Cass. Sez. III n. 9276 del 9 marzo 2011 (Ud. 19 gen. 2011)
Pres. De Maio Est. Grillo Ric. Facchi
Alimenti. Vigenza disciplina sugli alimenti 
Sulla permanenza in vigore della legge 283\62 in materia di alimenti (della sentenza ha recentemente dato notizia la stampa dopo che erano circolate notizie circa l’avvenuta abrogazione della Legge n. 283 del 1962)
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
 Composta dagli Ill.mi Sigg.:
 1. Dott. DE MAIO Guido                                          Presidente
 2. Dott. GRILLO Renato                                          Consigliere Rel.
 3. Dott. AMORESANO Silvio                                   Consigliere
 4. Dott. MARINI Luigi                                              Consigliere
 5. Dott. RAMACCI Luca                                          Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da:
 FACCHI Albertino, nato a Poncarale l'8.1.1951
 - avverso la sentenza emessa il 15 dicembre 2009 dalla Corte di Appello di  Brescia;
 - udita nella pubblica udienza del 19 gennaio 2011 la relazione fatta dal  Consigliere Dr. Renato GRILLO;
 - udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale  dott. Alfredo MONTAGNA che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per il  reato di cui al capo a) e per il rigetto nel resto;
 - sentito//
 Svolgimento del processo e motivi della decisione
 Con sentenza del 15 gennaio 2010 la Corte di Appello di Brescia confermava la  sentenza del Tribunale di Brescia resa in data 25 giugno 2007 con la quale  FACCHI Albertino, imputato dei reati di cui all'art. 5 lett. b) della L. 283/62  e di cui agli artt. 56 e 515 c.p. [fatti commessi in Brescia il 3 gennaio 2005],  veniva ritenuto colpevole dei detti reati e condannato, con le circostanze  attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di € 1.200 di multa.
 
 Con la detta sentenza la Corte Territoriale disattendeva i motivi di appello in  base ai quali la difesa aveva, in via principale, richiesto l'assoluzione  dell'imputato dal reato sub a) perché il fatto non sussiste (in quanto mancava  la prova del cattivo stato di conservazione dei prodotti alimentari); dalla  imputazione sub b) per identica ragione (sul presupposto che non vi era prova  che le etichette rinvenute nel cestino dei rifiuti -- recanti una data di  scadenza diversa ed antecedente - fossero proprio quelle precedentemente apposte  sui prodotti, poi staccate e sostituite con etichette recanti date diverse e  posteriori); la nullità della ordinanza di diniego di ammissione dei testi  indicati in lista (sul presupposto che si trattasse di una richiesta generica  riferita per relationem al capo di imputazione) e del diniego di assunzione di  un teste ex art. 507 c.p.p. , osservando: 
 1) quanto, al primo motivo, che la prova del cattivo stato di conservazione si  traeva da quanto constatato de visu dai verbalizzanti e dallo stato di  congelamento dei prodotti alimentari conservati a temperature tra loro diverse; 
 2) quanto al secondo motivo, che la stessa presenza dei prodotti all'interno del  banco di vendita e, soprattutto, la circostanza che uno dei prodotti proveniva  da un vassoio recante una data diversa (3 gennaio 2005) da quella ivi figurante  (1 gennaio 2005) faceva ragionevolmente presumere che le etichette rinvenute  all'interno del cestino fossero esattamente quelle originariamente apposte, poi  sostituite da quelle nuove indicanti una data postuma; 
 3) che correttamente il giudice aveva negato sia l'ammissione dei testi indicati  in lista (per genericità del capitolato di prova), sia l'assunzione di un teste  a norma dell'art. 507 c.p.p, in quanto non ritenuto indispensabile.
 Ha proposto ricorso in questa sede l'imputato, articolando i tre distinti  motivi.
 Con riferimento al primo, afferente al reato di cui al capo a) (violazione della  legge sulla disciplina degli alimenti e bevande), ha dedotto mancanza e  manifesta illogicità della motivazione in punto di affermazione di  responsabilità, avendo la Corte omesso di specificare in cosa consistesse il  cattivo stato di conservazione, dato invece per scontato sulla base del solo  dato del preventivo congelamento dei prodotti e quali fossero gli elementi  indicativi di una destinazione alla vendita e/o distribuzione dei prodotti  medesimi, anche questa data per scontata, in quanto ritenuta "in re ipsa".
 Rilevava, in proposito, che il reato in parola dovesse qualificarsi come  fattispecie di pericolo presunto e come, in concreto, non esistesse alcuno degli  indici tipici per affermare lo stato di cattiva conservazione della merce,  evidenziando, poi, come la Corte territoriale fosse incorsa in contraddizione  avendo, per un verso, affermato lo stato di cattiva conservazione e, per altro  verso, omesso di indicare i presupposti atti a dimostrare tale stato.
 
