TAR Friuli VG Sez. I n. 77 del 11 marzo 2016
Ambiente in genere. Rapporti tra AIA e disciplina urbanistica

La disciplina ambientale palesa un costante e stretto collegamento a quella urbanistica. In particolare, per quanto qui rileva, l’articolo 29 quater, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006 sottopone il rilascio dell’AIA al modulo operativo della conferenza di servizi di cui alla L. n. 241/1990, avendo cura di specificare che debbano essere invitate, oltre alle Amministrazioni competenti in materia ambientale, quelle competenti per il rilascio degli ulteriori titoli abilitativi necessari ai fini della realizzazione dell’intervento e non ricompresi nell’AIA. Ora, poiché, come si desume dall’allegato IX alla parte seconda del cd. Codice dell’ambiente, tra i titoli autorizzatori non sostituiti dall’AIA vi è quello edilizio, ne consegue che il Comune deve partecipare alla conferenza di servizi, nella veste di Autorità preposta alla cura degli interessi edilizio-urbanistici.

N. 00077/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00255/2015 REG.RIC.

N. 00258/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 255 del 2015, proposto da:
Comune di Caneva, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luca Mazzero e Cristina Cittolin, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paolo Parolin, in Trieste, Via G. Marconi n. 8;

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, rappresentata e difesa dall’avv. Vinicio Martini, elettivamente domiciliata presso gli uffici dell’Avvocatura regionale, in Trieste, piazza Unità d’Italia n. 1;
Provincia di Pordenone, non costituita in giudizio;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente - ARPA Friuli Venezia Giulia, non costituita in giudizio;
Azienda per l’Assistenza Sanitaria –ASS n. 5 - Friuli Occidentale, rappresentata e difesa dall’avv. Vittorina Colo’, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R., in Trieste, piazza Unità d’Italia n. 7;
Conferenza di Servizi, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Comitato di Salvaguardia Dietro Castello, non costituito in giudizio;
Società Agricola Castello s.s. di Palu’ Marco & C., rappresentata e difesa dagli avv.ti Silvia Sorrentino e Cristina Da Ros, con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Trieste, Via F. Filzi n. 8;

 

sul ricorso numero di registro generale 258 del 2015, proposto da:
Comitato di Salvaguardia dietro Castello e Polese Rizieri, entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti Fabio Sebastiano Giovanni Ferasin e Marco Rebecca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paolo Parolin, in Trieste, Via G. Marconi n. 8;

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, rappresentata e difesa dall’avv. Vinicio Martini, elettivamente domiciliata presso gli uffici dell’Avvocatura regionale, in Trieste, piazza Unità d'Italia n. 1;
Provincia di Pordenone, non costituita in giudizio;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente - ARPA Friuli Venezia Giulia, non costituita in giudizio;
Azienda per l’Assistenza Sanitaria –ASS n. 5 - Friuli Occidentale, rappresentata e difesa dall’avv. Vittorina Colo’, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del T.A.R., in Trieste, piazza Unità d'Italia n. 7;
Comune di Caneva, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Società Agricola Castello s.s. di Palu’ Marco & C., rappresentata e difesa dagli avv.ti Silvia Sorrentino e Cristina Da Ros, con domicilio eletto presso lo studio della seconda, in Trieste, Via F. Filzi n. 8;

quanto al ricorso n. 255 del 2015:

per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia:

- del Decreto n. 643/AMB del 24 aprile 2015 della Direzione centrale ambiente ed energia della Regione Friuli Venezia Giulia avente a oggetto l'AIA per l'esercizio dell'installazione relativa all'allevamento intensivo di polli gestito dalla società agricola castello s.s. di Marco Palu’ in Comune di Caneva;

- dei verbali della conferenza di servizi del 14 ottobre 2014, del 30 ottobre 2014, del 27 novembre 2014 e del 30 marzo 2015;

- della relazione istruttoria allegata al decreto impugnato;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e collegato, in particolare la nota della Provincia di Pordenone del 27 marzo 2015 prot. 19686; la nota dell'ARPA FVG del 27 marzo 2015 prot. n. 9726; la nota dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 Friuli Occidentale del 30 marzo 2015 prot. 22772; la nota prot. 68511 del 13 ottobre 2014 della Provincia di Pordenone; la nota prot. 53427 del 13 ottobre 2014 dell’Azienda per i servizi sanitari n. 6; la nota prot. 33764 del 14 ottobre 2014 dell’ARPA FVG e la nota prot. 12.438 del 13 ottobre 2014; la nota della Direzione Centrale Ambiente ed Energia della Regione prot. 29055 del 24 ottobre 2014.

