TAR Puglia (BA) Sez. III n.343 del 11 marzo 2016
Ambiente in genere. Inclusione di un’area nei SIC e ZPS e inedificabilità assoluta

L’inclusione di un’area nei SIC e ZPS non equivale ad imprimere all’area una condizione giuridica di inedificabilità assoluta, bensì relativa, in quanto subordinata appunto al giudizio positivo di V.I.A. La P.A. ha il dovere di accertare in concreto se l’attività comporti pericolo di lesione dell’interesse ambientale

 

N. 00343/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00880/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 880 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Potenza Servizi di Valente Francesco & C. s.a.s., in persona del leg. rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Fabrizio Lofoco, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari alla via Pasquale Fiore n.14;

contro

Comune di Castellana Grotte, rappresentato e difeso dall'avv. Saverio Profeta, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari alla via Cognetti n. 25;

per l'annullamento

- (ricorso principale) dell’ordinanza n. 28 prot. n. 7697/2014 datata 6/05/2014 avente per oggetto: Ordinanza di rimessione in ripristino dello stato dei luoghi per lavori edili abusivi (art. 31 D.P.R. 06/06/2001, n. 380) e della relazione di sopralluogo – Allegato “A” datata 24/03/2014 ivi richiamata;

- (ricorso per motivi aggiunti) dell’ordinanza n. 79, prot. n. 17858 del 22/10/2014, integrativa di quella di cui al punto precedente, nonché della comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria n. 72/2004 recata dalla nota n. prot. 17862 del 22/10/2004;

- (secondo ricorso per motivi aggiunti) della nota n. 579 del 14/1/15 recante annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria n. 72/2004;

- di ogni altro atto annesso, ovvero connesso, presupposto o consequenziale a quelli gravati;

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castellana Grotte;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2016 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Fabrizio Lofoco e Saverio Profeta;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato il 7/7/14, la società in epigrafe indicata ha impugnato l’ordinanza n. 28/2014 con la quale il responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Castellana Grotte ha ordinato il “ripristino dello stato dei luoghi per lavori abusivamente realizzati”; in particolare, il Comune ha contestato la chiusura perimetrale con teli in PVC ancorati a nuove canaline di una preesistente tettoia e l’ampliamento della parte laterale e posteriore con copertura in lamiera a sbalzo, anch’esso chiuso con teli in PVC ancorati a canaline”.

La ricorrente lamenta la violazione delle garanzie partecipative, per non essere stato comunicato l’avvio del procedimento e per non essere stata posta in condizione di partecipare al sopralluogo effettuato dai tecnici comunali, peraltro limitato solo alla consistenza esteriore del manufatto, senza accesso all’interno della struttura. Nel merito, evidenzia che l’installazione delle tende in PVC era stata preceduta da C.E.L. del 6/12/2011 e che trattasi di tende retrattili, mobili, facilmente amovibili, la cui apposizione non comporta variazioni planovolumetriche.

Con il ricorso per motivi aggiunti, la Potenza Servizi ha, poi, gravato l’ordinanza n. 79/2004 (preceduta dalla sospensione in autotutela dell’ordinanza n. 28, in data successiva alla notifica del ricorso) con la quale il Comune, adducendo approfondimenti istruttori, ha confermato l’ordine di riduzione in pristino, segnalando, oltre a quanto già esplicitato nel precedente atto sanzionatorio, che per l’installazione dei teli in PVC sarebbe stato necessario acquisire VIA, parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, autorizzazione paesaggistica ex D.P.R. n.139/2010.

