Cass. Sez. III n.26579 del 24 settembre 2020 (UP 13 lug 2020)
Pres.Ramacci Est. Socci Ric. Di Marino
Ambiente in genere.Reato di cui all'art.727-bis codice penale

Sull'ambito di applicazione dell'art. 727-bis c.p., introdotto dall’articolo 1 del d. lgs. 7 luglio 2011, n. 121 al fine di adempiere agli obblighi imposti a livello europeo in materia di tutela penale dell’ambiente (specie animali o vegetali selvatiche protette intese come quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE)


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli con sentenza del 27 giugno 2019 ha condannato Ivan Di Marino alla pena di € 3.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 727 bis, cod. pen. – capo A, reato accertato il 24 marzo 2016 -; il Tribunale, invece, assolveva l’imputato dal reato contestato sub B) dell’imputazione per non aver commesso il fatto (accecamento degli uccelli detenuti dall’imputato, art. 544 ter cod. pen.).
2. L’imputato ha proposto ricorso in cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. 1. Violazione di legge, (art. 192 e 530, comma 2, cod. proc. pen.; art. 62 bis e 133 cod. pen.; art. 727 bis cod. pen.). Vizio della motivazione sull’affermazione della responsabilità penale.
Il Tribunale non effettua un’analisi accurata di tutto il materiale probatorio del giudizio. La decisione è carente della motivazione sull’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 727 bis cod. pen.
La detenzione di soli 5 esemplari di uccelli appartenenti a specie protetta risulta di impatto trascurabile, sulla conservazione della specie, in relazione alla presenza di milioni di esemplari.
2. 2. La sentenza contiene una motivazione illogica relativamente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, richiamando un unico precedente penale del ricorrente (peraltro, risalente nel tempo) e la sua condotta processuale. In nessun modo la condotta tenuta dall’imputato in sede di esame può costituire comportamento valutabile per il diniego delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen.
Ha chiesto, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato.
Anzitutto, si impongono in questa sede alcune considerazioni preliminari in merito alla fattispecie di cui all’articolo 727 bis cod. pen.
La norma è stata introdotta dal legislatore nazionale tramite l’articolo 1 del d. lgs. 7 luglio 2011, n. 121. L’intervento normativo ha avuto come fine quello di adempiere agli obblighi imposti a livello europeo in materia di tutela penale dell’ambiente. La disposizione persegue infatti il fine di tutelare le specie animali o vegetali selvatiche protette. Per esse si intendono quelle indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE (articolo 1, comma 2, d. lgs. 121/2011).
La fattispecie incriminatrice sanziona la condotta di colui che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato” e “fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta”, punendolo “con l'arresto da uno a sei mesi o con l'ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”. Al secondo comma, viene invece sanzionata la condotta di “chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta”, punendolo “con l'ammenda fino a 4. 000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”.
Nel caso che ci occupa, al ricorrente viene contestata la detenzione di animali appartenenti a specie protetta, quindi appare opportuno procedere all’analisi del solo primo comma della suddetta norma.
Come autorevole dottrina non ha mancato di sottolineare, in virtù della sua formulazione (composta da locuzioni alquanto generiche) e delle clausole in essa contenute, la disposizione finisce per avere un campo di applicazione piuttosto limitato.
3.1. In primo luogo, la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” fa sì che, in caso di interferenza con fattispecie che prevedono sanzioni più severe, prevalgano queste ultime. A tal proposito, si pensi al delitto di cui all’articolo 544 bis cod. pen., il quale punisce l’uccisione di animali con la reclusione da quattro mesi a due anni. Tale disposizione si riferisce genericamente alla categoria degli animali, così che, anche laddove fosse ucciso un animale appartenente a specie protetta, troverebbe applicazione questa norma e non l’articolo 727 bis cod. pen. (fermi i requisiti della crudeltà e dell’assenza di necessità richiesti dall’articolo 544 bis cod. pen.).