quanto al ricorso n. 258 del 2015:

per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,

- del Decreto n. 643/AMB del 24 aprile 2015 della Direzione centrale ambiente ed energia della Regione Friuli Venezia Giulia avente a oggetto l’AIA per l'esercizio dell'installazione relativa all'allevamento intensivo di polli gestito dalla società agricola castello s.s. di Marco Palu’ in Comune di Caneva;

- dei verbali della conferenza di servizi del 14 ottobre 2014, del 30 ottobre 2014, del 27 novembre 2014 e del 30 marzo 2015;

- della relazione istruttoria allegata al decreto impugnato;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e collegato, in particolare la nota della Provincia di Pordenone del 27 marzo 2015 prot. 19686; la nota del Comune di Caneva del 27 marzo 2015 prot. 3504; la nota dell’ARPA FVG del 27 marzo 2015 prot. n. 9726; la nota dell’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 Friuli Occidentale del 30 marzo 2015 prot. 22772; la nota prot. 68511 del 13 ottobre 2014 della Provincia di Pordenone; la nota prot. 53427 del 13 ottobre 2014 dell’Azienda per i servizi sanitari n. 6; la nota prot. 33764 del 14 ottobre 2014 dell’ARPA FVG e la nota prot. 12.438 del 13 ottobre 2014; la nota della Direzione Centrale Ambiente ed Energia della Regione prot. 29055 del 24 ottobre 2014;

per l'assunzione

di tutti i provvedimenti idonei ad assicurare nelle more della decisione del ricorso la tutela dei diritti dei ricorrenti, ivi compresi i provvedimenti inibitori o comunque aventi contenuto tale da vietare l'esercizio dell'attività con previsioni di sanzioni in caso di inottemperanza;

per la condanna

al risarcimento del danno della Regione Friuli Venezia Giulia.

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Friuli Venezia Giulia e della Azienda per l’Assistenza Sanitaria –ASS n. 5 - Friuli Occidentale e della Società Agricola Castello s.s. di Palu’ Marco & C.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2016 la dott.ssa Alessandra Tagliasacchi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con due distinti ricorsi, rubricati rispettivamente ai nn. 255/2015 e 258/2015 di R.G., il Comune di Caneva e il Comitato di salvaguardia Dietro Castello, quest’ultimo unitamente al signor Rizieri Polese, impugnano l’autorizzazione integrata ambientale – AIA, in epigrafe compiutamente individuata, rilasciata dalla Regione Friuli Venezia Giulia alla società agricola Castello s.s. di Palù Marco & C. per l’attività di allevamento intensivo di polli da svolgersi in Comune di Caneva – località Dietro Castello.

2.1. Espongono i ricorrenti che l’AIA è stata rilasciata nonostante il parere contrario espresso in seno alla conferenza di servizi dal Comune di Caneva, per la non conformità dell’impianto alla vigente disciplina urbanistica comunale.

2.2. Espongono, altresì, i ricorrenti:

- che in data 12.02.2003 la Azienda agricola Castello s.s. di Michele Piccoli & C. ora società agricola Castello s.s. di Palù Marco & C. acquistava il ramo dell’azienda agricola Chiuch, la quale aveva cessato l’attività nel 2001;

- che società controinteressata avviava un’attività di allevamento intensivo di polli da 120.000 capi per ciclo produttivo in assenza di qualsivoglia autorizzazione, di talché i soci venivano penalmente sanzionati;

- che una prima richiesta di rilascio di AIA, presentata dalla società controinteressata in dipendenza dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 59/2005, veniva respinta dalla Regione con decreto n. 194/2012: l’impugnativa avverso detto diniego è stata definitivamente respinta dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4588/2014;

- che la successiva domanda presentata dalla società controinteressata di autorizzazione allo scarico in atmosfera per l’attività di allevamento di polli non intensivo, vale a dire per un numero di capi inferiore a 40.000 per ciclo produttivo, veniva rigettata dalla Provincia di Pordenone con determina n. 1163/2013: l’impugnativa avverso il diniego è stata respinta da questo Tribunale amministrativo con sentenza n. 229/2014;

- che, infine, la Regione, all’esito della conferenza di servizi, con il provvedimento qui gravato, accoglieva la rinnovata istanza di AIA presentata dalla società controinteressata, per l’allevamento intensivo di 55.000 polli per ciclo produttivo, escludendo al contempo che lo stesso dovesse essere preventivamente sottoposto a VIA.

