L’AMBIENTE FRA LA VISIONE RIDUZIONISTA E SISTEMICA 
Geol. Mario De Luca
 
Il Riduzionismo
Il problema ecologico è nato dalla concezione meccanicistica cartesiana - newtoniana del mondo che si è andata affermando in Occidente nel diciassettesimo secolo, infatti in questa visione la nostra specie è al di sopra della natura (Darwinismo), che è completamente al nostro uso e consumo.
Tutto l’universo -compresa la natura vivente sulla Terra, che ne è una parte- è assimilabile a una gigantesca macchina smontabile e ricomponibile; questo è quello che viene chiamato il riduzionismo scientifico.
Come conseguenza, dal punto di vista filosofico, la natura è priva di ogni rilevanza morale. Da qui è nata l’aggressione alla Natura, e quindi il problema ecologico.
Per inciso, è solo per questa visione e per il forte influsso del pensiero di Bacone che -nell’immaginario collettivo- la scienza è praticamente identificata con la tecnica e tenuta ben distinta dalla filosofia.
Il riduzionismo in generale sostiene che gli enti, le metodologie o i concetti di una scienza debbano essere ridotti a dei minimi comun denominatori o a delle entità il più elementari possibili.
Questo atteggiamento mentale, le cui origini si rifanno all’atomismo classico (Leucippo, Democrito, Anassagora) passando per Newton e Cartesio fino al Modello Standard della fisica particellare, riduce l’analisi di un sistema macroscopico a infiniti microcosmi.
D’altra parte non bisogna dimenticare l’enorme contributo al progresso scientifico dato dal riduzionismo, infatti da Newton ai nostri giorni, la gamma dei fenomeni che siamo in grado di spiegare si è costantemente allargata e al tempo stesso le teorie usate sono diventate sempre più semplici e universali.
Nell'introduzione a: “ L'immaginazione della natura” Freeman Dyson definisce il riduzionismo in fisica come il tentativo di "ridurre il mondo dei fenomeni fisici a un insieme finito di equazioni fondamentali". Citando gli studi di Schroedingere Dirac sulla meccanica quantistica del 1925 e del 1927, li definisce: "trionfi del riduzionismo: sconcertanti complessità della chimica e della fisica ridotte a due righe di simboli algebrici".
La concezione meccanicistica del mondo permea ancora profondamente la nostra società soprattutto nel suo approccio socio-economico e produttivo.
Dalla “Nuova Fisica” non emerge una visione del mondo come costituito da oggetti separati che interagiscono urtandosi più o meno forte, ma un Universo che scopre come grazie alla “sintonia” e all’interrelazione, alla cooperazione, si possano “evocare” correlazioni inusitate, potenzialità finora inimmaginabili.

La teoria sistemica
La visione sistemica rappresenta l’antitesi della concezione riduzionista ed elementarista dei fenomeni osservati. Essa sostiene che i sistemi viventi non possano essere analizzati nei termini delle proprietà delle sue parti, queste sono proprietà del tutto, che nessuna delle parti possiede singolarmente.
Ne consegue che tali proprietà mutino radicalmente quando il sistema viene sezionato, materialmente o teoricamente in elementi isolati.
Ludwig von Bertalanffy si rese conto per primo che i sistemi viventi non potevano essere descritti secondo le leggi della Termodinamica Classica, i cui presupposti sono che ogni sistema fisico deve procedere nella direzione di un disordine sempre crescente (entropia). Ciò che si osservava era la direzione opposta, l’universo vivente era un sistema aperto che si evolve dal disordine verso l’ordine (neg entropia).
Caratteristica principale dei sistemi viventi-aperti è un costante flusso-riflusso di materia e energia dall’ambiente per auto-organizzarsi.
Il concetto di auto-organizzazione è fondato sul feedback loop o anello di retroazione, simulato dalla cibernetica, esso è una disposizione circolare di elementi connessi casualmente, in cui una causa iniziale si propaga lungo le connessioni dell’anello, in modo tale che ogni elemento agisca sul successivo finché l’ultimo propaga nuovamente l’effetto sul primo elemento del ciclo. La conseguenza è che il primo effetto (input) subisce l’effetto dell’ultima (output) dando l’autoregolamentazione dell’intero sistema.
Ilya Prigogine provò che i sistemi al non equilibrio termico manifestano una maggiore complessità ed un nuovo ordine (es. punto di ebollizione dell’acqua).
James Lovelock , un chimico dell’atmosfera, attraverso i suoi studi accertò che queste proprietà erano presenti anche nei macro-sistemi, l’atmosfera infatti è costituita da una miscela di gas estremamente instabile in concentrazione e qualità, eppure la sua combinazione rimane costante per lunghi periodi di tempo grazie al meccanismo dell’autoregolazione. Da questa osservazione si ipotizzo la famosa teoria: “ipotesi Gaia”, ossia la capacità della biosfera di autoregolare i sistemi fisici.
Non è possibile pensare che l’intervento su un qualsiasi sistema, da quello ambientale a quello individuale, non abbia dunque un’importante influenza sul suo funzionamento generale. Ritengo che nell'attuale giurispudenza sia assente questo dibattito.
La rete della vita contempla tutto e nulla ne rimane escluso per sua stessa natura (Fritjof Capra). Su questo approccio fu indetta la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, essa si concluse con cinque punti:


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L'Agenda 21: il Programma d'Azione per il XXI secolo
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La Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste
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La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici
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La Convenzione quadro sulla biodiversità
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La Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo


Anche l’APAT riprende questi concetti nelle linee guida per l’educazione ambientale in cui:
􀂉 considera l’ambiente come sistema di relazioni e l’uomo come uno degli organismi che in quel sistema vive;
􀂉concepisce l’uomo come uno dei fattori dell’eco-socio-sistema, anche se quasi sempre con il ruolo di protagonista;
􀂉fonda il processo cognitivo-apprenditivo sul principio sistemico, cioè sulla capacità di cogliere le relazioni e le diversità,
􀂉permette, quindi, di inserire i soggetti che partecipano al progetto nella dimensione della complessità e nell'orizzonte della sostenibilità.

I due paradigmi si stanno a confrontare e grazie alla loro sinergia già ci sono nuovi forti impulsi scientifici.

La normativa
Anche il contesto normativo ambientale si è evoluto su una visione riduzionista del mondo:
Uno dei problemi dell’attuale società umana, riguarda la velocità dello scambio di informazioni in un sistema macroscopico complesso, scomposto in infiniti microsistemi etici, socioeconomici, politici, territoriali, di per sé in continua trasformazione. Questa difficoltà si manifesta lì dove l’informazione arriva modificata, non arriva o arriva tardi, comunque sia si spezza il feedback, l’auto- organizzazione.
Il riduzionismo ha determinato, nel quadro legislativo e regolamentare, la scomposizione dell’ecosistema in diversi componenti, disciplinando la materia giuridica in numerose branche, ciò ha causato spesse volte sovrapposizioni, conflitti, confusioni interpretazioni. L’ambiente o meglio l’Ecosfera non viene giuridicamente inquadrata con un approccio sistemico, le attività antropiche non sono regolate e gestite da leggi che ne prevedano l’interazione con i feedback dei cicli naturali e possano quindi permettere la loro autoregolamentazione.
Lo strumento normativo per la realizzazione di uno Sviluppo Sostenibile della società umana dovrebbe creare le condizioni di una autoregolamentazione delle attività antropiche così come avviene per tutte le comunità biotiche.
L’inquinamento prodotto dalle attività umane interessa tutte le componenti ambientali, per cui ciò che si immette nell’atmosfera va a finire nell’idrosfera nella litosfera e infine nella biosfera. Eppure i limiti previsti nei punti di emissione (scarichi in acqua, in atmosfera, al suolo) sono determinati per la singola componente non considerando l’interazione con le altre.
Con quale efficacia si possono raggiungere gli obbiettivi di qualità ambientale previsti dal Titolo II del Dlgs 3 aprile 2006 n. 152 senza una visione ecosistemica? Che significatività dare al concetto di “carico ammissibile” in chiave riduzionista? E le finalità dell’art. 73 della sez.II?
I materiali ed energie in entrata in un dato ecosistema vengono trasformati e rimescolati in tutte le componenti ambientali. La visione “riduzionista” dell’inquinamento determina una risposta legislativa a tutela settoriale, rendendo inadeguato il risultato.
Qualunque programmazione dell’uso del territorio con i suoi aspetti gestionali, regolamentari, legislativi, dovrebbe essere funzionale alla dinamica dei sistemi ambientali. Possiamo chiamare “capacità ricettiva” o “ricettività ambientale” l’entità delle alterazioni antropiche che possono essere sopportate, in questo modo siamo in grado di quantificare e qualificare gli impatti negativi, determinati dai flussi di materia ed energia che hanno interagito con i Cicli Biogeochimici determinandone e gestendone i limiti.
Un quadro normativo sviluppato su basi sistemiche cambierebbe profondamente il “modus operandi” attuale, l’approccio sarebbe razionale ed efficiente, privo delle attuali confusioni. Non ci sarebbero tre definizioni di scarto antropico legate allo stato fisico del recettore: aria, acqua, suolo; viceversa si seguirebbe “lo scarto” nelle tre componenti applicando gli strumenti pianificatori, regolatori, gestionali per la sua autoregolamentazione funzionalmente al monitoraggio.
Il monitoraggio ambientale ha per scopo la comprensione dello stato dell’ambiente, la quantificazione dei danni dovuti a stress di vario tipo e in particolare dell’impatto negativo delle attività antropiche. Comporta l’acquisizione degli elementi necessari per una corretta gestione del territorio e per programmare ed attuare il recupero degli ambienti degradati
Rousseau predicava che: “ la natura non è soltanto lo stato primitivo dell’uomo, ma il suo stato provvidenziale poiché comporta quel perfetto equilibrio tra i bisogni e i mezzi di soddisfarli.”
Già nel Settecento c’era l’esigenza di un equilibrio naturale, erano le basi filosofiche dello Sviluppo sostenibile.