TAR Veneto Sez. II n. 1993 dell'11 luglio 2008
Danno ambientale. Legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche
Non è possibile considerare processualmente legittimate ad agire le associazioni ambientalistiche che impugnino una qualsiasi deliberazione comunale incidente sulla gestione del territorio e non diretta espressamente a compromettere l'ambiente, proprio perché il concetto di bene ambientale ha una sua autonomia giuridica.
Danno ambientale. Legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche
Non è possibile considerare processualmente legittimate ad agire le associazioni ambientalistiche che impugnino una qualsiasi deliberazione comunale incidente sulla gestione del territorio e non diretta espressamente a compromettere l'ambiente, proprio perché il concetto di bene ambientale ha una sua autonomia giuridica.
Ric. n. 28/2008 Sent. n. 1993/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, costituito da:
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Giuseppe Di Nunzio - Presidente
Riccardo Savoia - Consigliere, relatore
Marco Morgantini - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.28/2008 proposto da ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL WORLD WIDE FUND FOR NATURE (WWF ITALIA) ONG ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alvise Cecchinato e Susanna Geremia con elezione di domicilio presso lo studio degli stessi in Venezia, San Marco, 4603;
CONTRO
il Comune di San Michele al Tagliamento, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Venezia, Dorsoduro n. 3593;
la Provincia di Venezia, in persona del presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
la Regione del Veneto, in persona del presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ezio Zanon e Cecilia Ligabue, con elezione di domicilio presso l'Avvocatura regionale in Venezia, S. Polo 1429/b;
il Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza ai beni paesaggistici ed architettonici del Veneto Orientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
il Ministero dei Trasporti – Capitaneria di porto di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge nella sua sede in Venezia, S. Marco 63;
il Ministero dell’Interno – Comando dei vigili del Fuoco di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
l’Agenzia del demanio filiale del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
l’Agenzia delle dogane filiale del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
il Consorzio di Bonifica Pianura Veneta tra il Livenza e il Tagliamento, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
l’A.u.l.s.s. n. 10 Veneto Orientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
e nei confronti di
Park Hotel già s.r.l. ed ora S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Ivone Cacciavillani e Giorgia Baldan con elezione di domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;
per l'annullamento
previa emissione di provvedimenti cautelari, dei seguenti atti: 1) comune di S. Michele al Tagliamento, consiglio comunale, deliberazione 13 settembre 2007 n. 73, prot. n. 39328, avente ad oggetto “ditta Park Hotel s.r.l. – pratica di sportello unico n. 1 – proposta in data 8 giugno 2006, prot. n. 23790 – variante urbanistica ai sensi del d.p.r. 20 ottobre 1998 n. 447 e della circolare regionale 31 luglio 2001 n. 16, nonché dell’art. 48, comma 7 bis della l.r. 23 aprile 2004 n. 11. Approvazione definitiva”, pubblicata dal 12 ottobre 2007 per 15 giorni consecutivi e quindi sino al 27 ottobre 2007; 2) comune di S. Michele al Tagliamento, servizio urbanistica – demanio marittimo ed edilizia privata, concessione demaniale marittima 29 giugno 2007 prot. n. 26719, a favore della ditta Park Hotel s.r.l., avente ad oggetto “l’occupazione di un’area demaniale della superficie complessiva di mq 4.691,00 (di cui mq. 692,64 occupati da impianti di difficile rimozione (porzione di fabbricato a destinazione alberghiera), mq. 2.602,00 di area scoperta (giardino esclusivo) e mq. 1.396,36 per opere di facile rimozione), area giardino esclusivo) e mq. 1.396,36 per opere di facile rimozione), area situata in località Bibione Pineta, via passeggiata al mare n. 20, al fine di mantenere in uso esclusivo porzione di fabbricato a destinazione alberghiera, denominato “Park Hotel” e il giardino di pertinenza, area che a seguito della sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 1692 del 1997 è stata dichiarata di proprietà del demanio pubblico dello stato – ramo trasporti e navigazione, sul punto è comunque pendente un giudizio innanzi al Tribunale di Venezia rubricato al n. 10545/04 rg., nonché di ristrutturare e ampliare il medesimo fabbricato a destinazione alberghiera, con annessa riqualificazione dei luoghi circostanti, da attuarsi attraverso l’istituto dello sportello unico per le attività produttive, ai sensi del d.p.r. n. 447/1998, art. 5 e della circolare n. 165/2001, e dell’art. 48, comma 7 bis 2, della l.r. n. 11/2004, per un canone annuale, relativo al 2007, di € 14.990,92 (valore dell’atto: € 299.818,40 equivalente a venti annualità del canone)”, conosciuta successivamente alla fine della pubblicazione della delibera sub a); 3) Comune di S. Michele al Tagliamento, servizio urbanistica – demanio marittimo ed edilizia privata, concessione demaniale marittima 29 giugno 2007 prot. n. 26720, a favore della ditta Park Hotel s.r.l., avente per oggetto “l’occupazione di un’area demaniale della superficie complessiva di mq. 4.936,68, area situata in località Bibione Pineta, via passeggiata al mare n. 20, al fine di realizzare un’autorimessa interrata con sovrastante zona piscine e solarium, teatro all’aperto convenzionato ad uso pubblico, chiosco-bar e servizi da destinare a pertinenza del complesso alberghiero denominato “Park Hotel”, da attuarsi attraverso l’istituto dello sportello unico per le attività produttive, ai sensi del d.p.r. n. 447/1998, art. 5, della circolare n. 165/2001, e dell’art. 48, comma 7 bis 2, della l.r. n. 11/2004, per un canone annuale, relativo al 2007, di € 6.812,62 (valore dell’atto: € 136.252,40 equivalente a venti annualità del canone)”, conosciuta successivamente alla fine della pubblicazione della delibera sub a); 4) i pareri espressi nelle conferenze dei servizi, e il provvedimento finale del Comune di S. Michele al Tagliamento, responsabile sportello unico; 5) tutti gli atti conseguenti (compresi gli atti Comune di S. Michele al Tagliamento, consiglio comunale, deliberazione 27 settembre 2007 n. 74, prot. n. 41028, di “comunicazioni del Sindaco” sul caso Carlin, Comune di S. Michele al Tagliamento, consiglio comunale, deliberazione 27 novembre 2007 n. 97, protocollo ignoto, di modifica ed integrazione del succitato provvedimento finale del responsabile e della succitata delibera consigliare di approvazione, per sanatoria di errori materiali di stesura e adeguamento alle osservazioni presentate e accolte, non ancora integralmente conosciuto);
nonchè con i motivi aggiunti
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del permesso di costruire n. 13732 rilasciato dal Comune di S.Michele al Tagliamento alla S.p.a. Park Hotel in data 14.4.2008, della dichiarazione sostitutiva in atto notorio 11.4.2008 n. 13319 e delle note della Regione Veneto 7 e 12 maggio n. 237254 e n. 247393.
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune, Regione e Ministero dei trasporti intimati, nonché della società controinteressata;
Viste le memorie prodotte dalle parti tutte;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 10 luglio 2008 - relatore il Consigliere Riccardo Savoia - i procuratori delle parti come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1 Espone l'associazione ricorrente che con istanza presentata in data 8.6.2006 l'attuale controinteressata proprietaria di un immobile uso alberghiero sulla spiaggia di Bibione fronte mare direttamente sull'arenile, da tempo in disarmo e con problemi di carenze igienico sanitarie e di sicurezza, anche a causa di un lunghissimo contenzioso giudiziario per occupazione di suolo pubblico, di cui alla sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 1692 del 1997 impugnata, secondo la quale oltre metà del fabbricato si trova edificato in terreno demaniale, promuoveva procedura di sportello unico ai sensi per gli effetti dell'articolo 5 del d.p.r. 447 del 1998 in quanto richiamato dal comma 7 bis dell'articolo 48 della legge urbanistica veneta n. 11 del 2004, procedura finalizzata alla realizzazione di un progetto di ristrutturazione e ampliamento dell'attività produttiva ricettivo alberghiera con annessa riqualificazione dei luoghi circostanti. Intervento di notevole incidenza ambientale, ad avviso della ricorrente, poiché il fabbricato, direttamente prospiciente la spiaggia, sarebbe rialzato di due piani oltre i servizi.
Di fronte a esso, in porzioni dell'arenile che attualmente si presentano come distesa di arbusti e terra sabbiosa che degrada alla sabbia e quindi sino al mare (cosiddetti apparati di dune mobili pineta che costituiscono la peculiarità della spiaggia di Bibione pineta, come risulta dalla relazione di incidenza ambientale laddove si precisa di trovarsi di fronte a un habitat facilmente ascrivibile al rango di prioritario o perlomeno di elevato interesse naturalistico e paesaggistico), verrebbe creata una zona piscina, solarium, chiosco bar riservati all'albergo, nonché un teatro all'aperto da convenzionare a uso pubblico, il tutto al disopra di una autorimessa interrata, per 110 posti auto più vani deposito e accessori..
Il comune con l'assistenza continua e palese dell'avvocato Massimo Carlin, provvedeva a convocare una serie di conferenze di servizi ma l'iter procedimentale si rilevava incerto e tormentato. In particolare la provincia di Venezia, il cui parere è obbligatorio, dopo aver esaminato gli atti formulava parere contrario: osservava da un lato che la fattispecie non sarebbe stata sussumibile fra quelle regolate dallo sportello unico, posto che la variante urbanistica avrebbe pesantemente inciso sull'ambiente in contrasto con la pianificazione avulsa dal contesto, dall'altro riteneva che la procedura neanche avrebbe potuto essere iniziata riguardando il progetto aree su cui la richiedente non risultava avere titolo alcuno di disporre, in difetto di rilascio delle concessioni demaniali relative.
Il comune, sempre con l'assistenza del ricordato avvocato, riteneva di non condividere le obiezioni sulla utilizzabilità dello sportello unico; quanto alla questione sul difetto di titolo, rilasciava sin da subito le concessioni, in data 29 giugno 2007, nonostante il contrasto con la pianificazione vigente, oltre che con un atto di indirizzo del comune stesso, in vista della conformità con l'ipotetica variante.
