Vendesi Italia!
Poche luci e tante tenebre nella bozza del c.d. “Sblocca-Italia”.
di Massimo GRISANTI
Se la bozza in esame dello “Sblocca-Italia” verrà tradotta in decreto-legge e, dipoi convertita in legge, saremo di fronte ad un capolavoro di un piazzista che, non dicendolo apertamente, cerca di far comprendere, come nelle favole, che <il Re è nudo!>.
Infatti, il vero intento dello “Sblocca-Italia” appare essere quello di vendere il territorio italiano, bene comune, confidando nello scarso senso dell’interesse pubblico che caratterizza i politici locali.
Un ruolo importante per la riuscita del progetto verrebbe assegnato alle Regioni, a cui il ministro Lupi intende consegnare, in toto, la materia del governo del territorio. Si rammenta che i mediatori sono usi a chiedere ed ottenere un adeguato compenso.
Per far facilitare il processo è essenziale accontentare i titolari della rendita immobiliare. Infatti, seppur non dichiarata, dalla bozza del decreto emerge, altrettanto chiaramente, l’intenzione di limitare fortemente la funzione sociale della proprietà privata, sancita dall’art. 42 della Costituzione, così come modulata dal combinato disposto degli articoli 1, 4 e 41-quinquies della Legge 1150/1942 e s.m.i. (LUN).
Prima di analizzare le varie disposizioni dello “Sblocca-Italia” è necessario ricordare che solo la LUN è, dichiaratamente, la legge che:
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disciplina l’assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio nazionale (v. art. 1, c.1);
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impone al Ministero delle Infrastrutture di vigilare sull’attività urbanistica al fine di favorire il disurbanamento, giammai per favorire la densificazione edilizia (v. art. 1, c. 2);
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stabilisce la gerarchia dei modi di attuazione della disciplina urbanistica, prevedendo la primazia della pianificazione ed a cui sono subordinatamente funzionali le norme inerenti l’attività edilizia (v. art. 4).
Le norme sull’attività costruttiva edilizia possono essere contenute nella LUN oppure in regolamenti statali, regionali e comunali (v. art. 4) e disposizioni dagli stessi richiamate; con evidente prevalenza, in caso di contrasto, di quelle contenute nella LUN. Comunque, tutte da interpretarsi in maniera funzionale al conseguimento degli obiettivi di pianificazione.
Ciò posto, le disposizioni contenute nella bozza del decreto “Sblocca-Italia” – non espressamente modificative della LUN – sono, evidentemente, cedevoli dinanzi alle contrastanti previsioni della pianificazione comunale.
Ma andiamo per ordine nell’analisi dei “Pacchetti” d’interesse.
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PACCHETTO 6 – Norme sblocca burocrazia.
Art. 18 - Disposizioni urgenti di modifica al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in materia di autorizzazione paesaggistica.
1. Al fine di semplificare i procedimenti in materia di autorizzazione paesaggistica, all'articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 9, il primo e il secondo periodo sono soppressi e il terzo periodo è sostituito dal seguente: «Decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, l'amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione.».
Le disposizioni del vigente nono comma dell’art. 146 DLgs 42/2004 e s.m.i. sono intimamente conseguenti quelle del comma precedente. L’ottavo comma, a sua volta, non può che riferirsi a quel parere del soprintendente da rendersi all’indomani dell’adeguamento degli strumenti urbanistici alla pianificazione paesaggistica; giammai a quello vincolante (che sostanzialmente è un vero e proprio atto di assenso, anziché un parere) previsto medio tempore dal legislatore.
Invero, lo Stato è tenuto ad assicurare la tutela del paesaggio, non potendo, assolutamente, disimpegnarsi dai propri compiti, specie attraverso artifizi procedimentali ed allorquando – fatto grave, perché denota un attivo comportamento omissivo di chi è istituzionalmente preposto a tutelare il paesaggio – gli strumenti urbanistici non hanno mai conseguito l’approvazione del MIBAC ai sensi dell’art. 28 RD 1357/1940.
Di ciò sembra perfettamente cosciente il Governo, visto che con l’art. 28-bis dello “Sblocca-Italia” intende inserire una specifica disposizione nell’art. 5 DPR 380/2001, stabilente: tanto che la conferenza dei servizi è lo strumento, di regola, con il quale vengono acquisiti gli atti di assenso; quanto che nel caso in cui il soprintendente non fornisca entro 30 giorni il proprio avviso è prevista l’attivazione di una procedura commissariale che in caso di mancata conclusione entro il termine prefissato abilita il soggetto privato ad adire il Giudice amministrativo avverso il silenzio-inadempimento, applicandosi anche le norme inerenti il danno da ritardo.
