Cass. Sez. III n.16286 del 17 aprile 2009 (Ud. 18 dic. 2008)
Pres. Altieri Est. Onorato Ric. Del Balzo
Aria. Emissioni in atmosfera e violazione dell’articolo 674 c.p.

1. Nel linguaggio corrente s’intende per "polvere" un "insieme incoerente di particelle molto minute e leggere di terra arida, detriti, sabbia ecc., che, sollevate e trasportate dal vento, si depositano ovunque". S’intende invece per "fumo" il "residuo gassoso della combustione che trascina in sospensione particelle solide in forma di nuvola grigiastra o bianca". Ne deriva che, pur trattandosi sempre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla polvere perché è sempre un prodotto della combustione, sicché la polvere, essendo prodotto di frantumazione, ma non di combustione, non può essere ricompresa nella nozione di fumo. In conclusione, quindi, la diffusione di polveri nell’atmosfera va contestata come versamento di cose ai sensi della prima ipotesi dell’art. 674 c.p. e non come emissione di fumo.
2. Si deve negare che le due ipotesi contravvenzionali previste nell’art. 674 c.p. configurino necessariamente reati di condotta attiva. A ben vedere esse si atteggiano come reati di evento pericoloso, dove l’evento può essere cagionato da una condotta attiva od omissiva, dolosa o colposa: nel caso della contravvenzione codicistica si tratta di un evento di pericolo concreto, consistente nell’attitudine delle cose o delle emissioni a imbrattare, offendere o molestare le persone, che deve essere concretamente accertata dal giudice. Si deve pertanto concludere che il reato de quo nei congrui casi può anche atteggiarsi come reato commissivo mediante omissione (cd. reato omissivo improprio) ogni qual volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi (anche) dalla omissione (dolosa o colposa) del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo.
3.La clausola "nei casi non consentiti dalla legge" esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dalla attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le altre emissioni, connesse più o meno direttamente all’attività produttiva regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all’imprenditore.

UDIENZA 18.12.2008

SENTENZA N. 2630

REG. GENERALE n. 35771/2008


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill. mi Signori


Dott. Enrico ALTIERI Presidente
Dott. Agostino CORDOVA Consigliere
Dott. Pierluigi ONORATO Consigliere
Dott. Alfredo Maria LOMBARDI Consigliere
Dott. Santi GAZZARA Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto per DEL BALZO Antonio, nato a Torre del Greco (NA) il 19.1.1943, avverso la sentenza resa il 29.10.2007 dal Tribunale monocratico di Reggio Calabria.

Vista la sentenza denunciata e il ricorso,
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Pierluigi Onorato,
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso,
Udito l\'avv. Natale Polimeni per le parti civili Alfredo Focà, Domenico Polimeni, Pasqualina Cananzi, Renato Scutellà, Maurizio Tescione, Giuliana Serra, Francesco Polimeni, Paola Borgia, Rosamaria Licandro, Fabrizio Aliquò, Teresa Calabrò, Francesco Giglietta, Massimo Postorino e Silvia Coppola, che ha chiesto il rigetto del ricorso e il rimborso delle spese processuali.


Uditi i difensori dell\'imputato, avv. Vincenzo Nico D\'Ascola e Marcello Melandri, che hanno insistito nel ricorso,
Osserva:


Svolgimento del processo


1 - Con sentenza del 29.10.2007 il Tribunale monocratico di Reggio Calabria:

- ha dichiarato Antonio Del Balzo colpevole del reato di cui all\'art. 674 c.p., perché - nella sua qualità di legale rappresentante della Cementir s.p.a. - aveva versato nell\'atmosfera in Porto di Reggio Calabria e nelle aree circostanti di pubblico transito, nonché nelle vicine aree private, polveri di cemento derivanti dall\'attività esercitata dalla predetta società, atte ad imbrattare le civili abitazioni site nella zona adiacente il porto e a molestare le persone residenti in detta zona (fatto commesso sino al giugno 2004);
- e per l\'effetto, in concorso con le attenuanti generiche, l\'ha condannato alla pena di 134 euro di ammenda, con i doppi benefici di legge, e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, liquidati equitativamente in euro 500 per ciascuna.