Con l'ultima conferenza di servizi in data 13 luglio 2007 veniva adottato il provvedimento finale.
Successivamente veniva convocato Consiglio comunale nel giorno successivo a quello di scadenza per la presentazione delle osservazioni e in tale Consiglio, sempre presente a intervenire per l'amministrazione l'avvocato Carlin, le osservazioni venivano quasi tutte respinte e la variante di quel provvedimento finale approvata con pochissime modifiche.
Scoppiato di lì a poco il “caso Carlin”, come lo definisce la ricorrente, si teneva un altro Consiglio comunale in data 27 settembre 2007 in cui stante il grandissimo clamore venutosi a creare, venivano chiesti chiarimenti sul ruolo del predetto professionista in generale e anche specificamente in questa vicenda.
Il comune però a mezzo del sindaco assumeva una posizione in base alla quale osservava che il professionista non era alle dipendenze dell’ente e pertanto al massimo le considerazioni da questo svolte sarebbero qualificabili come pareri personali; la questione veniva discussa anche in un ulteriore Consiglio comunale, in data 27 novembre 2007, ma solo per sanatoria di asseriti errori materiali di stesura e per adeguamento alle osservazioni presentate accolte.
In effetti risulta che la controinteressata aveva presentato istanza di attivazione dello sportello unico per la modifica delle previsioni del piano regolatore,– pratica di sportello unico n. 1 – proposta in data 8 giugno 2006, prot. n. 23790 – variante urbanistica ai sensi del d.p.r. 20 ottobre 1998 n. 447 e della circolare regionale 31 luglio 2001 n. 16, nonché dell’art. 48, comma 7 bis della l.r. 23 aprile 2004 n. 11 per ristrutturare e ampliare il fabbricato a destinazione alberghiera, con annessa riqualificazione dei luoghi circostanti, al fine di realizzare un’autorimessa interrata con sovrastante zona piscine e solarium, teatro all’aperto convenzionato a uso pubblico, chiosco-bar e servizi da destinare a pertinenza del complesso alberghiero denominato “Park Hotel”, da attuarsi, appunto, attraverso l’istituto dello sportello unico.
Conseguentemente veniva chiesta la convocazione della conferenza dei servizi, ai sensi dell'articolo 14, comma 2-ter e successive modifiche della legge 241 del '90, all'esito della quale veniva adottato il provvedimento impugnato, comportante l’approvazione della variante parziale al piano regolatore, e rilasciato il permesso di costruire.
2. Avverso tali atti, nonché nei confronti dei verbali delle conferenze di servizi e del parere del CTR, nonché, ove occorra, della delibera giuntale veneta relativa agli indirizzi applicativi riguardanti il c.d. “sportello unico”, l’associazione ricorrente propone il ricorso in oggetto, deducendo censure relative sia alla formazione degli atti, sia al rilascio delle concessioni demaniali, sia ai consequenziali rilasciati permessi di costruire.
Si è costituito il Comune, deducendo l’inammissibilità del gravame, e la sua infondatezza.
Si è costituita anche la controinteressata , eccependo il difetto di interesse nei medesimi termini espressi dall’amministrazione e controdeducendo nel merito.
Si sono costituite anche la Regione Veneto e il Ministero dei Trasporti deducendo a loro volta il difetto di legittimazione attiva del WWF Italia e l’infondatezza delle doglianze proposte.
All’odierna udienza, dopo la concessione di decreto presidenziale d’urgenza e rinvio per consentire la trattazione congiunta all’atto di motivi aggiunti con cui sono stati impugnati i rilasciati permessi di costruire, e discussione, la causa è passata in decisione.
3. Anzitutto deve essere esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva svolta dalle parti resistenti.
3.1 Come è noto, il problema della legittimazione di organismi esponenziali delle varie componenti sociali ai fini dell’impugnativa di provvedimenti lesivi dell’interesse alla conservazione dei valori ambientali da tempo oggetto di un intenso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, è stato affrontato dal Legislatore all’atto della istituzione del Ministero dell’ambiente.
Al riguardo l’articolo 18 della legge n.349/86 prevede infatti che le Associazioni individuate ai sensi dell’art.13 possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
A fronte di una scelta del Legislatore che individua la situazione legittimante nel preventivo riconoscimento dell’Associazione, inizialmente la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la mancata inclusione di una associazione ambientalista negli elenchi ministeriali previsti dalle norme sopra citate comportasse la carenza in radice di legittimazione all’impugnazione di provvedimenti incidenti in materia ambientale.
Alla stregua di tale indirizzo, l’esistenza di associazioni comunque legittimate (perché riconosciute) non preclude al Giudice di accertare caso per caso la legittimazione di singoli organismi non accreditati, purchè gli stessi esibiscano elementi di differenziazione e un concreto e stabile collegamento con un dato territorio, tale da rendere localizzabile l’interesse esponenziale.
Ed infatti, è stato notato dalla giurisprudenza come, ai sensi dell’art.13 della legge 8 luglio 1986 n. 349, la legittimazione ad agire in giudizio da parte delle associazioni ambientaliste deve intendersi circoscritta alla tutela degli interessi ambientali specificati direttamente dalla legge.
Le associazioni ambientalistiche, riconosciute con decreto del Ministero dell’ambiente sono legittimate ad agire in giudizio per far valere interessi diffusi solo quando l’interesse all’ambiente assume qualificazione normativa con riferimento e nei limiti tracciati positivamente dalla legge n. 349/86, ovvero da altre fonti legislative intese a identificare beni ambientali in senso giuridico, con esclusione quindi degli atti che abbiano una valenza meramente urbanistica, in quanto diretti esclusivamente alla gestione del territorio, senza ricaduta alcuna su valori ambientali.
Il problema della legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche è stato sino a oggi, oggetto di contrasti giurisprudenziali.
Tale legittimazione in materia urbanistica è stata intesa da certa giurisprudenza in termini più ampi, quale potere di agire “a salvaguardia degli interessi lato sensu ambientali”, per cui si è ritenuta ammissibile l’impugnativa di ogni provvedimento che incida sull’ambiente, anche se lo specifico bene oggetto del provvedimento impugnato non sia stato sottoposto ad uno specifico vincolo.
Altra giurisprudenza ha inteso tale legittimazione in termini restrittivi, nel senso che l’interesse ad agire di tali Associazioni può ammettersi nella misura in cui, una volta riconosciute ex L. 349/1986, l’interesse ambientale assuma giuridica rilevanza in forza di una specifica previsione normativa, ossia quando la norma identifica i “beni ambientali” tutelati in senso giuridico.
In ordine ai “beni ambientali o valori ambientali” alla cui salvaguardia sono legittimate le Associazioni, pur in mancanza di specifiche indicazioni da parte della legislazione statale e regionale, la dottrina è prevenuta a enucleare una serie di nozioni.
Si è cosi distinto tra “ambiente quale risulta dalla disciplina relativa al paesaggio (oggetto della tutela conservativa) e ambiente preso in considerazione dalle norme poste a protezione contro fattori aggressivi (difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua) ed ancora dell’ambiente quale oggetto di disciplina urbanistica e di tutela del territorio.
L’elemento unificante di tutte queste elaborazioni è, comunque, dato dal fatto che l’ambiente in senso giuridico va considerato come un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, quali flora, fauna, suolo , acqua, si distinguono ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà priva di consistenza materiale.
Ed è alla nozione di ambiente come complesso di cose che racchiude un valore collettivo costituente specifico oggetto di tutela che, in sostanza si riferisce la legge 8 luglio 1986, n. 349, il cui art.1, secondo comma, individua le finalità attribuite all’istituito Ministero dell’Ambiente nell’assicurare un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento.
Delineato il concetto giuridico di ambiente,( ma oggi si veda anche il D.Lgs . n.152/06) l’aggressione di esso attuata mediante la lesione di uno qualsiasi degli elementi che concorrano alla sua formazione, ha in qualche modo rilievo autonomo rispetto a quella concernente i suoi aggregati.
La legittimazione attribuita dagli artt.13 e 18 della legge n.3 49 del 1986 alle associazioni ambientaliste non può dunque, giustificare l’impugnazione di atti avente valenza meramente urbanistica, senza che ne sia dimostrata, in concreto la contestuale incidenza negativa su valori ambientali.
L’inscindibilità tra la materia urbanistica e ambientale appare il leit motiv anche di una ancor più recente pronuncia in materia del Tar Veneto che giunge a definire la suddivisione tra ambiente ed urbanistica un “equivoco, culturale ancor prima che giuridico”.(sez. III, 28.10.2002, n. 6118)
Secondo quel Collegio, sulla base di una più che decennale giurisprudenza, “si può senz’altro affermare che tutela paesistica e disciplina urbanistica appaiano governati nel nostro ordinamento da una reciproca autonomia.
Già la Corte Costituzionale, con numerose pronunce afferma che la nozione del paesaggio, cosi come delineata dall’articolo 9 della Costituzione, non esclude la configurabilità in ordine allo stesso territorio di altre valutazioni e discipline.
In altri termini, la materia urbanistica non può, per sua stessa natura, essere assimilata ad una delle tante materie oggetto dell’usuale riparto di competenze tra Stato, Regioni, Comuni.
L’equivoco, culturale ancor prima che giuridico, si è palesato in modo significativo in occasione dell’entrata in vigore del D.P.R. 616 del 1977, che come noto tentò una definizione delle materie come la disciplina dell’uso del territorio, comprensiva della protezione dell’ambiente.
Non si trattò, come viene talvolta equivocato, dell’inclusione della materia ambientale in quella urbanistica, ma dell’enunciazione, sia pure esemplificativa, di un dato indiscutibile, che sul territorio insistono più interessi , tra cui quello ambientale.
Ad avviso del Collegio, tentare di chiarire il riparto di competenze usando per l’urbanistica lo stesso metro adottato per le altre discipline o meglio materie, denota quindi un approccio che ne ignora le peculiarità, in primis quella di essere una specie di contenitore nel cui ambito è dato ritrovare i più vari beni tutelabili dall’ordinamento.
