dai CEAG

Sez. 3, Sentenza n. 8414 del 14/01/2005 Ud. (dep. 04/03/2005 ) Rv. 230975
Presidente: Zumbo A. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: Forleo. P.M. Meloni VD. (Conf.)
(Dichiara inammissibile, App. Lecce, 26 Maggio 2003)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Realizzazione di impianto sportivo - In area non destinata ad impianti sportivi - Reato di cui all'art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001 - Configurabilità - Fondamento.

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Massima (Fonte CED Cassazione)
La realizzazione di un impianto sportivo in zona agricola configura la violazione dell'art. 44 lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, atteso che la disposizione di cui all'art. 4, legge n. 493 del 1993, (ai sensi della quale gli interventi su aree destinate ad attività sportiva senza creazione di volumetria sono subordinati alla semplice denuncia di inizio attività) trova applicazione su aree già destinate ad attività sportive.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 14/01/2005
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 37
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 38034/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Forleo Francesco, nato a Francavilla Fontana il 2 ottobre del 1942;
avverso la sentenza della corte d'appello di Lecce del 26 maggio 2003;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Meloni Vittorio, il quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata;
Osserva:
IN FATTO
Con sentenza del 26 maggio 2003, la corte d'appello di Lecce confermava quella pronunciata dal tribunale di Brindisi, con cui, concesse le attenuanti generiche, Forleo Francesco era stato condannato alla pena di mesi uno di arresto e L. 7.000.000 di ammenda, condizionalmente sospesa, quale responsabile del reato di abuso edilizio consistito nella realizzazione di un campo di calcetto in zona agricola in assenza di concessione. Fatto commesso in Francavalilla Fontana il 10 agosto del 1999.
A fondamento della decisione la corte territoriale, dopo avere premesso che il prevenuto con l'appello aveva ripetuto le stesse considerazioni svolte in primo grado puntualmente disattese dal tribunale, osservava che la tesi del Forleo, secondo il quale, a seguito del mutamento della destinazione da agricola a centro sportivo del suolo su cui era stato costruito il campetto, l'opera doveva considerarsi legittima in base all'art. 4 comma 7^ lett. della legge n. 493 del 1993, il quale subordina alla mera denuncia d'inizio d'attività la realizzazione di are destinate ad attività sportive senza creazione di volumi, era infondata per le considerazioni già espresse dal tribunale.
Ricorrono per Cassazione con separati atti di contenuto identico l'imputato ed i suoi difensori con un unico articolato mezzo di gravame.
IN DIRITTO
I ricorrenti deducono che la prassi di motivare le sentenze per relationem , ancorché legittima in astratto, non sarebbe aderente al caso concreto. Ribadiscono che quel suolo era stato destinato a centro sportivo, con provvedimento del commissario prefettizio del comune di Francavilla Fontana e ne' il tribunale ne' la corte d'appello avevano indicato le ragioni per le quali l'atto amministrativo da loro richiamato fosse illegittimo. Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili: anzitutto perché si ribadiscono considerazioni già puntualmente disattese, prima dal tribunale e poi dalla corte d'appello.
Deve, invero, ritenersi inammissibile, per carenza del requisito della specificità del motivo richiesto dal combinato disposto di cui agli artt. 581 lett. c) e 591 primo comma lett. c), il ricorso che si limiti a prospettare le stesse considerazioni già svolte in appello, senza indicare il vizio del ragionamento del giudice che quelle considerazioni ha respinto. Nella fattispecie la tesi esposta in questo grado è stata già respinta prima dal tribunale e poi dalla corte e non risultano indicati i motivi per i quali ilo ragionamento dei giudici del merito dovrebbe essere infondato.