2.2. Tutti i ricorrenti chiedono conseguentemente l’annullamento, previa sospensione cautelare dell’efficacia, dell’autorizzazione regionale; il Comitato di salvaguardia dietro Castello e il signor Rizieri Polese chiedono altresì il risarcimento dei danni patiti.

3. Il Comune di Caneva (ricorrente nel giudizio R.G. n. 255/2015) deduce quale unico motivo di impugnazione la “Violazione e falsa applicazione di legge – violazione della normativa urbanistica comunale e in particolare dell’art. 43 delle NTA del Comune di Caneva - violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/90: difetto di motivazione e istruttoria”.

Lamenta la difesa comunale un’errata valutazione da parte della Regione del PRG di Caneva, che già con la deliberazione consiliare n. 54 del 2.02.2002, di adozione della Variante, vietava in quell’area gli allevamenti in forma intensiva, e un errato apprezzamento del dato fattuale rappresentato dalla effettiva cesura, nell’attività di allevamento svolta nell’impianto per cui è causa, intervenuta tra la gestione da parte dell’impresa Chiuch e la successiva gestione da parte della società agricola Castello s.s.

4.1. A loro volta, il Comitato di salvaguardia dietro Castello e il signor Rizieri Polese (ricorrenti nel giudizio R.G. n. 258/2015) deducono quattro motivi di impugnazione.

Il primo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di legge: violazione della normativa urbanistica comunale ed in particolare della normativa di Piano Regolatore ove all’art. 43 delle NTA regola le zone E4.1. Assenza dei presupposti per il rilascio dell’AIA. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/90: difetto di motivazione e istruttoria”, è sostanzialmente coincidente con quello sollevato dal Comune di Caneva.

4.2. Con il secondo motivo di impugnazione, epigrafato “Violazione di legge per mancato assoggettamento a VIA come previsto in particolare dall’art. 20 della L.R. F.V.G. 43/1990 e mancata verifica di assoggettabilità alla procedura VIA come previsto dagli artt. 20 del D.Lgs. 152/2006”, i ricorrenti contestano il mancato assoggettamento alla procedura di VIA del progetto dell’impianto di allevamento intensivo di polli dei controinteressati.

4.3. Con il terzo, articolato, motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la “Erroneità del provvedimento ove ritiene in più punti che l’attività dovrebbe ora considerarsi non disturbante. Difetto di istruttoria, motivazione, illogicità, contraddittorietà con precedenti provvedimenti. Violazione dell’art. 29 ter D.Lgs. 152/2006. Violazione dei principi che presiedono alla valutazione degli interessi contrapposti in sede di conferenza di servizi: violazione degli artt. 22 e ss. della Legge regionale FVG 7/2000, dell’art. 14, ter e quater L. 241/90. Violazione in particolare dell’art. 22 quater L.R. 7/2000 ove prevede una specifica procedura in caso di dissenso di un ente alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, urbanistica. Illogicità e contrarietà a propri precedenti procedimenti. Violazione della normativa in tema di conferenza di servizi e di AIA per mancata partecipazione formale del Comitato alle sedute della conferenza”.

In primo luogo, viene contestata la conclusione cui è giunta la Conferenza di servizi, sulla scorta di un modello astratto, in ordine al rispetto da parte dell’impianto per cui è causa dei limiti di tollerabilità delle emissioni, specie quelle odorose. Secondo i deducenti quella conclusione sarebbe frutto di una istruttoria carente, della mancata considerazione degli esiti dei precedenti giudizi amministrativi e penali che sotto diversi profili si sono occupati dell’attività in discussione, e nemmeno delle rilevazioni effettuate negli anni dall’ARPA.

In secondo luogo, viene stigmatizzata la mancata comparazione in sede di conferenza di servizi dei diversi interessi contrapposti e il mancato riconoscimento della prevalenza dell’interesse dei residenti. A tale fine, sempre secondo i deducenti, alle sedute della Conferenza di servizi avrebbe dovuto partecipare formalmente il Comitato di salvaguardia.