Preliminarmente il giudice monocratico ha respinto l\'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per genericità della imputazione, osservando che il fatto era stato enunciato in modo sufficientemente chiaro, attraverso una precisa descrizione della condotta, "i cui profili colposi, benché genericamente contestati" apparivano "per ciò stesso contemplati nella loro globalità".


Tanto premesso, il giudice, in estrema sintesi, ha osservato e ritenuto quanto segue:


- dalla istruttoria dibattimentale risultava che durante lo scarico del "clinker" (una sostanza sabbiosa utilizzata per la produzione del cemento) dalle navi trasportatrici ai silos della Cementir, e dai silos alle autocisterne utilizzate per il trasporto successivo, venivano immesse nell\'atmosfera sottilissime polveri, che si depositavano all\'esterno e all\'interno delle abitazioni limitrofe e cagionavano agli occupanti fastidi fisici tali da compromettere significativamente l\'esercizio delle normali attività quotidiane;
- in particolare, nel giugno 2002, una nube di polveri cementizie era fuoruscita dai silos, provocando l\'effetto meteorologico c.d. della "lupa", fitta nebbia tipica dello Stretto di Messina;
- nella notte del 1.9.2003 un\'altra fuoruscita di polveri era stata provocata dalla rottura di una flangia della tubazione di collegamento tra la nave e i silos. In quella occasione lo scarico del clinker non era avvenuto attraverso l\'apposita tubazione interrata, perché la motonave della Cementir "Mar Grande", usualmente utilizzata per la bisogna con la tubazione interrata, era in cantiere per lavori di ordinaria manutenzione. La nave appositamente noleggiata in sostituzione, la "Cem Cutter", aveva utilizzato per lo scarico una tubazione esterna posizionata sulla banchina del porto, che funzionava con tecnica "pneumatica" e non meccanica; ma, asseritamente a causa della eccessiva pressione, una flangia della tubazione si era staccata, provocando la fuoruscita di polveri nell\'atmosfera. A prescindere dalla impossibilità di verificare l\'esatta eziologia dell\'incidente, era indubbia la responsabilità della Cementir, e per essa del suo legale rappresentante, in considerazione della scelta metodologica del sistema di scarico, della nave e dello stato di manutenzione dei filtri, il cui dedotto intasamento non poteva non ricondursi all\'attività dell\'impianto in discussione;
- altre emissioni di polveri in atmosfera erano state provocate dalla periodica attività di pulitura dei filtri, realizzata col metodo dello scuotimento;
- dalle deposizioni testimoniali e dalle fotografie acquisite era indubbio che le polveri moleste oggetto delle lamentele e delle denunce dei vicini abitanti fossero provenute dall\'attività della Cementir, non essendo decisiva sotto questo profilo la discrasia di alcune testimonianze in ordine al colore delle polveri depositate sui balconi delle abitazioni vicine allo stabilimento;
- era così integrato l\'elemento materiale della prima ipotesi prevista dall\'art. 674 c.p., essendosi realizzato un getto o versamento di polveri atte a imbrattare cose e a molestare persone, anche se si trattava di emissioni provenienti da un\'attività produttiva - come quella della Cementir regolarmente autorizzata, e se le emissioni non avevano superato gli "standards" previsti dalle leggi speciali in materia d\'inquinamento atmosferico;
- quanto all\'elemento psicologico, trattandosi di contravvenzione, era sufficiente che la condotta fosse attribuibile all\'imputato e questo fosse rimproverabile quanto meno a titolo di colpa, la quale era ravvisabile nella specie giacché le cautele adottate non erano risultate idonee a evitare il pericolo per la pubblica incolumità previsto dalla norma incriminatrice. Rimedi più efficaci potevano infatti essere adottati per rendere più sicure le fasi dello scarico del clinker e della pulizia dei filtri a manica. In particolare non era stato osservato il paragrafo 6.3 del D.M. 12.7.1990 (in vigore all\'epoca dei fatti contestati), che per il trasporto di sostanze polverulenti impone l\'utilizzazione di dispositivi chiusi o quanto meno il convogliamento in apparecchiature di depolverizzazione; e neppure il paragrafo 6.4 dello stesso decreto ministeriale, che per il magazzinaggio di materiali polverulenti prescrive varie cautele (dalla copertura della superficie con stuoie, a barriere frangivento; da manti erbosi al mantenimento della umidità del suolo), mai adottate dalla Cementir.


