Tar Lombardia (BS) Sez. I sent. 1161 del 6 novembre 2007
v.i.a. e nozione di ambito urbano (segnalata da P. Brambilla)
N. 01161/2007 REG.SEN.

N. 00140/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 140 del 2006, proposto da:
Lagocastello Immobiliare Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Innocenzo Gorlani, Cesare Nicolini, Salvatore Sica, con domicilio eletto presso Innocenzo Gorlani in Brescia, via Romanino, 16 (030/3754329) @;

contro

Comune di Mantova, rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Nespor, con domicilio eletto presso Stefano Nespor in Milano, via Fogazzaro, 8 (02/54101742) @; Rosignoli Alberto - Dir. Sett. Edilizia Provincia di Mantova; Parco Naturale del Mincio, rappresentato e difeso dall'avv. Sara Zaniboni, con domicilio eletto presso Laura Rota in Brescia, via Solferino, 55; Regione Lombardia, rappresentato e difeso dall'avv. Viviana Fidani, con domicilio eletto presso Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30 (Fax=030/2449770);

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

AVVERSO ORD. DIR. 4.11.2005 N. 187: SOSPENSIONE LAVORI DI ESECUZIONE OPERE DI URBANIZZAZIONE; PROVV. DIR. 31.7.2006 N. 21843: DENEGATO PROVVEDIMENTO AUTORIZATIVO UNICO ED ATTI CONNESSI.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mantova;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Parco Naturale del Mincio;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Regione Lombardia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11/10/2007 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

La “Lagocastello Immobiliare S.r.l.” [d’ora in avanti, soltanto “Lagocastello”] è proprietaria in Mantova di un appezzamento di terreno di 334.727 mq, distinto al Catasto di detto Comune al foglio 40, mappali 22, 38, 40, 42, 43, 44, 112, 114, 124, 135 e 166, sito in prossimità della sponda est del Lago Inferiore e classificato dal vigente P.R.G. come parte del “Comparto Strada Cipata 1”, zona C soggetta a piano attuativo obbligatorio; del comparto in questione fa parte anche altro terreno contermine, di 23.460 mq, distinto al Catasto comunale allo stesso foglio 40 mappali 39, 58 e 59 e di proprietà di un terzo soggetto, certa Conti Immobiliare S.a.s. di Conti Giuseppina (per tutti i dati citati, peraltro non controversi in causa, v. comunque il doc. 13 ricorrente, copia convenzione urbanistica, ove anche gli esatti estremi dei terreni di cui consta il comparto).

In particolare, una variante al P.R.G. di Mantova approvata da ultimo con delibera consiliare 7 settembre 2004 n°82 (doc. 7 ricorrente, copia di essa; v. anche il doc. 4 depositato dal Comune in ossequio all’ordinanza istruttoria 11- 17 gennaio 2007 n°101 di questo Tribunale, ove un estratto della cartografia di piano e copia delle N.T.A. nelle quali è compreso il comparto di cui si tratta; il dato comunque è sempre non controverso) ha dapprima impresso la suddetta classificazione al terreno in parola; in attuazione di tale variante, è stato poi adottato e approvato, con delibere consiliari 2 dicembre 2004 n°112 e 10 febbraio 2005 n°14 (doc. ti 10 e 11 ricorrente, copia di esse), il piano attuativo previsto dallo strumento generale, integrato il 28 febbraio 2005 dalla relativa convenzione urbanistica conclusa fra il Comune, la Lagocastello e la ricordata Conti S.a.s. (doc. 13 ricorrente cit., copia convenzione).

A norma del piano attuativo e della convenzione citati, la Lagocastello programma allora un intervento di superficie complessiva di 308.187 mq, ripartiti in 142.811 mq a destinazione residenziale e terziaria, 109.719 a parco pubblico, 20.977 a parcheggio pubblico, 28.629 a strade ed il residuo a rispetto stradale; sulla superficie a ciò destinata programma poi 184.899 mc di edificazione- corrispondenti ad una superficie lorda di pavimento di 61.633 mq destinati a residenza e, in piccola parte, ad albergo- per 1233 abitanti teorici insediabili (per tutto ciò, v. § 2 della convenzione urbanistica, doc. 13 ricorrente citato).

Per l’intervento descritto, la Lagocastello presenta al Comune la richiesta di provvedimento autorizzativo unico necessaria a realizzare le opere di urbanizzazione privata di cui al piano attuativo, richiesta comprensiva di istanza di autorizzazione paesistica e di denuncia inizio attività (cfr. nel doc. 16 ricorrente, copia contratto di appalto, l’allegato C, che comprende le copie delle relative richieste); a fronte di ciò ottiene il 1 giugno 2005 la sostanziale approvazione dell’Ente Parco del Mincio, nel cui perimetro si trova il terreno interessato e che si limita ad una breve serie di prescrizioni relative all’illuminazione stradale (doc. 14 ricorrente, copia parere Ente citato: si nota che essa occupa una sola facciata di foglio); e contestualmente il rilascio della autorizzazione paesistica 2 aprile 2005 n°74 (doc. 15 ricorrente, copia di essa); procede allora ad appaltare le opere in questione (doc. 16 ricorrente, cit.).

