La recente ratifica italiana della convenzione di Århus “ sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale ”   di Annalisa Palomba VERIFICA GIURIDICA DELLE DENUNCE AMBIENTALI

 

 

SOMMARIO: 1. La recente ratifica in Italia con la Legge 16 marzo 2001, n. 108 della Convenzione di Aarhus. 2. Breve excursus cronologico sulle Conferenze che hanno preceduto la Convenzione di Aarhus. 3. I dieci più importanti argomenti di discussione nell’Agenda della Conferenza del 23-25 giugno 1998. 4. Le linee guida della Convenzione. 5. Le disposizioni della Convenzione. 6. Segue: un particolare approfondimento dell’art. 9. 7. La conferenza Paneuropea di Moldovia del 1999 e future prospettive.

 

 

 

1.La recente  ratifica in Italia con la Legge 16 marzo 2001, n. 108 della Convenzione di Aarhus.

 

Con la Legge 108 del 2001 è stata ratificata in Italia la Convenzione [A1] di Århus[1].

Nelle disposizioni finali della Convenzione si ivitavano gli Stati aderenti, in sede di ratifica, alla previsione di idonei strumenti preventivi del conflitto tra accesso e riservatezza/segretezza in un equo bilanciamento degli interessi.[2] In particolare, gli Stati contraenti dovranno assicurare che le autorità responsabili  possiedano le informazioni, che le informazioni siano aggiornate ed affidabili e che le rendano disponibili in termini agevoli (artt. 5 e 7). Inoltre, gli stessi dovranno rendere effettivo il requisito della immediatezza nella “disseminazione” delle informazioni e garantire una rete automatizzata di informazioni o pubblici registri in grado di soddisfare le autorità pubbliche e le organizzazioni di cittadini in tempo reale[3].

Negli ordinamenti nazionali dovranno essere meglio specificati, in aggiunta a quanto previsto nella Convenzione (art. 6): i) le proposte di attività e decisioni che si riterrà opportuno intraprendere per l’attuazione delle linee guida; ii) la pubblica autorità responsabile alla determinazione; iii) le fasi procedurali e le opportunità di accesso al pubblico; iv) la selezione delle informazioni che si ritengono rilevanti per la collettività e che dunque debbono essere depositate per la visione collettiva; v) l’autorità cui possono essere formulate richieste e presentate osservazioni o memorie.

Per comprendere il valore di tale ratifica, pare opportuno tornare indietro e segnalare i fattori chiave che hanno caratterizzato la Convenzione in Commento.

 

 

2.  Breve excursus cronologico sulle Conferenze che hanno preceduto la stipula della Convenzione di Aarhus.

 

Il direttore esecutivo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite Dr. Klaus Topfer, in collaborazione con il Ministero Danese per l’Ambiente ed Energia, hanno reso possibile l’incontro dal titolo “Facilitating Public Access to Environmental Information in Europe and CIS Region” tenutosi nei giorni  dal 23 al 25 giugno 1998, in Aarhus (Danimarca), incontro particolarmente fruttuoso, dal quale è scaturito il testo della Convenzione qui in esame.

All’incontro hanno partecipato 37 specialisti sull’informazione ambientale, di 30 paesi, convogliati dall’UNEP, nell’ambito della più ampia implementazione, oltre che in termini d’efficacia, anche geograficamente parlando, della conferenza ministeriale sul quarto programma ambientale dell’Unione Europea.[4]

Aprendo i lavori, il Dr. Klaus Töpfer ha indirizzato l’attenzione degli esperti invitati sul tema focale dell’incontro: “We must deliver timely, reliable, targeted and relevant information to policy-makers and the public so as to activate and stimulate  the creative energies and support of the broad range of civil society”.[5]

L’informazione ambientale è, a detta del Direttore Esecutivo dell’Unep, un’area chiave e cruciale nel prezioso compito di rafforzare i punti di contatto tra scienza,  economia e politica, in guisa da promuovere uno sviluppo sostenibile in termini globali e contribuire alla conservazione dell’ambiente.[6]