La ricorrente lamenta la violazione delle garanzie partecipative (essendo richiamata la “denuncia di un cittadino” non allegata né esplicitata nel suo contenuto) e reitera le doglianze già sollevate nel ricorso principale in merito alla validità del sopralluogo effettuato dai tecnici comunali, alla sufficienza della C.E.L. ai fini dell’installazione di tende in PVC, rientrando l’intervento nella previsione dell’art. 6 co. 1 lett. A) del D.P.R. n. 380/01; deduce in ordine alla non applicabilità dell’art. 1 D.P.R. n. 139/2010 ai fini della autorizzazione paesaggistica, siccome le tende apposte sulla tettoia già esistente non determinano “alterazione dei luoghi o dell’aspetto esteriore degli edifici”.

Contestualmente la ricorrente ha anche impugnato la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria n. 72/2004, avente ad oggetto la tettoia su cui sono state installate le tende.

In relazione ad entrambi gli atti gravati, poi, la ricorrente lamenta la lesione del principio dell’affidamento in considerazione del tempo trascorso e della stabilizzazione degli effetti degli atti in base ai quali da anni esercita attività di ristorazione.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente ha, infine, impugnato il provvedimento n. 579/15 con il quale il Comune di Castellana Grotte ha annullato in autotutela il permesso di costruire in sanatoria n. 72/2004, siccome, ad un riesame della pratica e dal confronto tra quanto dichiarato nella domanda e quanto raffigurato nelle foto allegate, è emerso che il manufatto condonato non costituiva una volumetria chiusa funzionalmente idonea alla funzione di ristorazione, trattandosi di mera tettoria aperta su tre lati priva di impianti (ad eccezione di quello elettrico), adibita a ricovero di automezzi. Inoltre, l’intervento era stato realizzato in area ad altissima sensibilità paesaggistica e sottoposta a vincolo ambientale.

La ricorrente, richiamati i motivi di ricorso già esposti nei precedenti atti di gravame, ha depositato copiosa documentazione relativa alle vicende penali cui gli esposti del Sindaco (abitante in immobile adiacente, nonché fratello del gestore di un ristorante adiacente a quello della ricorrente) hanno dato luogo negli ultimi decenni, a sostegno dell’assunto secondo cui l’atto da ultimo emesso, non diversamente dai precedenti, non muove da ragioni di interesse pubblico, bensì dagli interessi privati del Sindaco del Comune resistente. Lamenta, inoltre, che i presupposti fattuali posti a fondamento dell’atto sarebbero insussistenti alla luce dello stato di fatto accertato dai tecnici comunali all’epoca della richiesta di condono e di cui si dà atto nella sanatoria. L’atto violerebbe, inoltre, l’art. 21 quinquies l. 241/90, non sussistendo i presupposti richiesti dalla norma (con particolare riferimento alla lesione dell’affidamento). Ha chiesto, infine, il risarcimento dei danni cagionati dall’illegittimo impedimento dello svolgimento delle attività commerciali autorizzata nei locali per i quali è causa.

Il Comune di Castellana Grotte ha resistito alla domanda.

Accolta l’istanza cautelare in relazione al solo provvedimento di annullamento in autotutela (con ordinanza confermata dal Consiglio di Stato), all’udienza del 11/2/2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

Esigenze di ordine logico, prima ancora che giuridico, impongono di delibare preliminarmente la domanda demolitoria relativa all’annullamento del permesso di costruire in sanatoria avente ad oggetto la tettoia metallica adibita d attività di ristorazione: la sua eventuale infondatezza, infatti, determinerebbe il sopravvenuto difetto di interesse in relazione alla questione dell’installazione sulla tettoia delle tende in PVC.

Orbene, il vaglio di legittimità dell’atto gravato non può che muovere dal corretto inquadramento giuridico dello stesso, da operare in base al suo contenuto oggettivo, a prescindere dal nomen juris attribuito dall’ente.

Nel caso in esame, la lettura dell’atto rivela che alla base del “ripensamento” del Comune si collochi l’illegittimità originaria del permesso in sanatoria, siccome emesso in assenza dei presupposti di legge e senza la dovuta valutazione degli interessi paesaggistici coinvolti, di talché - nonostante il reiterato richiamo all’art. 21 quinquies l. 241/90 -, l’atto va qualificato come annullamento ex art. 21 nonies l. cit.