Infine, viene lamentato il mancato rispetto della disciplina di funzionamento della Conferenza di servizi e segnatamente in punto di superamento del dissenso da parte del partecipante (nel caso di specie, il Comune) che tuteli interessi ambientali, paesaggistico-territoriali e urbanistici.

4.4. Con il quarto motivo di impugnazione, intitolato “Eccesso di potere per sviamento”, i ricorrenti si dolgono della condotta sostanzialmente inerte tenuta negli anni dalla Regione, che avrebbe consentito alla controinteressata di svolgere la propria attività in assenza di qualsiasi autorizzazione e nonostante gli esiti dei giudizi penali ed amministrativi.

5.1. Si è costituita in entrambi i giudizi la Regione, dapprima con costituzione formale e poi con memoria illustrativa, contestando le prospettazioni avversarie e concludendo per la reiezione di entrambi i ricorsi.

5.2. In particolare, la difesa regionale, muovendo dall’assunto della continuità dell’impresa società agricola Castello s.s. rispetto all’impresa Chiuch, sostiene la conformità urbanistica dell’impianto di allevamento intensivo di polli per cui è causa e la non necessità di assoggettamento dello stesso a procedura di VIA.

Sempre a detta dell’Amministrazione resistente, il dissenso manifestato in conferenza di servizi dal Comune di Caneva sarebbe frutto di una errata applicazione temporale delle norme del proprio piano regolatore generale, e come tale da considerarsi inammissibile ai sensi dell’articolo 22 quater L.R. F.V.G. n. 7/2000.

6.1. Si è parimenti costituita in entrambi i giudizi la società agricola Castello s.s., anch’essa dapprima con costituzione formale e poi con memoria defensionale, opponendosi alle prospettazioni avversarie e instando per la reiezione di entrambi i gravami presentati avverso il provvedimento regionale di AIA.

6.2. Preliminarmente, la difesa della controinteressata eccepisce l’inammissibilità del ricorso del Comune perché diretto a tutelare un interesse, quello urbanistico, non oggetto di acquisizione e di ponderazione nell’ambito della procedura di AIA; eccepisce ulteriormente il difetto di legittimazione attiva del Comitato di salvaguardia dietro Castello

6.3. Nel merito l’impresa agricola argomenta sulla legittimità del provvedimento autorizzatorio rilasciatogli, sia con riferimento al contenimento delle emissioni odorose, di polveri e di ammoniaca, sia con riferimento alla mancata partecipazione del Comitato di salvaguardia alla conferenza di servizi, sia ancora con riferimento alla conformità urbanistica dell’impianto di allevamento e alla conseguente non necessità di superamento del parere contrario del Comune, sia, infine, con riferimento alla non assoggettabilità a VIA dell’impianto medesimo.

7. Si è, infine, costituita nei due giudizi la ASS n. 5, per difendere la legittimità del parere reso in sede di conferenza di servizi con riguardo al non superamento della soglia di accettabilità da parte delle emissioni odorigene prodotte dall’allevamento da autorizzare.

8.1. Il Tribunale, con due separate ordinanze, accoglieva la domanda cautelare.

8.2. Le decisioni erano riformate dal Giudice di appello, il quale, nella comparazione degli interessi coinvolti, riteneva prevalente quello alla continuità dell’attività di impresa.

9. Le parti argomentavano le proprie rispettive tesi negli ulteriori scritti difensivi. In tale sede, le difese dei ricorrenti replicavano anche alle eccezioni preliminari sollevate dalla società controinteressata.

10. All’udienza del 27 gennaio 2016, dopo ampia discussione come risulta dal verbale, le cause erano trattenute in decisione.

DIRITTO

1.1. Con due distinti ricorsi viene sottoposto al vaglio di questo Tribunale il provvedimento di AIA rilasciato dalla Regione Friuli Venezia Giulia alla società agricola Castello s.s. per lo svolgimento dell’attività di allevamento intensivo di polli in Comune di Caneva.

1.2. Stante la sussistenza di evidenti ragioni di connessione oggettiva, il Collegio dispone, ai sensi dell’articolo 70 Cod. proc. amm., la riunione del ricorso R.G. n. 255/2015 e del ricorso R.G. n. 258/2015, così come in epigrafe indicati.

