Cass. Sez. III n. 33823 del 13 settembre 2021 (CC 14 lug 2021)
Pres. Sarno Est. Reynaud Ric. Masellis
Ambiente in genere.Concessioni demaniali marittime

Ai fini dell'integrazione del reato previsto dall'art. 1161 cod. nav., la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace e presuppone altresì un’espressa richiesta da parte del soggetto interessato al fine di consentire la verifica, da parte dell’autorità competente, dei requisiti richiesti per il rilascio del rinnovo

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15 marzo 2021, il Tribunale del riesame di Roma ha confermato il decreto di sequestro preventivo di una porzione di area demaniale marittima situata nel complesso residenziale Maresole, sulla quale insiste un cottage con pertinenze posseduto da Laura Masellis, nei confronti della quale è stato ritenuto il fumus del reato di cui all’art. 1161 cod. nav. per abusiva occupazione.
 
2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario la predetta ha proposto ricorso per cassazione, deducendone, con il primo motivo, la nullità per violazione della citata norma incriminatrice e degli artt. 43 e 47, comma 3, cod. pen.
2.1. La ricorrente contesta preliminarmente l’argomento, contenuto nell’ordinanza, secondo cui la richiesta di riesame sarebbe inammissibile per asserita mancanza d’interesse sul rilievo che ella non possiede un titolo giuridico che la abilita ad ottenere la restituzione del bene. Si pone in luce, al proposito, che è pendente la richiesta di rinnovo della concessione demaniale e che, comunque, quale indagata la ricorrente ha diritto ad un vaglio della sua posizione processuale.
2.2. Essendo l’istanza stata respinta anche nel merito, la ricorrente si duole che non sia stato escluso il fumus del reato per insussistenza dell’elemento soggettivo, che il provvedimento impugnato – sia pur in modo contraddittorio – ha ritenuto configurabile nella sola forma dolosa. Erroneamente interpretando il requisito di illiceità speciale richiesto dalla norma incriminatrice con la specificazione che l’occupazione dev’essere “arbitraria” – cioè in contrasto con le disposizioni amministrative che disciplinano la materia – il Tribunale del riesame, immotivatamente disattendendo un proprio precedente reso in caso analogo concernente il medesimo complesso residenziale, non aveva riconosciuto la buona fede e l’errore della ricorrente. Ella, si allega, non era  consapevole di effettuare un’occupazione abusiva ed era rimasta vittima dell’inerzia della pubblica amministrazione – internamente lacerata dalla non chiara ripartizione di competenze tra i diversi enti – la quale non aveva mai risposto alle richieste di proroga/rinnovo della concessione demaniale del cottage ad uso residenziale estivo a suo tempo rilasciata al di lei padre (il quale, quando ancora era in vita, ne aveva richiesto la cointestazione alla figlia). Avendo peraltro continuato a pagare i canoni, la ricorrente confidava nella formalizzazione del titolo concessorio e, comunque, non avrebbe saputo a chi restituire il bene, non essendole ciò mai stato richiesto da alcun ente.
3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta difetto di motivazione rispetto alle doglianze difensive concernenti la costante interlocuzione che la ricorrente aveva avuto con la pubblica amministrazione al fine di ottenere la proroga/rinnovo della concessione demaniale, essendosi illegittimamente anticipata, con l’adozione del vincolo cautelare reale, la soluzione di un complesso iter amministrativo tuttora pendente che non aveva costituito oggetto di adeguata e approfondita valutazione in sede penale.

