TAR Sicilia (PA) SEz. II sent. 1539 del 25 settembre 2009
Ambiente in genere. Conferenza di servizi

Gli enti intervenuti nella conferenza di servizi di cui all’art. 12 del D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 non sono legittimati passivi nel giudizio di impugnazione del provvedimento di autorizzazione unica (T.A.R. Umbria, sentenza 13 agosto 2009 n. 483): e dunque, simmetricamente, poiché in caso di giudizio ex art. 21-bis, l. 1034/1971, legittimato passivo non è, evidentemente, l’autorità che ha emanato l’atto, ma quella che avrebbe dovuto emanarlo e non lo ha fatto, ne consegue che oggetto del presente giudizio è l’inadempimento della Giunta regionale, e non degli organi od enti che hanno partecipato alla conferenza di servizi (con ogni consequenziale effetto in punto di legittimazione passiva).
N. 01478/2009 REG.SEN.
N. 00313/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente

SENTENZA



Sul ricorso numero di registro generale 911 del 2009, proposto dalle s.p.a S.E.R. - Societa' Energie Rinnovabili S.p.A., e S.E.R.1 Società Energie Rinnovabili 1, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv. Carlo Comande', Francesco Scanzano, Sergio Starace, Carola Antonini, con domicilio eletto presso l’avv. Carlo Comande' in Palermo, via Morello N.40;


contro


Regione Sicilia, e la Giunta Regionale Siciliana, in Persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in Palermo, via A. De Gasperi 81, è domiciliato per legge;

nei confronti di

Industria della Regione Sicilia, Territorio e Ambiente della Regione Sicilia, BB. CC. AA. della Regione Sicilia, Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in Palermo, via A. De Gasperi 81, sono domiciliati per legge;

per l'annullamento

del silenzio inadempimento formatosi in relazione alla adozione della decisione sulla istanza di autorizzazione unica per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto eolico denominato “Monti Sicani” e delle relative opere di connessione alla RTN, rimessa alla Giunta regionale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 12, comma 4, d. lgs 387/2003, e 14-quater, comma 3, l. 241/1990.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Sicilia in Persona del Presidente P.T.;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Sicilia Giunta;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Sicilia Assessorato Territorio ed Ambiente;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Sicilia Assessorato Bb.Cc.Aa.;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Soprintendenza Bb.Cc.Aa. di Palermo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 16/07/2009 il dott. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO


1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il 4 maggio 2009, e depositato il successivo 19 maggio, le società ricorrenti hanno chiesto la declaratoria dell’illegittimità del silenzio-inadempimento formatosi sulle istanze indicate in epigrafe.
Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate.
La Giunta regionale di governo della regione Sicilia, in particolare, con memoria depositata il 14 luglio 2009, ha eccepito l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso, e ne ha chiesto comunque il rigetto nel merito.
Le società ricorrenti hanno replicato con memoria del 16 luglio 2009.
All’udienza camerale del 16 luglio 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. La difesa regionale eccepisce, nella parte finale della memoria depositata, il difetto di legittimazione attiva delle società ricorrenti: eccezione che tuttavia, nell’ordine logico delle questioni da esaminare, si pone come prioritaria, investendo un presupposto processuale.
Osserva la difesa delle amministrazioni intimate di avere appreso in occasione della proposizione del ricorso in esame che le società ricorrenti sono aventi causa (in quanto cessionarie di ramo d’azienda) dalla originaria istante: e che la successione civilistica non comporta, nel caso di specie, una successione nella posizione di interesse legittimo pretensivo al rilascio dell’autorizzazione, attesa la natura dell’autorizzazione richiesta, che secondo questa ricostruzione sarebbe caratterizzata dall’intuitu personae.
Osserva sul punto il collegio che, al di là di ogni altra considerazione in merito alla trasmissibilità o meno della posizione d’interesse dedotta, la superiore eccezione appare infondata in punto di fatto.
Le società ricorrenti, nella memoria di replica, hanno chiarito – con affermazione rimasta peraltro incontestata - che in realtà la cessione nel ramo d’azienda (e la successione nei relativi rapporti), era stata notificata all’amministrazione procedente già nel settembre 2007, ed hanno prodotto in giudizio (in allegato a detta memoria) la relativa documentazione, senza che risulti alcun rilievo della predetta amministrazione in merito alla pretesa intrasmissibilità, per ragioni legate all’intuitu persone, della titolarità del rapporto e della relativa posizione d’interesse.
Il procedimento amministrativo è dunque proseguito nei confronti delle odierne ricorrenti, che radicano la legittimazione a contestare l’inerzia proprio dall’essere subentrate nella posizione dell’originaria istante.