Non ha quindi molto senso chiedersi se l'ambiente come materia sia stato incluso nell'urbanistica dalla normativa vigente; è evidente infatti che con lo strumento urbanistico si possa e debba tutelare anche il bene ambiente o paesaggio (i due termini ormai, dopo una decennale evoluzione normativa e giurisprudenziale, possono considerarsi pressoché equivalenti)”.
A fronte di questo variegato schieramento di sostenitori della tesi più ampia in ordine al riconoscimento, in favore delle associazioni ambientalistiche, del potere di impugnare in sede giurisdizionale atti amministrativi a contenuto urbanistico, si contrappone quella giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, che afferma come, in sostanza, la legge 349/86 avrebbe limitato l'impugnativa da parte di queste associazioni soltanto a provvedimenti i cui effetti si dispieghino nei confronti dell'ambiente, escludendo, per ciò stesso, gli atti con valenza meramente urbanistica, cioè finalizzati alla gestione del territorio e non necessariamente connessi a profili ambientali.
Ragionamento avallato dal Consiglio di Stato nella sentenza n.3878/2001 il quale ha chiarito che " E’ esclusa la legittimazione delle associazioni ambientalistiche, siano esse in possesso o meno dei requisiti soggettivi previsti dalla legge per agire in giudizio a tutela di interessi ambientali, ad impugnare atti che rivelino una connotazione esclusivamente urbanistica, essendo volti soltanto ad un’utilizzazione del territorio, senza diretti riflessi sui valori ambientali.
Diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione per cui ogni intervento urbanistico o edilizio potrebbe ritenersi capace di compromettere l’ambiente circostante, senza alcuna esclusione.
Non è possibile dunque, considerare processualmente legittimate ad agire le associazioni ambientalistiche che impugnino una qualsiasi deliberazione comunale incidente sulla gestione del territorio e non diretta espressamente a compromettere l'ambiente, proprio perché il concetto di bene ambientale ha una sua autonomia giuridica.
D'altronde, la legge 349/86 conferisce una legittimazione eccezionale alle associazioni medesime, delimitata cioè entro i limiti fissati dalla legge, che non tollera alcuna estensione in altri settori dove non si rinvenga il "danno ambientale" richiesto, come presupposto, dal comma 5 dell'art.18.
Da questo riconoscimento eccezionale, l'interesse sostanziale in materia ambientale appartiene alle associazioni ambientaliste nella misura in cui l'interesse ambientale assume rilievo giuridico in forza della sua previsione normativa.
Di qui deriva l'ulteriore principio per cui, poiché il suddetto interesse viene individuato da norme speciali, quali sono quelle contenute nella legge 349/86, l'interesse all'ambiente ed il riconoscimento della legittimazione processuale in capo alle organizzazione che di esso sono portatrici assumono qualificazione normativa solo nei limiti tracciati dalla legge 349 stessa e non oltre (cfr. CdS, IV sez., n.8234 del 16 dicembre 2003).
Per questo non ha alcun fondamento il sillogismo per cui ogni provvedimento ed ogni intervento urbanistico rechi, ipso facto, implicazioni e ricadute in materia ambientale: al contrario, ciò andrà dimostrato volta per volta, atto per atto.
Diversamente opinando, si dovrebbe riconoscere la fungibilità e la perfetta coincidenza concettuale fra urbanistica ed ambiente e si dovrebbe concludere che ogni intervento urbanistico sia automaticamente invasivo dell'ambiente.
Quindi, secondo questo filone giurisprudenziale , la legittimazione processuale delle associazioni ambientalistiche è da ritenersi eccezionale, cioè ammissibile se vengono in gioco, e sono bisognevoli di tutela, interessi e beni di natura ambientale e non anche in presenza di profili genericamente connessi alla disciplina ed alla gestione del territorio.
Con la sentenza n. 7246/04 il Consiglio di Stato va oltre e approfondisce ulteriormente il solco discriminante circa il riconoscimento della legittimazione processuale delle organizzazioni ambientalistiche. "..la tesi favorevole all'ammissibilità di motivi non attinenti all'interesse sostanziale fatto valere in ragione dell'utilità strumentale della rimozione del provvedimento lesivo, pur supportata da argomentazioni di innegabile rilievo, si scontra con la riferita eccezionalità dell'attribuzione normativa della legittimazione alle associazioni ambientalistiche, determinando una estensione di tutela in rapporto a qualsiasi intervento urbanistico o edilizio astrattamente idoneo a compromettere l'ambiente circostante e ciò pur in presenza di articolate qualificazioni normative degli interessi oggettivamente considerabili come ambientali".
Il potere delle associazioni ambientalistiche di impugnare i piani urbanistici di competenza comunale soffre di censure, legate sia al contenuto sia alle finalità dei piani stessi. Per questo non sarà ammissibile, per difetto di interesse, la proposizione di ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi contro atti che hanno un riflesso esclusivamente urbanistico e che soltanto indirettamente potrebbero incidere sull'assetto e la tutela dell'ambiente.
In sostanza, chiarisce il Consiglio di Stato, l'eventuale gravame proposto, in casi del genere, da organizzazioni come WWF, Codacons, Legambiente, Italia Nostra, ecc., deve unicamente afferire la sfera dell'interesse ambientale cui le stesse sono preposte quali organizzazioni esponenziali e rappresentative dell'interesse medesimo.
Infatti il ricorso si giustifica solo se il proponente può conseguire una qualche utilità diretta e personale dall'annullamento dell'atto che ritiene illegittimo. Tale utilità deve consistere in un interesse diretto e rapportato all'interesse sostanziale che gli è proprio e che non può che essere individuato nella tutela dell'ambiente.
Per cui il principio è quello secondo cui “ le associazioni ambientalistiche sono legittimate a ricorrere giurisdizionalmente contro atti amministrativi a contenuto urbanistico-edilizio non sempre e comunque, ma solo qualora questi si traducano in censure con valenza ambientali”.( Consiglio di Stato, sez. IV, n. 7246/2004).
4. Ciò premesso è evidente che nella specie la legittimazione appare sussistere, posto che la censura complessivamente si rivolge nei confronti di un intervento che , in tesi, è ritenuto lesivo e compressivo del bene ambientale appunto nella sua integralità, stante l’aggressione alla spiaggia e alla vegetazione circostante; e non è sufficiente, a escluderla, la circostanza che le autorità legislativamente preposte alla tutela del bene ambientale abbiano adottato provvedimenti di nulla osta favorevoli all’intervento, posto che la legittimazione c.d. straordinaria come sopra definita ha proprio lo scopo non certamente di ampliare la platea dei soggetti titolari di interesse alla censura dell’atto amministrativo, ex parte subiecti in altri termini, quanto quella di consentire, dunque ex parte obiecti, una più ampia tutela del bene ambientale anche laddove le autorità preposte alla sua protezione non siano capaci di garantirla.
5. Il ricorso è dunque ammissibile, e parimenti sono ammissibili le censure ivi contenute che riguardano la realizzazione del contestato intervento.
6. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Difatti, come esattamente osserva la difesa comunale, la partecipazione di un soggetto estraneo all’amministrazione alla fase pubblica della discussione consiliare non incide sulla legittimità dell’atto, posto che è l’amministrazione che recependo e facendo proprie le affermazioni di un soggetto terzo le erige ad atto formalmente riferibile all’ente, impregiudicata ogni questione tra detto soggetto e l’amministrazione ove questa si veda richiedere il pagamento di una prestazione professionale, che si può intendere spontaneamente resa , in una sorta di negotiorum gestio ratificata ex post con l’adozione di un atto, come detto, interamente ed esclusivamente attribuibile all’amministrazione.
7. Anche la seconda censura è priva di pregio, posto che nella regione Veneto si applica la procedura prevista dall’art.48 della legge 11/04 e s. m. e non quella ex DPR 447/98.
In ogni caso è insussistente la violazione dell’art. 5 del DPR n. 447/1998, inapplicabile alla situazione in esame.
Dispone tale norma che qualora venga presentato un progetto per una nuova attività produttiva in contrasto con il piano regolatore, il responsabile del procedimento è tenuto a rigettare l’istanza (art. 5, comma 1, D.P.R. n. 447/1998).
L’art. 5, oltre al rigetto, che costituisce l’ipotesi ordinaria, prevede anche l’ipotesi eccezionale, che consiste nell’avviare le procedure per la formazione di una variante urbanistica, conseguente all’approvazione del progetto, con decisione da assumere mediante l’indizione di una conferenza di servizi.
Questa ipotesi essendo eccezionale e di natura derogatoria alle procedure ordinarie non ammette applicazioni estensive o analogiche, richiedendo peraltro una adeguata motivazione.
Pertanto il ricorso a tale procedura è ammesso solo alle tassative condizioni previste dall’art. 5, comma 2, del D.P.R. n. 447/1998, che sono le seguenti- per come richiamate dalla circolare regionale 31.7.2001, n.16:
1) il progetto presentato deve essere conforme alle norme ambientali, sanitarie e di sicurezza del lavoro;
2) lo strumento urbanistico:
A. deve essere caratterizzato dalla mancanza di aree da destinare all’insediamento di impianti produttivi, con classificazione di zona idonea al tipo di richiesta presentata;
B. oppure le aree previste dal medesimo strumento urbanistico devono risultare insufficienti in relazione al progetto presentato;
3) della conferenza deve essere dato pubblico avviso in quanto ogni soggetto portatore di interessi pubblici, privati o diffusi, cui possa derivare pregiudizio dalla realizzazione dell’impianto, deve poter intervenire alla conferenza dei servizi presentando osservazioni che la conferenza è tenuta a valutare.
La sussistenza di tali presupposti deve essere verificata dal responsabile del procedimento antecedentemente alla convocazione della conferenza di servizi; inoltre la sussistenza di tutte queste condizioni deve altresì risultare dalla motivazione della convocazione della conferenza, in quanto è sulla base di tutti i requisiti di legge che il responsabile del procedimento potrà "motivatamente" procedere all’avvio della procedura di formazione della variante urbanistica prevista dell’art. 5 del DPR n. 447/98.