Tale disposizione innovativa non avrebbe alcun senso se il nono comma dell’art. 146 del Codice del paesaggio si riferisse anche al parere vincolante del soprintendente.
Da ciò la conferma che il parere vincolante del soprintendente, come più volte sostenuto su Lexambiente.it, non è svalutabile e che l’eventuale comportamento silente del Soprintendente non ha, assolutamente, carattere devolutivo.
Pertanto, in tali termini la novella legislativa è oltremodo apprezzabile, suggerendosi, per una maggior chiarezza:
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di introdurre, nel riformulando c. 9, art. 146, del Codice, un rimando al neo comma 3-bis, art. 5 T.U.E.;
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di estendere le disposizioni del neo comma 3-bis, art. 5 TUE anche al parere soprintendentizio meramente obbligatorio, attese le disposizioni ex art. 16, c. 3, L. 241/1990;
nonché suggerendo di disporre il divieto di compensazione delle spese processuali in caso di soccombenza ministeriale nel ricorso avverso il silenzio-inadempimento e il riconoscimento, ex lege, di una somma minima per rimborso di spese legali, da imputarsi a carico del soprintendente per non aver reso il parere nei termini di legge.
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PACCHETTO 8 – Edilizia ed efficientamento energetico.
Art. 35 - Regolamenti edilizi.
1. L’art. 4 del DPR 380 del 2001 è così sostituito:
“1. Il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell'articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi. Il regolamento deve espressamente disciplinare, nel rispetto della legislazione vigente, altresì:
a) la definizione dei parametri edilizi applicabili sull’intero territorio comunale;
b) la fissazione delle definizioni tecniche di riferimento per gli interventi urbanistico-edilizi;
c) l’individuazione delle caratteristiche e dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza, nonché di accessibilità in termini di eliminazione delle barriere architettoniche;
d) la definizione degli elementi costitutivi o di corredo delle costruzioni;
e) le modalità tecniche del recupero del patrimonio edilizio esistente e riduzione del consumo del suolo, in attuazione degli strumenti urbanistici e delle leggi di settore;
f) la diversificazione degli interventi edilizi ai fini della sottoposizione a regimi procedimentali e contributivi differenziati in ragione della rispettiva natura e del carico urbanistico prodotto;
g) l’individuazione di misure tecniche volte a perseguire il risparmio energetico e a favorire l’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, nonché ad incentivare l’utilizzo di tecniche costruttive di bioedilizia e la qualità architettonica degli edifici”.
2. Entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, i comuni adeguano i propri regolamenti edilizi alle disposizioni di cui al comma 1. Decorso inutilmente il detto termine, i comuni inadempienti non possono essere ammessi ai benefici…..(da individuare). I comuni nell’opera di adeguamento del regolamento edilizio prevedono che ai fini del conseguimento del titolo abilitativo edilizio sia obbligatoriamente prevista, per gli edifici di nuova costruzione ad uso diverso da quello residenziale con superficie utile superiore a 500 metri quadrati e per i relativi interventi di ristrutturazione edilizia, l'installazione di infrastrutture elettriche per la ricarica dei veicoli idonee a permettere la connessione di una vettura da ciascuno spazio a parcheggio coperto o scoperto e da ciascun box per auto, siano essi pertinenziali o no, in conformità alle disposizioni edilizie di dettaglio fissate nel regolamento stesso.
3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 del presente articolo, le regioni applicano, in relazione ai titoli abilitativi edilizi difformi da quanto ivi previsto, i poteri inibitori e di annullamento stabiliti nelle rispettive leggi regionali o, in difetto di queste ultime, provvedono ai sensi dell'articolo 39.
4. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 non si applicano agli immobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche.
5. Nel caso in cui il comune intenda istituire la Commissione edilizia, il regolamento indica gli interventi sottoposti al preventivo parere di tale organo consultivo.
Il terzo comma del novellando art. 4 TUE è oltremodo oscuro.
Infatti, non si comprende cosa voglia dire l’espressione “titoli abilitativi difformi da quanto ivi previsto”.