Altri importanti risultati erano stati raggiunti  in passato con specifico riferimento alla politica ambientale dell’Unione Europea grazie:

a)                  al programma di azione ambientale per l’Europa Centrale ed Orientale (EAP). Oggetto del programma era quello di sviluppare l’attuazione, a livello nazionale, degli obiettivi individuati in sede europea, identificare i più rilevanti problemi ambientali, fissare una scala di priorità, proporre un più efficiente coordinamento tra politica ed ambiente nella pianificazione ambientale. Il programma è stato diretto da una “Task Force” che conta un certo numero di rappresentanti dei paesi coinvolti. Il programma è stato quindi presentato ed adottato in occasione della Conferenza di Lugano del 1993;

b)                  al PPC (Project Preparation Committee), un progetto che si proponeva di incrementare  il livello di assistenza ambientale anche nell’est europeo. Il termine assistenza era stato inteso nel suo significato di carattere meramente monetario, includendo perciò programmi di finanziamento che avrebbero coinvolto la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, la Banca mondiale e la Banca Nordica per gli investimenti. Il PPC è anch’esso confluito nei lavori della Conferenza di Lugano del 1993;

c)                  alla strategia Paneuropea per la biodiversità biologica e del paesaggio. La strategia mirava a promuovere l’adozione, anche sul fronte internazionale, dei canoni  di preservazione delle specie selvatiche individuati alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992.[7] In particolare, la strategia sperava, con un programma di sensibilizzazione, di evitare che i processi di ristrutturazione ed industrializzazione nei paesi dell’est europeo costituissero l’occasione per ripetere gli errori commessi nell’Europa occidentale. Non a caso nei paesi dell’est europeo si avverte una maggiore  estensione di  riserve naturali e presenza di aree protette. La strategia Paneuropea è stata, infine, adottata a Sofia nel 1995. 

 

 

3. I dieci più importanti argomenti di discussione nell’agenda della Conferenza del 23-25 giugno 1998          

 

Lo sviluppo industriale dei paesi occidentali evidenzia, da alcuni anni, episodi di inquinamento ambientale che, per la loro gravità e diffusione, non sfuggono più all’attenzione dei mass-media e quindi dell’opinione pubblica. [8]

Il recente e più realistico convincimento che episodi di disastro ambientale possano ripetersi con maggiore frequenza, mentre si sta innescando una nuova cultura dello sviluppo, attraverso spinte provenienti dalla collettività interessate, sollecita i  c.d. policy makers ad affrontare il contestuale problema dell’informazione collettiva sul danno ambientale.     

L’Agenda della conferenza tenutasi ad Aarhus comprende, tuttavia, argomenti di più ampio spettro  che, secondo gli organizzatori, ruotano attorno al perno del raggiungimento di un migliore sviluppo sostenibile.

I c.d. ten major items possono così essere sintetizzati:[9]

1.                  La Convenzione si preoccupa di prevedere un numero di diritti minimi ed indefettibili per i cittadini, quali l’accesso alle informazioni ambientali, la partecipazione per mezzo di osservazioni e memorie scritte ai processi decisionali, specie riguardo alle attività industriali con margini più elevati di impatto ambientale. La convenzione codifica l’accesso alla giustizia anche in relazione alle decisioni intraprese dalle forze politiche. Una volta adottata, la Convenzione permetterà ai c.d. grassroot movements[10] di influenzare in molti Stati dell’Europa centrale ed orientale i processi decisionali a livelli sino a poco tempo fa  riservati  solo ai pochi.

2.                  Ai redattori della Convenzione sta a cuore, in particolare, armonizzare le politiche ambientali dell’est ed ovest europeo. In effetti, lo  studio comparato alla base dei lavori della Conferenza, redatto dalla Agenzia Europea dell’Ambiente,  rivela che, seppure siano stati fatti dei progressi  in linea generale per  rafforzare la stabilità politica democratica degli Stati Membri, molto lontani e modesti sono gli sforzi per raggiungere altrettanti  traguardi sul fronte ambientale. Nonostante, come abbiamo già visto, negli Stati dell’Europa orientale permangono un numero maggiore di aree allo stato naturale, anche in questi Stati si iniziano a far sentire i problemi dei rifiuti, dell’inquinamento delle acque e del traffico veicolare.

3.                  Durante la Conferenza non è stato sottaciuto un importante rinvio ai due protocolli internazionali sulla riduzione delle emissioni da metalli pesanti (piombo, cadmio e mercurio) e POP (inquinanti organici persistenti, es. DDT) negoziati nel 1990 e formalmente allegati alla Convenzione ECE (sull’inquinamento atmosferico trasfrontaliero).