4. Con memoria contenente motivi aggiunti, la ricorrente lamenta violazione di legge per non aver il Tribunale vagliato – e applicato al caso di specie - la disciplina normativa amministrativa (citata in ricorso) concernente la proroga delle concessioni demaniali turistico-ricreative, alle quali quella in esame appartiene, ai sensi dell’art. 01, lett. f), d.l. n. 5 ottobre 1993, n. 400, conv., con modiff., dalla l. 4 dicembre 1993 n. 494, che considera anche le strutture ad uso abitativo, con riguardo alle quali era sempre stato determinato e pagato il canone di concessione. Il Tribunale aveva illegittimamente escluso l’applicabilità del rinnovo automatico previsto per tali concessioni in forza delle discipline normative succedutesi a partire dalla l. 16 marzo 2001, n. 88, sì che il titolo concessorio originariamente rilasciato era da ritenersi ex lege rinnovato sino al 2033 con conseguente insussistenza del fumus del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Va premesso che non è condivisibile l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui la richiesta di riesame sarebbe inammissibile per mancanza in capo alla ricorrente di un titolo giuridico che possa consentirle di ottenere la restituzione del bene sequestrato. Ed invero, l’interesse ad impugnare va valutato e ritenuto sussistente allorché il gravame sia in concreto idoneo a determinare, con l'eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più favorevole per l'impugnante, dovendo farsi riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953-02). Essendo tuttora pendente – secondo la prospettazione della ricorrente – il procedimento volto ad ottenere il rinnovo/proroga della concessione demaniale, ovvero essendone addirittura intervenuto il rinnovo ex lege sino 2033, come argomentato nei motivi aggiunti, sussiste l’interesse della ricorrente (da tempo nel pacifico possesso del bene) alla proposizione dell’istanza di riesame.
La relativa doglianza proposta nel primo motivo di ricorso, tuttavia, è inammissibile per genericità, posto che – come la stessa ricorrente riconosce – il tribunale ha poi deciso nel merito l’istanza di riesame, respingendola.
Vale, dunque, il principio secondo cui è affetto da difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che critichi una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez.  3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448;  Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, n.m.); sotto altro angolo visuale, ricorre negli stessi casi il difetto di concreto interesse ad impugnare, in quanto l'eventuale apprezzamento favorevole della doglianza non condurrebbe comunque all’accoglimento del ricorso (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, Koci, Rv. 254506).

