposito, si premette che a seguito di citazione promossa dal Ministero dell'Ambiente la società cooperativa Codep Scarl si è costituita alla udienza del 4.7.2013 su mandato dell'allora legale rappresentante p.t. Stefano Roscini.
Condividendo allora l'indirizzo giurisprudenziale che riconosce, in caso di sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa dell'ente costituito in giudizio, la sopravvenuta perdita di capacità, anche processuale, degli organi societari, deve rilevarsi che la presenza processuale e la correlata difesa della Codep Scarl si è potuta validamente assicurare in questo processo solo sino all'emissione del decreto sopra citato del 14.10.2013. Sino a quel momeno la Codep è stata presente validamente in giudizio. Laddove a partire dall'udienza successiva, tale complessiva situazione è venuta meno con la conseguente improcedibilità dell' azione nei confronti della Codep e con l'impossibilità di questa Corte di pronunziare una sentenza di condanna.
Tanto anche alla luce delle peculiari regole del processo penale, che rendono irrilevante il rilievo, pure rinvenibile in alcune pronunzie della Suprema Corte ( cfr. Cass. Civ, sez. III del 9.3.2010 n. 5662 ) secondo cui gli effetti della perdita di capacità sarebbero operativi solo "fino alla conclusione della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti agli organi della procedura ai sensi dela L. Fall. art. 201 e ss..".
Ciò in quanto anche a voler ammettere la "temporaneità" della perdita di capacità, va riconosciuto che si è determinato, in questo processo, un arco temporale, corredato da numerose udienze, in cui alla Codep Scarl, in assenza di iniziative processuali di rinnovata citazione ad opera di parti interessate, conseguenti all'intervenuto decreto di liquidazione coatta amministrativa, non è stata assicurata una effettiva partecipazione al processo e dunque una effettiva difesa.
A tanto si aggiunga che la difesa del Ministero, prendendo spunto dal citato indirizzo giurisprudenziale circa la temporaneità della perdita della capacità processuale sino all'accertamento dello stato passivo, ha cercato di dimostrare la data di cessazione di questo periodo temporaneo limitandosi a produre una mail, recante un nome - Maggesi -, corrispondente a quello del liquidatore, rinviando solo alla indicazione contenuta nella mail stessa, secondo cui il liquidatore avrebbe depositato lo stato passivo il 29.12.2014, in cancelleria. Senza quindi fornire documentazione ufficiale circa l'effettivo accertamento dello stato passivo davanti agli organismi della procedura.
Da qui l'impossibilità dell'invocata condanna al risarcimento del danno nei confronti del responsabile civile Codep S.c.a.r.l., che altrimenti risulterebbe fondata su un accertamento giudiziale quantomeno in parte svoltosi in assenza del valido contraddittorio con la parte condannata.
Letto l’art. 544 c.p.p. si indica il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Con proroga di giorni 40 autorizzata dal Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 154 co. IV bis disp. att. c.p.p.


PQM
Letti gli artt. 533 535 c.p.p.,
dichiara Siena Graziano, Zanotti Stefano e Berretta Gianni colpevoli del delitto loro ascritto al capo b) e condanna Siena Graziano alla pena di anni quattro di reclusione, Berretta Gianni alla pena di anni tre di reclusione, e Zanotti Stefano, concesse le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa per Zanotti Stefano.  
Letti gli artt.  531 c.p.p. 157 c.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di Taglioni Nicola, Longetti Sergio, Mattoni Giovanni, in relazione al delitto loro ascritto al capo b) per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Letto l’art. 530 c.p.p. assolve Polinori Rinaldo, Bagnetti Antonio, D’Amico Susanna, Mencarelli Massimo e Menganna Claudio dal reato loro ascritto al capo b) per non aver commesso il fatto.  
Letti gli artt. 529 e 649 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di Siena Graziano, Mattoni Giovanni e Taglioni Nicola perché l’azione penale non poteva essere proseguita in ordine ai fatti di cui agli artt. 81 cpv. c.p. 112 c.p. 260 Dlgs 152/06 commessi in Bettona e Bevagna dal 26.1.2009 al 9.2.2009 perché già oggetto di sentenza del Gup presso il Tribunale di Perugia del 31.1.2013 divenuta irrevocabile il 21.11.2013.
Atti al PM.
Letto l’art. 260 comma IV Dlgs 152/06 ordina il ripristino dello stato dell’ambiente a cura e spese di Siena Graziano, Zanotti Stefano e Berretta Gianni entro mesi nove dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
Letti gli artt. 260 comma III Dlgs 152/06, 28 e 29 c.p., dichiara Siena Graziano e Berretta Gianni interdetti in via temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Letti gli artt. 260 comma III Dlgs 152/06, 30 c.p., dichiara Siena Graziano, Berretta Gianni e Zanotti Stefano, interdetti da una professione o un’arte per la durata di anni due.   
Letti gli artt. 260 comma III Dlgs 152/06, 32 bis e 32 ter c.p., dichiara Siena Graziano, Berretta Gianni e Zanotti Stefano interdetti in via temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese nonché incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di anni due.   
Letti gli artt. 538 ss. c.p.p. condanna Siena Graziano, Berretta Gianni e Zanotti Stefano, al risarcimento dei danni materiali e morali in favore della parte civile, Ministero dell’Ambiente, da liquidarsi in separata sede civile, ed al risarcimento dei danni morali, da liquidarsi in separata sede civile, in favore delle costituite parti civili:
Comune di Bettona, Comune di Bastia Umbra, Comune di Assisi, Comune di Cannara, Comune di Bevagna;
assegna alle costituite parti civili una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari:
- per il Ministero dell’Ambiente, ad euro 50.000,00;
- per il Comune di Bettona, pari ad euro 20.000,00;
- per il Comune di Bastia Umbra, pari ad euro 10.000,00;
- per il Comune di Assisi, pari ad euro 10.000,00;
- per il Comune di Bevagna, pari ad euro 10.000,00;
- per il Comune di Cannara, pari ad euro 5.000,00.
Condanna altresì Siena Graziano, Berretta Gianni e Zanotti Stefano, alla rifusione delle spese di costituzione delle seguenti parti civili costituite nel presente giudizio, che liquida:
per il Ministero dell’Ambiente in euro 9126,00  oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il Comune di Bettona in euro 9126,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Assisi in euro 6750,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Bastia Umbra in euro 6750,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Cannara in euro 6750,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge;
per il comune di Bevagna in euro 6750,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Letto l’art. 530 c.p.p. assolve Longetti Sergio, Mencarelli Massimo, Meschini Giuseppe, Polinori Rinaldo, Siena Graziano, Taglioni Nicola, Taglioni Renato, Zanotti Stefano, Bagnetti Antonio, Menganna Claudio, D’Amico Susanna, Mattoni Giovanni, Berretta Gianni, Giammarioli Nicoletta Mattoni Renato, Mencarelli Giuseppe, Proietti Giampaolo, Schippa Paolo, dai restanti reati loro rispettivamente ascritti perché il fatto non sussiste.
Atti al PM.
Letto l’art. 544 c.p.p. indica il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.
    Perugia, 4.7.2016.

     Il Presidente                                 Il Giudice est.
 Gaetano Mautone                      Giuseppe Noviello