4.                  Tra gli altri principi posti a fondamento della Convenzione di Aarhus,  pare opportuno evidenziarne uno: l’armonizzazione delle politiche ambientali deve tenere conto delle riforme di natura economica, quali l’entrata in vigore del sistema di moneta unica europea, da un lato, e i problemi di natura finanziaria che i NIS countries (i neo-Stati originati dalla disgretazaione dell’ex URSS) stanno affrontando, dall’altro.[11]

5.                  Sotto un profilo preventivo, la Convenzione costituisce  il trampolino di lancio per l’introduzione di tasse ambientali[12]  e l’inasprimento di sanzioni per la violazione di leggi ambientali.

6.                  I movimenti ambientalisti prendono il volo.  Il diritto umano all’ambiente, anche grazie al contributo di Mary Robinson, neo presidente irlandese ed oggi alta commissaria dei diritti dell’uomo nelle Nazioni Unite, ha finalmente trovato un “biglietto di prima classe”, sia per un accesso collettivo alle informazioni ambientali garantito indistintamente al pubblico, sia per un’attiva partecipazione al processo decisionale.

7.                  Il tentativo di incrementare il consumo di benzina senza piombo (c.d. unleaded petrol)  è oggi contenuto in una delle fasi strategiche di implementazione della Convenzione di Aarhus che, secondo gli studi di supporto alla Conferenza Aarhus-Nairobi,  dovrebbe realizzarsi nel termine ottimisticamente prefissato del 2005.[13]

8.                  La Conferenza si premura di rinviare alle raccomandazioni più di recente  adottate nel Protocollo adottato a Kyoto.  La raccomandazione per un uso parsimonioso delle energie non rinnovabili e lo sfruttamento di energie alternative rappresenta il cavallo di battaglia  per il gruppo di lavoro  che si è preoccupato di stilare il protocollo sull’emergente capitolo dell’energia rinnovabile. Due sono le direzioni che bisogna percorrere ridurre le emissioni che contribuiscono a causare l’effetto serra e sponsorizzare il rinnovamento tecnologico verso uno sfruttamento dell’energia con risultati più efficienti  e razionali.

9.                  Dalla conferenza di Sofia sulla strategia paneuropea per la tutela delle biodiversità il maggior problema emerso è stato  quello di ricercare fondi per finanziare iniziative, soprattutto nella politica agricola, sia nell’est che nell’ovest dell’Europa, che garantiscano uno sviluppo sostenibile.

10.              La maggior parte dell’inquinamento è indotta dalle industrie,   soprattutto a causa delle tecnologie obsolete che utilizzano nei processi produttivi. Le imprese private dovrebbero essere invogliate a modernizzare le proprie aziende con politiche vantaggiose per le green enterprises.       

      

Questi, dunque, sono i temi maggiormente discussi  durante l’incontro paneuropeo di Aarhus, quasi a dimostrare che l’informazione ambientale può costituire uno strumento a portata d’uomo per una più consapevole ed  eco-compatibile gestione dell’ambiente ad ogni livello del processo decisionale.               

 

 

4. I principi chiave della Convenzione di Aarhus.

 

La Conferenza di Aarhus è la più grande conferenza in materia ambientale che sia mai stata indetta, dato che sono stati invitati a partecipare 54  Ministri dell’Ambiente, con oltre 8000 invitati, tra i quali i maggiori esperti di 30 Stati in informazioni ambientali.[14]

Finalmente il diritto all’accesso alle informazioni ambientali è stato  consacrato come un diritto inviolabile per i cittadini europei.  La conferenza per l’ambiente in Europa è un foro internazionale che ha permesso anche a Ministri quali quelli dell’Azerbaijan e dell’Uzbekistan di incontrarsi con gli Stati dell’Unione Europea e degli Stati Uniti per prendere comuni decisioni nell’ambito del processo di sviluppo e di politica ambientale, con riflessi sotto molteplici profili, tra i quali, la tutela della biodiversità, i nuovi protocolli sull’inquinamento dell’aria, i finanziamenti ambientali, i grassroots moviments.

Il principale obiettivo della Conferenza era quello di creare un forum cooperativo per la ristorazione della situazione ambientale nell’est europeo e negli Stati dell’ex URRS oggi in formazione, pari passo ai progressi di riforma economica.