Peraltro, il 14 novembre 2005, la Lagocastello riceve notifica dell’ordinanza comunale 187/2005, la quale in sintesi premette da un lato che l’area oggetto dell’intervento è soggetta a “vincolo apposto con D.M. 26 maggio 1970 ‘dichiarazione di notevole interesse pubblico degli spondali del Lago di Mezzo ed Inferiore’”, a “vincolo automatico ai sensi dell’art. 142 lettere b) e f) del d. lgs. 22 gennaio 2004 n°42” ed è inoltre “compresa all’interno della perimetrazione del Piano territoriale di coordinamento del Parco regionale del Mincio”; dall’altro che l’intervento in corso di realizzazione deve essere sottoposto in ragione delle sue caratteristiche a verifica di sottoponibilità a valutazione di impatto ambientale e a studio di incidenza delle possibili sue conseguenze sul vicino sito naturalistico di interesse comunitario denominato “Vallazza”; ciò premesso ordina la “sospensione dei…lavori in corso presso l’area del Piano di lottizzazione Strada Cipata n°1 dalla data di notifica della presente ordinanza sino all’esito dell’istruttoria…” (doc. 1 ricorrente, copia ordinanza citata).

Consultando gli atti richiamati nella predetta ordinanza di sospensione, la Lagocastello apprende allora in primo luogo che ad avviso della competente struttura regionale l’intervento in questione, di superficie superiore a 10 ha, va ritenuto ai sensi del punto 7.7 della delibera 18 dicembre 2003 n°VII/15701 come “ambito urbano”, soggetto quindi a verifica di assoggettabilità a v.i.a. “in quanto il relativo perimetro risulta contiguo, per oltre il 50% della sua estensione, ad aree azzonate dal vigente P.R.G. come A, B,C, D e servizi a valenza comunale” (cfr. doc. 2 ricorrente, copia nota 27 ottobre 2005 prot. n°32149 del Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale della Regione Lombardia); apprende poi che ad avviso dell’Ente Parco del Mincio “per l’espressione dei pareri di competenza è necessario che la documentazione di progetto venga integrata da uno studio di incidenza…sul sito di importanza comunitaria Vallazza” (doc. 4 ricorrente, copia nota 19 ottobre 2005 del Direttore del parco del Mincio).

Avverso tali atti, meglio indicati in epigrafe, la Lagocastello ha proposto il ricorso principale, articolato in tre censure, riportabili secondo logica ai seguenti quattro motivi:

- con il primo motivo (pp. 27-28 e 36-38 del ricorso principale), si deduce la violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, per esser stato l’atto impugnato emesso senza avviso di inizio del relativo procedimento, sia relativamente alla decisione di sospendere i lavori sia rispetto alle altre decisioni che lo stesso, a dire della ricorrente, conterrebbe, ovvero le decisioni di sottoporre l’intervento verifica di assoggettabilità a v.i.a. e a studio di incidenza;

- con il secondo motivo (pp. 14-16 del ricorso principale) si deduce la violazione dell’art. 27 T.U. 6 giugno 2001 n°380, e comunque l’eccesso di potere. In proposito, si evidenzia quanto sopra esposto, ovvero che l’ordinanza impugnata ritiene in motivazione necessario sottoporre l’intervento di che trattasi tanto a studio di possibile incidenza sul vicino sito naturalistico “Vallazza”, quanto a verifica di sottoponibilità a v.i.a.; su tali premesse, dispone allora la sospensione dei lavori “sino all’esito dell’istruttoria inerente gli studi prescritti dall’Ente Parco e dalla Regione Lombardia” (doc. 1 ricorrente cit.), per dar luogo ai citati adempimenti. Ciò posto, la ricorrente deduce che il provvedimento impugnato configurerebbe una sospensione sine die dei lavori di proprio interesse, che non sarebbe prevista dalla legge, e in particolare dall’art. 27 del T.U. edilizia, che presuppone un abuso edilizio in corso, mancante invece nella fattispecie concreta, e vincola comunque ad adottare entro un dato termine i relativi provvedimenti sanzionatori, a pena di decadenza della sospensione stessa;

- con il terzo motivo (pp. 16-27 del ricorso principale), si deduce la violazione delle norme concernenti l’assoggettabilità a v.i.a., in particolare del D.P.R. 12 aprile 1996 art. 1 comma 6 in relazione dell’allegato B punto 7. In proposito, si evidenzia ancora quanto sopra esposto, ovvero che a monte dell’impugnata sospensione lavori vi è la nota 27 ottobre 2005 prot. n°32149 del Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale della Regione Lombardia (doc. 2 ricorrente cit., copia di essa), secondo la quale l’intervento in parola è soggetto a verifica di assoggettabilità a v.i.a. perché “con riferimento all’allegato B al D.P.R. 12 aprile 1996 punto 7 lettera b l’ambito di intervento di estensione superiore a 10 ha può essere classificato (ai sensi del punto 7.7 dell’allegato A alla deliberazione della Giunta regionale della Lombardia 18 dicembre 2003 n°7/15701 in calce alla presente) come ‘ambito urbano’ in quanto il relativo perimetro risulta contiguo, per oltre il 50% della sua estensione, ad aree azzonate dal vigente P.R.G. come A, B,C, D e servizi a valenza comunale” (cfr. sempre doc. 2 ricorrente cit.). Ciò posto, si evidenzia altresì che la citata delibera della Giunta regionale 18 dicembre 2003 n°7/15701 (doc. 3 ricorrente, copia di essa) riguarda in realtà i progetti di centri commerciali e di grandi strutture di vendita, non quindi gli insediamenti residenziali come quello per cui è causa. In tali termini, si deduce l’illegittimità della nota regionale, e in via derivata dell’ordinanza di sospensione che la recepisce, sotto due distinti profili. In primo luogo, si afferma che sarebbe illogico volere applicare ad un intervento residenziale un criterio dettato in origine, come si è visto, per il settore commerciale. In tal senso, si osserva che il concetto di “ambito urbano” di cui alla delibera 18 dicembre 2003 n°7/15701 non potrebbe in ogni caso assumere valenza generale, riferita agli interventi di ogni specie, perché definito in rapporto alla classificazione dei vari comuni operata dal Programma per lo sviluppo del settore commerciale, e quindi all’evidenza valido solo per tali fini, e che comunque la delibera in parola, ove fosse ritenuta applicabile puramente e semplicemente anche a fattispecie diverse da quelle contemplate in modo espresso, sarebbe da ritenere illegittima per illogicità. In secondo luogo, si afferma che comunque nemmeno applicando in via diretta la normativa del D.P.R. 12 aprile 1996 si potrebbe argomentare la necessità di assoggettare l’intervento in parola a verifica di sottoponibilità a v.i.a. Si osserva infatti in tal senso che a norma dell’allegato B punto 7 del decreto in parola, un intervento di costruzione di superficie superiore a 10 ettari, ma inferiore a 40 ettari come il presente, è soggetto alle norme sulla v.i.a. solo qualora si configuri come “progetto di sviluppo urbano all’interno di aree urbane esistenti”. Tale non sarebbe l’intervento in esame, il quale si collocherebbe all’esterno dell’area urbana, configurerebbe un progetto di sviluppo di “aree urbane nuove o in estensione”, e quindi sarebbe soggetto alle norme sulla v.i.a. solo ove superasse i 40 ha di estensione, il che nella specie pacificamente non avviene;