Come può esservi una difformità rispetto ad una previsione di adeguamento che impone l’esercizio di poteri regionali che possono essere esercitati unicamente in caso di violazione sostanziale alla disciplina urbanistica?
A meno che l’oscura disposizioni celi:
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la consapevolezza del Governo dell’esistenza di leggi regionali che regolano tali poteri in maniera difforme da quanto stabilito dalle disposizioni statali di principio fondamentale (art. 39 TUE);
oppure
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l’intenzione del Governo di abdicare alla propria funzione legislativa autorizzando le Regioni ad adottare, in ordine ai poteri inibitori e di annullamento, leggi contrastanti con le disposizioni dell’art. 39 TUE e, per l’effetto, disapplicando il principio di cedevolezza stabilito nell’art. 2, c. 3, TUE e svalutando l’art. 39 TUE al rango di norma suppletiva.
Oltre a ciò, alcuna disposizione del riformulando art. 4 TUE è tale da tener fede all’annuncio dell’emanazione di norme idonee ad ottenere un regolamento edilizio tipo valido per tutto il territorio nazionale. E ciò perché, ad oggi, non esistono disposizioni legislative vigenti a cui dovrebbero essere uniformate le definizioni di cui ai punti a), b), d), e).
In conclusione, sembra che il vero obiettivo sia quello di operare, in parte qua, una surrettizia, quanto impossibile, ri-allocazione della materia del governo del territorio, sostanzialmente attribuendola alle Regioni a mezzo di una legge ordinaria.
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L’art. 36 “Sblocca-Italia” vorrebbe conseguire, indichiaratamente, l’abrogazione implicita delle disposizioni di pianificazione della LUN attraverso la modifica del Testo Unico dell’Edilizia. Un’operazione improba, visto che le norme regolatrici l’attività edilizia si pongono al livello più basso della scala gerarchica delle modalità di attuazione della disciplina urbanistica (v. art. 4 LUN).
Ma scendiamo nel dettaglio dell’analisi.
Art. 36 - Semplificazioni in materia di permesso di costruire e altre misure in materia edilizia.
1. Al fine di semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare processi di sviluppo sostenibile, con particolare riguardo al recupero del patrimonio edilizio esistente e alla riduzione del consumo di suolo, al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 3 (L), comma 1, lettera b), è aggiunto in fine, il seguente periodo:
“Sono altresì classificati come manutenzione straordinaria gli interventi consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione delle opere anche se comportano la variazione del carico urbanistico purché si mantenga l’originaria destinazione d’uso;”.
La disposizione, che non pone alcun limite al tipo di esecuzione delle opere e alla loro entità, non integra, assolutamente, la definizione dell’intervento di manutenzione straordinaria, limitandosi, solamente, ad operare l’allocazione di una fattispecie di complesso di opere.
Tanto è vero che la disposizione in commento non si riferisce all’aumento di unità immobiliari, ma solamente al loro frazionamento.
Infatti, mentre in costanza di sagoma l’aumento di unità immobiliari presuppone un frazionamento, di contro il frazionamento non implica necessariamente che si addivenga ad un loro aumento.
Si pensi, ad esempio, al caso della modifica della conformazione del muro divisorio tra abitazioni al fine di scorporare una stanza da un alloggio per annetterla all’altro.
Pertanto, sono del tutto infondati i commenti apparsi sulla stampa, strombazzanti la prossima liberalizzazione dell’intervento di aumento di unità immobiliari.
Se non fosse così, tale classificazione si porrebbe in frontale ed insanabile contrasto con la definizione della ristrutturazione edilizia, il quale è un intervento che ricorre allorquando si addivenga ad un organismo edilizio anche solamente in parte diverso dal precedente.
E’ evidente, quindi, che la novella legislativa non solo sarebbe una forzatura, ma addirittura sarebbe inefficace.
Senza contare che dal momento che gli interventi di manutenzione straordinaria, su immobili legittimi, non possono mai essere vietati (cfr. Corte costituzionale, n. 529/1995), nemmeno in assenza di pianificazione urbanistica, ecco che la “geniata” dell’aumento di unità immobiliari mediante l’intervento manutentivo:
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sarebbe depenalizzato;
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rende inapplicabili i poteri ripristinatori ex art. 37, c. 2, TUE previsti per interventi in immobili vincolati (compreso il patrimonio pubblico da dismettere) oppure posti nei centri storici ed aree di loro valorizzazione (zone A ex DM 1444/1968);
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farebbe venire meno tutte le limitazioni previste dall’art. 9 TUE, con grave vulnus alla riserva di pianificazione comunale;
e porterebbe, altresì, alla modifica della destinazione d’uso edilizia (magari da cantina in abitazione), visto la contestuale previsione di inserimento di un nuovo art. 23-bis al TUE, definente e regolante i soli mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti.