E’ opportuno anche precisare il significato dell’espressione aree "insufficienti rispetto al progetto presentato" contenuta nel comma 2, dell’art. 5, del D.P.R. n. 447/1998.
Si ritiene che, con l’espressione anzidetta, il regolamento statale intenda riferirsi alle situazioni in cui non sia possibile per un’impresa insediarsi in un determinato Comune perché mancano del tutto aree a destinazione produttiva, o perchè queste non consentono quel determinato tipo di insediamento a causa della insufficiente dimensione, o comunque per la presenza di parametri, limitazioni, indici che producono un effetto impeditivo di carattere equivalente; vi è infine insufficienza di aree anche nelle ipotesi in cui le aree a destinazione produttiva siano inidonee da un punto di vista qualitativo (es. attività che richiedono particolari infrastrutture; rimessaggio di cantieri navali che richiedono il facile accesso al mare; la necessità, per il tipo di attività, della vicinanza di strutture ferroviarie ecc.).
Appare evidente che per aree "disponibili", dal punto di vista urbanistico, ci si debba riferire alla disponibilità effettiva; rientrano quindi in tale nozione anche le aree contenute in piani attuativi approvati e realizzati solo parzialmente.
La verifica circa la sussistenza del requisito della insufficienza delle aree non è necessaria nei soli casi di interventi consistenti nell’ampliamento, nella cessazione/riattivazione o nella ristrutturazione dell’attività produttiva.
Occorre anche precisare che nelle ipotesi di riconversione deve essere adottata una maggiore cautela se il cambio di attività produttiva comporta anche una radicale modifica rispetto alle attività produttive preesistenti nell’area, determinando cambiamenti che possono avere rilevanti ripercussioni sul contesto urbanistico esistente.
In tali casi si rende necessaria una attenta valutazione sull’impatto che tale attività può determinare sul territorio prima dell’indizione della conferenza di servizi per la formazione della variante urbanistica.
Inoltre, poiché il regolamento sullo sportello unico trova la propria "ratio" nell’esigenza di semplificare e accelerare i procedimenti amministrativi relativi alle attività produttive, e a tale scopo introduce procedure speciali che derogano alle procedure ordinarie, è evidente che l’impatto urbanistico consentito dall’approvazione di varianti conseguenti alla presentazione di progetti deve essere circoscritto al solo intervento da realizzare e alla sola durata dello stesso.
Conseguentemente si determina una nuova zonizzazione oltre che nell’ipotesi in cui sia approvata una variante ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 447/98, nella sola ipotesi di intervento consistente nella realizzazione di un nuovo impianto (intervento indicato al punto 1.2) che determina una "zonizzazione" del territorio diversa dalla preesistente limitatamente all’area interessata. Mentre negli altri casi (ristrutturazione di cui al punto 1.3; ampliamento di cui al punto 1.4; cessazione/riattivazione di cui al punto 1.5; riconversione di cui al punto 1.6; opere interne di cui al punto 1.7) non si determina alcuna nuova zonizzazione, ma si ha variazione del piano regolatore generale nella misura minima necessaria a consentire l’attuazione dell’intervento medesimo.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che “Ai fini dell’applicabilità dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 (il quale ha la finalità di favorire gli insediamenti produttivi, consentendo l’adozione di varianti allo strumento urbanistico dopo aver accertato che, all’interno del territorio comunale, non esistono altre aree idonee e compatibili con il progetto proposto) è irrilevante che sia stato avviato il procedimento di adozione della variante relativo alle zone PIP, con cui sarebbero state individuate zone di tipo misto, ove non sia stato dimostrato che, a seguito della conclusione del procedimento di variante, si creino delle zone idonee per l’insediamento richiesto (nella specie si trattava della realizzazione di un centro commerciale).
Costituisce inoltre onere del richiedente provare l’inesistenza e la insufficienza di aree libere e disponibili nel territorio comunale, e la variazione dello strumento urbanistico proposta in applicazione dell’art. 5 non deve corrispondere a sopravvenute esigenze generali di carattere urbanistico, bensì a particolari esigenze di realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi, anche laddove la variante riguardi una sola area per un singolo impianto, così come è irrilevante l’esistenza nella zona di impianti preesistenti, dello stesso genere o di genere diverso.”(Tar Puglia, sez. Lecce, sez. I, n. 1601/05) ( cfr. Sent. 329/07 della Sezione).
7.1 Dunque essendo l’intervento finalizzato alla riattivazione di attività produttiva esistente, ed essendo a tale stregua ormai qualificata quella alberghiera, a prescindere dall’applicazione della normativa regionale, anche ai sensi del DPR n.447/98 la procedura in deroga era esperibile.
8. La terza censura si appunta, come le due successive, sulla legittimità delle rilasciate concessioni demaniali.
8.1 Sostiene la ricorrente come avendo la Provincia espresso parere negativo per difetto di legittimazione del richiedente, non avendo la titolarità dell’intero compendio interessato, il Comune avrebbe illegittimamente rilasciato le richieste concessioni demaniali trasformandole da presupposto in conseguenza, sicchè delle due l’una: o la procedura di variante precede la concessione, allora la stessa non può essere rilasciata in quanto difforme dall’assetto urbanistico vigente, o la segue, allora non può avviarsi senza una valida concessione demaniale: come si afferma in ricorso a pag. 23 “le concessioni vengono rilasciate in quanto compatibili con una variante che all’epoca non era neanche adottata”.
8.2 Sul punto la difesa del Comune oppone che vi sia intima connessione fra i due procedimenti, posto che le concessioni sarebbero espressamente subordinate all’esito della procedura dello sportello unico in variante, asserzione contestata dalla ricorrente (cfr. pag.54 della memoria conclusiva).
9. E invece è proprio l’espresso più volte ricordato collegamento a radicare la dedotta illegittimità.
9.1 “Le due concessioni demaniali sono state rilasciate all’interno del procedimento di sportello unico , richiamano espressamente tale procedura ed erano e sono chiaramente condizionate all’esito favorevole della stessa” si legge a pag.13 della memoria della controinteressata;
“la ditta Park Hotel è tenuta a osservare …il contenuto delle concessioni demaniali…con l’avvertimento che l’Autorità comunale si riserva di revocare, in tutto o in parte, uno o entrambi i titoli concessori… nel caso in cui la Variante urbanistica insita nel procedimento di Sportello Unico non venisse definitivamente approvata e dunque, non fossero sussistenti i presupposti di fatto che sono stati essenziali nel rilascio delle concessioni stesse” si legge al punto 3) lett. c) dell’Allegato A alla convenzione 20.3.2008;
la concessione demaniale espressamente prevede l’obbligo di conformazione del concessionario agli esiti della conferenza di servizio decisoria.
9.2 Orbene la ricorrente sostiene la contrarietà delle concessioni all’atto di indirizzo di cui alla delibera comunale n.39 del 2005, laddove afferma che non possono essere rilasciate nuove concessioni su aree demaniali marittime, ma fino all’approvazione del nuovo piano particolareggiato, redatto ai sensi dell’allegato S/1 della legge regionale n. 33/02 – TU delle leggi regionali in materia di turismo –possono essere concesse:
sub lett.a): le aree… la cui demanialità è stata accertata con sentenza della Corte d’Appello di Venezia n.1692/97;
e sub lett. b) “ampliamenti in zone già concesse e oggetto di rinuncia”.
9.3 Oppone l’amministrazione l’inapplicabilità, in parte qua, del predetto atto di indirizzo in ragione della “specialità che connota il procedimento stesso, dato che lo Sportello Unico … consente la variazione della strumentazione urbanistica generale ed attuativa in relazione al nuovo assetto dei luoghi , per cui le finalità di attesa della definitiva approvazione del nuovo P.P. Arenile.. non hanno ragione di sussistere;” inoltre la concessione prot. 26719 ha per oggetto proprio una delle aree… la cui demanialità è stata accertata con sentenza della Corte d’Appello di Venezia n.1692/97, mentre la concessione prot.26720 ha riguardo a un’area contigua, ed è in ampliamento alla concessione rilasciata e relativa alla stessa variante, posto che sono consentite a mente del predetto atto di indirizzo “le concessioni in ampliamento a quelle rilasciate o rilasciabili.”
9.4 Osserva il Collegio come il Comune dunque da un lato postuli l’inapplicabilità dell’atto di indirizzo, che costituirebbe un autolimite al rilascio di nuove concessioni, dall’altro ne deduca comunque il rispetto, nell’effettuato rilascio, rientrando l’una nelle aree consentite, l’altra in area contigua e ammettendosi l’ampliamento.
Ma la previsione della variante in deroga ha contenuto e connotazioni eccezionali, e la conformità alle disposizioni del Piano degli Arenili è comunque richiesta dal predetto atto di indirizzo, laddove si legge “ ferma la conformità alle disposizioni del Piano Particolareggiato dell’Arenile vigente e quello adottato”; in ogni caso, se anche la concessione n. 26719 possa definirsi legittima perché relativa ad area contemplata, non lo può la concessione prot 26720, posto che la contiguità dell’area non può essere qualificata come ampliamento ammissibile solo in caso di concessioni esistenti o rinunciate, mentre la locuzione rilasciate o rilasciabili contenuta nella concessione è del tutto nuova ed estranea all’atto di indirizzo.
9.5 Tuttavia, quanto fin qui esposto, comportante l’illegittimità della sola concessione da ultimo menzionata, deve esser integrato con una più radicale censura, contenuta nel ricorso, relativa all’inversione procedimentale che si è avuta e di cui la Provincia di Venezia ha subito fatto cenno.
Difatti la concessione demaniale può essere richiesta da chi ne abbia i requisiti, e la ditta controinteressata ben poteva farlo; ma la procedura di variante doveva essere avviata dal legittimato attivo, e come tale poteva definirsi solo il proprietario o concessionario, il quale lo diviene tuttavia con il rilascio delle concessioni n.3 e 4 /2007, a procedura di variante già avviata.
E proprio l’aver collegato così intimamente le due procedure rende evidente l’illegittimità.