3. Dev’essere quindi esaminata l’eccezione d’irricevibilità del ricorso sollevata dalla difesa della Regione Sicilia.
La difesa regionale lamenta in memoria che il diesa a quo per la proposizione del ricorso andrebbe individuato nel 25 luglio 2006 (data di presentazione della richiesta di autorizzazione), o al più nel 9 novembre 2007 (data della integrazione di detta richiesta con riferimento agli aerogeneratori).
Questa ricostruzione non può essere condivisa, in quanto il termine per agire contro il silenzio-inadempimento decorre dalla scadenza del termine per provvedere: e non dalla data di presentazione dell’istanza.
L’art. 2, comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241 - nel testo vigente all’epoca dell’instaurazione e dello svolgimento del procedimento per cui è causa, e della proposizione del ricorso in esame (successivamente alla modifica introdotta dall’art. 3, comma 6-bis, del decreto-legge14 marzo 2005, n. 35, e prima della ulteriore modifica apportata dall’art. 7, comma 1, lett. b), della legge 18 giugno 2009, n. 69) - stabiliva che “Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all'amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l'inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza. È fatta salva la riproponibilità dell'istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”.
Nel computo non va compresa la sospensione feriale dei termini, giacché il predetto termine di un anno, secondo l’orientamento giurisprudenziale che al collegio appare preferibile, ha natura non processuale ma sostanziale (T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, sentenza 7 giugno 2005 n. 2770; T.A.R Campania, Napoli, sez, IV, sentenza 6 giugno 2006 n. 6747).
La decorrenza del termine, per la proposizione del ricorso, è dunque dalla norma indiscutibilmente ancorata alla scadenza del termine posto all’amministrazione per la conclusione del procedimento, e per l’emanazione del relativo provvedimento.
Del resto, anche sul piano logico, non può onerarsi la parte di agire contro l’inadempimento, finché inadempimento non vi sia (in pendenza, cioè, del termine per provvedere)
In relazione allo specifico procedimento per cui è causa, l’art. 12, comma 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, stabilisce che “Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni”.
Dunque l’anno per proporre ricorso decorre dal centottantesimo giorno successivo alla integrazione dell’istanza, vale a dire dal 9 maggio 2008.
Essendo stato notificato il ricorso il 4 maggio 2009, con notifica ricevuta dall’amministrazione il successivo 6 maggio 2009, il predetto termine annuale risulta rispettato per tabulas.