2. Nel resto, il suddetto primo motivo è invece infondato.
Va in primo luogo affrontato il tema del rinnovo ex lege delle concessioni demaniali ad uso turistico-ricettivo sollevato con la memoria contenente motivi aggiunti, doglianza che, ove fondata, escluderebbe in radice l’abusiva occupazione del bene demaniale.
Premesso che la questione non risulta essere stata specificamente dedotta con la richiesta di riesame, reputa il Collegio di doverla comunque esaminare poiché l’ordinanza impugnata (pag. 5) espressamente esclude l’applicabilità della disciplina sul rinnovo automatico (o proroghe legali) delle concessioni demaniali ad uso turistico-ricreativo, sul rilievo che nella specie si tratta di concessione per uso residenziale privato, sicché la censura di violazione di legge è ammissibile. La stessa, tuttavia, non è fondata.
2.1. Va in primo luogo osservato che, trattandosi di valutazione in fatto, l’affermazione circa la tipologia della concessione demaniale non può essere sindacata in sede di legittimità, né se ne può in questa sede approfondire la logicità, posto che il ricorso per cassazione proposto contro provvedimenti adottati in sede di impugnazione in materia di sequestri è consentito – a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. - soltanto per violazione di legge e, quanto alla giustificazione della decisione, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129). La motivazione può essere definita soltanto apparente, ciò che integra gli estremi della violazione di legge di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. deducibile anche nel ricorso per cassazione avverso provvedimenti cautelari reali, quando sia fondata su argomentazioni che non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314) o quando si tratti di un vizio tanto radicale da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza che consentano di rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e a., Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296; Sez.  6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893).
Nel caso di specie – considerato anche che la questione non risulta essere stata specificamente devoluta e argomentata nei motivi di riesame – non può tuttavia parlarsi di motivazione apparente, essendo chiaro che il tribunale ha appunto escluso l’applicabilità della disciplina qui invocata con la memoria contenente motivi aggiunti sul rilievo che la concessione aveva ad oggetto, come pure in ricorso si riconosce, una porzione di bene demaniale destinata ad uso privato e residenziale (sia pure turistico).
2.2. In secondo luogo, occorre rilevare che la disciplina in questione - come reso evidente dall’art. 01 d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 (quale inserito dalla legge di conversione, e poi abrogato, ed a cui hanno fatto riferimento le discipline normative succedutesi in tema di proroga automatica) – si riferisce esclusivamente a concessioni finalizzate all’esercizio di attività imprenditoriali. La suddetta previsione, difatti, al primo comma stabilisce che “la concessione  dei  beni  demaniali  marittimi  può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici  e  per  servizi e attività portuali e produttive, per l'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di  ristorazione  e  somministrazione  di  bevande,  cibi precotti e generi di monopolio;  c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;  d)  gestione  di  strutture  ricettive  ed  attività  ricreative   e sportive;  e) esercizi commerciali;  f)  servizi  di  altra  natura  e  conduzione  di  strutture  ad  uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di  utilizzazione  di  cui alle precedenti categorie di utilizzazione”. Anche la previsione contenuta in quest’ultima lettera – invocata dalla ricorrente – va dunque intesa come riferita alla conduzione imprenditoriale di strutture ad uso abitativo insistenti sul demanio marittimo, ciò che trova conferma nel fatto che, com’è noto, la disciplina domestica sulle proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime ha interferito, determinando una querelle giurisprudenziale in sede interna e sovranazionale, con il principio di  libertà di concorrenza e di stabilimento stabilito dalla disciplina di matrice eurounitaria, in particolare con la dir. 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) e con l'articolo 49 TFUE (cfr. Sez. 3, n. 21281 del 16/03/2018, Ragusi, Rv. 273222).
2.3. Va peraltro aggiunto che, come questa Corte già avuto modo di precisare proprio ai fini dell'integrazione del reato previsto dall'art. 1161 cod. nav., la proroga legale dei termini di durata delle concessioni demaniali marittime presuppone la titolarità di una concessione demaniale valida ed efficace (Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013, Vita, Rv. 256411; Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014, Di Francia, Rv. 260108) e presuppone altresì un’espressa richiesta da parte del soggetto interessato al fine di consentire la verifica, da parte dell’autorità competente, dei requisiti richiesti per il rilascio del rinnovo (Sez. 3, n. 33170 del 09/04/2013, Giudice, Rv. 257261). Non solo la ricorrente non argomenta la sussistenza di tali presupposti – donde la genericità, sul punto, della doglianza – ma, non avendo devoluto la questione davanti al giudice del merito cautelare al fine di consentire  i necessari accertamenti in fatto, non può pretendere che in questa sede si ritenga fondata la prospettazione dell’avvenuto rinnovo ex lege per escludere in radice il fumus del reato ipotizzato.