Un altro obiettivo, non in ordine di importanza, era quello di assicurare l’impeto di una rinnovata politica ambientale nel centro ed est Europa, al fine di focalizzare il mirino sull’integrazione Europea.

In questo processo gioca un ruolo determinante  il c.d. UNEP’S INFOTERRA network, un nuovo soggetto giuridico  sul versante internazionale  che merita un trattamento alla pari rispetto alla stessa  EEA (Agenzia Europea dell’Ambiente).

La bozza della convenzione, già al suo primo stadio di redazione, non pretendeva di delineare un assetto omnicomprensivo delle problematiche ambientali, ma si è sviluppata sulla previsione di linee guida  così raggruppate :[15]

·        Strategie nazionali per  attuare le linee guida:[16]

Gli stati membri sono incoraggiati a sviluppare, attraverso un processo consultivo oltre confine, strategie per attuare le linee guida e promuovere un monitoraggio continuativo della stessa attuazione. Già la disseminazione del testo della convenzione e dei relativi press releases in copie trilingue (francese, inglese, russo) hanno permesso di supportare la preparazione degli stati all’adozione di piani e strutture amministrative in grado affacciarsi in misura meno diffidente e più consapevole alla convenzione. Una tavola rotonda tra gli Stati che consenta di fornire una visibile e concreta affidabilità delle  linee guida programmate di comune accordo è ciò che si deve immaginare.

Il retroscena ai lavori della Convenzione si è così mostrato ai partecipanti.

In alcuni Stati venivano intraprese un certo numero di azioni governative, azioni non pienamente compatibili con i codici di condotta stilati durante la Conferenza di Aarhus, ma tollerate in quanto giustificate da un più generale processo di democratizzazione che investiva il proprio ordinamento e ne concentrava gli sforzi: è il caso della Repubblica  di Yugoslavia e degli ex Stati dell’Unione Sovietica in formazione, così come della Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Albania e Latvia.

In altri Stati, le linee guida hanno costituito il banco di prova per importanti provvedimenti legislativi, quali la Repubblica di Moldovia, la Romania e l’Armenia che sono state promotrici, nel forum ecologico, di istanze di associazionismo pubblico in materia ambientale.

·        Creazione di un quadro istituzionale e di regolamentazione comune.[17] Accesso alle informazioni ambientali; partecipazione del pubblico; procedimenti amministrativi e giurisdizionali.

Gli stati che hanno sottoscritto la Convenzione dovrebbero disegnare un modulo procedurale  per ogni livello (nazionale, regionale, locale) che consenta di identificare i soggetti che  hanno il diritto di accedere alle informazioni e partecipare  alle determinazioni di maggior rilievo in materia ambientale. Generalmente il diritto all’informazione è insito nelle carte fondamentali (Costituzioni) o altre volte in leggi o provvedimenti legislativi degli Stati partecipanti.  Bosnia, Herzegovina e Croatia sono le eccezioni che si allontanano da questo modello, dimostrando così le strette implicazioni fra politica e diritto. Quattro paesi dispongono di leggi generali sull’accesso alle informazioni.[18] Solo la Repubblica Ceca e la Slovacchia hanno  leggi specifiche sull’accesso alle informazioni ambientali. In assenza di leggi generali o speciali di tal genere non c’è via per garantire  l’accesso e la trasparenza delle informazioni ambientali.  Negli stati dell’Europa occidentale sono stati designati determinati corpi governativi od Authority con il compito di provvedere un assetto procedimentale su cui poi articolare il diritto di accesso.  In molti Stati, nonostante i “bodies” garanti del diritto all’accesso siano stati istituiti, spesso è alquanto complicato rispondere ai bisogni pubblici per la complessa conformazione  della forma di Stato (Austria, Germania, Spagna e Svizzera).  Solo in pochi Stati, infine, esistono pubbliche autorità in grado di  rispondere ai dubbi dei cittadini su come formulare le richieste ed a chi indirizzarle, oltre che essere obbligate a rispondere a petizioni  di carattere collettivo (Austria, Danimarca, Germania e Norvegia). In altri Stati, sono gli istanti che devono adoperarsi per ricercare l’organo con cui colloquiare.  In quasi tutti gli Stati partecipanti esistono agenzie in grado di fornire informazioni generali e di carattere ambientale a diversi gradi di servizio; solo in Bosnia ed Herzegovina non ci sono espliciti obblighi per autorità ed istituzioni pubbliche/private di disporre e fornire informazioni ambientali direttamente ai cittadini,  fatto salvo l’obbligo di presentare un report sulle tematiche ambientali alle assemblee federali. Alcuni Stati   enfatizzano l’uso di Banche Dati  nella distribuzione delle informazioni (Albania, Bulgaria, Romania, mentre altri ancora  forniscono le informazioni a vari livelli solo a determinati corpi (Federazione Russa), altri ancora organizzano addirittura meeting di consultazione (Ungheria).