10. Il ricorso dunque per tale assorbente ragione deve essere accolto, con annullamento degli atti consequenziali impugnati con i motivi aggiunti.
10.1 Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio del 10 luglio 2008.
Il Presidente L’Estensore
Il Segretario
.
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Seconda Sezione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, costituito da:
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Giuseppe Di Nunzio - Presidente
Riccardo Savoia - Consigliere, relatore
Marco Morgantini - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n.28/2008 proposto da ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL WORLD WIDE FUND FOR NATURE (WWF ITALIA) ONG ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alvise Cecchinato e Susanna Geremia con elezione di domicilio presso lo studio degli stessi in Venezia, San Marco, 4603;
CONTRO
il Comune di San Michele al Tagliamento, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Borella, Stefania Piovesan e Franco Stivanello Gussoni con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Venezia, Dorsoduro n. 3593;
la Provincia di Venezia, in persona del presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
la Regione del Veneto, in persona del presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Ezio Zanon e Cecilia Ligabue, con elezione di domicilio presso l'Avvocatura regionale in Venezia, S. Polo 1429/b;
il Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza ai beni paesaggistici ed architettonici del Veneto Orientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
il Ministero dei Trasporti – Capitaneria di porto di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge nella sua sede in Venezia, S. Marco 63;
il Ministero dell’Interno – Comando dei vigili del Fuoco di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
l’Agenzia del demanio filiale del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
l’Agenzia delle dogane filiale del Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
il Consorzio di Bonifica Pianura Veneta tra il Livenza e il Tagliamento, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
l’A.u.l.s.s. n. 10 Veneto Orientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
e nei confronti di
Park Hotel già s.r.l. ed ora S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Ivone Cacciavillani e Giorgia Baldan con elezione di domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;
per l'annullamento
previa emissione di provvedimenti cautelari, dei seguenti atti: 1) comune di S. Michele al Tagliamento, consiglio comunale, deliberazione 13 settembre 2007 n. 73, prot. n. 39328, avente ad oggetto “ditta Park Hotel s.r.l. – pratica di sportello unico n. 1 – proposta in data 8 giugno 2006, prot. n. 23790 – variante urbanistica ai sensi del d.p.r. 20 ottobre 1998 n. 447 e della circolare regionale 31 luglio 2001 n. 16, nonché dell’art. 48, comma 7 bis della l.r. 23 aprile 2004 n. 11. Approvazione definitiva”, pubblicata dal 12 ottobre 2007 per 15 giorni consecutivi e quindi sino al 27 ottobre 2007; 2) comune di S. Michele al Tagliamento, servizio urbanistica – demanio marittimo ed edilizia privata, concessione demaniale marittima 29 giugno 2007 prot. n. 26719, a favore della ditta Park Hotel s.r.l., avente ad oggetto “l’occupazione di un’area demaniale della superficie complessiva di mq 4.691,00 (di cui mq. 692,64 occupati da impianti di difficile rimozione (porzione di fabbricato a destinazione alberghiera), mq. 2.602,00 di area scoperta (giardino esclusivo) e mq. 1.396,36 per opere di facile rimozione), area giardino esclusivo) e mq. 1.396,36 per opere di facile rimozione), area situata in località Bibione Pineta, via passeggiata al mare n. 20, al fine di mantenere in uso esclusivo porzione di fabbricato a destinazione alberghiera, denominato “Park Hotel” e il giardino di pertinenza, area che a seguito della sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 1692 del 1997 è stata dichiarata di proprietà del demanio pubblico dello stato – ramo trasporti e navigazione, sul punto è comunque pendente un giudizio innanzi al Tribunale di Venezia rubricato al n. 10545/04 rg., nonché di ristrutturare e ampliare il medesimo fabbricato a destinazione alberghiera, con annessa riqualificazione dei luoghi circostanti, da attuarsi attraverso l’istituto dello sportello unico per le attività produttive, ai sensi del d.p.r. n. 447/1998, art. 5 e della circolare n. 165/2001, e dell’art. 48, comma 7 bis 2, della l.r. n. 11/2004, per un canone annuale, relativo al 2007, di € 14.990,92 (valore dell’atto: € 299.818,40 equivalente a venti annualità del canone)”, conosciuta successivamente alla fine della pubblicazione della delibera sub a); 3) Comune di S. Michele al Tagliamento, servizio urbanistica – demanio marittimo ed edilizia privata, concessione demaniale marittima 29 giugno 2007 prot. n. 26720, a favore della ditta Park Hotel s.r.l., avente per oggetto “l’occupazione di un’area demaniale della superficie complessiva di mq. 4.936,68, area situata in località Bibione Pineta, via passeggiata al mare n. 20, al fine di realizzare un’autorimessa interrata con sovrastante zona piscine e solarium, teatro all’aperto convenzionato ad uso pubblico, chiosco-bar e servizi da destinare a pertinenza del complesso alberghiero denominato “Park Hotel”, da attuarsi attraverso l’istituto dello sportello unico per le attività produttive, ai sensi del d.p.r. n. 447/1998, art. 5, della circolare n. 165/2001, e dell’art. 48, comma 7 bis 2, della l.r. n. 11/2004, per un canone annuale, relativo al 2007, di € 6.812,62 (valore dell’atto: € 136.252,40 equivalente a venti annualità del canone)”, conosciuta successivamente alla fine della pubblicazione della delibera sub a); 4) i pareri espressi nelle conferenze dei servizi, e il provvedimento finale del Comune di S. Michele al Tagliamento, responsabile sportello unico; 5) tutti gli atti conseguenti (compresi gli atti Comune di S. Michele al Tagliamento, consiglio comunale, deliberazione 27 settembre 2007 n. 74, prot. n. 41028, di “comunicazioni del Sindaco” sul caso Carlin, Comune di S. Michele al Tagliamento, consiglio comunale, deliberazione 27 novembre 2007 n. 97, protocollo ignoto, di modifica ed integrazione del succitato provvedimento finale del responsabile e della succitata delibera consigliare di approvazione, per sanatoria di errori materiali di stesura e adeguamento alle osservazioni presentate e accolte, non ancora integralmente conosciuto);
nonchè con i motivi aggiunti
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del permesso di costruire n. 13732 rilasciato dal Comune di S.Michele al Tagliamento alla S.p.a. Park Hotel in data 14.4.2008, della dichiarazione sostitutiva in atto notorio 11.4.2008 n. 13319 e delle note della Regione Veneto 7 e 12 maggio n. 237254 e n. 247393.
Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune, Regione e Ministero dei trasporti intimati, nonché della società controinteressata;
Viste le memorie prodotte dalle parti tutte;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 10 luglio 2008 - relatore il Consigliere Riccardo Savoia - i procuratori delle parti come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1 Espone l'associazione ricorrente che con istanza presentata in data 8.6.2006 l'attuale controinteressata proprietaria di un immobile uso alberghiero sulla spiaggia di Bibione fronte mare direttamente sull'arenile, da tempo in disarmo e con problemi di carenze igienico sanitarie e di sicurezza, anche a causa di un lunghissimo contenzioso giudiziario per occupazione di suolo pubblico, di cui alla sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 1692 del 1997 impugnata, secondo la quale oltre metà del fabbricato si trova edificato in terreno demaniale, promuoveva procedura di sportello unico ai sensi per gli effetti dell'articolo 5 del d.p.r. 447 del 1998 in quanto richiamato dal comma 7 bis dell'articolo 48 della legge urbanistica veneta n. 11 del 2004, procedura finalizzata alla realizzazione di un progetto di ristrutturazione e ampliamento dell'attività produttiva ricettivo alberghiera con annessa riqualificazione dei luoghi circostanti. Intervento di notevole incidenza ambientale, ad avviso della ricorrente, poiché il fabbricato, direttamente prospiciente la spiaggia, sarebbe rialzato di due piani oltre i servizi.
Di fronte a esso, in porzioni dell'arenile che attualmente si presentano come distesa di arbusti e terra sabbiosa che degrada alla sabbia e quindi sino al mare (cosiddetti apparati di dune mobili pineta che costituiscono la peculiarità della spiaggia di Bibione pineta, come risulta dalla relazione di incidenza ambientale laddove si precisa di trovarsi di fronte a un habitat facilmente ascrivibile al rango di prioritario o perlomeno di elevato interesse naturalistico e paesaggistico), verrebbe creata una zona piscina, solarium, chiosco bar riservati all'albergo, nonché un teatro all'aperto da convenzionare a uso pubblico, il tutto al disopra di una autorimessa interrata, per 110 posti auto più vani deposito e accessori..
Il comune con l'assistenza continua e palese dell'avvocato Massimo Carlin, provvedeva a convocare una serie di conferenze di servizi ma l'iter procedimentale si rilevava incerto e tormentato. In particolare la provincia di Venezia, il cui parere è obbligatorio, dopo aver esaminato gli atti formulava parere contrario: osservava da un lato che la fattispecie non sarebbe stata sussumibile fra quelle regolate dallo sportello unico, posto che la variante urbanistica avrebbe pesantemente inciso sull'ambiente in contrasto con la pianificazione avulsa dal contesto, dall'altro riteneva che la procedura neanche avrebbe potuto essere iniziata riguardando il progetto aree su cui la richiedente non risultava avere titolo alcuno di disporre, in difetto di rilascio delle concessioni demaniali relative.
Il comune, sempre con l'assistenza del ricordato avvocato, riteneva di non condividere le obiezioni sulla utilizzabilità dello sportello unico; quanto alla questione sul difetto di titolo, rilasciava sin da subito le concessioni, in data 29 giugno 2007, nonostante il contrasto con la pianificazione vigente, oltre che con un atto di indirizzo del comune stesso, in vista della conformità con l'ipotetica variante.
Con l'ultima conferenza di servizi in data 13 luglio 2007 veniva adottato il provvedimento finale.
Successivamente veniva convocato Consiglio comunale nel giorno successivo a quello di scadenza per la presentazione delle osservazioni e in tale Consiglio, sempre presente a intervenire per l'amministrazione l'avvocato Carlin, le osservazioni venivano quasi tutte respinte e la variante di quel provvedimento finale approvata con pochissime modifiche.