2 - I difensori dell\'imputato hanno proposto ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di annullamento.


In particolare lamentano:


2.1 - violazione dell\'art. 552, comma 1, lett. c), e dell\'art. 522 c.p.p. (anche in relazione all\'art. 111 Cost. e all\'art. 6, comma 3, lett. a) e b) della Convenzione europea per i diritti dell\'uomo), per inosservanza del principio di correlazione tra accusa e sentenza, e per formulazione dell\'addebito tutt\'altro che chiara e precisa.


Sostengono che all\'imputato era stata contestata una condotta necessariamente attiva e dolosa (aver versato), mentre il giudice lo ha invece condannato per una condotta omissiva di tipo colposo, cioè per non aver adottato quelle cautele che sarebbero valse a impedire il peggioramento delle immissioni polverose;


2.2 - violazione degli artt. 674, 40 cpv. e 42, comma 4, c.p., nonché manifesta illogicità della motivazione sul punto.


Sostengono che l\'interpretazione della norma incriminatrice adottata dal giudice di merito si scontra con corretti criteri ermeneutici e con i principi fondamentali del diritto penale, oltre che con gli approdi della giurisprudenza costante.


Infatti la prima ipotesi prevista dall\'art. 674 c.p. configura una condotta necessariamente attiva e dolosa (evocata dall\'uso dei verbi "gettare" o "versare"), per la quale non è applicabile ex art. 40 cpv. c.p. la conversione dell\'azione nella corrispondente omissione impropria; senza considerare che la regola di conversione di cui alla norma predetta opera soltanto per i reati causali puri, ossia per i reati con evento naturalistico, mentre il reato "de quo" contempla evidentemente solo un evento in senso giuridico.


Quanto all\'elemento psicologico, è evidente che la fattispecie in esame è compatibile solo con la forma dolosa, sicché per questo reato di parte speciale viene meno la regola prevista nella parte generale del codice penale (art. 42, comma 4, c.p.), che stabilisce la "indifferenza" dell\'elemento psicologico in ordine ai reati contravvenzionali.


Aggiungono che le "polveri" rientrano piuttosto nell\'oggetto materiale della seconda fattispecie contemplata nell\'art. 674 c.p.: oggetto che, individuato in "gas, vapori, fumi", è più specifico del generico "cose" previsto nella prima fattispecie. Il fatto concreto contestato all\'imputato, quindi, come emissione di polveri nell\'atmosfera, doveva essere sussunto nella seconda ipotesi di natura omissiva e colposa; ma allora l\'imputato doveva essere assolto, giacché, secondo la più recente giurisprudenza, non è punibile l\'emissione di polveri che rispetti i limiti tabellari della legislazione di settore (essendo un "caso consentito dalla legge"). Nel caso di specie, infatti, era pacifico che le emissioni causate dal ciclo produttivo erano sempre "a inquinamento poco significativo", e quindi non superavano gli standards previsti dal D.P.R. 25.7.1991;


2.3 - violazione degli artt. 674, 41, comma 2, e 45 c.p., nonché vizio di motivazione sul punto.


Prendendo in considerazione la fuoruscita di polveri verificatasi nella notte tra il 1 e il 2 settembre 2003, i difensori censurano la motivazione con cui il giudice di merito ha ravvisato una colpa dell\'imputato per "la scelta metodologica di scarico, della nave e dello stesso stato di manutenzione dei filtri".