Tale eventuale interpretazione liberalizzante, e depianificante, avrebbe conseguenze che, formalmente, risultano non essere state prese in considerazione dal legislatore (vedi l’incipit: “Al fine di semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare processi di sviluppo sostenibile, con particolare riguardo al recupero del patrimonio edilizio esistente e alla riduzione del consumo di suolo”).
Pertanto, si è dell’avviso che l’ingannevole formulazione della novella legislativa deve essere correttamente intesa nel senso di voler far rientrare nella categoria della manutenzione straordinaria le sole variazioni del perimetro di unità immobiliari confinanti nonché l’accorpamento di unità aventi la medesima destinazione d’uso originaria, con esclusione dell’aumento di unità immobiliari.
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b) dopo l'articolo 3 (L), è inserito il seguente:
«Art.3 bis. (Interventi di conservazione) 1. Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione. In tal caso l'amministrazione comunale può favorire, in alternativa all'espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa. Nelle more dell'attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario.».
Poiché è notorio che, generalmente, i Comuni non hanno a disposizione i denari per poter attuare, mediante esproprio, le previsioni degli strumenti urbanistici generali ecco che è oltremodo facile anti vedere l’inizio dell’urbanistica contrattata a go-go.
A questo punto, più correttamente, il legislatore poteva scrivere che tali forme di compensazione sono necessarie!
I motivi di tale indisponibilità finanziaria, come più volte detto, sono da ricercarsi, principalmente, nell’errata e/o distorta applicazione della normativa inerente sia l’utilizzazione dei proventi concessori (oneri di urbanizzazione), sia il reperimento-acquisizione delle aree per standards urbanistici (art. 28 LUN).
Infatti, è frequente il caso in cui il Comune si dimentica di richiedere il corrispettivo monetario della cessione degli spazi per standards.
E’ così necessario che gli Enti preposti all’approvazione degli strumenti urbanistici comunali generali inizino a pretendere, anche quale atto integrativo dell’efficacia, che gli strumenti urbanistici siano dotati di programmi economico-finanziari (v. art. 30 LUN) dimostranti la concreta ed effettiva fattibilità delle previsioni urbanistiche mediante esproprio. Pena l’illegittimità della previsione urbanistica.
Diversamente opinando, come potrebbe il Comune legittimamente favorire la riqualificazione delle aree mediante forme di compensazione se l’ordinaria modalità espropriativa non è credibile, se non addirittura nemmeno contemplata?
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c) all’articolo 10 (L), comma 1 lettera c), le parole: “aumento di unità immobiliari” sono soppresse.
Questa modifica influisce solamente sul tipo di titolo abilitativo necessario per poter iniziare i lavori. Infatti, la definizione di ristrutturazione edilizia non viene modificata, continuando ad essere ricompreso in tale categoria d’intervento l’aumento di unità immobiliari.
In ragione di tale modifica i lavori consistenti nel solo aumento di unità immobiliari potranno essere iniziati con la segnalazione certificata di inizio attività.
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d) all’articolo 14 (L):
1) dopo il comma 1, è inserito il seguente:
“1-bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di ristrutturazione urbanistica, attuati anche in aree industriali dismesse, dichiarati di interesse pubblico, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d’uso”;
2) al comma 3, dopo la parola: "ed esecutivi," sono aggiunte le seguenti: « nonché le destinazioni d'uso nei limiti di cui al comma 1 bis».
Innanzi tutto si evidenzia che il Comune non è vincolato all’accoglimento della richiesta di permesso di costruire in deroga.
In secondo luogo è bene ricordare che vi è ontologica diversità tra deroga e variante agli strumenti urbanistici.
Poiché gli strumenti urbanistici prescrivono le destinazioni d’uso al fine del reperimento degli standards urbanistici è del tutto evidente che la deroga a tale elemento essenziale della pianificazione sarà concedibile unicamente per funzioni ricomprese nella medesima categoria urbanistica ex artt. 3 e 5 DM 1444/68. In caso contrario, viene a configurarsi una variante allo strumento urbanistico, per la quale occorrono procedure partecipative.