Scoppiato di lì a poco il “caso Carlin”, come lo definisce la ricorrente, si teneva un altro Consiglio comunale in data 27 settembre 2007 in cui stante il grandissimo clamore venutosi a creare, venivano chiesti chiarimenti sul ruolo del predetto professionista in generale e anche specificamente in questa vicenda.
Il comune però a mezzo del sindaco assumeva una posizione in base alla quale osservava che il professionista non era alle dipendenze dell’ente e pertanto al massimo le considerazioni da questo svolte sarebbero qualificabili come pareri personali; la questione veniva discussa anche in un ulteriore Consiglio comunale, in data 27 novembre 2007, ma solo per sanatoria di asseriti errori materiali di stesura e per adeguamento alle osservazioni presentate accolte.
In effetti risulta che la controinteressata aveva presentato istanza di attivazione dello sportello unico per la modifica delle previsioni del piano regolatore,– pratica di sportello unico n. 1 – proposta in data 8 giugno 2006, prot. n. 23790 – variante urbanistica ai sensi del d.p.r. 20 ottobre 1998 n. 447 e della circolare regionale 31 luglio 2001 n. 16, nonché dell’art. 48, comma 7 bis della l.r. 23 aprile 2004 n. 11 per ristrutturare e ampliare il fabbricato a destinazione alberghiera, con annessa riqualificazione dei luoghi circostanti, al fine di realizzare un’autorimessa interrata con sovrastante zona piscine e solarium, teatro all’aperto convenzionato a uso pubblico, chiosco-bar e servizi da destinare a pertinenza del complesso alberghiero denominato “Park Hotel”, da attuarsi, appunto, attraverso l’istituto dello sportello unico.
Conseguentemente veniva chiesta la convocazione della conferenza dei servizi, ai sensi dell'articolo 14, comma 2-ter e successive modifiche della legge 241 del '90, all'esito della quale veniva adottato il provvedimento impugnato, comportante l’approvazione della variante parziale al piano regolatore, e rilasciato il permesso di costruire.
2. Avverso tali atti, nonché nei confronti dei verbali delle conferenze di servizi e del parere del CTR, nonché, ove occorra, della delibera giuntale veneta relativa agli indirizzi applicativi riguardanti il c.d. “sportello unico”, l’associazione ricorrente propone il ricorso in oggetto, deducendo censure relative sia alla formazione degli atti, sia al rilascio delle concessioni demaniali, sia ai consequenziali rilasciati permessi di costruire.
Si è costituito il Comune, deducendo l’inammissibilità del gravame, e la sua infondatezza.
Si è costituita anche la controinteressata , eccependo il difetto di interesse nei medesimi termini espressi dall’amministrazione e controdeducendo nel merito.
Si sono costituite anche la Regione Veneto e il Ministero dei Trasporti deducendo a loro volta il difetto di legittimazione attiva del WWF Italia e l’infondatezza delle doglianze proposte.
All’odierna udienza, dopo la concessione di decreto presidenziale d’urgenza e rinvio per consentire la trattazione congiunta all’atto di motivi aggiunti con cui sono stati impugnati i rilasciati permessi di costruire, e discussione, la causa è passata in decisione.
3. Anzitutto deve essere esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva svolta dalle parti resistenti.
3.1 Come è noto, il problema della legittimazione di organismi esponenziali delle varie componenti sociali ai fini dell’impugnativa di provvedimenti lesivi dell’interesse alla conservazione dei valori ambientali da tempo oggetto di un intenso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza, è stato affrontato dal Legislatore all’atto della istituzione del Ministero dell’ambiente.
Al riguardo l’articolo 18 della legge n.349/86 prevede infatti che le Associazioni individuate ai sensi dell’art.13 possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
A fronte di una scelta del Legislatore che individua la situazione legittimante nel preventivo riconoscimento dell’Associazione, inizialmente la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la mancata inclusione di una associazione ambientalista negli elenchi ministeriali previsti dalle norme sopra citate comportasse la carenza in radice di legittimazione all’impugnazione di provvedimenti incidenti in materia ambientale.
Alla stregua di tale indirizzo, l’esistenza di associazioni comunque legittimate (perché riconosciute) non preclude al Giudice di accertare caso per caso la legittimazione di singoli organismi non accreditati, purchè gli stessi esibiscano elementi di differenziazione e un concreto e stabile collegamento con un dato territorio, tale da rendere localizzabile l’interesse esponenziale.
Ed infatti, è stato notato dalla giurisprudenza come, ai sensi dell’art.13 della legge 8 luglio 1986 n. 349, la legittimazione ad agire in giudizio da parte delle associazioni ambientaliste deve intendersi circoscritta alla tutela degli interessi ambientali specificati direttamente dalla legge.
Le associazioni ambientalistiche, riconosciute con decreto del Ministero dell’ambiente sono legittimate ad agire in giudizio per far valere interessi diffusi solo quando l’interesse all’ambiente assume qualificazione normativa con riferimento e nei limiti tracciati positivamente dalla legge n. 349/86, ovvero da altre fonti legislative intese a identificare beni ambientali in senso giuridico, con esclusione quindi degli atti che abbiano una valenza meramente urbanistica, in quanto diretti esclusivamente alla gestione del territorio, senza ricaduta alcuna su valori ambientali.
Il problema della legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche è stato sino a oggi, oggetto di contrasti giurisprudenziali.
Tale legittimazione in materia urbanistica è stata intesa da certa giurisprudenza in termini più ampi, quale potere di agire “a salvaguardia degli interessi lato sensu ambientali”, per cui si è ritenuta ammissibile l’impugnativa di ogni provvedimento che incida sull’ambiente, anche se lo specifico bene oggetto del provvedimento impugnato non sia stato sottoposto ad uno specifico vincolo.
Altra giurisprudenza ha inteso tale legittimazione in termini restrittivi, nel senso che l’interesse ad agire di tali Associazioni può ammettersi nella misura in cui, una volta riconosciute ex L. 349/1986, l’interesse ambientale assuma giuridica rilevanza in forza di una specifica previsione normativa, ossia quando la norma identifica i “beni ambientali” tutelati in senso giuridico.
In ordine ai “beni ambientali o valori ambientali” alla cui salvaguardia sono legittimate le Associazioni, pur in mancanza di specifiche indicazioni da parte della legislazione statale e regionale, la dottrina è prevenuta a enucleare una serie di nozioni.
Si è cosi distinto tra “ambiente quale risulta dalla disciplina relativa al paesaggio (oggetto della tutela conservativa) e ambiente preso in considerazione dalle norme poste a protezione contro fattori aggressivi (difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua) ed ancora dell’ambiente quale oggetto di disciplina urbanistica e di tutela del territorio.
L’elemento unificante di tutte queste elaborazioni è, comunque, dato dal fatto che l’ambiente in senso giuridico va considerato come un insieme che, pur comprendendo vari beni o valori, quali flora, fauna, suolo , acqua, si distinguono ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà priva di consistenza materiale.
Ed è alla nozione di ambiente come complesso di cose che racchiude un valore collettivo costituente specifico oggetto di tutela che, in sostanza si riferisce la legge 8 luglio 1986, n. 349, il cui art.1, secondo comma, individua le finalità attribuite all’istituito Ministero dell’Ambiente nell’assicurare un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento.
Delineato il concetto giuridico di ambiente,( ma oggi si veda anche il D.Lgs . n.152/06) l’aggressione di esso attuata mediante la lesione di uno qualsiasi degli elementi che concorrano alla sua formazione, ha in qualche modo rilievo autonomo rispetto a quella concernente i suoi aggregati.
La legittimazione attribuita dagli artt.13 e 18 della legge n.3 49 del 1986 alle associazioni ambientaliste non può dunque, giustificare l’impugnazione di atti avente valenza meramente urbanistica, senza che ne sia dimostrata, in concreto la contestuale incidenza negativa su valori ambientali.
L’inscindibilità tra la materia urbanistica e ambientale appare il leit motiv anche di una ancor più recente pronuncia in materia del Tar Veneto che giunge a definire la suddivisione tra ambiente ed urbanistica un “equivoco, culturale ancor prima che giuridico”.(sez. III, 28.10.2002, n. 6118)
Secondo quel Collegio, sulla base di una più che decennale giurisprudenza, “si può senz’altro affermare che tutela paesistica e disciplina urbanistica appaiano governati nel nostro ordinamento da una reciproca autonomia.
Già la Corte Costituzionale, con numerose pronunce afferma che la nozione del paesaggio, cosi come delineata dall’articolo 9 della Costituzione, non esclude la configurabilità in ordine allo stesso territorio di altre valutazioni e discipline.
In altri termini, la materia urbanistica non può, per sua stessa natura, essere assimilata ad una delle tante materie oggetto dell’usuale riparto di competenze tra Stato, Regioni, Comuni.
L’equivoco, culturale ancor prima che giuridico, si è palesato in modo significativo in occasione dell’entrata in vigore del D.P.R. 616 del 1977, che come noto tentò una definizione delle materie come la disciplina dell’uso del territorio, comprensiva della protezione dell’ambiente.
Non si trattò, come viene talvolta equivocato, dell’inclusione della materia ambientale in quella urbanistica, ma dell’enunciazione, sia pure esemplificativa, di un dato indiscutibile, che sul territorio insistono più interessi , tra cui quello ambientale.
Ad avviso del Collegio, tentare di chiarire il riparto di competenze usando per l’urbanistica lo stesso metro adottato per le altre discipline o meglio materie, denota quindi un approccio che ne ignora le peculiarità, in primis quella di essere una specie di contenitore nel cui ambito è dato ritrovare i più vari beni tutelabili dall’ordinamento.
Non ha quindi molto senso chiedersi se l'ambiente come materia sia stato incluso nell'urbanistica dalla normativa vigente; è evidente infatti che con lo strumento urbanistico si possa e debba tutelare anche il bene ambiente o paesaggio (i due termini ormai, dopo una decennale evoluzione normativa e giurisprudenziale, possono considerarsi pressoché equivalenti)”.
