L’assenza di delega a curare gli adempimenti societari in materia ambientale assolve gli imputati dalla posizione di garanzia cumulativa
Suprema Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 27862/15; depositata il 2 luglio

di Paolo IANNONE

 

1. Il decisum

 

La sentenza in commento focalizza la propria attenzione sulla responsabilità penale che deve essere individuata con riferimento ai compiti attribuiti e alle mansioni svolte in concreto nella gestione dell’impresa.

L’accusa mossa agli imputati si fonda sul presupposto che gli stessi, consapevoli della disordinata conservazione dei rifiuti, avessero per ciò stesso omesso di intervenire, colposamente, anche se in assenza di delega a curare gli adempimenti societari in materia ambientale.

Nel merito il tribunale assolveva gli imputati dal reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale per insussistenza del fatto. Avverso tale decisione proponeva impugnazione il Procuratore della Repubblica.

La questione approda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione che rigetta il ricorso presentato dal Pubblico Ministero e rettifica altresì il dispositivo dell’impugnata sentenza, ovvero, l’assoluzione deve ritenersi pronunciata “per non aver commesso il fatto”.

 

2. La responsabilità delle persone giuridiche e il D.lgs. 231/2001

 

Una delle fattispecie più controverse del diritto riguarda la possibilità di ritenere penalmente responsabili, oltre alle persone fisiche, anche le persone giuridiche.

In questo scenario di incertezza il legislatore ha introdotto, con il D.lgs. 231/01, la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

Il rilievo che gli illeciti ambientali sono spesso di natura colposa e non dolosa non è più un argomento sufficiente per sottrarli alla disciplina del D.lgs. 231/2001, il quale annovera tra i reati presupposto anche quelli, colposi, relativi alla sicurezza sul lavoro (omicidio colposo e lesioni gravi commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro).

Peraltro si è sempre sostenuta l’applicabilità del D.lgs. 231/2001 agli illeciti ambientali sulla base di una norma del Testo Unico in materia di ambiente (D.lgs. 152/2006) che, in relazione al divieto di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo afferma la responsabilità solidale della persona giuridica qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti dell’ente, “secondo le previsioni del D.lgs. 231/2001, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni” (art. 192, comma 4, T.U Ambiente).

La Giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sull’applicazione di questa norma non ha tuttavia ritenuto sufficiente la previsione dell’art. 192, quarto comma, T.U Ambiente, per estendere all’ente la responsabilità relativa agli illeciti ambientali connessi all’esercizio dell’impresa, inoltre ha escluso l’applicabilità del D.lgs. 231/2001 in relazione agli illeciti ambientali previsti dal T.U. in questione.

La dottrina invece suggeriva di interpretare il rinvio delle norme ambientali al sistema previsto dal D.lgs 231/2001 per attribuire all’ente la responsabilità civile. Il successivo D.lgs. 121/2011 anche se non ha realizzato l’obiettivo sperato di riformare la materia ha reso possibile attuare sia la Direttiva n. 2008/99 CE che la Direttiva n. 2009/123/CE sulla tutela penale dell’ambiente.

 

3. L’accertamento del nesso causale

 

La tutela dell’ambiente presuppone che gli illeciti ad esso riconducibili appartengono alla categoria dei reati c.d. di pericolo astratto1. Ciò posto risulta complesso anticipare la tutela del bene secondo l’ordinamento penale, pertanto si presuppone la realizzazione dell’illecito quando viene effettivamente leso il bene giuridico protetto (c.d. principio di offensività).

Ne consegue che, secondo tale impostazione, il bene della vita è messo in pericolo attraverso condotte generalmente rischiose ed imprudenti sulla base di leggi scientifiche o di esperienza.

Le regole di accertamento del nesso di causa variano in ambito civile e penale2.

La più recente dottrina si è orientata in maniera molto pragmatica, esprimendo fiducia verso la scienza attraverso la ricerca dell’esistenza del nesso di causalità in base alle leggi scientifiche. Una data condotta umana può essere configurata come condizione necessaria di un certo evento solo se essa rientra nel novero di quegli antecedenti che, secondo un modello condiviso dotato di validità scientifica, noto come legge generale di copertura, porta all’evento del tipo di quello verificatosi3. Seguendo questo indirizzo è possibile ricondurre la causa dell’evento secondo criteri di certezza assoluta4.

L’evoluzione giurisprudenziale ha affermato negli anni che il nesso di causalità non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accetti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi con elevato grado di credibilità razionale, l’evento non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Il codice civile italiano è privo di una definizione legislativa di causalità, nonché di coordinate precise sui criteri con cui procedere all’accertamento del rapporto eziologico. Si è prontamente considerato a tal proposito che mentre la causalità penale richiede la dimostrazione a carico dell’accusa che l’evento sia addebitabile alla condotta dell’agente secondo criteri prossimi alla certezza5, in ambito civile è possibile un temperamento. Tali norme vanno, dunque, adeguate alla specificità della responsabilità civile, rispetto a quella penale, perché muta la regola probatoria; mentre nel processo penale vige la regola della prova «oltre ogni ragionevole dubbio», al contrario, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del «più probabile che non» ovvero «more likely that not».

 

 

4. La responsabilità penale deve essere individuata con riferimento ai compiti attribuiti e alle mansioni svolte in concreto nella gestione dell’impresa

 

La circostanza che gli imputati abbiano omesso di intervenire (ex art. 40, secondo comma, cod. pen.) violando, presumibilmente, l’art. 2392, secondo comma, cod. civ. contrasta con l’assenza di delega a curare gli adempimenti societari in materia ambientale, quindi determina l’insussistenza di elementi probatori a carico degli stessi in ordine alla posizione di garanzia.