- con il quarto motivo (pp. 28-36 del ricorso), si deduce la violazione del D.P.R. 8 settembre 1997 n°357 e comunque l’eccesso di potere rispetto alla pretesa di assoggettare l’intervento a studio di incidenza sul sito “Vallazza”. In proposito, si premette che l’Ente Parco del Mincio, dal cui parere tale pretesa origina (cfr. doc. 4 ricorrente, cit.), si era in precedenza espresso in modi difformi. Infatti, in sede di adozione e approvazione della variante al P.R.G. l’Ente aveva espresso parere favorevole, “subordinato alla presentazione della documentazione necessaria comprovante la mancanza di incidenza significativa sugli obiettivi di conservazione dei Siti di Interesse Comunitario (Valli del Mincio e Vallazza)” (doc. 8 ricorrente copia nota Ente Parco 20 agosto 2004), e comunque non aveva impugnato la variante. In sede di adozione ed approvazione del Piano attuativo, l’Ente aveva poi espresso parere favorevole subordinato a prescrizioni di poco conto, comunque non richiedendo alcuno studio di incidenza (doc. 12 ricorrente, copia nota Ente Parco 3 febbraio 2005), e in sede di decisione sulle opere di urbanizzazione aveva infine espresso l’altro parere favorevole di cui si è detto (cfr. doc. 14 ricorrente, cit.). In tale contesto, a dire della ricorrente, l’avere richiesto in un secondo tempo uno studio di incidenza costituirebbe anzitutto eccesso di potere per contraddittorietà; costituirebbe ancora violazione di legge in quanto lo studio di incidenza si potrebbe se mai richiedere in sede di parere sul rilascio dei permessi di costruire gli edifici residenziali, e non in sede di d.i.a. concernente le opere di urbanizzazione; costituirebbe infine violazione del citato D.P.R. 8 settembre 1997 n°357, in quanto dello studio difetterebbe il presupposto richiesto dalla norma, ovvero la “incidenza significativa” dell’intervento di che trattasi sul sito, incidenza che non sarebbe stata in alcun modo argomentata e comunque non sussisterebbe, dato che fra l’area Lagocastello ed il sito insistono non solo insediamenti già realizzati, ma anche le industrie del noto polo chimico mantovano.

Successivamente, Lagocastello “ha accettato di attivare volontariamente la procedura di verifica della valutazione di impatto ambientale”, senza però volere con ciò “riconoscere in alcun modo che il PL vi fosse assoggettato”, e quindi “mantenendo ferme le censure sollevate nel ricorso introduttivo” (le frasi riportate si leggono a p. 3 del primo ricorso per motivi aggiunti; il corsivo è nel testo); ha di conseguenza inviato alla competente struttura regionale la documentazione reputata necessaria, ricevendo all’esito il decreto 13 marzo 2003 meglio indicato in epigrafe.

Il decreto in questione dichiara l’intervento assoggettabile, appunto, a v.i.a., offre una sintetica descrizione delle opere da realizzare, dà poi atto che allo stato l’area interessata, pur localizzata all’interno del Parco regionale del Mincio, non è area protetta ai sensi della l. 394/1991, e quindi è applicabile la procedura di verifica dell’assoggettabilità in fatto seguita. Il punto specifico, per inciso, è confermato anche nei successivi sviluppi della causa: da ultimo, nello stesso senso per cui non si tratta di area protetta, si è espressa la nota 28 febbraio 2007 n°6638 della Direzione generale qualità dell’ambiente della Regione Lombardia (doc. 53 ricorrente, copia atto), né le altre parti lo hanno contestato; il Comune anzi espressamente lo ammette (cfr. sua memoria 28 settembre 2007 p. 6).