3. Ciò premesso, non potendosi ritenere applicabile quella disciplina, è un fatto – non contestato neppure nell’originario ricorso – che l’occupazione del bene demaniale da parte dell’odierna ricorrente sia avvenuta sine titulo, per moltissimi anni, a seguito della scadenza dell’originario titolo concessorio (peraltro, come detto, neppure mai intestato a Laura Masellis, ma soltanto al di lei padre). Sul piano oggettivo, dunque, non v’è dubbio sulla sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 1161 cod. nav.
3.1. Con riguardo, poi, al requisito della arbitrarietà che deve connotare la condotta illecita, è ben vero che occorre la precisa consapevolezza di occupare abusivamente uno spazio demaniale (Sez. 3, n. 37165 del 06/05/2014, Parisi e a., Rv. 260179), ma l’ordinanza impugnata dà dell’avverbio “arbitrariamente” un’interpretazione conforme a quella della maggioritaria, del tutto condivisibile, giurisprudenza: l'occupazione dello spazio demaniale marittimo è "arbitraria" ed integra il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. se non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio, rilasciato in precedenza e non surrogabile da altri atti, ovvero allorquando sia scaduto o inefficace il provvedimento abilitativo (Sez. 3, n. 50145 del 10/05/2018, Marzio, Rv. 274520). L’'occupazione dello spazio demaniale marittimo, dunque, è arbitraria, ai sensi dell'art. 54 e 1161 cod. nav., sia quando non è legittimata da un titolo concessorio valido ed efficace, sia quando – ed è proprio il caso della signora Masellis - la concessione sia stata in precedenza rilasciata ad un soggetto diverso da quello intenzionato ad utilizzare il bene pubblico (Sez. 3, n. 4763 del 24/11/2017, dep. 2018, Pipitone, Rv. 272031; Sez. 3, n. 40029 del 23/09/2008, Sarrecchia, Rv. 241294). Né rileva, al fine di escludere il requisito dell'arbitrarietà, la eventuale acquiescenza degli organi preposti e il conseguente consenso dell'avente diritto, configurandosi anche in tale ipotesi il reato di cui all'art. 1161 cod. nav. (Sez. 3, n. 3672 del 30/11/2005, dep. 2006, Malatesta, Rv. 233288).
Non giova alla ricorrente neppure l’invocato orientamento, peraltro spiegabile alla luce della specificità del caso sub iudice – l’occupazione si era protratta per un breve lasso di tempo, in attesa della decisione sul richiesto rinnovo – secondo cui,  stante la necessaria connotazione arbitraria della condotta, non commette il reato chi prosegua nell'occupazione del demanio marittimo dopo la scadenza del provvedimento concessorio di cui abbia chiesto tempestivamente il rinnovo (Sez. 3, n. 29915 del 13/07/2011, Amati, Rv. 250666). Nel caso di specie, infatti,  l’occupazione sine titulo si è protratta per quasi vent’anni e la ricorrente Masellis non è mai stata titolare della concessione, la cui voltura nei suoi confronti è stata richiesta – annota l’ordinanza a pag. 3 – quando il titolo era già scaduto. Non sussiste, pertanto, un reale contrasto di giurisprudenza sul punto che consenta di accogliere la subordinata richiesta della ricorrente di rimettere la decisione del ricorso alle Sezioni unite.
3.2. In ogni caso, l’ordinanza impugnata argomenta le ragioni per cui l’elemento soggettivo non può dirsi ictu oculi insussistente e la decisione si sottrae a censure in questa sede.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, sicché lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, ma a condizione che esso emerga "ictu oculi" (Sez.  3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015; Sez.  2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez.  4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521), ciò che, nella specie, l’ordinanza ha con effettiva motivazione escluso anche in relazione al requisito di antigiuridicità speciale.

4. Quanto al secondo motivo di ricorso, con il medesimo si contesta – espressamente – il vizio di motivazione, sicché, in forza dei principi già più sopra richiamati (§. 2.1.), non potendosi parlare di assenza o apparenza della motivazione, la doglianza non è proponibile in sede di impugnazione dei provvedimenti cautelari reali. Tantomeno può addebitarsi al giudice penale del merito cautelare di non essersi fatto carico di scrutinare le eventuali responsabilità delle amministrazioni che avrebbero illegittimamente omesso di accogliere le richieste di rinnovo della concessione demaniale, né può dirsi – come si afferma invece in ricorso – che con il sequestro si sarebbe di fatto anticipata la soluzione dell’iter pendente, il quale seguirà il suo corso, potendo la ricorrente far valere in tale sede le proprie pretese di carattere amministrativo. Ciò che in questa sede va considerato, ai sensi dell’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., è unicamente la necessità di interrompere la protrazione della condotta illecita di occupazione abusiva di bene demaniale il cui fumus l’ordinanza impugnata ha adeguatamente argomentato.
 Né ovviamente rilevano – come correttamente nota il provvedimento – l’allegato degrado di un’attigua area su cui è stato mantenuto per lungo tempo analogo sequestro preventivo, ovvero il favorevole esito del procedimento cautelare avviato nei confronti di altra persona occupante diversa porzione del complesso Maresole, essendosi in tal caso escluso, con valutazione necessariamente “individualizzata”, il fumus del reato sul piano dell’elemento soggettivo.

5. Il ricorso, nel complesso infondato, va pertanto rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 Luglio 2021.