La ratio decidendi si basa sulla natura della condotta omissiva (ex art. 40, secondo comma, cod. pen.) che assume connotati penalmente rilevanti soltanto se il soggetto ha l’obbligo giuridico di impedire l’evento (c.d. posizione di garanzia).

Nella vicenda in esame il Pubblico Ministero ricorrente evoca la carenza del requisito della necessità della delega e l’esistenza di garanzia cumulativa. Ciò significa che, pur in presenza di un soggetto espressamente delegato alla cura degli adempimenti societari in materia ambientale, comunque si evidenzia una macroscopica carenza gestionale ed organizzativa e, pertanto, sarebbe stato necessario un intervento specifico degli attuali imputati a tutela dell’azienda.

A ben vedere, però, il mantenimento del requisito dimensionale come condizione necessaria dell’efficacia della delega di funzioni (D.lgs. 152/06) determinerebbe un’illogicità ed ingiustificabile disparità di trattamento tra i soggetti delegati agli adempimenti ambientali ed altri incaricati in materia antinfortunistica.

Ne consegue che in diritto si afferma il seguente principio:«In materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, tra i requisiti di cui è necessaria la compresenza non è più richiesto che il trasferimento delle funzioni delegate debba essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa». Pertanto, la responsabilità penale deve essere individuata con riferimento ai compiti attribuiti e alle mansioni svolte in concreto nella gestione dell’impresa.

 

5. Conclusioni

 

Alla luce di quanto sopra emerso, tout court, la peculiare situazione in cui oggi versa il sistema della responsabilità penale in materia ambientale necessita di una riflessione ad ampio respiro. In tema di diritto ambientale non è semplice individuare l’autore dell’illecito specie nei mobili confini del nesso di causa da semplice posizionamento dell’impresa su una determinata area.

In altri casi in cui non è individuabile il singolo responsabile, perché l’evento è frutto della condotta di più soggetti, il risultato è, il più delle volte, l’impunità totale, non essendo previsto alcun tipo di sanzione, se non quella pecuniaria, nell’ipotesi in cui organi di rappresentanza, consigli o collegi o loro membri abbiano deliberato su un fatto illecito per trarne, loro o l’ente, un arricchimento.

Certamente un rafforzamento del sistema deterrente dell’ordinamento è stato applicato con l’introduzione della L. 68/2015 che inserisce nel nostro codice penale un nuovo titolo dedicato ai “Delitti contro l’ambiente”. Tuttavia occorre superare quel pregiudizio che intravede la tutela penale dell’ambiente, della salute e del lavoro come interessi necessariamente in conflitto tra loro e non conciliabili.

Sicuramente, il punto di non ritorno sul piano della criticità di siffatti interessi emerge nel momento in cui le attività di precauzione e prevenzione non hanno assolto il loro compito. In questi casi l’unico rimedio è un arretramento e un giusto equilibrio paritario tra valori costituzionalmente non comparabili a cui deve aggiungersi il principio di cui all’art. 41 della Carta fondamentale.

Nell’ambito del diritto civile da tempo alcuni autori si interrogano se porre in crisi il sistema riparatorio dando ingresso ai c.d. punitive damages, ma nel sistema penale non può ritenersi sostenibile la circostanza che in ipotesi di reato connesse all’ambiente si ripieghi nella contravvenzione.

Dott. Paolo Iannone

 

• NORMATIVA DI RIFERIMENTO •

 

Art. 40 cod. pen.

Art. 2392 cod. civ.

D.lgs. 231/2001

D.lgs. 152/2006

D.lgs. 81/2008

 

• BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE •

 

Articoli

 

- A. Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale, Padova, 2002;

- F. Stella, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 767; in generale, sui rapporti tra ragionamento sul nesso di causalità e regole del giudizio,

- G. Canzio, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e processo, 2003, p. 1193

 

 

Manuali

 

- F. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1934, rist. 1960;

- F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, seconda edizione, Milano, 2000; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1987;

- G. Fiandaca, Causalità (rapporto di), voce Dig. Pen., III, 1988, p. 455;

- M. Maiwald, Causalità e diritto penale, Milano, 1999; più in generale: K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970;

- F. Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1997, p. 173

 

1 M. GALLO, I reati di pericolo, in Il foro penale, Napoli, 1969, p. 3 e ss.

2Sul problema giuridico della causalità si vedano le fondamentali ricostruzioni F. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1934, rist. 1960; F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, seconda edizione, Milano, 2000; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1987; G. Fiandaca, Causalità (rapporto di), voce Dig. Pen., III, 1988, p. 455; M. Maiwald, Causalità e diritto penale, Milano, 1999; più in generale: K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970; C. G. Hempei, Filosofia delle scienze naturali, Bologna, 1968; P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1966, p. 35.

3F. Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1997, p. 173

4La prima pronuncia che attesta l’evoluzione giurisprudenziale dal criterio della certezza a quello della probabilità, riguardante un caso di malpractice medica, risale al 1983, Cass., 7 gennaio 1983, n. 4320, in Foro.it, 1986, II, c. 351.

5Sentenza Franzese, Cass. 10 luglio 2002 n. 30328, in Danno e resp., 2003, p. 195, con nota di S, Cacace ; in Foro.it 2002, II, c. 601, con nota di O. Di Giovine. Tra gli innumerevoli e recenti contributi, v. G. Iadecola, Colpa medica e causalità omissiva: nuovi criteri di accertamento, in Dir. Pen. E processo, 2003, p. 597, A. Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale, Padova, 2002; F. Stella, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 767; in generale, sui rapporti tra ragionamento sul nesso di causalità e regole del giudizio, vedi G. Canzio, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e processo, 2003, p. 1193