2.1. In osservanza dei criteri di ordine logico vengono preliminarmente esaminate le due eccezioni di inammissibilità dei ricorsi sollevate dalla difesa della controinteressata e di cui si è sinteticamente dato conto in narrativa.

2.2.1. Quanto all‘assunta inammissibilità del ricorso proposto dal Comune, questo Giudice non condivide la prospettata rigida separazione tra disciplina urbanistica e disciplina ambientale, di talché il governo del territorio non perseguirebbe anche finalità ambientali e, a loro volta, i procedimenti autorizzatori ambientali non dovrebbero tenere conto della compatibilità urbanistica dell’intervento che si va ad autorizzare.

Tale tesi, propugnata dalla difesa della controinteressata per sostenere che la inammissibilità del gravame volto a far valere la illegittimità di una autorizzazione ambientale per lesione dell’interesse urbanistico, confligge con il dato normativo, oltre che con la indiscussa natura trasversale della materia ambientale (cfr., C.d.S., Sez. VI^, sentenza n. 1/2015).

2.2.2. Invero, l’articolo 7 L.R. F.V.G. n. 5/2007, recante la “Riforma dell’urbanistica e disciplina dell’attività edilizia e del paesaggio”, esplicita come sia oramai superata la visione dell’urbanistica come limitata all’ordinato sviluppo del territorio, perseguendo il potere pianificatorio anche finalità di tutela e miglioramento della qualità ambientale. Tanto è vero che al successivo articolo 16 è precisato come la strumentazione urbanistica a livello comunale debba tener conto, tra gli altri, dei profili naturalistici, ambientali e paesaggistici del territorio.

Al contempo, la disciplina ambientale palesa un costante e stretto collegamento a quella urbanistica. In particolare, per quanto qui rileva, l’articolo 29 quater, comma 5, D.Lgs. n. 152/2006 sottopone il rilascio dell’AIA al modulo operativo della conferenza di servizi di cui alla L. n. 241/1990, avendo cura di specificare che debbano essere invitate, oltre alle Amministrazioni competenti in materia ambientale, quelle competenti per il rilascio degli ulteriori titoli abilitativi necessari ai fini della realizzazione dell’intervento e non ricompresi nell’AIA. Ora, poiché, come si desume dall’allegato IX alla parte seconda del cd. Codice dell’ambiente, tra i titoli autorizzatori non sostituiti dall’AIA vi è quello edilizio, ne consegue che il Comune deve partecipare alla conferenza di servizi, nella veste di Autorità preposta alla cura degli interessi edilizio-urbanistici.

E, del resto, coerentemente con il criterio di economicità che, ai sensi dell’articolo 1 L. n. 241/1990, orienta l’azione amministrativa, è da escludersi che si debba portare a compimento il complesso e dispendioso (in termini di risorse e di tempo) procedimento di autorizzazione integrata ambientale per un impianto che comunque non potrebbe essere realizzato, o – se già realizzato - che dovrebbe essere rimosso, in quanto non conforme alla disciplina urbanistica dell’area nella quale è insediato o si intende insediarlo. Sicché, la valutazione di compatibilità urbanistica non può rimanere estranea al procedimento di AIA.

In conclusione, correttamente il Comune di Caneva ha sottoposto alla valutazione della conferenza di servizi anche la problematica della conformità urbanistica dell’allevamento di polli in questione, e legittimamente può attivare i rimedi giudiziale dell’interesse pubblico affidato alla sua cura e che assume violato in conseguenza di un provvedimento amministrativo (segnatamente, l’AIA) che reputa illegittimo.

2.3.1. Quanto, invece, all’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Comitato di salvaguardia, anch’essa risulta infondata, siccome smentita dal dato fattuale.

2.3.2. Al riguardo va ricordato che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, cui questo Tribunale aderisce (cfr., T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 204/2015), affinché un ente rappresentativo di interessi diffusi, ovverosia di interessi facenti capo a un gruppo stabile e non occasionale di soggetti possa esperire azioni giudiziarie è necessario che esso abbia un apprezzabile grado di rappresentatività, che possa statutariamente tutelare gli interessi dei propri membri (cfr., C.d.S., Sez. IV^, sentenza n. 6050/2011), che persegua un vantaggio, anche solo strumentale, a favore di tutti gli appartenenti al gruppo che rappresenta e che non sussista una situazione di conflitto, anche solo potenziale, tra le diverse posizioni dei singoli associati (cfr., C.d.S., Sez. IV^, sentenza n. 1540/2011).