Ciò posto, il decreto regionale sul punto saliente dell’assoggettabilità alla procedura così motiva:

“considerato che:

- la documentazione presentata non risulta esauriente nella descrizione e individuazione delle interferenze con alcune componenti ambientali:

- interferenze delle opere in progetto con la falda acquifera e le esistenti opere di captazione;

- collettamento, trattamento e scarico delle acque meteoriche;

- implicazioni della presenza, nelle immediate vicinanze, di aziende a rischio di incidente rilevante;

- in profilo paesaggistico, l’intervento proposto non dimostra precisi criteri di interazione con gli esistenti insediamenti di antica formazione e con le rispettive visuali;

- in tema di verifica del rispetto dei limiti di rumore, è necessario che sia classificata con chiarezza la tipologia della via Cipata, dalla quale dipendono i limiti da rispettare; inoltre per quanto riguarda la caratterizzazione acustica ante operam, non viene adeguatamente individuata la localizzazione di alcuni dei rilievi fonometrici effettuati; ciò, unitamente al fatto che l’output della modellizzazione ante operam del rumore stradale è reso solo in forma di mappe di rumore e non di valore puntuale stimato nei punti di misura, rende difficile correlare i risultati delle misure con le stime modellistiche, né appare chiaro come mediante tali misure sia stata effettuata la taratura del modello di stima; i livelli di rumore post operam non risultano stimati con puntuale riferimento ai recettori (ed ai piani di questi) né tabulati, ma solo esposti in forma di mappe di rumore ( a 4 metri di altezza);

la vigente normativa comunitaria e nazionale dispone che la valutazione delle categorie di intervento cui appartiene quello in esame venga effettuata sulla base degli elementi e criteri indicati nell’allegato III alla direttiva 97/11/CE e nell’allegato D al D.P.R. 12 aprile 1996; a tale proposito si rileva che:

- rispetto alle caratteristiche del progetto, non appare adeguatamente trattato il fattore di potenziale cumulo con altri progetti ed interventi riferiti ad aree o insediamenti contigui o prossimi all’ambito di trasformazione in esame;

- rispetto alla dimensione del progetto ed alla sensibilità ambientale del contesto (con particolare riferimento alla capacità di carico dell’ambiente naturale) i potenziali impatti del progetto sono da ritenersi tali da richiedere lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale regionale.” (cfr. doc. 19 ricorrente, copia decreto citato).

Contestualmente, Lagocastello ha presentato al Comune di Mantova una serie di domande volte al rilascio dei permessi di costruire relativi ad alcuni edifici del Piano di lottizzazione (doc. ti 21-25 ricorrente, copie di esse), ricevendo però, previa comunicazione ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/1990 (doc. 26 ricorrente, copia di essa), il provvedimento di diniego pure meglio indicato in epigrafe, motivato con riguardo alla mancanza dei presupposti necessari per il rilascio, ovvero alla mancanza di certificazione di conformità alle norme del Piano del Parco del Mincio e alla mancanza di verifica della assoggettabilità a v.i.a. (doc. 20 ricorrente, copia provvedimento in questione).

Avverso tali provvedimenti, la Lagocastello è insorta con i primi motivi aggiunti, anzitutto estendendo agli stessi i motivi terzo e quarto del ricorso principale, nel senso che né la procedura di verifica di v.i.a. né la verifica di conformità alle norme del Parco sarebbero in alcun modo dovute (cfr. I ricorso per motivi aggiunti, pp. 8-9), proponendo poi sei nuove censure, corrispondenti secondo logica ai seguenti quattro motivi, rivolti tutti contro il decreto regionale di assoggettabilità dell’intervento a v.i.a.:

- con il quinto motivo (corrispondente alla censura quinta alle pp. 9-11 del I ricorso per motivi aggiunti), si deduce ulteriore violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, in quanto la Regione, prima di emettere il decreto di assoggettabilità a v.i.a. avrebbe dovuto, a dire della ricorrente, consentirle una partecipazione procedimentale;

- con il sesto motivo (corrispondente alla censura sesta alle pp. 11-12 del I ricorso per motivi aggiunti), si deduce violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, in quanto la Regione avrebbe dovuto far precedere il decreto di assoggettabilità a v.i.a. dalla comunicazione dei motivi ostativi ai sensi della norma citata;

- con il settimo motivo (corrispondente alla censura settima alle pp. 12-16 del I ricorso per motivi aggiunti), si deduce l’eccesso di potere per difetto di istruttoria. A dire della ricorrente, il decreto regionale assoggetta l’intervento a v.i.a. evidenziando alcune asserite carenze nella documentazione allegata alla domanda: a ciò si sarebbe invece dovuto ovviare, anche in osservanza del principio di economicità dell’azione amministrativa, domandando i necessari chiarimenti ed integrazioni, che in ipotesi avrebbero consentito di evitare al privato una procedura onerosa e costosa;

- con l’ottavo motivo (corrispondente alle censure dall’ottava alla decima, alle pp. 16-33 del I ricorso per motivi aggiunti), si deduce infine ulteriore eccesso di potere per difetto di motivazione, attraverso una confutazione analitica di quanto affermato nel decreto regionale. In dettaglio, quanto ai profili delle “interferenze” delle opere “con la falda acquifera” e del “collettamento, trattamento e scarico delle acque meteoriche”, la Lagocastello deduce di avere presentato ampia documentazione progettuale in merito, che denoterebbe un impatto assolutamente accettabile del progetto, destinato a coprire poco meno del 20% del sedime; deduce poi che “opere di captazione” nelle vicinanze mancano del tutto. Quanto al profilo delle “implicazioni della presenza, nelle immediate vicinanze, di aziende a rischio di incidente rilevante”, la Lagocastello deduce in primo luogo che l’area di intervento secondo le valutazione dello stesso Comune sarebbe al di fuori di quella interessata dal cd. RIR o “rischio incidente rilevante”, in secondo luogo che l’intervento non contemplerebbe comunque strutture in grado di generare in via autonoma un rischio siffatto. Quanto ancora all’interazione con gli insediamenti esistenti, la Lagocastello deduce ancora di avere presentato esaurienti elaborati, anche grafici. Lo stesso poi deduce la ricorrente in ordine all’impatto acustico, evidenziando comunque come eventuale documentazione insufficiente si sarebbe potuta integrare a semplice richiesta. Da ultimo, la Lagocastello nega che allo stato siano previsti nelle vicinanze altri interventi cumulabili. In termini più generali, poi, la ricorrente deduce la genericità del paragrafo finale della motivazione, in cui si ritiene l’intervento assoggettabile a v.i.a. per una ragione sostanzialmente indeterminata come la “sensibilità ambientale del contesto (con particolare riferimento alla capacità di carico dell’ambiente naturale)”.