Tanto premesso, il Collegio evidenzia di non ignorare il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo cui “l'annullamento d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame, dove è palese l’erronea allegazione dell’effettiva natura dell’immobile oggetto dei lavori), non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25 maggio 2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato”, (T.A.R. Campania, Napoli, sez. 4, sent. 10/4/14 n. 2066), ma di ritenere insussistente, nel caso in esame, il “mendacio” più volte richiamato nelle difese comunali.

A prescindere dalla circostanza che la richiesta di condono (con relative dichiarazioni e allegazioni) fu avanzata nel 1986 dall’allora proprietario Consaga Ernesto e non dall’odierna ricorrente (che è divenuta proprietaria del bene in virtù di decreto di trasferimento immobiliare emesso dal G.E. del Tribunale di Bari il 31/3/2010), assume rilievo dirimente, a parere del Collegio, il fatto che le fotografie che hanno indotto il Comune al “ripensamento” per il quale è causa, sono le stesse in base alle quali i tecnici del Comune ebbero a relazionare positivamente in merito all’istanza di condono (doc. 38 e 39 produzione ricorrente dep. 19/3/15). In altri termini, nessun mendacio appare configurabile, né alcuna induzione in errore dell’Amministrazione, siccome l’effettivo stato dei luoghi era stato fedelmente rappresentato al Comune, a mezzo di comprovante documentazione fotografica, che – eventualmente – già all’epoca (oltre dieci anni prima dell’adozione dell’atto di ritiro) avrebbe potuto far propendere l’ente per il rigetto della domanda di sanatoria.

La difesa comunale ha ripetutamente rimarcato che il mendacio del richiedente risulterebbe dalla documentazione fotografica allegata all’istanza, in cui è visibile un’auto parcheggiata sotto la tettoia da condonare, ciò che “tradirebbe” la reale destinazione della tettoia (parcheggio invece che ristorante).

Il rilievo non appare al Collegio condivisibile, ove si consideri che:

- fin dal 1982 risulta concessa l’agibilità sanitaria del “capannone” solo nei periodi estivi;

- fin dal 1982 la tettoia risulta provvista di servizi igienici e di impianto di illuminazione;

- fin dal 1982 esiste un collegamento con la cucina dell’adiacente ristorante coperto.

Tali circostanze (ricavabili dalle foto prodotte, dal doc. 15 produzione ricorrente depositata il 19/3/15 e, comunque, non oggetto di puntuale confutazione da parte del Comune) convincono dell’effettiva destinazione ad uso ristorante – seppure nel solo periodo estivo - della tettoia, all’uopo munita dei servizi indispensabili. L’utilizzo della tettoia nella sola stagione estiva appare, inoltre, compatibile con la presenza solo occasionale dell’auto parcheggiata, evidentemente in epoca in cui l’attività di ristorazione si concentrava nella sola parte “coperta” del locale. Principi di ragionevolezza inducono, tra l’altro, ad escludere che il richiedente il condono abbia prodotto una fotografia del tutto “controproducente” rispetto alla dichiarata destinazione a ristorante.