4. Quanto all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, per essere stato il ricorso rivolto nei confronti della Regione Sicilia in persona del suo Presidente pro-tempore, osserva anzitutto il collegio che, al di là della perspicuità o meno delle argomentazioni poste a sostegno di tale eccezione (dalle quali non è dato evincere con chiarezza quale sarebbe l’amministrazione legittimata passiva, in tesi non evocata in giudizio), ciò che appare dirimente è che il ricorso in esame risulta notificato sia alla Regione e alla Giunta regionale (in persona del Presidente), sia agli Assessorati regionali competenti, sia alla Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo: vale a dire a tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento.
Considerata la peculiarità della fattispecie procedimentale, per cui la decisione finale non tempestivamente adottata risulta essere quella da adottarsi all’esito della fase, eventuale e “patologica”, di composizione del dissenso da parte della Giunta regionale, è poi di palese evidenza che l’organo inadempiente è proprio la Giunta regionale, e non anche le singole amministrazioni che hanno partecipato alla precedente fase del procedimento.
Si è infatti condivisibilmente affermato in giurisprudenza, a proposito del modulo procedimentale in esame, che gli enti intervenuti nella conferenza di servizi di cui all’art. 12 del D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 non sono legittimati passivi nel giudizio di impugnazione del provvedimento di autorizzazione unica (T.A.R. Umbria, sentenza 13 agosto 2009 n. 483): e dunque, simmetricamente, poiché in caso di giudizio ex art. 21-bis, l. 1034/1971, legittimato passivo non è, evidentemente, l’autorità che ha emanato l’atto, ma quella che avrebbe dovuto emanarlo e non lo ha fatto, ne consegue che oggetto del presente giudizio è l’inadempimento della Giunta regionale, e non degli organi od enti che hanno partecipato alla conferenza di servizi (con ogni consequenziale effetto in punto di legittimazione passiva).
Inoltre, come correttamente affermato in memoria dalle società ricorrenti, l’avvenuta costituzione in giudizio – senza eccezioni o riserve – da parte dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato (che ha svolto difese scritte solo in nome della “Giunta di Governo della Regione Siciliana”, senza però specificare nulla in sede di costituzione), consente di ritenere, da ultimo anche con la sentenza n. 976/2009 di questo Tribunale Amministrativo Regionale, che detta costituzione in giudizio “esprime una funzione di patrocinio potenzialmente riferibile a ciascuna delle articolazioni amministrative regionali”.
Per tutte le superiori considerazioni, l’eccezione è pertanto infondata.

5. Nel merito dell’azione proposta, osserva il collegio che la fissazione di un termine procedimentale di durata massima, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là della persistenza o meno del potere di provvedere in capo all’amministrazione inadempiente), comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell’inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell’azione amministrativa, qualora sull’istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo.
Né vale in contrario distinguere fra mera inerzia, e lungaggini procedimentali, allorché, come nel caso di specie, all’atto della scadenza del termine vi erano ancora in corso attività istruttorie e decisionali che in tesi avrebbero giustificato il ritardo (l’invio degli atti alla Giunta regionale per la composizione del dissenso espresso).
Infatti per un verso giova rimarcare come nel sistema dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 le cause di interruzione o sospensione del termine per provvedere sono tipiche e di stretta interpretazione; e, per altro verso, come la disciplina dello specifico procedimento amministrativo considerato contiene una previsione relativa al superamento del dissenso espresso da una delle amministrazioni portatrici di interessi cc.dd. sensibili.