Nella maggior parte degli Stati Occidentali  (eccetto  Germania e Svizzera) è prevista la figura di un Ombudsman o Autorità indipendente  che si faccia garante di un concreto diritto all’accesso alle informazioni ed alla partecipazione al processo decisionale, ma  in molti casi (Irlanda e Norvevia) questi organi non hanno  le competenze per trattare tutti i casi inerenti l’accesso alle informazioni o la partecipazione del pubblico. Oltre a ciò, la maggioranza degli Stati occidentali non prevede speciali training per la formazione dei pubblici funzionari in modo da garantire e facilitare l’accesso. Da ultimo, l’educazione ambientale ed il finanziamento di programmi conformemente alle linee guida della Convenzione sono diretti ad una maggiore sensibilizzazione collettiva.

 

 

5. Le disposizioni della Convenzione di Aarhus.

 

La convenzione di Aarhus si propone di contribuire alla protezione del diritto di ogni persona vivente,  in considerazione della successione intergenerazionale, ad un adeguato diritto alla salute ed al benessere, attraverso lo strumento dell’accesso alle informazioni del pubblico e della pubblica partecipazione nella presa delle decisioni.

L’art. 2 della Convenzione fornisce una serie di definizioni che per la più parte ricordano quelle evidenziate nella  precedente direttiva 90/313.[19]

Per “autorità pubbliche” si intendono, infatti, le amministrazioni pubbliche o non (che forniscono servizi pubblici), che abbiano responsabilità a livello nazionale, regionale o locale  e che siano in possesso di informazioni relative all’ambiente, tranne gli organismi che esercitano competenze  giudiziarie o legislative[20].

Sono altresì oggetto di informazione ambientale  “i piani, programmi, la politica, la legge, che influenzano o sono in grado anche potenzialmente di avere ripercussioni sugli elementi di cui al punto a) dell’art. 2, nonché il rapporto in termini costi-benefici analizzato in sede di processi decisionali afferenti l’ambiente”.[21]

 Le “informazioni relative all’ambiente”[22] sono costituite da qualsiasi  informazione disponibile in forma scritta, visiva, sonora  o contenuta nelle basi di dati in merito allo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, sugli organismi geneticamente modificati, le interazioni fra questi elementi. In aggiunta al quadro soggettivo delineato dalla Direttiva Europea 90/313[23], la Convenzione del 1998,  si insinuano nuovi protagonisti in materia di informazioni ambientali: i c.d.  public concerned, ossia “the public affected or likely to be affected by, or having  an interest in, the environemntal decision making; for the purpose of this definition, non –government organizations promoting environmental protection”  ed il c.d. public,   definito come “one or more natural  or legale person and, in accordance with national legislation and practise, their association, organization our group”.

Come era già stato consacrato nella direttiva 90/313 non è il richiedente delle informazioni ambientali che deve dimostrare l’interesse, ma è una delle autorità indicate all’art. 2 a dover motivare per iscritto  e in accordo con la casistica delle giustificazione da essa prevista il diniego all’accesso.[24]   L’informazione deve essere fornita nella forma richiesta a meno che  non sia disponibile solo tramite un’altra e  determinata forma (art. 4).

Sono solo due i casi in cui l’accesso è giustificatamente denegato:

-         the request is manifestly unreasonable or formulated in too general manner;

-         the request concerns materials in the course of completion or concerns internal communications of public authorities where such an exemption is provided  for in national or customary practice, taking into account the public interest served by disclousure.