 Con riguardo, poi, alla seconda ipotesi di reato in contestazione (tentata frode  in commercio), denunciava omessa motivazione sul punto relativo alla  individuazione delle caratteristiche difformi al vero necessarie per  l'integrazione della fattispecie.
 
 Con il terzo motivo lamentava come già esposto con l'atto di appello, assoluta  mancanza di motivazione della ordinanza di rigetto della richiesta di parziale  rinnovazione del dibattimento e violazione della legge processuale (art. 603  c.p.p. in relazione all'art. 507 c.p.p.) in relazione all'immotivato diniego da  parte del Tribunale di integrare la prova per testi sollecitata alla fine della  istruzione dibattimentale, nonché nullità dell'ordinanza con la quale il  Tribunale aveva negato l'ammissione dei testi a discolpa per genericità della  prova.
 
 In sede di discussione il difensore rilevava anche come, per effetto del D. L.vo  n. 212/10 (c.d. "semplificazione legislativa"), l'originaria ipotesi di reato  contemplata al capo a) dovesse ritenersi venuta meno per effetto di abrogazione  di legge e concludeva per l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata,  senza rinvio.
 
 Ciò precisato in punto di fatto, prioritario appare - con riguardo alla  contestazione di cui al capo a) - l'esame della questione prospettata dalla  difesa del ricorrente in sede di discussione, concernente l'intervenuta  abrogazione della legge 283/62: una eventuale soluzione nel senso auspicato dal  ricorrente determinerebbe, infatti, il venir meno del reato ed il conseguente  annullamento della sentenza impugnata senza rinvio sul punto.
 
 Per un corretto inquadramento del tema in esame pare opportuno, anzitutto,  effettuare una ricognizione del quadro normativo di riferimento, prendendo le  mosse dal testo della Legge- delega 28 novembre 2005 n. 246 (intitolata  "Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005") le cui disposizioni  sono entrate in vigore il 16 dicembre 2005.
 
 In tale legge veniva previsto all'art. 14 comma 12, un termine massimo di 24  mesi (scadente il 16 dicembre 2007) entro il quale il Governo avrebbe dovuto  individuare le disposizioni legislative statali vigenti, evidenziando le  eventuali incongruenze e antinomie normative afferenti ai vari settori  legislativi oggetto dell'intervento di semplificazione e compendiando i  risultati in una relazione finale da trasmettere al Parlamento entro il medesimo  termine: spirato il quale, nei ventiquattro mesi successivi (quindi entro il 16  dicembre 2009), così come previsto ai commi 14 e 15 del medesimo art. 14, il  Governo era delegato ad adottare i vari decreti legislativi aventi lo scopo di  individuare quali, tra le varie disposizioni legislative dello Stato oggetto di  quella ricognizione, pubblicate anteriormente all' 1 gennaio 1970, dovessero  permanere in vigore, provvedendo poi al riordino complessivo della materia  oggetto dei detti decreti ed alla relativa semplificazione normativa.
 
 Veniva altresì previsto in via generale - in deroga a quanto contemplato nei  menzionati commi 12, 14 e 15 - che una serie di disposizioni, delle quali non  rileva in questa sede indicare l'elenco completo, era comunque sottratta al  regime di ricognizione e successiva semplificazione legislativa: tra tali  disposizioni - per quanto qui di specifico interesse - venivano indicate alla  lettera a) quelle, antecedenti all' 1 gennaio 1970, contenute nel codice civile,  nel codice penale, nel codice di procedura civile, nel codice di procedura  penale e nel codice della navigazione - ivi incluse le disposizioni preliminari  e di attuazione - nonchè ogni altro testo normativo recante nell'epigrafe  l'indicazione "codice" ovvero "testo unico" e, alla lettera g), le disposizioni  elencate nei decreti legislativi di cui al comma 14 (D. Lgs.vi 179/09; 212/10 e  213/10 rispettivamente emanati 1'1 dicembre 2009 - il primo - e il 13 dicembre  2010 - gli altri due).
 