Fermo restando che ben può il Comune autolimitarsi col vietare, o limitare, siffatta derogabilità.
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e) all’articolo 15 (R):
1) al comma 2, la parola “esclusivamente” è soppressa;
2) dopo il comma 2, è inserito il seguente:
“2 bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per fatto dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria.».
Anche questa modifica sembra finalizzata a vulnerare il potere pianificatorio comunale.
Come ha avuto modo di ricordare la Cassazione penale (Sez. III, n. 19101/2008), le norme sulla proroga devono considerarsi di stretta interpretazione, perché costituiscono una deroga alla disciplina generale dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori assentiti, la quale è dettata per assicurare la regolarità urbanistica dell’attività di trasformazione del territorio, in modo da evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzato quando il mutato regime non la consenta più.
La disposizione in commento introduce un’indeterminata deroga a tale principio, giacché non viene ancorata ad un atto impeditivo, bensì alla valutazione di un fatto – anche la mera conoscenza dell’esistenza di un’indagine penale, che “consiglia” l’intestatario a non intraprendere l’esecuzione dei lavori – che porterà ad un giudizio discrezionale non sindacabile se non per illogicità manifesta.
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g) all’articolo 17 (L);
1) al comma 3, dopo la lettera e) è aggiunta la seguente:
“e-bis) per gli interventi di manutenzione straordinaria consistenti nel frazionamento e accorpamento delle unità immobiliari”;
2) dopo il comma 4, è aggiunto il seguente: “4 bis. Al fine di agevolare gli interventi di densificazione edilizia, per la ristrutturazione, il recupero e il riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore al venti per cento rispetto a quello previsto per le nuove costruzioni. I comuni definiscono, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, i criteri e le modalità applicative per l'applicazione della relativa riduzione".
Anziché agevolare il disurbanesimo (v. art. 4 LUN) rinaturalizzando le aree interne alle città al fine di migliorare la qualità della vita urbana, il Ministero delle infrastrutture agevola la densificazione edilizia. Una disposizione che si pone in frontale contrasto con una finalità della LUN.
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h) all'articolo 20:
1) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. I termini di cui ai commi 3 e 5 sono raddoppiati nei soli casi di progetti particolarmente complessi secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento.»;
2) dopo il comma 8, è aggiunto il seguente:
“8-bis. Lo sportello unico per l’edilizia di cui all’articolo 5 del presente decreto, rilascia, su richiesta dell’interessato, un’attestazione circa l’avvenuta formazione del silenzio-assenso. L’attestazione di cui al precedente periodo non assume valenza provvedimentale e ha valenza meramente ricognitiva degli effetti del perfezionamento del silenzio significativo, anche ai fini della bancabilità dei progetti.”.
Il legislatore si preoccupa della bancabilità dei progetti, ma non di evitare truffe, danni e/o pregiudizi nelle compravendite dei fabbricati.
E’ necessario che l’attestazione da rilasciarsi da parte dello sportello unico per l’edilizia (SUE) in ordine all’avvenuta, o meno, formazione del silenzio-assenso venga prevista per ogni tipo di atto di assenso (compreso quello del procedimento del certificato di agibilità ex artt. 24 e 25 TUE), spostando la disposizione dall’art. 20, all’art. 5 TUE.
La certezza dei rapporti giuridici è un valore che non è confinabile al solo livello finanziario, atteso che è maggiormente richiesta nei passaggi di proprietà, specie allorquando vengono spesi i denari di una vita di sacrifici.
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i) all’articolo 22, dopo il comma 2, è inserito il seguente:
“2 bis. Sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore.”.
Non si comprende come possa essere comunicata a fine lavori l’intenzione di procedere ad iniziare una variante al progetto presentato, specie allorquando si utilizzi la DIA che, normativamente, acquista efficacia trascorsi almeno trenta giorni dall’avvenuto deposito (v. art. 23 TUE).
La disposizione in commento limita l’applicazione dell’art. 34 TUE, consentendo un più spedito adattamento del progetto in corso d’opera purché entro la fine dei lavori venga depositato il rilievo dell’opera così come effettivamente eseguita.
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l) dopo l'articolo 23-bis, è inserito il seguente:
«Art. 23-ter (Mutamento d'uso urbanisticamente rilevante)
1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
-residenziale e turistico-ricettiva;
-produttiva e direzionale;
-commerciale;
-rurale.
