Cass.
Civ. Sez.II sent. 19774 del 12 ottobre 2005
Pres. Pontorieri Est. Schettino Ric. Finazzo
Alimenti-
Etichettatura in lingua straniera
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 novembre 2001, il Gdp di Gela ha rigettato l’opposizione
proposta da Finazzo Maria Antonia avverso l’ordinanza‑ingiunzione emessa
in data 5 gennaio-17 aprile 2001 dalla Camera di Commercio, Industria,
Artigianato ed Agricoltura di Caltanissetta, irrogativa della sanzione
amministrativa di lire 3.000.000 (pari a euro 1549,37), per violazione
dell’articolo 3 del D.Lgs 109/92, per avere la stessa, nella qualità di socio
amministratore della ditta Finazzo Maria Antonia e C. Snc, con sede in Alcamo,
venduto alla ditta individuale Buindo Giuseppe di Gela, n.600 confezioni da 24
lattine cadauna da 330 ml. della bibita analcolica “Coca cola”, riportanti
sull’etichetta indicazioni interamente in lingua straniera, come accertato dai
carabinieri di Ragusa in data 3 giugno 1996.
Ricorre per la cassazione della sentenza Finazzo Maria Antonia in forza di tre
motivi.
L’intimata Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di
Caltanissetta non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con la proposta
impugnazione la ricorrente denuncia:
1) “Violazione ex articolo 360 n.3 Cpc ‑ Illegittimità dell’opposta
ordinanza‑ingiunzione per violazione degli articoli 1, comma 2, lettera
e), 3, commi 1 e 3, 17, comma 1, del D.Lgs 109/92”. Con tale motivo la Finazzo
critica il giudice di pace, che, interpretando in maniera errata la legge,
l’ha ritenuta responsabile del fatto così come le è stato contestato, senza
tener conto che, secondo quanto si ricava chiaramente dall’articolo 3 comma 3
del D.Lgs sopra menzionato, le indicazioni (in lingua italiana) debbono figurare
sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti alimentari nel momento in cui
questi sono posti in vendita al consumatore.
Nella fattispecie, è stato accertato che le lattine all’ingrosso di alimenti
e bevande, evidentemente per la ‑successiva vendita diretta al
consumatore; è, dunque, ha errato il giudice nell’affermare la sua
responsabilità.
2) “Violazione ex articolo 360 n. 3 Cpc ‑ Illegittimità del
provvedimento impugnato per violazione dell’articolo 14 legge 689/81”. Con
tale motivo la ricorrente denuncia l’illegittimità
dell’ordinanza-ingiunzione, notificata ad essa Finazzo Maria Antonia, quale
persona fisica, senza previa notifica del precedente verbale di contravvenzione,
che è stato notificato, peraltro irritualmente, solo alla società.
3) “Violazione ex articolo 360 n. 5 Cpc per illogicità della motivazione”,
con riguardo alla erronea identificazione, da parte del giudice, nella
ricorrente, quale grossista che vende i prodotti ad altro commerciante
all’ingrosso, della responsabile della violazione de qua.
Il secondo motivo, che per evidenti ragioni di carattere
logico‑sistematico va esaminato prioritariamente, è infondato.
Si osserva, in proposito, che il giudice di pace ha dato atto, nella sentenza,
che all’odierna ricorrente, “quale socio amministratore della ditta Finazzo
Maria Antonia & C. Snc”, è stato ritualmente notificato il verbale di
contestazione della violazione di legge, come “si evince anche dalla memoria
difensiva prodotta in data 26 luglio 1996”; successivamente, alla stessa
Finazzo, ma non nella qualità di socio amministratore della predetta società,
sarebbe stata notificata l’ordinanza-ingiunzione qui impugnata, e ciò,
secondo la ricorrente, renderebbe questa illegittima.
La censura non ha pregio.
La Finazzo, invero, ha proposto opposizione avverso il predetto provvedimento
nella qualità di “socio amministratore della ditta Finazzo Maria Antonia
& C. Snc”, ed in relazione al verbale di contestazione a lei
precedentemente notificato proprio nella suindicata qualità; non risultando,
quindi, che destinatario della notifica del verbale e della successiva ordinanza
dovesse essere, ai sensi dell’articolo 14 della legge 689/81, altro soggetto,
ne deriva che non sussiste la denunciata violazione di tale norma.
Il primo ed il terzo motivo, che in quanto connessi si prestano ad essere
esaminati congiuntamente
sono invece fondati.
L’articolo 3, comma 3, del D.Lgs 109/92, stabilisce che le indicazioni di cui
al comma 1 ‑ che vanno riportate, ai sensi del comma 2, in lingua italiana
‑ debbono figurare sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti
alimentari nel momento in cui questi sono posti in vendita al consumatore.
La finalità della legge è, all’evidenza, quella di tutelate il consumatore
in un settore particolarmente delicato, qual è quello alimentare, ponendolo in
grado di rendersi conto, nel momento in cui egli sta per acquistare il prodotto,
degli ingredienti che lo compongono; e ciò la legge ha inteso realizzare,
imponendo che in quella fase della circolazione del prodotto, e, quindi, nel
momento in cui esso viene fornito o sta per essere fornito al consumatore, le
indicazioni di cui al comma 1 dell’articolo 3 del predetto D.Lgs 109/92 siano
riportate in lingua italiana.
Ne deriva, pertanto, che i diretti destinatari della norma in questione, sui
quali incombe l’obbligo di riportare sul prodotto alimentare le prescritte
indicazioni in lingua italiana, non possono che essere i soggetti, e soltanto
quelli, che offrono in vendita direttamente il prodotto stesso al consumatore;
non essendo ipotizzabile, per converso, allo stato attuale della normativa in
materia, l’estensione di siffatto obbligo ad altre categorie di soggetti che
concorrono alla commercializzazione ed alla distribuzione del prodotto.
Cosi delineato, quanto ai soggetti destinatari delle norme relative alle
indicazioni da porre sui prodotti alimentari, l’ambito di applicazione della
legge, ne consegue che l’odierna ricorrente ‑ la quale è stata
qualificata dal giudice di pace “produttore”(?), ed è stata ritenuta
responsabile della violazione di legge ex articolo 3 del D.Lgs 109/92, per avere
fornito al titolare di un deposito all’ ingrosso lattine di “Coca Cola”
“riportanti in etichetta indicazioni in lingua straniera” ‑ non deve
rispondere della violazione medesima, prescrivendo la norma citata, come si è
detto, che le indicazioni in lingua italiana devono figurare sulle confezioni o
sulle etichette dei prodotti alimentari nel momento in cui questi sono posti in
vendita al consumatore.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto, con conseguente cassazione della
sentenza impugnata, e,
ricorrendo le condizioni di cui all’articolo 384 comma 1 proposta da Finazzo
Maria Atonia avverso l’ordinanza-ingiunzione della Cciaa di Caltanissetta n.
2001/2 del 5 gennaio-17 aprile 2002.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito accoglie l’opposizione proposta da Finazzo Maria Antonia avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 2001/2 emessa dalla Cciaa di Caltanissetta il 5 gennaio-17 aprile 2002 e compensa le spese tra le parti.