2.3.3. Orbene, risulta per tabulas che il Comitato è sorto spontaneamente oltre un decennio fa, che raggruppa una settantina di persone abitanti nelle immediate vicinanze dell’allevamento di polli per cui è causa, che persegue la finalità di porsi quale “interfaccia verso l’esterno per dare indicazioni, proporre soluzioni e richieste collettive utili a rendere sempre più vivibile” l’area nella quale sono insediati i relativi componenti, che in tale veste negli anni esso, da un lato, si è con continuità rapportato con le Amministrazioni coinvolte, e, dall’altro lato, si è costituito parte civile nei processi penali avviati nei confronti dei soci della società controinteressata per le violazioni commesse nello svolgimento della propria attività economica, ottenendo la condanna degli imputati alla rifusione delle spese sostenute e/o al risarcimento del danno.

Risulta, altresì, per tabulas che la proprietà del signor Rizieri Polese, il quale agisce sia quale rappresentante del Comitato di salvaguardia sia in proprio, dista pochi metri dal capannone ove la società controinteressata alleva i propri polli; lo stesso dicasi per i signori Cordazzo Sandro, Poloni Maria Grazia, Rover Leonardo, Zanchetta Evio e Zanchetta Ottavio, tutti quanti facenti parte del Comitato di salvaguardia stesso.

2.3.4. Sono, pertanto, integrati i presupposti individuati dalla giurisprudenza per riconoscere legittimazione a ricorrere a un soggetto espressione di una collettività.

Il che, peraltro, è tanto più vero se si considera che la materia della tutela ambientale si connota per una maggiore ampiezza della legittimazione alla partecipazione al procedimento amministrativo e della legittimazione all’accesso della documentazione, maggiore ampiezza che necessariamente influisce, allargandola, sulla perimetrazione della legittimazione processuale (cfr., T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, Sez. II^, sentenza n. 1050/2015).

2.4. In definitiva, entrambe le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi introduttivi dei giudizi qui riuniti, formulate dalla difesa della società controinteressata, sono infondate.

3.1. Passando al merito, è necessario, per le implicazioni che comporta in punto di disciplina urbanistica e di disciplina ambientale da applicare, prioritariamente sciogliere il nodo rappresentato dal rapporto in cui si pone l’impresa Castello s.s. rispetto all’impresa Chiuch, se cioè si è dato luogo a un subentro con sostanziale continuità nella attività di allevamento, che dunque non ha patito interruzioni, o se piuttosto si tratta di due attività distinte, che, seppur identicamente localizzate, si sono succedute con una netta cesura.

3.2.1. Ebbene, il dato fattuale, così come emerge dalle produzioni documentali versate in giudizio, conduce inequivocabilmente alla conclusione che di attività nuova si tratta.

Vero è, infatti, che l’impresa Chiuch aveva cessato la propria attività quasi due anni prima la cessione dell‘azienda all’odierna controinteressata, come dimostrano:

- il verbale di sopralluogo effettuato in data 18.03.2002 da ARPA, su sollecitazione del Comune che in data 9.11.2001 aveva emanato un’ordinanza sindacale di sgombero e messa in sicurezza, nel quale è attestato che i capannoni dell’azienda Chiuch erano completamente vuoti e nessuna attività era in corso;

- il licenziamento di tutti i dipendenti dell’azienda Chiuch alla data del 10.01.2002 motivata con la cessazione dell’attività economica al 31.12.2001;

- la procedura di sfratto intentata dalla società Castello s.s. nei confronti di alcuni ex dipendenti dell’azienda Chiuch da alcuni immobili del complesso produttivo, anch’essa motivata con la medio tempore intervenuta cessazione dell’attività da parte della impresa precedente proprietaria dell’impianto;

- la qualificazione come “nuovo” dell’impianto da autorizzare effettuata dalla società Castello s.s., nella domanda di rilascio di AIA poi accolta con il provvedimento qui impugnato, preferita alle altre opzioni comunque consentite dal modulo, ovverosia “impianto esistente” o “impianto soggetto a modifica sostanziale”.

3.2.2. D’altro canto, lo stesso contratto di cessione di azienda intercorso in data 12.02.2003 indica come avicola l’attività esercitata nell’azienda ceduta, ma non la qualifica come di allevamento intensivo, sicché a fronte di specifica contestazione sul punto da parte dei contraddittori non vi è in atti nemmeno prova della identità tra l’attività già svolta dal’impresa cedente e quella che andrà a svolgere l’impresa cessionaria.