Non solo, la disposizione in esame presenta spazi di sovrapposizione anche con alcune fattispecie venatorie contemplate dalla legge n. 157/1992 (c.d. “legge sulla caccia”). Si pensi alle disposizioni di cui all’articolo 30, co. 1 lett. b), c) ed l) di tale legge, volte ad incriminare l’abbattimento, la detenzione, la cattura di mammiferi o uccelli protetti, o di particolari animali, così come il loro commercio o la loro detenzione a fine di commercio.
Per di più, il disposto dell’articolo 727 bis cod. pen. potrebbe interferire anche con la legge n. 150/1992 sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione.
Ne consegue che, in virtù della già citata clausola di riserva, ove una stessa specie rientri sia nell’ambito di tutela offertogli dalla norma in esame che in quello apprestatogli dalle leggi appena menzionate, saranno queste ultime a trovare applicazione in quanto più severamente sanzionate.
L’articolo 727 bis cod. pen. sembra dunque trovare applicazione limitata.
3. 2. In secondo luogo, l’ambito di applicazione della fattispecie de qua è ulteriormente ridotto dall’inciso “fuori dai casi consentiti”. Esso configura una clausola di illiceità espressa volta ad escludere l’applicabilità della norma in tutti quei casi in cui, in virtù di certe norme o provvedimenti, l’uccisione, la cattura o la detenzione di animali selvatici protetti sia legittimata o addirittura imposta. Ciò potrebbe verificarsi in presenza di talune ragioni di salute pubblica, di pubblica incolumità o di carattere scientifico.
3. 3. In terzo ed ultimo luogo, a delimitare ancor di più l’ambito applicativo dell’articolo 727 bis cod. pen., concorre la c.d. clausola di esiguità, la quale esclude la rilevanza penale della condotta tenuta dall’agente nei casi in cui “l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”. Tali ipotesi si caratterizzano per una scarsa offensività rispetto alla quantità di esemplari sacrificati e al relativo impatto sullo stato di conservazione della specie, tanto da non giustificare la comminazione della sanzione penale.
È appena il caso di sottolineare che, ai fini dell’esclusione dell’offensività del fatto, i due requisiti negativi devono sussistere contestualmente, così come esplicitato dalla congiunzione “e”, dalla quale sono collegati. Volendo esemplificare, la norma in esame potrebbe trovare applicazione anche nel caso dell’uccisione, cattura o detenzione di un unico e solo animale, laddove tale specie si componga di un limitatissimo numero di esemplari. Se, al contrario, la specie protetta che viene in rilievo conta milioni di elementi, la fattispecie incriminatrice potrà dirsi integrata solo in presenza dell’uccisione, cattura o detenzione, di una cospicua quantità di animali.
È chiaro dunque che la linea sottile tra offensività o meno del fatto sia tracciata da due dati: la quantità degli animali che compongo la specie protetta e la quantità di animali uccisi, catturati o detenuti. La rilevanza penale della condotta dell’agente va valutata sulla base della quantità di esemplari di cui la specie si popola. Nel caso in cui l’azione riguardi un numero di esemplari tale da determinare un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie potrà essere esclusa l’applicazione della norma. Diversamente, nel caso in cui l’azione sia rivolta ad una quantità di elementi tale da determinare un impatto non trascurabile sullo stato di conservazione della specie, l’agente sarà chiamato a rispondere del reato di cui all’articolo 727 bis.
Evidentemente, si tratta di valutazioni che il giudice deve svolgere caso per caso, avuto riguardo delle caratteristiche della condotta e della specie protetta che viene in rilievo.
3. 4. Ora, venendo al caso concreto qui in esame, il Tribunale di Napoli ha palesemente omesso di procedere a tali valutazioni o comunque di darne conto nella decisione impugnata.