Al riguardo precisano che il metodo di scarico - a pressione pneumatica, anziché meccanico a vite, come quello usato con la tubazione sotterranea - era ritenuto regolare dalle autorità competenti per la sicurezza (in particolare dal responsabile tecnico della Capitaneria di Porto); che perciò era ininfluente la scelta della nave che scaricava col metodo della tubazione esterna a pressione pneumatica; che infine la rottura della flangia era dipesa da un eccesso di pressione, e quindi da un fatto controllabile soltanto dal manometro posto sulla nave e quindi esterno alla sfera di vigilanza della Cementir, sicché il legale rappresentante di quest\'azienda è stato ritenuto responsabile per fatto altrui;


2.4 - violazione dell\'art. 674 c.p. e degli artt. 192, comma 1, e 546, comma 1, lett. e) c.p.p., nonché vizio di motivazione sul punto.


Osservano i difensori come la corrispondenza ontologica delle polveri emesse dallo stabilimento Cementir con quelle arrecanti molestia alle parti civili, ovverosia la derivazione naturalistica degli imbrattamenti alle cose e delle molestie alle persone dalle emissioni polverose dello stabilimento, era stata desunta essenzialmente dalle deposizioni testimoniali delle persone offese, che presentavano contraddizioni interne. Infatti, Renato Scutellà, sentito come parte civile, aveva parlato di una polvere di colore nero; mentre, quando venne esaminato come teste, aveva parlato di una polvere di colore marrone. Francesco Polimeni aveva sempre parlato di polvere bianca o biancastra, mentre le fotografie prodotte attestavano la presenza di polveri comunque di colore scuro. Su questo punto il giudice non aveva considerato la consulenza tecnica della difesa, la quale aveva chiarito che si trattava di una zona a destinazione industriale, particolarmente esposta a emissioni di polveri causate dal frequente transito di veicoli.


Quanto al profilo di colpa specifica affermato nella sentenza impugnata, correlato alla violazione dei paragrafi 6.3 e 6.4 del D.M. 12.7.1990, i difensori osservano che queste norme non riguardano la procedura di manutenzione e pulitura dei filtri, che sembrerebbe quella unicamente presa in considerazione dal giudice di merito. Su questo punto il giudice ha valorizzato le testimonianze di Scutellà e Polimeni, laddove avevano riferito che le operazioni di pulizia erano effettuate attraverso lo scuotimento manuale, con conseguente spargimento di polveri nell\'atmosfera, nonché la eloquente documentazione fotografica, senza tener conto della spiegazione alternativa fornita dal consulente tecnico dell\'imputato, secondo il quale le fotografie verosimilmente avrebbero immortalato unicamente la rimozione manuale dei filtri usurati, ogni qual volta dovevano essere sostituiti;


2.5 - violazione degli artt. 538 e 539 c.p.p., nonché dell\'art. 185, comma 2, c.p., e vizio di motivazione sul punto.


Per quanto riguarda le statuizioni civili, osservano che nella prospettiva del giudice di merito le emissioni polverose della Cementir non integrano la seconda ipotesi dell\'art. 674 c.p. e nemmeno superano la normale tollerabilità di cui all\'art. 844 c.c., devolvendo così alla prima ipotesi dell\'art. 674 c.p. una funzione meramente residuale. In altri termini, nella prospettiva del giudice, dette emissioni, benché minime, integrano soltanto la prima ipotesi contemplata dalla norma penale, senza violare norme civilistiche. Ma in tal modo, nella regolamentazione giuridica di uno stesso fenomeno, il diritto civile avrebbe una latitudine applicativa più ristretta e il diritto penale verrebbe a svolgere impropriamente una funzione meramente sanzionatoria, che è contraria ai canoni inderogabili della sussidiarietà e della offensività.


Motivi della decisione


3 - Giova anzitutto precisare la condotta che il giudice di merito ha concretamente accertato e posto a carico dell\'imputato come base del giudizio di colpevolezza.