2. La destinazione d'uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.
3. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito».
In primis, attraverso una norma regolatrice l’attività edilizia (in quanto modificante il TUE) il legislatore vorrebbe sortire l’effetto di modificare sostanzialmente gli artt. 3 e 5 DM 1444/1968 (norma di carattere pianificatorio).
E’ chiaramente un tentativo maldestro di abrogare implicitamente disposizioni della LUN.
Infatti, mentre è condivisibile l’equiparazione tra residenziale e turistico-ricettivo (sempre abitazioni sono), è assolutamente illogica l’assimilazione tra un industria e un centro direzionale stante la macroscopica diversità di carico urbanistico (per qualità e quantità di spazi pubblici necessari).
In secundis, è previsto che la disposizione statale sia cedevole innanzi a diverse (ancorché più permissive) previsioni legislative regionali: per assurdo anche se quest’ultime abolissero le categorie urbanistiche.
In sostanza, lo Stato modifica per legge ordinaria il riparto di competenze ex art. 117 Cost.
L’illegittimità costituzionale è palese!
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m) all'articolo 25 (R), comma 5-ter, le parole: "per l’attuazione delle disposizioni di cui al comma 5-bis e" sono soppresse;
La novella legislativa avrebbe carattere sostanzialmente conservativo di atti amministrativi invalidi perché non rispondenti alla normativa statale di principio, vigente dal 30/6/2003, che impone la valutazione di sussistenza dei requisiti di agibilità esclusivamente da parte dell’organo comunale, giammai del libero professionista.
Poiché sono diverse le normative regionali che prevendendo la fungibilità, se non addirittura la sostituzione, tra il certificato di agibilità e l’attestazione del libero professionista sono contrastanti con le disposizioni statali di principio (tanto che sono pendenti ricorsi innanzi alla Consulta), ecco che la norma in commento finisce per avere effetto sostanzialmente sanante di atti amministrativi.
La disposizione in commento finisce per privatizzare la sicurezza e la pubblica incolumità.
Un effetto che potrebbe essere eliminato prevedendo che il SUE rilasci l’attestato di formazione del silenzio assenso sull’istanza volta all’ottenimento del certificato di agibilità.
A tal proposito, non si può fare a meno di ricordare che nel ricorso n. 95/2012 promosso dallo Stato nei confronti della Regione Liguria, ancora pendente, così si è espresso il Presidente del Consiglio dei Ministri per bocca dell’avvocatura di Stato: “… Infatti, se è vero che il comma 10 dell'art. 26 della L.R. 6-6-2008 n. 16, richiamato dall'art. 28, comma 3, della L.R. 9/2012, prevede che il certificato di collaudo finale redatto dal progettista o da un tecnico abilitato debba attestare la conformità dell'opera al progetto presentato nonché la rispondenza dell'intervento alle norme di sicurezza, igienico - sanitarie, di risparmio energetico previste dalla normativa vigente, tuttavia tale certificazione non può assolutamente sostituire il certificato di agibilità, atteso che mentre il certificato di collaudo è redatto da un tecnico di parte, invece il certificato di agibilità, a norma dell'art. 24 d.P.R. n. 380/2001 «viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale»: si tratta dunque, di un atto dell'Amministrazione comunale, che effettua una valutazione tecnica super partes su quanto rappresentato dai tecnici di parte. Tale circostanza non appare di secondaria importanza, atteso che solo l'intervento di un'Amministrazione pubblica, che vigila e controlla quanto rappresentato dai privati, puo' fornire idonee garanzie sull'effettiva tutela di interessi pubblici di fondamentale importanza quali la sicurezza, il rispetto della normativa in materia igienico - sanitaria, il risparmio energetico.”.
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3. All’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, dopo il sesto comma, è inserito il seguente:
“L’attuazione degli interventi previsti nelle convenzioni di cui al presente articolo ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, può avvenire per stralci funzionali e per fasi e tempi distinti. In tal caso per ogni stralcio funzionale nella convenzione saranno quantificati gli oneri di urbanizzazione o le opere di urbanizzazione da realizzare e le relative garanzie purché l’attuazione parziale sia coerente con l’intera area oggetto d’intervento.”
4. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Fermo restando che in caso di insediamenti residenziali al momento dell’agibilità degli edifici privati devono sussistere non solo le opere di urbanizzazione primaria, ma anche quelle di secondaria, lo Stato viene a prevedere che la convenzione urbanistica (atto bilaterale) possa essere sostituito anche da un mero atto unilaterale d’obbligo (che impegna solo il proponente) che solitamente non viene mai accettato con atto espresso.
Ma l’interesse dei Cittadini ad ottenere aree ed opere di urbanizzazione secondaria, in caso di atto unilaterale d’obbligo, da chi verrebbe effettivamente tutelato visto che è invalsa la moda – priva di valida base legislativa statale (in quanto materia attinente anche all’ordinamento civile perché relativa a prestazioni di servizi ex art. 13 TUEL) ed avallata da qualche distratto collegio del Consiglio di Stato – sia di monetizzare gli spazi da reperire idonei ad ospitare le opere pubbliche, sia di utilizzare i proventi degli oneri di urbanizzazione per tutt’altra finalità rispetto a quella propria?
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Art. 37 - Altre misure di semplificazione edilizia
1. Al fine di semplificare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti ulteriori modificazioni:
a) all’articolo 5, dopo il comma 3, è inserito il seguente:
“3-bis. Per gli interventi in diretta esecuzione del P.R.G. o degli strumenti di pianificazione comunque denominati, fatti salvi i vincoli di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in alternativa alla conferenza di servizi, qualora le amministrazioni interessate non provvedano al rilascio dell’atto di assenso entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta, il responsabile dello sportello unico per l’edilizia richiede nel termine di cinque giorni alla Regione o al Ministero competente in relazione alla tipologia di atto di assenso la nomina di un commissario ad acta nei confronti delle predette amministrazioni. La Regione o il Ministero competente provvedono alla nomina nel termine di cinque giorni dalla richiesta e il commissario e provvede nel termine di trenta giorni. Qualora il responsabile dello sportello unico per l’edilizia non formuli la richiesta nel predetto termine o la Regione o il Ministero non provvedano nel termine previsto, il soggetto proponente l’intervento può esercitare l’azione per il silenzio prevista dall’art. 31 c.p.a. All’inosservanza di ciascuno dei termini previsti si applicano le previsioni dell’art. 2-bis della legge 7 agosto 1990 , 241”;
Su questo punto si rimanda al primo commento.
Si stigmatizza il fatto che il legislatore non ha previsto termini perentori, potendo, così, il funzionario della P.A. essere scusato per il ritardo “incolpevole” e, quindi, non pagare in prima persona per il disagio e/o danno arrecato al privato.
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b) dopo l’articolo 12, è inserito il seguente:
“art. 12-bis
(Valutazione preventiva di fattibilità)
1. Il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo alla presentazione della richiesta di rilascio del permesso di costruire può richiedere allo sportello unico una valutazione preventiva sul progetto edilizio per accertarne l’ammissibilità in ordine al rispetto dei requisiti e presupposti richiesti da leggi o da atti amministrativi, allegando a tal fine una relazione, predisposta da un professionista abilitato, contenente una descrizione delle caratteristiche essenziali, i principali parametri progettuali e una rappresentazione grafica dell’intervento da realizzare, secondo le indicazioni del regolamento edilizio e le norme vigenti in materia.
2. La valutazione preventiva di fattibilità è espressa dallo sportello unico, e contenuta in un parere, entro 30 giorni dalla presentazione della relativa istanza.
3. Il parere di cui al comma 2 può essere allegato da parte dell’interessato alla successiva richiesta di rilascio del permesso di costruire. I contenuti del parere sono utilizzati nell’istruttoria di rilascio del permesso di costruire senza necessità di reiterazione.
4. Il parere di cui al comma 2 conserva efficacia fino alla variazione delle previsioni urbanistiche riguardanti l’area oggetto dell’intervento e comunque, al massimo, per un anno dalla data del suo rilascio.
5. Il rilascio del parere di cui al comma 2 è subordinato al pagamento delle spese di istruttoria nella misura indicata dal regolamento edilizio.”
Finalmente una norma di buon senso, i cui effetti, tuttavia, possono essere vanificati in considerazione del fatto che la valutazione di fattibilità non viene operata né dal responsabile del procedimento delle pratiche edilizie, tantomeno dal dirigente firmatario del settore.
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Art. 38 - Disposizioni urgenti di modifica alla legge 7 agosto 1990, n. 241.