Anche la Convenzione di Aarhus si preoccupa di bilanciare il diritto all’informazione e la riservatezza, ed in particolare sono obiettivamente considerate informazioni confidenziali quelle relative:

a)      alla riservatezza delle autorità pubbliche, le relazioni internazionali e la difesa nazionale;

b)      alla sicurezza pubblica;

c)      alle questioni che sono in discussione, sotto inchiesta (ivi comprese le inchieste disciplinari) o oggetto di un’azione investigativa preliminare o  che lo siano state;

d)      alla riservatezza commerciale ed industriale, ivi compresa  la proprietà intellettuale; [25]

e)      alla riservatezza di dati o schedari personali;

f)        al materiale fornito da terzi senza che questi  siano giuridicamente tenuti a fornirlo;

g)      al materiale che, se divulgato, potrebbe rendere più probabile un danno all’ambiente cui esso si riferisce.

Nel testo della Convenzione si auspica che gli Stati membri prevedano, in sede di ratifica, idonei strumenti preventivi di prevenzione del conflitto in un equo bilanciamento degli interessi. Secondo il principio di economicità dell’azione amministrativa, peraltro, si deve trattare di un servizio a carico dell’utente prestato tuttavia ad un prezzo ragionevole.[26]

Gli Stati contraenti debbono assicurare che le autorità responsabili  possiedano le informazioni, che le informazioni siano aggiornate ed affidabili e che le rendano disponibili in termini agevoli (artt. 5 e 7).

Più volte viene rimarcato il requisito della immediatezza[27] nella disseminazione delle informazioni.  Gli Stati devono, altresì, garantire una rete automatizzata di informazioni o pubblici registri in grado di soddisfare le autorità pubbliche e le organizzazioni di cittadini in tempo reale Le informazioni, in senso lato, includono reports degli Stati, testi legislativi, piani  e programmi di politica ambientale e tutte le informazioni sull’impegno nazionale alla c.d. implementation di direttive e convenzioni europee ed internazionali.

Negli ordinamenti nazionali dovranno essere meglio specificati, in aggiunta a quanto previsto nella Convenzione (art. 6):

i) le proposte di attività e decisioni che si riterrà opportuno intraprendere per l’attuazione delle linee guida;

ii) la pubblica autorità responsabile alla determinazione;

iii) le fasi procedurali e le opportunità di accesso al pubblico;

iv) la selezione delle informazioni che si ritengono rilevanti per la collettività e che dunque debbono essere depositate per la visione collettiva;

v) l’autorità cui possono essere formulate richieste e presentate osservazioni o memorie;

La regolazione del procedimento di accesso alle informazioni ambientali deve prevedere “reasonable time-frames”[28] per le differenti fasi, garantendo un periodo sufficiente affinché la pubblica possa partecipare in modo adeguato alla formazione delle decisioni integrandole con proprie determinazioni.

Le Commissioni degli Stati contraenti preposte all’attuazione della convenzione dovranno fornire relazioni di natura tecnica e non sulle modalità con le quali intenderanno rendere concreto il diritto all’accesso e perseguire gli altri punti chiave connessi (controllo delle emissioni  e riduzione degli effetti negativi sull’ambiente).

In particolare, per quanto concerne la partecipazione al processo decisionale, gli Stati membri (dato che la Convenzione vincola la Comunità Europea direttamente e quindi gli Stati che vi hanno preso parte e che vorranno sottoscriverla) prevederanno: a) la presentazione di osservazioni direttamente da parte del pubblico o attraverso comitati consultivi; b) la pubblicazione immediate di bozze di progetti suscettibili di integrazioni da parte del pubblico; c) una tempistica che consenta al pubblico di partecipare concretamente.

Le parti dovranno, insomma, predisporre un piano di regolamentazione chiaro e sufficientemente completo, in modo da  rendere il pubblico edotto delle modalità procedurali[29] da seguire nell’esplicazione del diritto.  Anche senza che il pubblico ne faccia apposita istanza, dovranno essere periodicamente garantite pubblicazioni sull’ambiente e previste concertazioni con le organizzazioni di stampo ambientale.

L’articolato della convenzione si chiude con un riferimento  ai successivi incontri delle parti, al diritto di voto, alla segreteria esecutiva e sue funzioni ed agli eventuali emendamenti.

 

6. Un particolare approfondimento sull’art. 9 sull’accesso collettivo alla tutela giurisdizionale.

 

Negli ordinamenti deve essere previsto un sistema di garanzie, amministrative e giurisdizionali, qualora il diritto all’accesso sia stato soddisfatto in maniera inadeguata o meramente parziale o ancora abbia sviato la specifica richiesta.[30]

L’accesso alla Corti deve essere gratuito o economico e celere,  tale da  garantire, in altri termini, una visibile manifestazione del diritto.