L’art. 2, comma 158, lett. d), della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha infatti stabilito che al citato art. 12 d. lgs. 387/2003 “dopo il primo periodo del comma 4 è inserito il seguente inserito «In caso di dissenso, purché non sia quello espresso da una amministrazione statale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, o del patrimonio storico-artistico, la decisione, ove non diversamente e specificamente disciplinato dalle regioni, è rimessa alla Giunta regionale ovvero alle Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano».
Si tratta, all’evidenza, di un adeguamento della disciplina dello specifico procedimento, alla previsione contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo (art. 14-quater, comma 3, l. 241/1990): ma proprio la presenza di una disciplina speciale esclude l’invocabilità di quella generale, e della dilatazione cronologica dalla stessa prevista.
Inoltre, a seguito della richiamata modifica, il testo dell’art. 12 in parola risulta così strutturato: “L'autorizzazione di cui al comma 3 è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. In caso di dissenso, purché non sia quello espresso da una amministrazione statale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, o del patrimonio storico-artistico, la decisione, ove non diversamente e specificamente disciplinato dalle regioni, è rimessa alla Giunta regionale ovvero alle Giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano. Il rilascio dell'autorizzazione costituisce titolo a costruire ad esercitare l'impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere l'obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell'impianto o, per gli impianti idroelettrici, l’obbligo alla esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni”.
Anche da un punto di vista logico-sistematico, è dunque evidente, e chiara, la volontà del legislatore di considerare nel termine complessivo di centottanta giorni anche l’eventuale fase di composizione del dissenso (come si evince dal fatto che la previsione di chiusura, contenente il termine complessivo, segue la previsione e la disciplina della fase predetta).
La fase eventuale di composizione del dissenso è stata, in altre parole, prevista dal legislatore nell’ambito della speciale disciplina del singolo procedimento, e compresa nell’ambito temporale complessivo di centottanta giorni (sulla necessità, in ossequio al principio di specialità, di applicare con preferenza la normativa relativa al singolo procedimento considerato, in punto di disciplina del termine di durata del procedimento stesso, in luogo di quella contenuta nella legge generale sul procedimento amministrativo, si veda Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 9591 del 27/04/2006).
Come del resto condivisibilmente affermato dalla III Sezione di questo Tribunale Amministrativo Regionale nella sentenza 22 ottobre 2008 , n. 1277, “Dalla lettura della norma sopra richiamata - rubricata "Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative" - si ricava l'intento del legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella "conferenza di servizio" ai fini del rilascio di una "autorizzazione unica". Ed a siffatto "favor legis" (come anche al principio dell'obbligo della P.A. di concludere il procedimento ex art. 2 L. n. 241/1990, recepita in Sicilia con L.r. n. 10/1991), non può non conseguire l'obbligo della resistente Regione siciliana di adottare le relative determinazioni, positive o negative, nei modi e nei termini di legge, entro quel termine massimo di 180 giorni avente un evidente intento acceleratorio del procedimento, e posto come limite temporale massimo per l'adozione della determinazione conclusiva, qualunque essa sia”.
L’art. 27, comma 44, della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha poi soppresso il secondo periodo dell’art. 12, aggiunto dal citato art. 2, comma 158, lett. d), della legge 24 dicembre 2007, n. 244: ma tale ulteriore modifica, successiva finanche alla discussione del ricorso in esame, è del tutto irrilevante – ratione temporis - nella fattispecie”.