Il suvvisto contratto, peraltro, conferma anche che l’attività economica dell’impresa all’atto della cessione dei beni aziendali era interrotta, avendo cura di precisare che nessun rapporto di lavoro era in corso.

3.2.3. Infine, va osservato come nemmeno un argomento di segno contrario può ricavarsi, così come pretenderebbe la difesa della società controinteressata, dall’avere la stessa vittoriosamente esperito ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso una norma del PRGC, che andava a ledere la posizione dei titolari di attività già esistenti.

Invero, il parere del Consiglio di Stato non affronta espressamente la questione della preesistenza o meno dell’allevamento della società allora ricorrente, ma si limita ad affermare implicitamente la legittimazione e l’interesse al ricorso.

Quel che, di converso, è dirimente è che la questione è stata invece affrontata e risolta nel senso che non vi è stata continuità di attività e quindi subentro da un gestore all’altro, in una pluralità di pronunce giurisdizionali tutte rese in contraddittorio tra le parti.

Ci si riferisce, segnatamente, alla sentenza del Tribunale ordinario di Pordenone n. 801/2009 che parla testualmente di «un anno e mezzo circa di inattività»; alla sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 323/2011 che qualifica come “dismessa” l’attività dei fratelli Chiuch; alla sentenza di questo Tribunale n. 2/2013 che afferma essere stata rilevata la vecchia azienda dagli attuali proprietari solamente dopo che era cessata l’attività di impresa; alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4588/2014 che nega che la società agricola Castello s.s. potesse vantare un «preuso che fondasse un legittimo affidamento all’esercizio dell’attività di allevamento intensivo di pollame».

3.3. Ebbene, il Tribunale, ai fini della verifica della legittimità del provvedimento impugnato e per la formazione del proprio libero convincimento, può utilizzare ogni utile elemento di prova, ivi compresi gli accertamenti contenuti nelle pronunce di altri Giudici.

E, pertanto, alla luce delle suelencate risultanze, il Collegio ritiene che la società agricola Castello s.s. non sia subentrata all’azienda agricola Chiuch, ma abbia avviato una nuova e diversa impresa, ancorché nella medesima area.

4.1. Il che comporta l’assoggettamento della relativa proprietà alla disciplina urbanistica introdotta dal Comune di Caneva con Variante adottata in data 2.12.2002 con deliberazione consiliare n. 53, e, in particolare, al divieto di installazione di nuovi allevamenti intensivi e a carattere industriale nella sottozona E4.1. agricolo paesaggistica di ambito collinare.

4.2. Il che comporta ulteriormente che la Regione è incorsa in un difetto di istruttoria, in un travisamento del dato giuridico-fattuale, in una errata valutazione dei presupposti, laddove in sede di AIA ha ritenuto di attribuire ultravigenza a una disciplina urbanistica oramai superata dal rinnovato esercizio da parte del Comune del potere pianificatorio.

Dall’errato presupposto che l’allevamento intensivo da autorizzare fosse preesistente (mentre preesistenti erano gli immobili, non ma certo la destinazione dei medesimi) la Regione ha ricavato l’errata conclusione che lo stesso fosse urbanisticamente conforme, nonché l’ulteriore errata conclusione che la posizione contraria assunta in conferenza di servizi dal Comune non fosse giustificata e dunque di potervi prescindere.

4.3. Sono, dunque, fondati sia l’unico motivo di impugnazione dedotto dal Comune di Caneva, sia il primo dedotto dal Comitato di salvaguardia e dal signor Rizieri Polese, laddove lamentano un’errata applicazione della disciplina urbanistica comunale, frutto di una carente istruttoria, che non ha consentito di apprezzare compiutamente il dato fattuale e di sussumerlo nella corretta ipotesi generale prevista dal piano regolatore comunale.

5.1. Parimenti fondato e per le medesime ragioni è il secondo motivo di impugnazione dedotto dal Comitato di salvaguardia e dal signor Rizieri Polese, concernente la mancata sottoposizione a VIA dell’impianto in questione.

La decisione di sottoporre a valutazione di impatto ambientale l’impianto in esame è ancora una volta motivata con la preesistenza dello stesso. Sennonché, già si è detto dell’erroneità di tale assunto, e, per l’effetto, delle conclusioni che si fondano su di esso.