Una posizione privilegiata è occupata dalle organizzazioni di cittadini ed associazioni ambientaliste nel corpo del testo convenzionale.

L’accesso alla giustizia deve essere garantito quando i c.d. public concerned:

a)      hanno un  “sufficient interest”;

b)      dimostrano di avere un “impairment of a right, where the adminstrative procedural law of a party requires this as a precondition”.“Un’impairment of a right”  può essere identificato compatibilmente con lo scopo di un’associazione non governativa e di carattere ambientale  previsto nello statuto.

I due presupposti suindicati sono stati previsti in via alternativa.

In ogni modo il ricorso amministrativo assicurato avanti le autorità garanti del diritto all’informazione non deve obbligatoriamente precedere quello giurisdizionale.

Sul  versante  procedurale, poi, in aggiunta alle previsioni di carattere generale, va rimarcata l’importanza dei criteri guida che dovranno informare la tutela giudiziaria:

1.      possibilità di includere injunctive relief come strumenti appropriati di tutela cautelare nelle more del processo decisionale;

2.      processi spediti, economici e non proibitivi nelle spese e complessità delle procedure;

3.      previsione di meccanismi di assistenza che riducano o rimuovano le barriere finanziarie od altri ostacoli all’accesso alla giustizia.

Si è, quindi, sempre più tentati di inquadrare il diritto all’ambiente fra i cosiddetti diritti sociali, per evidenziare la rilevanza pubblicistica di interessi che fanno capo al singolo non in quanto tale, ma come componente  di formazioni sociali.[31] L’idoneità di molti beni ambientali a soddisfare interessi collettivi giustifica la previsione di tutela a favore non solo dei singoli, ma anche dei gruppi, senza che la natura  individuale o collettiva  possa costituire limitazioni alle legittimazioni ad agire[32].

Scendendo in termini più nazionalisti, e’ ormai nota l’impreparazione dell’ordinamento italiano ad accogliere le c.d. class action previste nei sistemi di Common Law.

Un nuova tappa nel processo evolutivo che interessa al momento l’Italia è segnata dalla L. 281/1998,  “Disciplina dei  diritti dei consumatori. La tutela  in sede di Giustizia Amministrativa”.[33]

La necessità di una maggiore effettività della tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori – cittadini (anche quindi per quanto riguarda la qualità dei prodotti e degli impianti – ecolabel ed ecoaudit) ha indotto il legislatore italiano, sulla scia dell’integrazione Europea, ad intervenire al fine di tentare di dare una risposta organica. La volontà di evitare che gli atti  delle Pubbliche Amministrazioni  siano sottoposti  ad un controllo politico, obbliga ad una ulteriore riflessione: il trapianto del sistema statunitense richiederebbe non solo e non tanto una modifica del regolamento di procedura civile, ma, e soprattutto, una modifica della nostra cultura processualistica.[34]

La soluzione del problema richiede un ulteriore passo avanti effettuato con il c.d. criterio esponenzialistico: occorre che la collettività si tramuti in un ente, ancorché privo di personalità giuridica e meramente di fatto, al fine di poter azionare i propri diritti altrimenti allo stato “diffuso”.  E’ ancora oggi aperto il problema della selezione degli interessi azionabili.

Lo strumento congegnato dal legislatore italiano, con natura meramente dichiarativa, come ha più volte statuito la Corte Costituzioanle, sono i c.d. registri  delle associazioni ambientalisitche (art. 13 L. 349/1986), a cui oggi si aggiungono quelli delle organizzazioni dei consumatori (l. 281/98) e che predeterminano l’elenco degli enti ed organizzazioni legittimati ad agire in giudizio, salvo il presupposto del possesso dei requisiti di iscrizione. [35]

 

7. La conferenza paneuropea di Moldova del 1999 e future prospettive.

 

“Ci riferiamo alla convenzione di Aarhus come ad un passo significante nell’ordinamento internazionale  con una evidnete apertura alla Unione Europea complessivamente considerata. Ma, purtroppo, conosciamo bene la posizione di alcuni stati (notoriamente Germania, Russia e Turchia) che tentano  di indebolire se non sminuire il diritto di accesso della collettività” afferma Jeremy Wates della Divisione Ambiente dell’Unione Europea e co-promotore della campagna sulla conferenza di Moldova tenutasi dal 17 al 18 aprile 1999.[36]

La conferenza di  Moldova ha rappresentato l’occasione per tirare le somme sull’anno trascorso dalla stesura del testo della convenzione di Aarhus e prospettare future evoluzioni.