Con ordinanza 23 maggio 2006 n°917, la Sezione accoglieva l’istanza di sospensione cautelare, avanzata per la prima volta nel I ricorso per motivi aggiunti; di conseguenza la Lagocastello reiterava nei confronti del Comune la propria domanda di rilascio dei permessi di costruire, ottenendo un nuovo diniego, motivato con la presunta poca chiarezza dell’ordinanza cautelare citata; avverso tale ultimo provvedimento (doc. 39 ricorrente, copia di esso), proponeva allora nuova impugnazione con il secondo ricorso per motivi aggiunti, deducendone l’eccesso di potere per illogicità; l’ordinanza cautelare della Sezione veniva peraltro riformata con ordinanze 23 maggio 2006 n°5947 e n°5952 del Consiglio di Stato, IV sezione.

Con atto 18 dicembre 2006, la ricorrente nominava poi ulteriore difensore, nella persona dell’avv. Salvatore Sica; con memorie 29 dicembre 2006, 26 settembre e 10 ottobre 2007 ribadiva le proprie ragioni, deducendo da ultimo di avere ottenuto dall’Ente Parco del Mincio una valutazione di incidenza positiva del proprio intervento (doc. 40 ricorrente, copia atto relativo).

Si sono costituiti in causa il Comune di Mantova, con atto 15 maggio 2006 e memorie 22 maggio , 25 settembre , 30 dicembre 2006 e 28 settembre 2007, l’Ente Parco del Mincio, con memorie 3 marzo e 30 dicembre 2006, e la Regione Lombardia, con atto 5 aprile 2006 e memorie 22 maggio e 27 dicembre 2006, domandando la reiezione del ricorso. In particolare, le amministrazioni intimate hanno eccepito in via preliminare e in ordine logico:

- il vizio della procura rilasciata all’avv. Sica, in quanto recante firma del mandante autenticata dal difensore al di fuori dei casi consentiti, in quanto non apposta in margine o in calce ad uno degli atti dell’elenco tassativo di cui all’art. 83 c.p.c. (memorie Comune 30 dicembre 2006 p. 3 e 28 settembre 2007 p. 4);

- l’improcedibilità (recte: irricevibilità) del ricorso per omessa notifica ad un controinteressato, che si identificherebbe in certo Baldoni, animatore di un comitato che si opporrebbe all’intervento (memoria Comune 22 maggio 2006 p. 22 e doc. 10 Comune stesso, volantino diffuso da detto comitato);

- l’inammissibilità del ricorso principale, per avere la ricorrente prestato acquiescenza al provvedimento impugnato attraverso la presentazione della ricordata istanza di verifica della assoggettabilità a v.i.a. (memoria Regione 22 maggio 2006 p. 3 e 27 dicembre 2006 p. 9);

- l’improcedibilità del ricorso principale avverso l’ordine di sospensione, trattandosi di provvedimento asseritamente poi superato dal successivo diniego dei permessi di costruire (memoria Comune 22 maggio 2006 p. 9);

- l’improcedibilità del motivo di ricorso concernente lo studio di incidenza sul sito “Vallazza”, essendo stata rilasciata, come detto, dall’Ente Parco, la relativa valutazione favorevole (memoria Comune 25 settembre 2006 p. 4), ovvero l’improcedibilità del ricorso intero per la stessa ragione (memoria Parco 30 dicembre 2006 p. 5);

hanno infine sostenuto l’infondatezza nel merito di tutti i motivi proposti.

Con ordinanza della Sezione 6 febbraio 2007 n°101, veniva disposta istruttoria al fine di acquisire documentazione cartografica, copia degli elaborati del piano di lottizzazione e degli atti presentati alla Regione nel corso della procedura di verifica della assoggettabilità a v.i.a.; le amministrazioni interessate ottemperavano il successivo 13 marzo 2007; all’udienza del giorno 11 ottobre 2007, il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato e va per quanto di ragione accolto, nei termini di cui appresso.

1. E’anzitutto inammissibile per difetto di interesse l’eccezione preliminare relativa al presunto difetto di procura in capo all’avv. Sica, terzo difensore della ricorrente, il quale non consta avere in concreto svolto alcuna attività difensiva, dato che non constano atti di sorta da lui sottoscritti.

2. Parimenti priva di pregio è l’eccezione di irricevibilità dell’intero ricorso per omessa notifica al presunto controinteressato Baldoni. In termini generali, è infatti noto che non esistono controinteressati a fronte di provvedimenti di diniego, o comunque di rifiuto all’istante di procedere in un dato modo a lui gradito, come quelli dei quali si ragiona nella sede presente; nello specifico, va poi aggiunto che la posizione del citato Baldoni è tutt’altro che chiara: il volantino diffuso dal comitato che si assume da lui diretto (doc. 10 Comune citato) reca una serie di cancellature che non consentono di ricostruirne l’esatto contenuto, né di tale presunto comitato è dato di conoscere i termini di costituzione e di attività.

