La responsabilità ambientale e gli obblighi gravanti sui proprietari di siti contaminati.
Ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale alla luce della nota MATTM n. 1495 del 23 gennaio 2018
di Rosa BERTUZZI e Andrea TEALDI
In considerazione delle numerose richieste di chiarimenti circa la gestione dei procedimenti di bonifica, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (di seguito, “MATTM”), con nota dirigenziale n. 1495 del 23 gennaio 2018, ha fornito un indirizzo comune in merito agli obblighi del proprietario non responsabile della contaminazione del proprio sito.
La nota del ministero rappresenta dunque l’occasione per affrontare un tema di grande interesse: la responsabilità ambientale e l’individuazione dei soggetti su cui incombono gli obblighi di bonifica/ripristino ambientale di un’area contaminata.
L’individuazione dei soggetti responsabili
Secondo ormai consolidata giurisprudenza, i soggetti responsabili dell’inquinamento, su cui ricadono gli oneri di cui all’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice dell’Ambiente) (i.e. comunicazione ai soggetti pubblici competenti, adozione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza, indagini e caratterizzazione, interventi di bonifica o messa in sicurezza, operativa o permanente), sono coloro che hanno in tutto o in parte causato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità (cfr., da ultimo, T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. IV, 18 gennaio 2018, n. 144). Un soggetto è dunque responsabile in ragione del suo agĕre o non agĕre, ovvero della mancata adozione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per prevenire le compromissioni ambientali che possono essere causate dall’attività da lui condotta.
La prova della responsabilità
Quanto alla dimostrazione della responsabilità, ad un primo orientamento che richiedeva che siffatta prova andasse raggiunta in modo rigoroso, è ora succeduta la regola del “più probabile che non”: la ricostruzione del nesso causale può avvenire prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile che l’inquinamento verificatosi sia attribuibile a determinati autori. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha, a tal riguardo, esplicitamente ammesso che l’Amministrazione possa disporre di presunzioni, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento, o la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (CGUE, grande sez., 9 marzo 2010, causa C-378/08).
Particolari difficoltà emergono in riferimento ai fenomeni di inquinamento generati da una pluralità di soggetti. In tal caso, sembra aver preso spazio l’orientamento giurisprudenziale, più rispondente al principio “chi inquina paga”, secondo cui ciascuno dei responsabili deve rispondere unicamente dell’inquinamento da lui provocato, non sussistendo un’obbligazione solidale di ripristino ambientale fra i soggetti coinvolti nella compromissione di un medesimo ambito territoriale.
Emerge dunque, ancora una volta, l’importanza della prova della responsabilità. Ferma, come visto, la possibilità di ricorrere a presunzioni, vi sono tuttavia casi in cui la responsabilità non è riconducibile a uno o più soggetti. Si tratta dei fenomeni di “inquinamento diffuso”, definiti dall’art. 240, c. 1, lett. r) cod. amb. come “la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine”. La nota MATTM n. 1495/2018 ha, a tal riguardo, precisato come l’inquinamento diffuso non si identifichi con l’inquinamento di un’area vasta, al contempo rimarcando l’erroneità della tesi secondo cui, in caso di mancata diretta individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, si sia automaticamente al cospetto di inquinamento diffuso. I criteri per definire la contaminazione “diffusa” sono invece i seguenti: l’origine non puntuale della contaminazione; la vastità dell’area interessata dall’inquinamento; la non riconducibilità della responsabilità a uno o più soggetti, né come nesso causale, né secondo il criterio del “più probabile che non”.
Il proprietario di un sito inquinato non responsabile della contaminazione
Particolare attenzione è stata posta in capo alla figura del proprietario incolpevole di un sito contaminato. L’orientamento, suffragato da una parte di giurisprudenza specialmente sotto la vigenza del precedente d.lgs. n. 22/1997 (cd. decreto Ronchi), secondo cui il soggetto che ha acquistato un’area contaminata subentrerebbe automaticamente nei connessi obblighi ambientali, può ad oggi considerarsi definitivamente superato.
In applicazione del principio “chi inquina paga” e dalla corretta ricostruzione del quadro normativo delineato dagli artt. 239 ss. cod. amb., si deve ormai ritenere che l’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di siffatta area (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2016, n. 4875). Orientamento, questo, che la Corte di Giustizia ha ritenuto compatibile con la normativa comunitaria, nello specifico la direttiva n. 2004/35 sulla responsabilità ambientale (cfr. CGUE, Sez. III, 4 marzo 2015, causa C-534/13).
I successivi interventi giurisprudenziali hanno poi precisato come “una volta riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza o definitiva, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla Pubblica amministrazione solamente ai soggetti responsabili dell'inquinamento” (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1509). L’assenza di obbligo risulta dunque allargata, oltre che alla bonifica, anche al piano di caratterizzazione del sito inquinato e alle misure di messa in sicurezza.
Sul punto, si deve tuttavia dare atto di un certo filone giurisprudenziale che tende a qualificare la “messa in sicurezza del sito” come “misura di prevenzione dei danni”, escludendone la finalità sanzionatoria o ripristinatoria, con la conseguenza che “l’affermazione dell’obbligo del proprietario di adottare misure di prevenzione per eliminare/ridurre rischi sanitari e ambientali derivanti dalla contaminazione è conforme al regime giuridico vigente” (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089).