A fronte di questo variegato schieramento di sostenitori della tesi più ampia in ordine al riconoscimento, in favore delle associazioni ambientalistiche, del potere di impugnare in sede giurisdizionale atti amministrativi a contenuto urbanistico, si contrappone quella giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, che afferma come, in sostanza, la legge 349/86 avrebbe limitato l'impugnativa da parte di queste associazioni soltanto a provvedimenti i cui effetti si dispieghino nei confronti dell'ambiente, escludendo, per ciò stesso, gli atti con valenza meramente urbanistica, cioè finalizzati alla gestione del territorio e non necessariamente connessi a profili ambientali.
Ragionamento avallato dal Consiglio di Stato nella sentenza n.3878/2001 il quale ha chiarito che " E’ esclusa la legittimazione delle associazioni ambientalistiche, siano esse in possesso o meno dei requisiti soggettivi previsti dalla legge per agire in giudizio a tutela di interessi ambientali, ad impugnare atti che rivelino una connotazione esclusivamente urbanistica, essendo volti soltanto ad un’utilizzazione del territorio, senza diretti riflessi sui valori ambientali.
Diversamente opinando, si dovrebbe giungere alla conclusione per cui ogni intervento urbanistico o edilizio potrebbe ritenersi capace di compromettere l’ambiente circostante, senza alcuna esclusione.
Non è possibile dunque, considerare processualmente legittimate ad agire le associazioni ambientalistiche che impugnino una qualsiasi deliberazione comunale incidente sulla gestione del territorio e non diretta espressamente a compromettere l'ambiente, proprio perché il concetto di bene ambientale ha una sua autonomia giuridica.
D'altronde, la legge 349/86 conferisce una legittimazione eccezionale alle associazioni medesime, delimitata cioè entro i limiti fissati dalla legge, che non tollera alcuna estensione in altri settori dove non si rinvenga il "danno ambientale" richiesto, come presupposto, dal comma 5 dell'art.18.
Da questo riconoscimento eccezionale, l'interesse sostanziale in materia ambientale appartiene alle associazioni ambientaliste nella misura in cui l'interesse ambientale assume rilievo giuridico in forza della sua previsione normativa.
Di qui deriva l'ulteriore principio per cui, poiché il suddetto interesse viene individuato da norme speciali, quali sono quelle contenute nella legge 349/86, l'interesse all'ambiente ed il riconoscimento della legittimazione processuale in capo alle organizzazione che di esso sono portatrici assumono qualificazione normativa solo nei limiti tracciati dalla legge 349 stessa e non oltre (cfr. CdS, IV sez., n.8234 del 16 dicembre 2003).
Per questo non ha alcun fondamento il sillogismo per cui ogni provvedimento ed ogni intervento urbanistico rechi, ipso facto, implicazioni e ricadute in materia ambientale: al contrario, ciò andrà dimostrato volta per volta, atto per atto.
Diversamente opinando, si dovrebbe riconoscere la fungibilità e la perfetta coincidenza concettuale fra urbanistica ed ambiente e si dovrebbe concludere che ogni intervento urbanistico sia automaticamente invasivo dell'ambiente.
Quindi, secondo questo filone giurisprudenziale , la legittimazione processuale delle associazioni ambientalistiche è da ritenersi eccezionale, cioè ammissibile se vengono in gioco, e sono bisognevoli di tutela, interessi e beni di natura ambientale e non anche in presenza di profili genericamente connessi alla disciplina ed alla gestione del territorio.
Con la sentenza n. 7246/04 il Consiglio di Stato va oltre e approfondisce ulteriormente il solco discriminante circa il riconoscimento della legittimazione processuale delle organizzazioni ambientalistiche. "..la tesi favorevole all'ammissibilità di motivi non attinenti all'interesse sostanziale fatto valere in ragione dell'utilità strumentale della rimozione del provvedimento lesivo, pur supportata da argomentazioni di innegabile rilievo, si scontra con la riferita eccezionalità dell'attribuzione normativa della legittimazione alle associazioni ambientalistiche, determinando una estensione di tutela in rapporto a qualsiasi intervento urbanistico o edilizio astrattamente idoneo a compromettere l'ambiente circostante e ciò pur in presenza di articolate qualificazioni normative degli interessi oggettivamente considerabili come ambientali".
Il potere delle associazioni ambientalistiche di impugnare i piani urbanistici di competenza comunale soffre di censure, legate sia al contenuto sia alle finalità dei piani stessi. Per questo non sarà ammissibile, per difetto di interesse, la proposizione di ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi contro atti che hanno un riflesso esclusivamente urbanistico e che soltanto indirettamente potrebbero incidere sull'assetto e la tutela dell'ambiente.
In sostanza, chiarisce il Consiglio di Stato, l'eventuale gravame proposto, in casi del genere, da organizzazioni come WWF, Codacons, Legambiente, Italia Nostra, ecc., deve unicamente afferire la sfera dell'interesse ambientale cui le stesse sono preposte quali organizzazioni esponenziali e rappresentative dell'interesse medesimo.
Infatti il ricorso si giustifica solo se il proponente può conseguire una qualche utilità diretta e personale dall'annullamento dell'atto che ritiene illegittimo. Tale utilità deve consistere in un interesse diretto e rapportato all'interesse sostanziale che gli è proprio e che non può che essere individuato nella tutela dell'ambiente.
Per cui il principio è quello secondo cui “ le associazioni ambientalistiche sono legittimate a ricorrere giurisdizionalmente contro atti amministrativi a contenuto urbanistico-edilizio non sempre e comunque, ma solo qualora questi si traducano in censure con valenza ambientali”.( Consiglio di Stato, sez. IV, n. 7246/2004).
4. Ciò premesso è evidente che nella specie la legittimazione appare sussistere, posto che la censura complessivamente si rivolge nei confronti di un intervento che , in tesi, è ritenuto lesivo e compressivo del bene ambientale appunto nella sua integralità, stante l’aggressione alla spiaggia e alla vegetazione circostante; e non è sufficiente, a escluderla, la circostanza che le autorità legislativamente preposte alla tutela del bene ambientale abbiano adottato provvedimenti di nulla osta favorevoli all’intervento, posto che la legittimazione c.d. straordinaria come sopra definita ha proprio lo scopo non certamente di ampliare la platea dei soggetti titolari di interesse alla censura dell’atto amministrativo, ex parte subiecti in altri termini, quanto quella di consentire, dunque ex parte obiecti, una più ampia tutela del bene ambientale anche laddove le autorità preposte alla sua protezione non siano capaci di garantirla.
5. Il ricorso è dunque ammissibile, e parimenti sono ammissibili le censure ivi contenute che riguardano la realizzazione del contestato intervento.
6. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Difatti, come esattamente osserva la difesa comunale, la partecipazione di un soggetto estraneo all’amministrazione alla fase pubblica della discussione consiliare non incide sulla legittimità dell’atto, posto che è l’amministrazione che recependo e facendo proprie le affermazioni di un soggetto terzo le erige ad atto formalmente riferibile all’ente, impregiudicata ogni questione tra detto soggetto e l’amministrazione ove questa si veda richiedere il pagamento di una prestazione professionale, che si può intendere spontaneamente resa , in una sorta di negotiorum gestio ratificata ex post con l’adozione di un atto, come detto, interamente ed esclusivamente attribuibile all’amministrazione.
7. Anche la seconda censura è priva di pregio, posto che nella regione Veneto si applica la procedura prevista dall’art.48 della legge 11/04 e s. m. e non quella ex DPR 447/98.
In ogni caso è insussistente la violazione dell’art. 5 del DPR n. 447/1998, inapplicabile alla situazione in esame.
Dispone tale norma che qualora venga presentato un progetto per una nuova attività produttiva in contrasto con il piano regolatore, il responsabile del procedimento è tenuto a rigettare l’istanza (art. 5, comma 1, D.P.R. n. 447/1998).
L’art. 5, oltre al rigetto, che costituisce l’ipotesi ordinaria, prevede anche l’ipotesi eccezionale, che consiste nell’avviare le procedure per la formazione di una variante urbanistica, conseguente all’approvazione del progetto, con decisione da assumere mediante l’indizione di una conferenza di servizi.
Questa ipotesi essendo eccezionale e di natura derogatoria alle procedure ordinarie non ammette applicazioni estensive o analogiche, richiedendo peraltro una adeguata motivazione.
Pertanto il ricorso a tale procedura è ammesso solo alle tassative condizioni previste dall’art. 5, comma 2, del D.P.R. n. 447/1998, che sono le seguenti- per come richiamate dalla circolare regionale 31.7.2001, n.16:
1) il progetto presentato deve essere conforme alle norme ambientali, sanitarie e di sicurezza del lavoro;
2) lo strumento urbanistico:
A. deve essere caratterizzato dalla mancanza di aree da destinare all’insediamento di impianti produttivi, con classificazione di zona idonea al tipo di richiesta presentata;
B. oppure le aree previste dal medesimo strumento urbanistico devono risultare insufficienti in relazione al progetto presentato;
3) della conferenza deve essere dato pubblico avviso in quanto ogni soggetto portatore di interessi pubblici, privati o diffusi, cui possa derivare pregiudizio dalla realizzazione dell’impianto, deve poter intervenire alla conferenza dei servizi presentando osservazioni che la conferenza è tenuta a valutare.
La sussistenza di tali presupposti deve essere verificata dal responsabile del procedimento antecedentemente alla convocazione della conferenza di servizi; inoltre la sussistenza di tutte queste condizioni deve altresì risultare dalla motivazione della convocazione della conferenza, in quanto è sulla base di tutti i requisiti di legge che il responsabile del procedimento potrà "motivatamente" procedere all’avvio della procedura di formazione della variante urbanistica prevista dell’art. 5 del DPR n. 447/98.
E’ opportuno anche precisare il significato dell’espressione aree "insufficienti rispetto al progetto presentato" contenuta nel comma 2, dell’art. 5, del D.P.R. n. 447/1998.