 Proseguendo nell'analisi della normativa di riferimento, il primo di tali  decreti attuativi della delega conferita con la L. 246/05 - vale a dire il D.  L.vo 179/09 - individuava i criteri guida da seguire in vista del riordino della  materia e degli interventi di semplificazione, indicando anche i contenuti dei  due allegati (Allegato 1 - riguardante tutte quelle disposizioni anteriori all'  1 gennaio 1970, anche se modificate con leggi successive, la cui permanenza in  vigore si reputava "indispensabile" - e Allegato 2 - riguardante altre  disposizioni da non abrogare anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 14 commi  14, 14 bis e 14 ter della L. 246/05 e successive modificazioni), nonchè i  significati da attribuire a determinate espressioni contenute nel testo.
 
 In particolare per "disposizioni legislative statali" si dovevano intendere  tutte quelle comprese in ogni singolo atto normativo dello Stato avente valore  di legge come indicato negli allegati 1 e 2, con effetto limitato a singole  disposizioni soltanto nei casi espressamente menzionati. L'espressione  "pubblicate anteriormente al l° gennaio 1970" si riferiva a tutte quelle  contenute in atti legislativi statali pubblicati tra il 17 marzo 1861 e il 31  dicembre 1969. L'espressione "anche se modificate con provvedimenti successivi"  si riferiva ad atti legislativi statali modificativi delle leggi antecedenti al  1 gennaio 1970, intervenuti successivamente a detta data.
 
 Ed infine con il termine "permanenza in vigore" ci si intendeva riferire a tutte  quelle disposizioni legislative statali indicate negli allegati 1 e 2 del D.  L.vo in parola, nel testo vigente al momento della sua entrata in vigore.
 
 I Decreti legislativi successivi (nn. 212/10 e 213/10) rispettivamente  abrogavano le disposizioni legislative di cui all'elenco allegato in conformità  a quanto previsto dall'art. 14 comma 14 quater della Legge 246/05 ed escludevano  dal detto effetto abrogativo tutte quelle altre disposizioni legislative  antecedenti all' 1 gennaio 1970 contenute nei tre allegati al decreto, cosi come  previsto dal D. L.vo n.179/09.
 
 Va poi doverosamente ricordato che, per effetto di un avviso di rettifica  pubblicato nella G.U.R.I. n. 4 del 7 gennaio 2011 (rettifica riguardante il D.  L.vo n. 213/10) venivano escluse dal c.d. "effetto abrogativo" alcune norme  preindividuate delle quali, comunque, non rileva far cenno in quanto non  specificamente riguardanti la materia in esame.
 
 Ad una prima lettura sembrerebbe quindi che la legge 283/62, concernente la  disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande, in  quanto emanata prima del 1 gennaio 1970 e non espressamente compresa nell'elenco  delle leggi da salvare, debba ritenersi abrogata per effetto dei vari decreti  legislativi succedutisi alla legge delega 246/05.
 
 Ed in questo senso militerebbe -- a prescindere da un orientamento dottrinario  confermativo della ipotesi abrogativa - anche una recente sentenza pronunciata  da questa Corte (Cass. Sez. 3^ 25.2.2010 n. 12572) secondo la quale il detto  effetto abrogativo si sarebbe maturato il 16 dicembre 2010.
 
 A ben vedere la decisione testè ricordata, nel disporre l'annullamento senza  rinvio della sentenza impugnata in ordine al reato di cui all'art. 5 lett. d)  della Legge 283/62, ha espresso in via incidentale tale convincimento  preannunciando una abrogazione della legge a far data dal 16 dicembre 2010,  facendo leva sulle disposizioni contenute nel comma 14 ter contenuto nella L.  69/09 modificativa della L. 246/05 che individuavano nel termine di un anno  dalla data del 16 dicembre 2009, quello di definitiva abrogazione della legge  (al pari, naturalmente, di tutte le altre incluse espressamente o implicitamente  negli elenchi allegati ai vari Decreti Legislativi successivi).
 