Ebbene, cercando di schematizzare, sul proprietario incolpevole grava l’obbligo di comunicare la contaminazione rilevata alle autorità competenti e di adottare le necessarie misure di prevenzione. L’Amministrazione non può però imporre l’esecuzione delle indagini preliminari sulle CSC, gli interventi di caratterizzazione, di bonifica e di ripristino ambientale, avendo il proprietario incolpevole unicamente una facoltà di intervento in tal senso.
Maggiori dubbi riguardano invece l’adozione delle misure di messa in sicurezza, in considerazione della giurisprudenza contrastante succitata. La nota MATTM del gennaio 2018 non prende una precisa posizione sul punto, limitandosi a richiamare la pronuncia Cons. Stato n. 1089/2017 cit., ma (al contempo) non indicando le misure di messa in sicurezza nello schema illustrativo delle azioni che devono essere adottate dal proprietario incolpevole. Ferma la necessità di un intervento chiarificatore, anche alla luce dell’art. 245 cod. amb., si ritiene che, a tutto voler concedere, l’Amministrazione potrebbe imporre al proprietario non responsabile l’adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza, in quanto interventi che devono essere adottati in tempi brevi per contenere le sorgenti primarie di contaminazione, ma non anche la messa in sicurezza operativa e permanente, che invece presentano un carattere di stabilità e si pongono in alternativa alla bonifica.
Da ultimo, si precisa come l’insussistenza degli obblighi di bonifica e ripristino ambientale in capo al proprietario incolpevole vada di pari passo a specifiche ricadute di carattere patrimoniale. Qualora i responsabili della contaminazione non provvedano o non siano individuabili, e non intervengano né il proprietario incolpevole del sito né altri soggetti interessati, l’art. 250 impone alle Amministrazioni competenti di agire d’ufficio, recuperando le somme sostenute nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito degli interventi (art. 253 cod. amb.).
Segue: la locazione dell’area
Altra questione dibattuta riguarda la responsabilità del proprietario per l’inquinamento causato dal soggetto a cui l’area è stata concessa in locazione.
Il Consiglio di Stato ha sostenuto che i principi civilistici in base ai quali incombe al proprietario la responsabilità per i danni che il bene locato arreca ai terzi trovano applicazione in via sussidiaria, “dovendosi dare prevalenza al principio di rango comunitario… in base al quale «chi inquina paga» e sempre che sussista un comportamento colpevole (a titolo di dolo o colpa) del proprietario il quale, avendo acquisito colpevolezza dell’inquinamento non abbia preteso dal conduttore responsabile le necessarie opere di bonifica” (Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756).
La responsabilità del proprietario appare pertanto ipotizzabile solo nel caso di un suo comportamento colpevole, che non può essere presupposto “in base ad un’asserita e indimostrata culpa in vigilando del proprietario”, sicché i relativi obblighi di bonifica/ripristino ambientale graveranno sul locatore all’origine dell’inquinamento.
Ciò posto, si deve al contempo dare atto di un orientamento che individua la responsabilità del proprietario in base alla semplice “conoscenza della pericolosità dell’attività svolta e dello stato di inquinamento del sito”, “essendo ciò sufficiente a far sorgere un obbligo di attivarsi al fine di eliminare, nel più breve tempo possibile ed anche in assenza di intervento dell’autore dell’inquinamento, lo stato di contaminazione” (T.A.R. Marche, Sez. I, 6 marzo 2015, n. 190).
Le modifiche soggettive interessanti il soggetto responsabile
Ulteriore tema dibattuto riguarda le modifiche soggettive interessanti gli operatori economici identificati quali responsabili dell’inquinamento. Due fattispecie assumono particolare rilievo: il fallimento della società responsabile della contaminazione e la sua scomparsa a seguito di trasformazioni societarie.
Quanto alla prima fattispecie, la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle ordinanze di bonifica/ rimozione rifiuti dirette alla curatela fallimentare della società responsabile della compromissione ambientale, ha chiarito che il Fallimento non può essere considerato successore dell’impresa fallita, la quale conserva la propria soggettività e rimane titolare del proprio patrimonio seppure ne perde la disponibilità. La curatela “non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita” (T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. III, 3 marzo 2017, n. 520), così che non sussiste alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. III, 5 gennaio 2016, n. 1).
Affianco a tale orientamento, occorre tuttavia dare atto di una parte di giurisprudenza che fa residuare una responsabilità ambientale in capo alla curatela fallimentare qualora questa prosegua l’attività inquinante (cfr. T.A.R. Puglia- Lecce, Sez. III, 11 maggio 2017, n. 746).
Molto complesso è il tema delle trasformazioni societarie interessanti gli operatori economici responsabili di un inquinamento. Pur consapevoli che tale tema meriterebbe un approfondimento specifico, si ritiene tuttavia utile fornire alcune linee di orientamento.
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, nell’ipotesi in cui una società abbia provocato una compromissione ambientale prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22/1997, cd. decreto Ronchi, gli obblighi di bonifica introdotti dall’art. 17 di siffatto decreto possono trovare applicazione solo a condizione che il soggetto che ha posto in essere la condotta sia lo stesso che opera al momento del verificarsi dell’inquinamento successivamente all’entrata in vigore di tale normativa (T.A.R. Lombardia- Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913) [4]. In altre parole, “nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del 1997 non è possibile applicare l’art. 17 del decreto Ronchi (oggi artt. 239 e ss.)” (Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6055).
Occorre tuttavia dare atto di un più recente orientamento che tende a superare lo schermo delle modifiche societarie intervenute, applicando gli obblighi di bonifica di cui all’art. 17 del decreto Ronchi anche a soggetti estintisi prima del 1997 ed ai loro successori universali (cfr., inter alia, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 13 maggio 2016, n. 674).