Tanto premesso in punto di fatto, si osserva in diritto che “La colpevole inerzia dell’Amministrazione nell’espletamento dei propri doveri di vigilanza e controllo del territorio, nonché di repressione degli abusi edilizi, non può infatti trasformarsi – come la prevalente giurisprudenza riconosce – in consolidamento delle posizioni di chi abbia commesso illeciti permanenti, quali debbono qualificarsi gli abusi stessi (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4466; Cons. St., sez. V, 30 giugno 2014, n. 3281, 7 agosto 2014, n. 4213; Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5610, 22 aprile 2014, n. 2027). Non a caso, l’art. 21 nonies (annullamento d’ufficio) della già citata legge n. 241 del 1990 configura una forma di salvaguardia dell’affidamento, in caso di intervento repressivo dell’Amministrazione, non effettuato entro un “termine ragionevole”, ma solo per l’esercizio della potestà di autotutela (ovvero, ad esempio, in presenza di un permesso di costruire illegittimamente rilasciato, non anche di opere completamente prive di titolo). La situazione di chi abbia fatto affidamento su un titolo abilitativo, benché illegittimo, non può dunque essere ritenuta equivalente a quella di chi abbia meramente usufruito, avendone consapevolezza, di una carenza di controllo del territorio da parte della medesima Amministrazione”, (Consiglio di Stato, sez. 6, sent. 30/9/15 n. 4564).

Tale ultima statuizione si attaglia al caso in esame, in cui non vi è dubbio - per quanto innanzi detto – che l’esistenza del titolo in sanatoria imponga al Comune di considerare adeguatamente la posizione del privato (unitamente alla sua buona fede), in relazione al tempo trascorso (che non risulta essere servito per il compimento di verifiche od approfondimenti istruttori sull’istanza originaria): di tali elementi non è traccia alcuna nel provvedimento.

Neanche appaiono condivisibili le ulteriori ragioni poste a fondamento dell’annullamento:

1) quanto ai presupposti ex art. 31 legge n. 47/85, richiamato dall'art. 39 della legge n. 724/94 e poi dalla legge n. 326/2003 (che difetterebbero, secondo l’assunto comunale), basta rammentare che "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente".

Dunque, la norma (art. 31 cit.), ai fini della sanatoria, distingue tra edifici destinati “alla residenza”, rispetto ai quali si considera sufficiente che di essi sia stato eseguito il rustico e completata la copertura e opere “non destinate alla residenza” (quale quella in esame), per le quali si considera sufficiente l’intervenuto completamento funzionale.

Il criterio del "completamento funzionale" anticipa la data di ultimazione delle opere ai fini dell'ammissione al condono, per cui un intervento non ancora completato può tuttavia essere giudicato sanabile, dal punto di vista funzionale, se la costruzione è idonea alle funzioni cui l'opera è destinata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 21.6.2007 n. 3315). Alla luce di quanto innanzi detto, il manufatto de quo risultava completato funzionalmente ben prima del termine perentorio del 1/10/83.

2) quanto all’esistenza di vincoli paesaggistici, questi risultano oggetto di vaglio da parte dei competenti uffici comunali, che avevano già positivamente valutato l’intervento tenendo in considerazione che esso ricadeva in ambito A del P.U.T.T. ed era conforme agli indirizzi di tutela per questo prescritti (cfr. atto di sanatoria, autorizzazione paesaggistica n. 28 del 25/3/2004, “confermata” dalla locale Soprintendenza con nota n. prot. 7793 del 16/4/04);

3) quanto alla sottoposizione a vincolo ambientale SIC “Grotte di Castellana”, questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che “l’inclusione di un’area nei SIC e ZPS non equivale ad imprimere all’area una condizione giuridica di inedificabilità assoluta, bensì relativa, in quanto subordinata appunto al giudizio positivo di V.I.A., aggiungendo inoltre che “la P.A. ha il dovere di accertare in concreto se l’attività comporti pericolo di lesione dell’interesse ambientale (…)”, (T.A.R. Puglia, sentenza 11 settembre 2001 n. 3456).

Conclusivamente, stanti gli acclarati profili di illegittimità, l’atto n. 579 del 14/1/15 va annullato.

All’accoglimento dell’azione demolitoria non segue, tuttavia, alcuna condanna dell’ente a titolo risarcitorio, in mancanza di allegazione e prova da parte della ricorrente del danno in concreto subito.

Quanto al ricorso per motivi aggiunti proposto avverso la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire in sanatoria n. 72/2004, esso va dichiarato inammissibile stante la natura endoprocedimentale dell’atto, in sé non lesivo della posizione della ricorrente.