Si ritiene che, con l’espressione anzidetta, il regolamento statale intenda riferirsi alle situazioni in cui non sia possibile per un’impresa insediarsi in un determinato Comune perché mancano del tutto aree a destinazione produttiva, o perchè queste non consentono quel determinato tipo di insediamento a causa della insufficiente dimensione, o comunque per la presenza di parametri, limitazioni, indici che producono un effetto impeditivo di carattere equivalente; vi è infine insufficienza di aree anche nelle ipotesi in cui le aree a destinazione produttiva siano inidonee da un punto di vista qualitativo (es. attività che richiedono particolari infrastrutture; rimessaggio di cantieri navali che richiedono il facile accesso al mare; la necessità, per il tipo di attività, della vicinanza di strutture ferroviarie ecc.).
Appare evidente che per aree "disponibili", dal punto di vista urbanistico, ci si debba riferire alla disponibilità effettiva; rientrano quindi in tale nozione anche le aree contenute in piani attuativi approvati e realizzati solo parzialmente.
La verifica circa la sussistenza del requisito della insufficienza delle aree non è necessaria nei soli casi di interventi consistenti nell’ampliamento, nella cessazione/riattivazione o nella ristrutturazione dell’attività produttiva.
Occorre anche precisare che nelle ipotesi di riconversione deve essere adottata una maggiore cautela se il cambio di attività produttiva comporta anche una radicale modifica rispetto alle attività produttive preesistenti nell’area, determinando cambiamenti che possono avere rilevanti ripercussioni sul contesto urbanistico esistente.
In tali casi si rende necessaria una attenta valutazione sull’impatto che tale attività può determinare sul territorio prima dell’indizione della conferenza di servizi per la formazione della variante urbanistica.
Inoltre, poiché il regolamento sullo sportello unico trova la propria "ratio" nell’esigenza di semplificare e accelerare i procedimenti amministrativi relativi alle attività produttive, e a tale scopo introduce procedure speciali che derogano alle procedure ordinarie, è evidente che l’impatto urbanistico consentito dall’approvazione di varianti conseguenti alla presentazione di progetti deve essere circoscritto al solo intervento da realizzare e alla sola durata dello stesso.
Conseguentemente si determina una nuova zonizzazione oltre che nell’ipotesi in cui sia approvata una variante ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. n. 447/98, nella sola ipotesi di intervento consistente nella realizzazione di un nuovo impianto (intervento indicato al punto 1.2) che determina una "zonizzazione" del territorio diversa dalla preesistente limitatamente all’area interessata. Mentre negli altri casi (ristrutturazione di cui al punto 1.3; ampliamento di cui al punto 1.4; cessazione/riattivazione di cui al punto 1.5; riconversione di cui al punto 1.6; opere interne di cui al punto 1.7) non si determina alcuna nuova zonizzazione, ma si ha variazione del piano regolatore generale nella misura minima necessaria a consentire l’attuazione dell’intervento medesimo.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che “Ai fini dell’applicabilità dell’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 (il quale ha la finalità di favorire gli insediamenti produttivi, consentendo l’adozione di varianti allo strumento urbanistico dopo aver accertato che, all’interno del territorio comunale, non esistono altre aree idonee e compatibili con il progetto proposto) è irrilevante che sia stato avviato il procedimento di adozione della variante relativo alle zone PIP, con cui sarebbero state individuate zone di tipo misto, ove non sia stato dimostrato che, a seguito della conclusione del procedimento di variante, si creino delle zone idonee per l’insediamento richiesto (nella specie si trattava della realizzazione di un centro commerciale).
Costituisce inoltre onere del richiedente provare l’inesistenza e la insufficienza di aree libere e disponibili nel territorio comunale, e la variazione dello strumento urbanistico proposta in applicazione dell’art. 5 non deve corrispondere a sopravvenute esigenze generali di carattere urbanistico, bensì a particolari esigenze di realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi, anche laddove la variante riguardi una sola area per un singolo impianto, così come è irrilevante l’esistenza nella zona di impianti preesistenti, dello stesso genere o di genere diverso.”(Tar Puglia, sez. Lecce, sez. I, n. 1601/05) ( cfr. Sent. 329/07 della Sezione).
7.1 Dunque essendo l’intervento finalizzato alla riattivazione di attività produttiva esistente, ed essendo a tale stregua ormai qualificata quella alberghiera, a prescindere dall’applicazione della normativa regionale, anche ai sensi del DPR n.447/98 la procedura in deroga era esperibile.
8. La terza censura si appunta, come le due successive, sulla legittimità delle rilasciate concessioni demaniali.
8.1 Sostiene la ricorrente come avendo la Provincia espresso parere negativo per difetto di legittimazione del richiedente, non avendo la titolarità dell’intero compendio interessato, il Comune avrebbe illegittimamente rilasciato le richieste concessioni demaniali trasformandole da presupposto in conseguenza, sicchè delle due l’una: o la procedura di variante precede la concessione, allora la stessa non può essere rilasciata in quanto difforme dall’assetto urbanistico vigente, o la segue, allora non può avviarsi senza una valida concessione demaniale: come si afferma in ricorso a pag. 23 “le concessioni vengono rilasciate in quanto compatibili con una variante che all’epoca non era neanche adottata”.
8.2 Sul punto la difesa del Comune oppone che vi sia intima connessione fra i due procedimenti, posto che le concessioni sarebbero espressamente subordinate all’esito della procedura dello sportello unico in variante, asserzione contestata dalla ricorrente (cfr. pag.54 della memoria conclusiva).
9. E invece è proprio l’espresso più volte ricordato collegamento a radicare la dedotta illegittimità.
9.1 “Le due concessioni demaniali sono state rilasciate all’interno del procedimento di sportello unico , richiamano espressamente tale procedura ed erano e sono chiaramente condizionate all’esito favorevole della stessa” si legge a pag.13 della memoria della controinteressata;
“la ditta Park Hotel è tenuta a osservare …il contenuto delle concessioni demaniali…con l’avvertimento che l’Autorità comunale si riserva di revocare, in tutto o in parte, uno o entrambi i titoli concessori… nel caso in cui la Variante urbanistica insita nel procedimento di Sportello Unico non venisse definitivamente approvata e dunque, non fossero sussistenti i presupposti di fatto che sono stati essenziali nel rilascio delle concessioni stesse” si legge al punto 3) lett. c) dell’Allegato A alla convenzione 20.3.2008;
la concessione demaniale espressamente prevede l’obbligo di conformazione del concessionario agli esiti della conferenza di servizio decisoria.
9.2 Orbene la ricorrente sostiene la contrarietà delle concessioni all’atto di indirizzo di cui alla delibera comunale n.39 del 2005, laddove afferma che non possono essere rilasciate nuove concessioni su aree demaniali marittime, ma fino all’approvazione del nuovo piano particolareggiato, redatto ai sensi dell’allegato S/1 della legge regionale n. 33/02 – TU delle leggi regionali in materia di turismo –possono essere concesse:
sub lett.a): le aree… la cui demanialità è stata accertata con sentenza della Corte d’Appello di Venezia n.1692/97;
e sub lett. b) “ampliamenti in zone già concesse e oggetto di rinuncia”.
9.3 Oppone l’amministrazione l’inapplicabilità, in parte qua, del predetto atto di indirizzo in ragione della “specialità che connota il procedimento stesso, dato che lo Sportello Unico … consente la variazione della strumentazione urbanistica generale ed attuativa in relazione al nuovo assetto dei luoghi , per cui le finalità di attesa della definitiva approvazione del nuovo P.P. Arenile.. non hanno ragione di sussistere;” inoltre la concessione prot. 26719 ha per oggetto proprio una delle aree… la cui demanialità è stata accertata con sentenza della Corte d’Appello di Venezia n.1692/97, mentre la concessione prot.26720 ha riguardo a un’area contigua, ed è in ampliamento alla concessione rilasciata e relativa alla stessa variante, posto che sono consentite a mente del predetto atto di indirizzo “le concessioni in ampliamento a quelle rilasciate o rilasciabili.”
9.4 Osserva il Collegio come il Comune dunque da un lato postuli l’inapplicabilità dell’atto di indirizzo, che costituirebbe un autolimite al rilascio di nuove concessioni, dall’altro ne deduca comunque il rispetto, nell’effettuato rilascio, rientrando l’una nelle aree consentite, l’altra in area contigua e ammettendosi l’ampliamento.
Ma la previsione della variante in deroga ha contenuto e connotazioni eccezionali, e la conformità alle disposizioni del Piano degli Arenili è comunque richiesta dal predetto atto di indirizzo, laddove si legge “ ferma la conformità alle disposizioni del Piano Particolareggiato dell’Arenile vigente e quello adottato”; in ogni caso, se anche la concessione n. 26719 possa definirsi legittima perché relativa ad area contemplata, non lo può la concessione prot 26720, posto che la contiguità dell’area non può essere qualificata come ampliamento ammissibile solo in caso di concessioni esistenti o rinunciate, mentre la locuzione rilasciate o rilasciabili contenuta nella concessione è del tutto nuova ed estranea all’atto di indirizzo.
9.5 Tuttavia, quanto fin qui esposto, comportante l’illegittimità della sola concessione da ultimo menzionata, deve esser integrato con una più radicale censura, contenuta nel ricorso, relativa all’inversione procedimentale che si è avuta e di cui la Provincia di Venezia ha subito fatto cenno.
Difatti la concessione demaniale può essere richiesta da chi ne abbia i requisiti, e la ditta controinteressata ben poteva farlo; ma la procedura di variante doveva essere avviata dal legittimato attivo, e come tale poteva definirsi solo il proprietario o concessionario, il quale lo diviene tuttavia con il rilascio delle concessioni n.3 e 4 /2007, a procedura di variante già avviata.
E proprio l’aver collegato così intimamente le due procedure rende evidente l’illegittimità.
10. Il ricorso dunque per tale assorbente ragione deve essere accolto, con annullamento degli atti consequenziali impugnati con i motivi aggiunti.
10.1 Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti costituite.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio del 10 luglio 2008.
Il Presidente L’Estensore
Il Segretario
.
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Seconda Sezione