Come già accennato in narrativa (n. 1), il tribunale monocratico ha ritenuto raggiunta la prova che emissioni polverulenti si erano verificate:
- durante il percorso del clinker dalle navi che approvvigionavano la Cementir ai silos d\'immagazzinaggio, e dai silos alle autocisterne che trasportavano la sostanza alle imprese destinatarie;
- per una fuoruscita dai silos nel giugno 2002, tanto massiccia da provocare l\'effetto meteorologico c.d. della "lupa" (fitta nebbia, tipica dello Stretto di Messina);
- in una determinata occasione, nella notte del 1.9.2003, quando lo scarico del clinker dalla nave al silos era avvenuto non attraverso le usuali tubazioni sotterranee, ma attraverso una tubazione esterna, e una flangia di questa tubazione si era staccata provocando la fuoruscita di polveri nell\'atmosfera;
- durante la periodica attività di pulitura dei filtri, che avveniva col metodo dello scuotimento.



Il giudice ha poi attribuito queste emissioni al titolare della Cementir a titolo di colpa, posto che non aveva adottato le cautele antiinquinamento a lui imposte dalle norme speciali e dalla diligenza professionale durante le varie fasi dell\'attività aziendale.


Tanta premesso, va disatteso il primo motivo di ricorso (n. 2.1), che denuncia sia la inosservanza della doverosa correlazione tra imputazione contestata e sentenza, sia la mancanza di chiarezza e precisione nella formulazione del capo d\' imputazione.


Per quanto riguarda quest\'ultimo profilo, giova ripetere che il Del Balzo è stato imputato del "reato di cui all\'art. 674 c.p. perché, nella qualità di legale rappresentante della Cementir s.p.a, versava nell\'atmosfera del Porto di Reggio Calabria e delle aree circostanti di pubblico transito nonché nelle vicine aree private, le polveri di cemento derivanti dall\'attività posta in essere dalla citata società, atte ad imbrattare le civili abitazioni site nella zona adiacente il porto (zona S. Caterina e argine destro Annunziata) e a molestare le persone residenti in detta zona. In Reggio Calabria fino al mese di giugno 2004".


Come si può agevolmente vedere, e come ha correttamente osservato il giudice di merito, il fatto è contestato in forma chiara e precisa, tale da consentire all\'imputato di esercitare adeguatamente i suoi diritti difensivi.


L\'unica censura che potrebbe formularsi al riguardo attiene alla contestazione dell\'imbrattamento delle civili abitazioni, il quale non ha rilievo penale, giacché la norma incriminatrice prevede come elemento essenziale solo l\'imbrattamento, l\'offesa o la molestia delle persone, e non già delle cose. Ma si tratta di censura superflua e non decisiva, perché non incide sulla corretta contestazione degli altri elementi essenziali della fattispecie.


Altrettanto evidente è che il giudice si è pronunciato sullo stesso fatto cristallizzato nel capo d\'imputazione e non su un fatto diverso, essendo indubbio che le ipotesi di emissioni polverulenti in atmosfera ritenute nella sentenza di condanna, come sopra precisate, sono contenute nella più generale ipotesi di emissioni di polveri di cemento contestata dal pubblico ministero (c.d. criterio della continenza). Inoltre, come meglio si chiarirà in appresso, è indifferente la forma attiva od omissiva, della condotta incriminata.


Non può quindi ravvisarsi alcun difetto di correlazione tra accusa e giudizio.


4 - Più delicati sono i problemi sollevati nel secondo motivo di ricorso (n. 2.2), che interferiscono più o meno direttamente con la travagliata configurazione giuridica del reato di cui all\'art. 674 c.p..


Com\'è noto, la prima ipotesi prevista dalla norma punisce chiunque getta o versa, in luogo di pubblico transito o in luogo privato di uso comune o di uso altrui, cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone; mentre la seconda ipotesi punisce chiunque provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo atti ad offendere, imbrattare o molestare persone.


Le due ipotesi sono accomunate dallo stesso evento di pericolo (attitudine a offendere, imbrattare o molestare persone), ma si distinguono per la condotta (che nel primo caso si configura come gettare o versare, e nel secondo caso consiste nel provocare emissioni) e per l\'oggetto materiale del reato (che nel primo caso può essere qualsiasi cosa e nel secondo caso coincide con gas, vapori o fumi, purché si tratti sempre di cose con attitudine offensiva).