 Convincimento - come cennato - espresso in forma anticipatoria ed incidentale,  sulla base di una prima lettura del dato normativo testuale, senza uno specifico  approfondimento del tema in quanto ritenuto non indispensabile vista comunque la  intervenuta maturazione del termine prescrizionale che consentiva di superare,  allo stato degli atti, la questione in termini diversi. Esigenze di brevità  suggeriscono di non esplicitare nella sua interezza il ragionamento logico-  giuridico seguito dalla Corte che, nel richiamare i dati normativi emergenti  dalla Legge 246/05 e dai decreti legislativi successivamente emanati (si tratta  - come già fatto cenno - dei decreti n. 210/10; 212/10 e 213/10) ha ritenuto  che, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 4 dalle L. 69/09 all'art.  14 della L. 246/05, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei  decreti legislativi di cui al comma 14, anche se successivamente modificate,  dovessero intendersi abrogate (così come previsto dall'art. 14 comma 14 ter  della L. 246/05 come modificata dall'art. 4 della L. 69/09) e coerentemente  concluso che alla data della decisione (25 febbraio 2010) quell'effetto  abrogativo ipotizzato e preannunciato per le ragioni su esposte, non si era  ancora verificato.
 
 Ma a prescindere dalle argomentazioni - certamente non vincolanti in questa sede  proprio perché frutto di una valutazione semplicemente incidentale e non  approfondita del tema, risolto in altro modo - contenute nella cennata  decisione, ritiene oggi questa Corte melius re perpensa di giungere a  conclusioni diametralmente opposte a quelle ipotizzate dalla Corte nella  sentenza sopra citata.
 
 In favore della soluzione positiva adottata con la presente sentenza militano  ragioni suffragate, anzitutto, da un dato normativo testuale e da una lettura  sistematica delle norme vigenti.
 
 Riallacciandosi a quanto previsto dal cennato art. 14 comma 17 lett. a), della  L. 246/05, può senza tema di smentita, stabilirsi che dall'effetto abrogativo in  parola rimangono escluse le disposizioni contenute (oltre che nei vari codici)  anche in ogni altro testo normativo recante nell'epigrafe la denominazione  "codice" o "testo unico": il che consente di affermare che la legge in esame va  esclusa dall'effetto abrogativo in quanto il relativo testo normativa recita nel  suo incipit l'espressione "Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del  testo Unico delle leggi sanitarie approvato con Regio decreto 27 luglio 1934 n.  1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze  alimentari e delle bevande".
 
 Ma vi è di più: tale legge è stata ulteriormente modificata ed integrata dalla  L. 26.2.1963 n. 441 entrata in vigore 12 aprile 1963.
 
 Orbene, detta legge figura tra quelle espressamente escluse dall'intervento  abrogativo, in quanto indicata al n. 1891 dell'elenco di cui all'allegato 1 del  D. L.vo 179/09 riguardante le leggi da mantenere in vigore.
 
 Se, allora, la legge di modifica di quella che a prima vista potrebbe apparire  inclusa nel novero delle leggi da eliminare è stata espressamente lasciata in  vigore, segno è che il legislatore non aveva alcuna intenzione di abrogare la  legge-madre verosimilmente attesa la sua importanza generale e le conseguenze  che ne sarebbero derivate sul piano della tutela generale della salute.
 In altri termini non avrebbe avuto alcun senso su un piano squisitamente logico,  da un lato, escludere espressamente dall'abrogazione la legge 441/63  modificativa della L. 283/62 e, dall'altro, non includere quest'ultima tra le  leggi sopravvissute: il che giustifica la mancata espressa indicazione di questa  nell'elenco delle leggi da salvare in coerenza, del resto, con quanto previsto  in via generale dall'art. 14 comma 17 della L. 246/05 disciplinante la sorte  generale delle leggi da mantenere in vigore.
 
 Né la situazione pare mutare in relazione alla circostanza che tra le norme da  escludere dal menzionato effetto abrogativo non figurasse il D.P.R. 3.8.1968 n.  1255 concernente la modifica, ex art. 1 del regolamento allegato, dell'art. 6  della L. 283/62, in quanto detto D.P.R. è stato a sua volta abrogato  espressamente dal D.P.R. 23.4.2001 n. 290.
 
 Conclusivamente può affermarsi che, allo stato attuale, il paventato effetto  abrogativo della L. 283/62 deve ritenersi del tutto escluso.
 