Durante la Conferenza è stato, anzitutto, criticato  il comportamento degli USA e Canada che hanno partecipato alla conferenza di Aarhus ma hanno poi rifiutato di prendere parte alle negoziazioni. Gli stati membri non sono ancora in grado di  fornire strumenti di tutela adeguati e risultano impreparati ad accogliere l’accesso di organizzazioni di cittadini se non in maniera sporadica.

Isa Kruszewska, coordinatore internazionale dell’ANPED, un c.d. grassroot movements, fa osservare che se i dati sulle emissioni tossiche sono solo quelli in possesso delle pubbliche autorità e non quelli delle organizzazioni, ciò rappresenta un tipico esempio di come le industrie si preoccupino di conformarsi a ciò che si presume debbano conformarsi in base alle disposizioni di chi impone le regole, ma non saranno mai in grado di raggiungere risultati più completi e  trasparenti che strumenti facoltativi come l’eco-label e l’eco-auditing garantiscono.[37]

La Conferenza di Chisinau, Moldova, tenutasi presso il Palazzo Presidenziale il 17/18 aprile 1999, vuole risvegliare con urgenza lo spirito di impegno che ha caratterizzato a suo tempo la tavola rotonda attorno alla Conferenza di Aarhus ed estendere la gamma dei diritti anche ad aree come il benessere, la sicurezza e la tutela dei consumatori.

In breve, i c.d. hot topics dell’agenda di Moldova possono così essere illustrati:

-         sviluppo di una rete di strumenti legali che consenta ai governi di registrare e monitorare gli agenti inquinanti come mezzi per la riduzione dell’inquinamento;

-         garantire l’accesso alle informazioni  e la partecipazione soprattutto in materia di organismi geneticamente modificati;

-         rafforzare  le previsioni di piani, programmi e politiche ambientali  sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali;

-         estendere non solo sotto il profilo quantitativo, ma soprattutto qualitativo, la rete delle informazioni anche su canali elettronici[38];

-         rimuovere le barriere all’accesso alla giustizia attraverso  “best practice guidelines”;

-         considerare la salute umana come “primary issue”;

-         concludere la ratifica della convenzione entro la fine del 2000;

-         estendere i principi della Convenzione anche ad altri organismi ed istituzioni internazionali;

 

Affinché gli obiettivi della Convenzione di Aarhus siano raggiunti è necessario che si preveda un pannello di sessioni con la partecipazione delle autorità rappresentative dei settori chiave coinvolti nel testo della convenzione e  di autorità regionali e locali.

 

Jaremy Wates, a conclusione della dichiarazione di Moldova, propone una lista di “soluzioni”  a disposizione per chi vorrà contribuire alla futura evoluzione dei lavori:

·        costituire gruppi di lavoro interministeriali permanenti che comunichino in tempo reale anche con conferenze via e-mail;

·        attuare la convenzione con i migliori strumenti praticabili in ogni ordinamento;

·        disseminare il contenuto della convenzione anche in altre lingue e con un vocabolario più intelleggibile per il cittadino medio;

·        introdurre codici di condotta per i responsabili addetti alla previsione e distribuzione delle informazioni;

·        creare manuali guida che a titolo semplificativo illustrino i punti chiave della convenzione;

·        supportare finanziariamente i paesi dell’est europeo

 

 

 

L’informazione ambientale è dunque l’anello di re Salomone per  tradurre alla collettività e risvegliarne la pubblica partecipazione rispetto a decisioni prese da un’élite e capaci di effetti a livello globale.   Accanto alle autorità preposte al controllo sui limiti di emissione degli agenti inquinanti, un altro corpo politico (i cittadini) si affianca, facendo soprattutto pressione sul livello qualitativo dell’ambiente che lo circonda e su una pianificazione a lungo termine.



[1] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 11 aprile 2001 Supplemento Ordinario n. 80

[2] Ludwig krämer, “Diritto a ricorrere ed accesso all’informazione ambientale presso la Commissione