3. E’inoltre infondata anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per asserita acquiescenza alla procedura di sottoposizione a v.i.a. da parte della Lagocastello. In realtà, a prescindere dall’uso di un’espressione impropria come la “volontaria” sottoposizione alla procedura in parola, la volontà della Lagocastello quale si desume dagli atti processuali e in particolare dalle frasi riportate in narrativa, che non contengono alcuna intenzione di rinunciare al gravame proposto, è chiara ed univoca: essa sostiene in via principale che la procedura stessa non le sarebbe applicabile, ma per il caso in cui il giudice sia di avviso opposto prospetta una serie di censure al concreto operato dell’amministrazione che l’ha seguita. Si tratta quindi della prospettazione di una serie di motivi in via subordinata ad altri, che nel processo amministrativo, pur sempre governato dal principio dispositivo, è senza dubbio ammessa; in particolare, i motivi dal quinto all’ottavo di cui in premesse devono intendersi come proposti in via subordinata al non accoglimento dei motivi primo, secondo e quarto.

4. Ciò chiarito, è infondata anche l’ulteriore eccezione preliminare di improcedibilità, per cui il ricorso avverso l’ordinanza di sospensione lavori cadrebbe a fronte del successivo diniego dei permessi di costruire: si tratta all’evidenza di provvedimenti completamente diversi per oggetto, l’uno volto ad incidere sulla d.i.a. presentata per le opere di urbanizzazione, l’altro volto a negare il titolo necessario per costruire le abitazioni previste dal piano.

5. Da ultimo, infondata è anche l’eccezione di improcedibilità del ricorso, ovvero piuttosto del solo motivo di censura attinente, dato che i provvedimenti impugnati si fondano anche su considerazioni ulteriori, per successivo rilascio della favorevole valutazione di incidenza sul sito “Vallazza”: sul punto si dovrà ritornare, ma già in linea di principio l’effettivo rilascio di un titolo autorizzatorio in senso ampio nulla dice sull’effettiva necessità di ottenerlo, per cui è comunque necessario pronunciarsi sul punto relativo.

6. Il ricorso è poi nel merito solo parzialmente fondato, come risulta dalle ragioni che seguono, le quali, è bene ricordarlo, presuppongono come esistente e non modificato un certo stato di fatto e di diritto, quello per cui l’area di che trattasi è ad oggi edificabile a pieno titolo, in forza di disposizioni di P.R.G. e di piano attuativo di cui non constano né l’annullamento né la revoca, e in forza di una convenzione urbanistica dalla quale parimenti non consta che l’amministrazione comunale firmataria sia receduta.

7. Ciò posto, il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, e risultano entrambi infondati. L’assunto della ricorrente, per cui l’ordinanza comunale 4 novembre 2005 n°187 configurerebbe una sospensione senza termine dei lavori interessati, non va infatti condiviso. E’noto in generale che il giudice deve procedere alla qualificazione giuridica degli atti sottoposti al suo esame senza in ciò essere vincolato dalle denominazioni offerte dalle parti; deve poi ai sensi dell’art. 1362 c.c. interpretare l’atto amministrativo, fin quando ciò sia possibile,nel senso della sua validità e non nel senso della sua invalidità, non fermandosi ad una eventuale errata qualificazione da parte dell’autorità emanante, la quale potrebbe di per sé comportare un vizio.

8. Applicando tali principi al caso presente, si osserva che senza dubbio, per costante affermazione giurisprudenziale, un ordine di sospensione lavori privo di un termine finale di efficacia sarebbe di per sé illegittimo; la fattispecie in esame, peraltro, non va qualificata in tal senso. Se non ci si ferma al dato letterale e si esamina cosa in concreto il Comune abbia inteso prescrivere con l’ordinanza impugnata, si deve convenire che esso è intervenuto su lavori oggetto di una precedente d.i.a., ha affermato che la d.i.a. stessa mancava di taluni presupposti di legittimità, ovvero della verifica di sottoposizione a v.i.a. e della valutazione di incidenza sul sito Vallazza, ed ha disposto il blocco dei lavori stessi ritenendo che essi fossero illegittimamente posti in essere. Si tratta di contenuti del tutto assimilabili all’intervento in sede di autotutela/controllo previsto in via generale per gli interventi assoggettati a d.i.a. dall’art. 19 l. 241/1990, per il quale oltretutto, come affermato ad esempio da C.d.S. sez. IV 26 luglio 2004 n°5323, non è dovuto l’avviso di inizio del procedimento. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno quindi respinti, nel senso che al Comune spettava il potere di porre in essere, senza l’avviso di cui all’art. 7 della l. 2141/1990, l’intervento repressivo in parola.

9. L’intervento repressivo stesso era poi corretto anche quanto ai presupposti ritenuti mancanti, come risulta dall’esame dei motivi terzo e quarto, che risultano a loro volta infondati. Per quanto concerne il motivo terzo, l’applicabilità all’intervento di che trattasi della procedura di verifica di assoggettabilità a v.i.a. al di là del lessico usato è stata correttamente ritenuta dalla competente struttura regionale. Sul punto, si deve considerare la nota 27 ottobre 2005 prot. n°32149 del Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale della Regione Lombardia (doc. 9 ricorrente, cit.), la quale, come sottolineato dalla difesa della ricorrente e, per vero, anche da quella del Comune, richiama in modo incongruo la delibera della Giunta regionale 18 dicembre 2003 n°7/15701 (doc. 3 ricorrente, cit.). Quest’ultima riguarda in modo incontestabile appunto i progetti di grandi insediamenti commerciali, e ove definisce un concetto apparentemente generale di “ambito urbano”, lo fa in realtà richiamando le previsioni e le classificazioni del Programma regionale in materia, ovvero richiamando un elaborato che si pone come valido solo in uno specifico settore. Non vi è allora motivo alcuno di estendere tale concetto ad un ambito del tutto estraneo come un intervento residenziale, che non prevede al suo interno strutture di vendita, tale non essendo certo l’albergo progettato.