 Se queste sono le conclusioni che questa Corte ritiene di formulare in  subiecta materia, una volta escluso il venir meno della legge per effetto di  provvedimenti legislativi di tenore abrogativo, debbono esaminarsi nel merito i  rilievi formulati dal ricorrente: rilievi che - è bene subito precisare - non  sono comunque fondati.
 
 In particolare l'argomento prospettato dal ricorrente riguardante l'affermato  (da parte della Corte territoriale) cattivo stato di conservazione delle  sostanze alimentari - elemento tipizzante della contestazione sub a) - sulla  base del solo dato rappresentato dal congelamento preventivo di alimentari  destinati ad un immediato consumo, non può trovare accoglimento, dovendosi  concordare con quanto argomentato dalla Corte di Appello circa il fatto che si  trattasse di una procedura di conservazione non corretta degli alimenti  destinati al consumo a causa di quei comprensibili rischi di alterazione del  prodotto che sarebbero potuti conseguire ad uno scongelamento (del quale  oltretutto non é dato conoscere le procedure) ovvero ad un congelamento.
 
 In questo senso può convenirsi con le conclusioni cui è giunta la Corte  territoriale che, implicitamente e sinteticamente, ha ricordato quali fossero le  regole fondamentali di una corretta procedura di conservazione dei prodotti  alimentari, senza che potesse incidere il grado di commestibilità della sostanza  alimentare o l'eventuale verificarsi di un danno alla salute estranei alla  fattispecie, che si configura come reato di pericolo astratto presunto.
 
 Né in tale motivazione sono ravvisabili salti logici ovvero contraddizioni  interne come prospettato dalla difesa del ricorrente, tenuto conto che, seppure  in termini generali, la Corte ha esaustivamente evidenziato come la tecnica di  congelamento del prodotto fosse indicativa di per sè di una conservazione non  conforme a legge, non occorrendo indicare i vari presupposti dimostrativi di  tale stato negativo.
 
 Ma anche con riguardo all'altro profilo riguardante il reato in esame, deve  concordarsi con la Corte in ordine alla ritenuta destinazione per la vendita dei  prodotti alimentari meglio descritti nel capo a) della imputazione, laddove si  tenga conto del dato generale della collocazione di tali prodotti all'interno di  un supermercato ex sé finalizzato allo smercio dei prodotti ed al particolare  tipo di confezionamento di alcuni di detti prodotti, nonché ancora alla  predisposizione per alcuni di essi (carne tritata) delle operazioni preliminari  per la messa in vendita cui erano intenti alcuni degli addetti al settore.
 
 In questo senso non appare condivisibile quanto sostenuto dalla difesa in ordine  ad una motivazione sostanzialmente apodittica offerta dalla Corte, in quanto il  richiamo fatto dal giudice di appello ai dati analizzati dal giudice di primo  grado (la cui decisione si salda con quella di secondo grado) consente di  escludere che la Corte abbia proceduto sulla base di meri dati presuntivi.
 
 Tanto precisato, deve comunque osservarsi che alla data di emissione della  sentenza di appello era trascorso il termine massimo prescrizionale pari -  secondo il regime previgente di cui all'art. 157 c.p. applicabile nella specie  attesa l'epoca di commissione del reato - ad anni quattro e mesi sei comprensivi  della proroga, decorrenti dalla data di accertamento del fatto - reato  (qualificabile come istantaneo), non essendosi rilevate cause di sospensione  della prescrizione.
 
 Quanto, poi, ai motivi di ricorso formulati con riferimento al reato di cui al  capo b), gli stessi sono ugualmente infondati, dovendosi condividere le  motivazioni - esenti da vizi logici - con le quali la Corte territoriale è  giunta alla conclusione che nella condotta descritta in tale capo di imputazione  fosse ravvisabile il tentativo di frode in commercio.
 