6. Quanto all’eccezione regionale relativa all’esistenza di uno strumento pianificatorio in itinere, delle due l’una: o tale strumento era vigente all’epoca della presentazione dell’istanza di autorizzazione e del suo esame in conferenza di servizi; oppure, in assenza di misure di salvaguardia di segno diverso, la compatibilità dell’istanza con il piano non rientra fra le ipotesi normative di sospensione del termine per provvedere.
In ogni caso, in concreto l’eccezione non spiega l’assoluta inerzia, protrattasi per circa un anno, della Giunta regionale: non risultando che la non decisione contestata con il ricorso in esame fosse in qualche modo da imputare, in forme e modi compatibili con il principio di legalità, alla necessità di verificare la compatibilità dell’istanza al piano in itinere.

7. Quanto fin qui esposto consente di affermare l’infondatezza dell’argomentazione della difesa regionale, in punto di natura asseritamente politica della competenza - non esercitata dalla Giunta regionale - relativa alla composizione del dissenso.
Per opinione pacifica in dottrina e giurisprudenza, la disciplina del modulo procedurale considerato – riproduttiva, come accennato della regola generale contenuta nell’art. (art. 14-quater, comma 3, l. 241/1990) – risponde, specie a seguito della ridefinizione delle competenze amministrative delle autonomie locali conseguente alla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, ad un’esigenza di bilanciamento fra la necessità di garantire a ciascuna amministrazione di potere curare nel modo più efficace l’interesse di cui è portatrice, e la non meno rilevante necessità che il mancato raggiungimento di un consenso unanime determini lo stallo dell’attività amministrativa.
La non facile sintesi fra coordinamento e semplificazione, di fronte alla difficoltà di rinvenire un ordine gerarchico degli interessi normativamente pre-definito, si esprime dunque in un percorso procedimentale dalla cui disciplina la dottrina ha ricavato, sul piano teorico, la prefigurazione di un peculiare modo di esplicarsi della funzione amministrativa (la c.d. funzione amministrativa conferenziale), che caratterizza l’esercizio del potere amministrativo in un sistema a pluralismo maturo.
In quest’ottica, anche in considerazioni dei limiti costituzionali alla semplificazione procedimentale evidenziati dalle sentenze n. 206/2001 e n. 376/2002 della Corte costituzionale, accanto alla regola che assegna all’amministrazione procedente la possibilità di superare eventuali dissensi tenendo conto della posizione prevalente emersa in conferenza, una speciale disciplina – derogatoria – è prevista per l’ipotesi di dissenso manifestato da amministrazioni portatrici di interessi ritenuti “sensibili” (art. 14-quater, comma 3), e per la posizione costituzionale delle autonomie locali (art. 14-quater, comma 3-bis).
La norma che individua nel vertice dell’apparato amministrativo (nazionale o regionale) la figura chiamata a comporre il dissenso, attribuisce ad esso la competenza ad effettuare non certo una scelta insindacabile (“riservata”, come pretenderebbe la difesa regionale, “alla volontà politica del massimo Organo di Governo della Regione”), ma, al contrario, una tipica ponderazione comparativa degl’interessi coinvolti, resa possibile dalla collocazione istituzionale dell’organo decidente, il cui orizzonte è tale da poter considerare, in un’ottica di sintesi, tutte le diverse posizioni di’interesse (quelle ambientali, paesaggistiche, energetiche, urbanistiche, industriali, ecc.).
La norma esprime, in altre parole, una tipica regola di sussidiarietà verticale, realizzando un allocazione del meccanismo di coordinamento che coniuga il profilo dell’attività con quello dell’organizzazione: il che non autorizza l’affermazione della natura politica della competenza esercitata, dovendo al contrario il vertice dell’amministrazione regionale compiere un’attività tipica della funzione amministrativa, vale a dire ricavare – alla luce delle norme e delle risultanze fattuali - la gerarchia degli interessi che in concreto emergono nel procedimento.
Ne consegue, che gli atti adottati – o non adottati – nell’esercizio di tale competenza, in quanto espressione di una funzione amministrativa, sono soggetti alle ordinarie regole di giustiziabilità previste per gli atti amministrativi: dal che discendono i corollari della doverosità della emanazione di tali atti entro il termine assegnato dalla legge (in applicazione del principio generale dell’azione in via provvedimentale, sancito dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990); e della sottoposizione al sindacato giurisdizionale degli atti di esercizio del relativo potere, senza alcun limite alla cognizione dei vizi di legittimità.

8. Una volta acclarato, per le superiori considerazioni, che nella fattispecie considerata la scadenza del termine per provvedere qualifica la condotta dell’amministrazione procedente come inadempimento ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990, da tale qualificazione discendono ex lege due conseguenze: sul piano funzionale, la fondatezza della pretesa della parte che intenda far dichiarare l’illegittimità di siffatto inadempimento, con conseguente condanna dell’amministrazione inadempiente a provvedere; sul piano patrimoniale, la responsabilità dell’amministrazione procedente per il danno da ritardo (nei limiti tracciati dalla decisione n. 7/2005 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; e, successivamente ai fatti di causa, dall’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69).
Il ricorso è pertanto fondato e come tale dev’essere accolto.

Sussistono gravi ed eccezionali ragioni che impongono di disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio (art. 92, cod. proc. civ., come novellato dall’art. 45 della legge n. 69/2009, cit.), avuto riguardo alla parziale novità di alcune delle questioni trattate.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sezione II, accoglie il ricorso in epigrafe, e per l’effetto:
dichiara l’illegittimità del silenzio serbato dalle amministrazioni intimate sull’istanza proposta dalle società ricorrenti;
condanna le amministrazioni intimate a provvedere sulla predetta istanza.
Dichiara la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio del 16 luglio 2009 e del 25 settembre 2009, con l'intervento dei Magistrati:

Nicolo' Monteleone, Presidente
Giovanni Tulumello, Primo Referendario, Estensore
Francesca Aprile, Referendario

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2009