A questo aggiungasi che, se pure tale assunto viene mantenuto fermo con riferimento al profilo urbanistico, la stessa Regione e la stessa società controinteressata sono costrette, a fronte dell’inequivoca domanda di rilascio di AIA per impianto nuovo, a rinnegarlo con riguardo al profilo ambientale, prospettando un allevamento nuovo esercitato in un impianto preesistente.

5.2. Il che, però, a maggior ragione impone la sottoposizione a VIA dell’impianto così come destinato all’allevamento intensivo.

La disciplina ambientale si ispira al principio di precauzione: a fronte di un’attività insalubre, quale è incontrovertibilmente quella di allevamento intensivo di polli, deve prevalere un interpretazione volta a prevenire possibili fenomeni di inquinamento, anche laddove in ipotesi l’attività viene svolta utilizzando stabili già esistenti, anziché capannoni costruiti ad hoc.

5.3. Ora, tenuto conto che - come risulta dallo stesso provvedimento impugnato - l’impianto in questione è in grado di operare con un massimo di 115.000 capi per ciclo produttivo, tenuto altresì conto che occorre avere riguardo alla capacità di produzione dell’impianto e non alla effettiva produzione che in base a insindacabili scelte sindacali l’impresa decide di realizzare, deve ritenersi che ai sensi del combinato disposto dell’articolo 6, comma 6, lettera a) e della lettera ac) dell’Allegato terzo alla Parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006, l’autorizzazione ambientale deve necessariamente essere accompagnata dalla VIA.

6.1. Sono, di contro, infondati e/o inammissibili gli ulteriori due motivi di impugnazione dedotti dal Comitato di salvaguardia e dal signor Rizieri Polese.

6.2. Invero, trattandosi di un impianto nuovo, per il quale quindi non vi sono dati pregressi, non potendosi utilizzare quelli riferiti alla medesima attività svolta con un numero ben maggiore di capi (115.000 capi per ciclo in luogo di 55.000), non pare irragionevole aver utilizzato in sede istruttoria uno studio modellistico per valutare le emissioni prodotte dal progettato allevamento, e assoggettare l’allevamento medesimo, una volta avviato, a un continuo monitoraggio.

6.3. Il Comitato di salvaguardia non aveva titolo per partecipare alla conferenza di servizi. La partecipazione dei privati ai procedimenti ambientali è limitata agli apporti collaborativi in sede istruttoria (osservazioni e memorie), e non si estende alla fase decisionale (cfr., T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 648/2014).

6.4. La Regione ha ritenuto che non fosse necessario superare il dissenso del Comune, perché ha reputato l’impianto urbanisticamente conforme. Si tratta, come spiegato ai punti che precedono, di un assunto errato. Nondimeno, a questo Giudice, giusta quanto statuisce l’articolo 34, comma 2, Cod. proc. amm., è precluso pronunciarsi sul se e come avrebbe dovuto essere superato il dissenso comunale, trattandosi di poteri non ancora esercitati.

6.5. Ancora, l‘asserita inerzia della Regione nel impedire alla controinteressata di svolgere un’attività economica non autorizzata è questione eccedente il tema del presente giudizio caducatoria, in quanto non incidente sulla legittimità dell’autorizzazione impugnata.

7. Deve, infine, essere rigettata la domanda risarcitoria formulata dal Comitato di salvaguardia e dal signor Rizieri Polese, in quanto meramente enunciata, ma non comprovata nei sui elementi costituitivi.

8.1. In conclusione, i ricorsi sono accolti, e, per l’effetto, è annullata l’autorizzazione regionale in epigrafe compiutamente individuata.

8.2. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico della Regione, quale Amministrazione che ha adottato l’atto illegittimo, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li accoglie entrambi.

Condanna la Regione resistente a rifondere ai ricorrenti le spese del giudizio, che liquida in complessivi €uro 4.000,00, oltre ad accessori di legge, a favore del Comune di Caneva, e in complessivi €uro 4.000,00, oltre ad accessori di legge, a favore congiuntamente del Comitato di salvaguardia e del signor Polese Rizieri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2016 con l’intervento dei magistrati:

 

Umberto Zuballi, Presidente

Manuela Sinigoi, Primo Referendario

Alessandra Tagliasacchi, Referendario, Estensore

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/03/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)