10. La questione della necessità o no di sottoporre l’intervento per il quale è processo a verifica di assoggettabilità a v.i.a. va allora decisa in base alle norme, pure richiamate dalla nota regionale 27 ottobre 2005 prot. n°32149, del D.P.R. 12 aprile 1996, che contrariamente a quanto sostenuto in sede di discussione dal patrocinio del Comune resistente hanno valore non meramente esemplificativo. In altri termini, un dato intervento è soggetto o no alla procedura in esame se rientra o no in una delle previsioni della norma, e non può invece esservi assoggettato in base a considerazioni ulteriori sul generico pregio dell’area interessata.

11. Ciò posto, le norme rilevanti per gli interventi di costruzione come quello in questione sono, come ricordato in narrativa, quelle dell’allegato B punto 7 del decreto citato, valide per i casi come il presente, in cui, come ricordato in narrativa, è interessata una zona al momento non costituita in area protetta. Le norme in questione distinguono allora fra progetto di sviluppo situato “all’interno di aree urbane esistenti”, soggetto a verifica di v.i.a. sol che superi i 10 ettari di estensione, e progetto di sviluppo relativo ad “aree urbane nuove o in estensione”, soggetto invece a verifica di v.i.a. nel solo caso in cui superi i 40 ettari. Poiché il progetto della Lagocastello, come è incontestato, supera i 10 ettari, ma è inferiore ai 40, la sua soggezione alla procedura in parola dipende dalla sua appartenenza alla prima o alla seconda categoria, che quindi vanno previamente definite.

12. Occorre partire in proposito dal concetto di area urbana, che, come correttamente ricordato dalla difesa della ricorrente (cfr. in part. il doc. 51 cit. a p. 6), appartiene alla scienza urbanistica, come tale è dato per presupposto dalla normativa, e si identifica, per vero anche alla luce del senso comune, con un’area edificata in modo compatto e continuo, delimitata da zone agricole, prive di edificazione, ovvero da interruzioni fisiche naturali od artificiali: in tal senso si condivide la definizione generale riportata dall’esperto di parte ricorrente arch. Pigozzi, nel documento appena citato, che argomenta in modo coerente e corretto da opere generalmente apprezzate nel settore, e non è stato contestato sul punto specifico.

13. Accettato il concetto generale di cui sopra, il Collegio ritiene però di dissentire dalle conclusioni che lo stesso esperto di parte ritiene di trarne quanto al caso concreto. Osservando la tavola 1 a pag. 8 del doc. 51 di parte ricorrente, la quale riproduce la conurbazione di Mantova, si possono per quanto interessa individuare due insediamenti: l’uno, contraddistinto con il numero “1” nella tavola in parola, corrisponde al centro storico di Mantova; l’altro, entro il quale dovrebbe situarsi il complesso Lagocastello, è contraddistinto con il numero “3” e comprende gli abitati di Frassino, Lunetta e Virgiliana e il complesso industriale del petrolchimico. Secondo l’architetto Pigozzi, gli insediamenti 1 e 3 citati costituirebbero aree urbane distinte, in quanto fra le due vi sarebbe l’interruzione rappresentata dal corso del Mincio, che in quel punto forma i laghi Superiore, di Mezzo ed Inferiore. Ne seguirebbe allora che l’intervento della Lagocastello, situato fra il margine dell’insediamento 3 e la riva dei laghi, dovrebbe integrare un progetto di sviluppo in espansione di area esistente, appunto l’area urbana 3, che si andrebbe a sviluppare verso il Mincio (doc. 51 ricorrente, pp. 12 e 13).

14. Il ragionamento appena riferito, peraltro, sta e cade con la premessa per cui gli insediamenti 1 e 3 costituirebbero, appunto, aree urbane distinte, in altre parole con l’effettiva idoneità del corso del Mincio a fungere da “interruzione” fra le due, nel senso proprio della definizione proposta. E’ tale premessa che il Collegio non ritiene di condividere, osservando come, in base alla stessa tavola 1 citata, oltre che per fatto notorio, gli insediamenti 1 e 3 siano uniti fra loro da due ponti sul Mincio, che fungono da collegamento agevolmente praticabile, sì che di interruzione vera e propria fra le due aree non si può parlare, dato che i cittadini dal corso d’acqua nella loro quotidiana esperienza possono in sostanza prescindere nei loro spostamenti di vita sociale e di lavoro. Ciò corrisponde anche al dato, sempre di comune esperienza, per cui il centro storico e i quartieri circostanti di Mantova –ma lo stesso si potrebbe dire per molte altre città non solo italiane- costituiscono ormai un tutto unitario, che come tale deve essere apprezzato in tutti i casi di pianificazione ampiamente intesa. Ne segue la necessità di considerare l’intervento della Lagocastello come progetto di sviluppo all’interno di area urbana, soggetto quindi a verifica di v.i.a. per le ragioni già esposte. Ne segue, secondo logica, la legittimità dei successivi dinieghi di permesso di costruire pronunciati dal Comune, in quanto fondati sul presupposto della necessità di sottoporre l’intervento alla verifica stessa.