1. Alla Legge 7 agosto 1990, n. 241 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 19, comma 3, è soppresso il seguente periodo: «È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.»;
L’eliminazione di questo periodo è riconducibile al contenuto della sentenza n. 164/2012 della Corte costituzionale, laddove il Giudice delle Leggi ha stabilito che la SCIA “… riguarda soltanto il momento iniziale di un intervento di semplificazione procedimentale …”, precisando che “… non si sostituisce al permesso di costruire (i cui ambiti applicativi restano disciplinati in via generale dal d.P.R. n. 380 del 2001) …”.
Infatti, poiché l’intervento di semplificazione procedimentale è composto da due momenti (quello iniziale, la SCIA, quello finale, il SILENZIO ASSENSO), solamente il provvedimento amministrativo ottenuto per ficto iuris può essere oggetto di autotutela.
Pertanto, viene confermato che tutti gli interventi non liberalizzati (cioè tutti quelli diversi da quelli contemplati nell’art. 6 TUE) sono soggetti a permesso di costruire (che quindi deve essere sempre richiesto), con la precisazione che solamente per alcuni interventi (quelli soggetti a SCIA) l’attività edilizia può essere intrapresa prima che intervenga il provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento (espresso o per silenzio assenso).
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b) all’articolo 19 è soppresso il comma 4;
Tale soppressione è riconducibile, anch’essa, alla sentenza n. 164/2012 del Giudice delle Leggi, giacché il trascorso del termine di trenta giorni per la SCIA edilizia non conclude il procedimento amministrativo. Quindi, non si vede come si potessero esaurire i poteri amministrativi prima del provvedimento espresso o della formazione del silenzio assenso.
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d) all’articolo 21-nonies, comma 1, dopo l’ultimo periodo sono aggiunti i seguenti: «In ogni caso, l’annullamento d’ufficio ai sensi del precedente periodo non può essere mai disposto per vizi formali del provvedimento, come indicati al comma 2 del precedente articolo 21-octies. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Qualora l’annullamento incida su rapporti negoziali si tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di annullamento all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico”.
Fermo restando che l’art. 21-nonies L. 241/1990 e s.m.i. non è ontologicamente applicabile in costanza della disciplina urbanistica sostanziale (leggi, regolamenti, strumenti urbanistici, vincoli) con cui il provvedimento abilitativo rilasciato collide (attesa la predeterminazione cogente dell’interesse pubblico attuale al momento della valutazione per l’esercizio dei poteri di autotutela), si fa rilevare che le disposizioni dell’art. 21-nonies non riguardano i provvedimenti nulli, ma solo quelli annullabili.
Pertanto, le relative disposizioni non possono essere utilizzate per tergiversare (o peggio ancora, mantenere in vita) in ordine alla sorte di permessi di costruire rilasciati in violazione di vincoli di inedificabilità, di standards pubblici o di interesse pubblico, di limiti edilizi inderogabili, della preventiva acquisizione di atti di assenso indispensabili in materia paesaggistica e di assetto ed equilibrio idrogeologico.
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INTERVENTO URGENTE SETTORE CAMPEGGI
Art.
1) come stabilito dall'art. 10 ter del D.L. 47/2014 (emergenza abitativa) convertito con modificazioni dalla legge 23/05/2014 n° 80, l’installazione in strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, non rappresentano in alcun caso, nuovi volumi o nuove superfici perché trattasi di un caso specifico previsto dalla norma che esclude questo tipo di intervento dalle nuove costruzioni.
2) Nel caso di specie il concetto di temporaneità è inapplicabile al manufatto specifico disgiunto dal suo contesto, perché trattasi di attività meramente gestionale ed è quindi UNICAMENTE riconducibile all’esistenza del campeggio.
3) La finalità Legislativa introdotta con l'art. 10 ter del D.L. 47/2014 (emergenza abitativa) convertito con modificazioni dalla legge 23/05/2014 n° 80, che ha modificato l'art. 3, comma 1, lettera e.5 del DPR 380/2001 è quella di CHIARIRE CHE NON NECESSITA DI PERMESSO DI COSTRUIRE, “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti;”
Le lobby dei campeggiatori e dei camperisti, evidentemente, non hanno ben compreso che la voglia di campeggio non è un’esigenza e, pertanto, l’installazione di tali manufatti costituisce nuova costruzione.
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Scritto il 2/9/2014