Può, quindi, passarsi all’esame del ricorso principale avverso l’ordinanza n. 28/2014 recante ordine di “ripristino dello stato dei luoghi per lavori abusivamente realizzati” ed a quello per motivi aggiunti avverso l’ordinanza n. 79 del 22/10/14, entrambe riferite alla chiusura perimetrale della tettoia oggetto di causa a mezzo di teli in PVC.

Preliminarmente, va chiarito che la seconda ordinanza emessa dal Comune di Castellana Grotte ha natura di atto confermativo della precedente, integrato nella parte motiva e recante il definitivo assetto degli interessi “inter partes”. Correttamente, pertanto, è stato fatto oggetto di impugnazione a mezzo di motivi aggiunti.

Il ricorso avverso la determinazione inizialmente assunta (alla quale è sopravvenuto il nuovo provvedimento che specifica e puntualizza le ragioni dell’adottatta ordinanza repressiva) va, conseguentemente, dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Il ricorso per motivi aggiunti va, invece, respinto.

Infondata si rivela la censura (contenuta nel ricorso principale e richiamata in quello per motivi aggiunti) che stigmatizza l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento di cui all’art. 7 della l. 241/90: secondo costante indirizzo giurisprudenziale, cui la Sezione convintamente aderisce, l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati, per la cui adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto (ex multis, C. Stato, VI, 29 novembre 2012, n. 6071; C. Stato, IV, 18 settembre 2012, n. 4945; C. Stato, IV, 10 agosto 2011, n. 4764; C. Stato, IV, 20 luglio 2011, n. 4403; C. Stato, VI, 24 settembre 2010, n. 7129).

Quanto ai profili sostanziali dell’atto, va rimarcato che “la nozione di costruzione edilizia comprende qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quello preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l’area coperta, senza che abbia rilevanza la più o meno facile rimovibilità; in proposito rilevandosi che richiedono il permesso di costruire non solo i manufatti tradizionalmente compresi tra le attività murarie, ma anche le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, ivi comprese le opere in metallo, laminato plastico, legno o altro materiale, se idoneo a modificare lo stato dei luoghi (cfr. TAR Campania, Napoli, III, 26.5.2015, n. 2914; T.A.R. Lombardia, Brescia, 18.12.1991, n. 1011)” – T.A.R. Campania, Napoli sez. 7, sent. 7/9/15 n. 4381.

Nel caso di specie, l’intervento realizzato è idoneo a creare nuova volumetria e si risolve in un’opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti, bensì a durare nel tempo, ampliando il godimento dell'immobile (tettoia) e dando vita, in sostanza, ad un volume non preesistente, che modifica in modo apprezzabile l'aspetto dei luoghi, peraltro in zona vincolata paesaggisticamente: esso, pertanto, necessita di apposito titolo edilizio.

Per le suesposte ragioni, il ricorso non può trovare accoglimento: la legittimità di questa parte della motivazione dell’atto gravato esonera il Collegio dall’esame delle ulteriori censure formulate da parte ricorrente (cfr. per tutte, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 23 dicembre 2013 n. 5981, T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 5 dicembre 2013 n. 792, T.A.R. Liguria, Sez. I, 24 aprile 2013 n. 718 e T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 17 gennaio 2011 n. 63).

L’esito complessivo del giudizio induce a compensare le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati,

- dichiara improcedibile il ricorso principale avverso l’ordinanza n. 28/2014;

- respinge il ricorso per motivi aggiunti avverso l’ordinanza n. 79 del 22/10/14;

- dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti avverso la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela;

- accoglie il secondo ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla l’ordinanza n. 579 del 14/1/15;

- respinge la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Desirèe Zonno, Presidente FF

Viviana Lenzi, Referendario, Estensore

Cesira Casalanguida, Referendario

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/03/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)