15. Ancora infondato è il quarto motivo di ricorso, in quanto il semplice fatto che la valutazione di incidenza – in termini comunque favorevoli alla ricorrente- sia stata ottenuta dimostra che la possibilità di una interferenza fra il sito protetto e l’intervento edilizio programmato sussisteva, e quindi doveva essere indagata in modo esauriente.

16. Degli ulteriori motivi di ricorso, rivolti come si è detto avverso la nota 27 ottobre 2005 prot. n°32149 della Regione Lombardia, è infondato anzitutto il quinto, poiché per prevalente giurisprudenza l’art. 7 della l. 241/1990 non si applica ai procedimenti, come quello in esame, incominciati ad istanza di parte: la parte stessa in tal caso ben sa che l’attività amministrativa è avviata, e quindi è nella posizione di interloquirvi.

17. Parimenti infondato è il sesto motivo, concernente la presunta applicabilità alla fattispecie dell’art. 10 bis della stessa l. 241/1990, norma che però riguarda il caso di un diniego, non esattamente assimilabile alla fattispecie in esame. Nel caso di un privato il quale domandi alla competente autorità se un dato progetto deve o no essere assoggettato a v.i.a., gli esiti possibili sono infatti soltanto due: l’amministrazione o ritiene che la v.i.a. non vada esperita, o impone di porla in essere. In entrambi i casi, non si configura un vero e proprio diniego, ma solo la prescrizione di procedere in un dato modo.

18. E’ invece fondato ed assorbente il settimo motivo, nel quale come si è detto in premesse si censura la condotta della Regione, la quale a fronte di ritenute carenze nella documentazione presentata ha ritenuto non già di domandare chiarimenti al privato istante, ma puramente e semplicemente di assoggettare il progetto a v.i.a. In termini generali, i principi di partecipazione al procedimento e di leale cooperazione fra p.a. ed amministrati, nonché quello di economicità, vanno senza dubbio interpretati nel senso che l’amministrazione, ove nutra dubbi sulla possibilità di accogliere l’istanza del privato, debba prioritariamente chiedere a quest’ultimo i chiarimenti che consentirebbero di evitare un esito negativo. In tal senso è anche la logica della norma del già ricordato art. 10 bis l. 241/1990 sul cd. prediniego. La circostanza, pure appena ricordata, che l’art. 10 bis non si possa applicare al procedimento in esame non deve nondimeno portare a disconoscerne la natura: il privato che domanda se un certo intervento sia o no soggetto a v.i.a. certo non va incontro ad alcun diniego in senso proprio, ma non per tal ragione è indifferente all’esito della procedura, aspettandosi come risultato favorevole quello per cui non gli viene imposta la procedura di v.i.a. stessa, più onerosa e costosa della semplice verifica. In tal senso, quindi, la possibilità di applicare i principi sopra citati non esula, ogni qual volta una richiesta di chiarimenti consentirebbe il risultato favorevole di cui si è detto.

19. La difesa del Comune ha sostenuto il contrario, argomentando dalla recente TAR Sicilia Palermo 20 agosto 2007 n°1959, che asseritamente sancirebbe l’obbligo della p.a. di imporre la procedura più onerosa in ogni caso di dubbio. A quanto però è dato comprendere da una lettura della motivazione, la fattispecie esaminata concerneva un caso in cui l’istruttoria svolta sulla domanda del privato non era riuscita a chiarire il merito della questione, ovvero a decidere se ed in quale misura l’intervento programmato fosse pregiudizievole per l’ambiente: in tali termini, quindi, la decisione di procedere ad una approfondita v.i.a. era in certo senso obbligata. La vicenda presente, a quanto si comprende leggendo il provvedimento regionale impugnato, è invece diversa, in quanto il dubbio della p.a. si colloca ad uno stadio anteriore: è incerta non l’incidenza dell’opera sull’ambiente, ma prima ancora l’idoneità dei documenti presentati a valutarla. In altri termini, dalla terminologia usata sembra di poter arguire che, a fronte di una documentazione più completa, il privato avrebbe ancora potuto ottenere il risultato da lui auspicato, ovvero l’esenzione dalla v.i.a. vera e propria.

20. Nel rinnovare la procedura, quindi, l’amministrazione dovrà integrare la propria motivazione, spiegando anzitutto quale dei due possibili casi ricorre, se l’incertezza sugli atti presentati, che comporta la necessità di richiedere chiarimenti dopo aver precisato quali siano le lacune riscontrate con riferimento specifico ai vari elaborati che corredano la domanda, ovvero l’incertezza sull’incidenza del progetto, non superabile se non con la compiuta procedura di v.i.a.

21. Restano come si è detto assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso proposti, mentre va respinta la domanda di risarcimento del danno, che al momento presente non sussiste, dato che il motivo accolto obbliga semplicemente l’amministrazione a rinnovare la procedura, senza che si possa in anticipo affermare quale ne sarà l’esito, se l’assoggettamento del progetto a v.i.a. già ritenuto nell’atto annullato, oppure una verifica di non necessità dello stesso auspicata dal privato.

22. La parziale soccombenza, unitamente alla difficoltà e complessità delle questioni affrontate, costituisce giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, disponendo l’annullamento del decreto 13 marzo 2006 n°2749 del Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale della Regione Lombardia; respinge la domanda di risarcimento del danno. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11/10/2007 con l'intervento dei signori:

Gianluca Morri, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Referendario, Estensore

Stefano Mielli, Referendario



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



IL SEGRETARIO



DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/11/2007

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL DIRIGENTE