 Premesso che ai fini della configurabilità del tentativo di frode in commercio  non è necessaria l'effettiva messa in vendita del prodotto, essendo indicativa  in tal senso la destinazione alla vendita del prodotto diverso per origine  provenienza o quantità o qualità rispetto a quelle dichiarate o convenute (Cass.  Sez. 2^ 28.10.2010 n. 41758) e non apparendo necessario l'inizio di una concreta  contrattazione tra il cliente e l'esercente (Cass. Sez. 3^ 18.11.2008 n. 6885),  va anche ricordato, sulla base di giurisprudenza uniforme di questa Corte, che  integra l'ipotesi delittuosa in parola anche la mera esposizione sul banco  vendita - come è accaduto nel caso de quo -- di prodotti con segni mendaci,  indipendentemente dal contatto con la clientela: segni mendaci correttamente  individuati dalla Corte nell'etichettatura del prodotto offerto in vendita (un  pezzo di fesa magra di Kg. 6,700 indicante una data - 3 gennaio 2005 - diversa  da quella dell' 1 gennaio 2005 contenuta nel vassoio da dove quel pezzo di carne  era stato estratto, per essere contestualmente posizionato sul banco vendita).
 
 Invero uno dei dati qualificanti la condotta penalmente rilevante è dato proprio  dalla diversa etichettatura della data di scadenza rispetto a quella originaria  che implica la messa in vendita di aliud pro alio (v. anche Cass. S.U.  25.102000 n. 28).
 Non può quindi convenirsi con la difesa del ricorrente circa la mancanza di  motivazione da parte della Corte, esplicitata invece in modo adeguato e conforme  anche ai dati probatori acquisiti al processo, attraverso la indicazione di dati  diversi dal vero, contenuti nel prodotto collocato sul banco vendita.
 
 Quanto, infine, alle censure afferenti alla mancanza di motivazione in merito al  diniego della rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale in grado di  appello, le stesse non sono fondate, posto che correttamente ed in modo congruo,  la Corte territoriale - al pari di quanto già statuito dal Tribunale - ha  ritenuto la prova dichiarativa sollecitata dalla difesa nella fase di appello  non decisiva (per tale dovendosi intendere quella che possa risultare  determinante per un esito diverso del processo).
 
 Peraltro, come precisato ripetutamente da questa Corte, la mancata assunzione di  una prova decisiva può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui  sia stata chiesta l'ammissione ai sensi dell'art. 495 comma 2 c.p.p. con la  conseguenza che il relativo motivo non può essere fatto valere in sede di  legittimità ove quel mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso  l'invito rivolto al giudice di merito ad avvalersi dei poteri integrativi  probatori ex art. 507 c.p.p. senza esito positivo attesa la ritenuta non  necessità da parte del giudice investito della questione ai fini della decisione  (Cass. Cass. Sez. 6^ 5.8.2003 n. 33105).
 Né può ritenersi - come sostenuto dalla difesa - che il diniego da parte del  Tribunale di avvalersi dei poteri integrativi di cui all'art. 507 c.p.p. fosse  immotivato, in quanto - come correttamente ricordato dalla Corte di Appello - il  contenuto dell'ordinanza pronunciata dal primo giudice derivava proprio dalla  constatata superfluità di ulteriori mezzi istruttori.
 
 Analogamente è a dirsi dell'ordinanza con la quale il Tribunale ha ritenuto di  non ammettere i testi indicati in lista, avendo la Corte territoriale confermato  il dato della genericità, non tanto e non solo del capitolato di prova indicato  attraverso un mero rinvio al capo di imputazione, ma anche di quest'ultimo, in  termini tali da inibire una assunzione di testi c.d. "libera" senza la benché  minima delimitazione del thema probandum.
 E' peraltro noto che vige in materia il principio di una sua indicazione  attraverso la c.d. "capitolazione", implicita o esplicita, delle circostanze  sulle quali dovrà vertere l' esame (Cass. Sez. 2^ 19.10.2000 n. 192), nel caso  di specie non rispettato.
 
 Sulla base di tali considerazioni, va allora disposto l'annullamento della  sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo a) per  estinzione dello stesso a seguito di intervenuta prescrizione con contestuale  eliminazione della quota di aumento della pena pecuniaria (multa) pari ad €  200,00 come determinata dal Tribunale, rientrando ciò nei poteri di questa  Corte, ai sensi dell'art. 620 lett. 1) c.p.p.
 
 Va, per il resto rigettato il ricorso come sopra proposto.
 P.Q.M.
 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo  a) perché estinto per intervenuta prescrizione ed elimina la relativa pena nella  misura di € 200,00 di mul ta . Rigetta nel resto.
 
 Così deciso in Roma il 19 gennaio 2011
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 9 Mar. 2011
 
                    