In primo luogo, il giudice di merito doveva accertare l’appartenenza dei fringillidi detenuti dal Di Marino ad una delle specie indicate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CE e nell’allegato I della direttiva 2009/147/CE, in quanto solo queste sono le specie selvatiche che si considerano protette ai fini dell’applicazione dell’articolo 727 bis cod. pen. Nella sentenza impugnata non si rinviene alcun cenno sul punto, che è tuttavia di fondamentale importanza, in quanto l’impossibilità di annoverare un certo esemplare nel catalogo delle specie protette esclude a priori la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’articolo 727 bis cod. pen. In merito a questo aspetto, il Tribunale di Napoli si limita a richiamare quanto affermato dal teste De Luca. Come si legge nella decisione in esame, quest’ultimo, essendo in servizio presso il centro recupero animali selvatici di Napoli (ASL Napoli 1 centro), aveva partecipato alla perquisizione avvenuta presso l’abitazione dell’odierno ricorrente e aveva riferito, tra le altre cose, che i cinque cardellini rinvenuti in tale luogo “erano una specie protetta ai sensi della legge 157 del 1992 mentre l’incardellato, essendo un ibrido, ne era vietata la vendita a meno che non vi era autorizzazione prevista dalla legge regionale”. Il giudice di prime cure si è quindi totalmente rimesso a quanto sostenuto dal teste senza motivare adeguatamente in merito all’appartenenza dei cinque cardellini ad una delle specie selvatiche tutelate dalla disposizione de qua.
4. In secondo luogo, il Tribunale di Napoli ha altresì omesso di motivare in merito alla menzionata clausola di esiguità contemplata dalla norma. Infatti, la decisione impugnata tace qualsiasi considerazione circa la trascurabilità (o meno) della quantità di esemplari coinvolti dall’azione e la conseguente trascurabilità (o meno) dell’impatto sullo stato di conservazione della specie. Nonostante entrambe le condizioni siano necessarie ai fini di accertare od escludere la rilevanza penale della condotta, il giudice di merito non si è curato di motivare sulla loro presenza oppure sulla loro assenza. A ben vedere, si tratta di una lacuna assai grave, dato che l’imputato è stato condannato per il reato di cui all’articolo 727 bis senza valutare e motivare adeguatamente l’integrazione di tutti i requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice. Al contrario, nel voler affermare la responsabilità del Di Marino, nella propria decisione il giudice di primo grado avrebbe dovuto accertare e motivare come la detenzione di 5 cardellini, alla luce della quantità di cui si compone tale specie di fringillidi, abbia determinato un impatto non trascurabile sullo stato di conservazione della specie.
Il Tribunale, quindi, avrebbe dovuto dare conto in motivazione dell’appartenenza dei 5 cardellini detenuti dal ricorrente ad una delle specie selvatiche tutelate dalla fattispecie incriminatrice e della non trascurabile quantità di esemplari coinvolti e del conseguente non trascurabile impatto sullo stato di conservazione della specie.
Considerazioni queste del tutto mancanti nella decisione impugnata, nonostante costituiscano l’elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice.
5. Infine, non ci si può esimere dal rilevare che la sentenza in esame sembra concentrarsi principalmente sullo stato in cui erano detenuti gli animali. Infatti, in essa viene più volte affermato che, come confermato dai testi del PM, tutti i fringillidi erano detenuti in gabbia dal Di Marino, rinchiusi al buio all’interno di un armadio. Tale modalità di detenzione, seppur irrilevante ai fini della fattispecie contestata al Di Marino, potrebbe invece integrare il reato di cui all’articolo 727, comma 2, cod. pen. Come noto, esso punisce “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. A ben vedere, la sistemazione degli uccelli in gabbie, al chiuso, e senza fonti di luce, certamente non è la soluzione più adatta alle loro esigenze e alla loro natura (“Il reato di cui all'art. 727 cod. pen. è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare loro gravi sofferenze.  - Fattispecie in cui è stato ritenuto il maltrattamento di animali nella condotta di trasporto di bovini stipati in un furgone di piccole dimensioni e privo d'aria, tanto che due di essi erano svenuti –“ Sez. 5, n. 15471 del 19/01/2018 - dep. 06/04/2018, P.G. in proc. Galati e altro, Rv. 27285101).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli in diversa persona fisica.
Così deciso il 13/07/2020