In secondo luogo per la manifesta infondatezza dei motivi. Invero, l'articolo 4 della legge n. 493 del 1993 che, tra l'altro, subordinava alla semplice denuncia d'inizio dell'attività gli interventi su aree destinate ad attività sportive senza creazione di volumetria, trovava applicazione per gli interventi conformi agli strumenti urbanistici ossia per quelli su aree già destinate ad attività sportiva. Nella fattispecie, come risulta dalla sentenza di primo grado, richiamata dalla corte d'appello, quell'area era agricola e non aveva subito alcuna modificazione per effetto delle costruzioni abusivamente realizzate dal Forleo.
Questa corte ha già statuito che la costruzione di un impianto sportivo senza creazione di volumetria è soggetto a semplice obbligo di denuncia solo quando essa non sia in contrasto con gli strumenti urbanistici già adottati ed approvati. Costituisce invece violazione dell'articolo 20 lett. b) legge n. 47 del 1985 la costruzione di un impianto sportivo in zona agricola (Cfr. Cass. 3107 del 2000). L'atto del commissario prefettizio, richiamato dall'imputato e relativo ad una precedente costruzione abusiva, non è conferente, sia perché il commissario prefettizio non poteva unilateralmente mutare gli strumenti urbanistici cambiando la destinazione agricola della zona, sia perché nella realtà, come risulta dalla sentenza di primo grado, il commissario prefettizio con l'atto richiamato dal ricorrente non ha affatto modificato lo strumento urbanistico, ma si è limitato a dare atto della destinazione di fatto ad attività sportiva del complesso di proprietà del Forleo.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile. L'inammissibilità per la manifesta infondatezza dei motivi preclude la possibilità di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, maturata dopo la sentenza d'appello. Invero, l'obbligo del giudice dell'impugnazione di dichiarare ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. eventuali cause di non punibilità presuppone che il grado del giudizio sia stato ritualmente instaurato ancorché con un atto poi ritenuto infondato, presuppone in altre parole che l'impugnazione sia originariamente ammissibile e quindi idonea a fare sorgere il rapporto processuale con il conseguente obbligo del giudice di prendere in esame l'impugnazione stessa e, quindi, di rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 c.p.p..
L'inammissibilità originaria dell'impugnazione non consente al giudice di adottare una decisione diversa dalla pronuncia d'inammissibilità. Non può valere in contrario l'argomento secondo cui, a norma dell'articolo 648 c.p.p., se v' è stato ricorso per Cassazione, la sentenza è irrevocabile dal giorno in cui è pubblicata l'ordinanza o la sentenza che dichiari inammissibile il ricorso, giacché tale norma indica il momento del passaggio in giudicato della sentenza solo in senso formale. Invece, per quanto attiene al giudicato in senso sostanziale, si deve fare riferimento al momento dell'insorgenza della causa d'inammissibilità e non a quello in cui questa è dichiarata. Il giudicato sostanziale si realizza al momento in cui scadono i termini per proporre l'impugnazione, sia nel caso in cui questa non venga proposta, sia in quello in cui venga proposta invalidamente.
Siffatti principi sono stati più volte ribaditi dalle sezioni unite di questa cortesia pure con qualche differenza per quanto concerne l'inammissibilità per manifesta infondatezza dei motivi (cfr. sentenza Piepoli del 30 giugno 1999).
A proposito della manifesta infondatezza dei motivi più recentemente le sezioni unite, superando l'empirica distinzione tra cause d'inammissibilità originaria e cause sopravvenute, risalente al codice del 1930 (l'unica causa sopravvenuta è ora la rinuncia all'impugnazione di cui alla lettera d) dell'art. 591 c.p.p.), hanno statuito che "L'inammissibilità del ricorso per Cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude pertanto la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 c.p.p. e ciò perché la metodica d'accertamento della causa d'inammissibilità anzidetta è assolutamente conforme a quella utilizzata per dichiarare le altre cause d'inammissibilità previste dall'art. 606 comma 3^ c.p.p. (per successivi approfondimenti si rinvia alla sentenza delle sezioni unite n. 32 del 2000, De Luca).
Dalla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte al pagamento delle spese processuali ed al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di E. 500,00.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile i ricorsi e condanna pagamento delle ulteriori spese processuali ed della somma di E. 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2005