A prima vista sembra che, pur trattandosi sempre di un reato di pericolo, la struttura delle due fattispecie sia diversa, giacché la prima fattispecie può qualificarsi come un reato di mera condotta, mentre la seconda fattispecie si configura come reato di evento a condotta libera, o reato causale puro, in cui l\'evento naturalistico (emissione di gas, vapori o fumi) si distingue concettualmente e materialmente dalla condotta che lo provoca (la quale può consistere in qualsiasi azione od omissione).


A un esame più approfondito, però, ci si accorge che l\'ipotesi del "versamento" è strutturalmente omologa a quella della "emissione", giacché il significato della norma incriminatrice non sarebbe cambiato se il legislatore avesse punito non chiunque "versa", ma chiunque "provoca versamenti" (così come del resto non sarebbe cambiato se invece che punire chiunque "provoca emissioni" avesse punito chiunque "emette"). In entrambi i casi, insomma, è ravvisabile un evento (versamento, emissione) distinguibile dalla condotta che lo provoca, e questa condotta può essere sia attiva che omissiva.


4.1 - Si pone quindi un primo problema quando, come nel caso di specie, il fatto contestato consiste nella diffusione di polveri nell\'atmosfera.


I difensori propendono per la sussunzione di questo fatto nella seconda ipotesi tipica, mentre la giurisprudenza di legittimità appare oscillante sul punto.


Una pronuncia ormai risalente precisa che "le polveri, se non possono essere oggetto delle emissioni di gas e di vapori, sono invece sostanze comprese nelle emissioni di fumo, che, secondo la nozione lessicale e tecnica del termine, è e la polvere null\'altro è se non materia finemente suddivisa" (Cass. Sez. I, n. 3876 del 5.3.1993, Tacconi, mass. 195963).


Secondo una sentenza emanata pochi mesi dopo, però la immissione di polveri nell\'atmosfera è compresa nella prima ipotesi dell\'art. 674 c.p., giacché "nel concetto di o rientra anche quello di diffondere, comunque, polveri nelle aree circostanti" (Cass. Sez. I, n. 447 del 22.9.1993, Pasini, mass. 195922). In senso esattamente conforme si è pronunciata anche Cass. Sez. III, n. 42924 del 23.10.2002, Lorusso, mass. 223033.


Il primo orientamento non può essere condiviso. Nel linguaggio corrente s\'intende per "polvere" un "insieme incoerente di particelle molto minute e leggere di terra arida, detriti, sabbia ecc., che, sollevate e trasportate dal vento, si depositano ovunque". S\'intende invece per "fumo" il "residuo gassoso della combustione che trascina in sospensione particelle solide in forma di nuvola grigiastra o bianca".


Ne deriva che, pur trattandosi sempre di minuscole particelle, il fumo si distingue dalla polvere perché è sempre un prodotto della combustione, sicché la polvere, essendo prodotto di frantumazione, ma non di combustione, non può, essere ricompresa nella nozione di fumo.


In conclusione, quindi, la diffusione di polveri nell\'atmosfera va contestata (ed è stata nella specie contestata) come versamento di cose ai sensi della prima ipotesi dell\'art. 674 c.p. e non come emissione di fumo. Secondo un\'autorevole e condivisibile dottrina, infatti, se il "gettare" si riferisce al lancio di materie solide, il "versare" concerne le materie liquide o fluide, oppure le materie solide ma ghiaiose, sabbiose o polverose.


4.2 - Si pone a questo punto un secondo e più delicato problema.


Secondo i difensori, il versamento di polveri, e in genere il getto o il versamento di cose previsti nella prima ipotesi della norma incriminatrice, in quanto reato di condotta attiva, non sopporta l\'applicazione dell\'art. 40 cpv. c.p., secondo cui non impedire un evento che si ha l\'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.


Infatti, secondo la moderna dottrina penalistica, questa equiparazione della causalità omissiva alla causalità attiva, a carico di tutti coloro che sono detentori di una posizione di garanzia nei confronti del bene penalmente tutelato, è limitato per definizione ai reati di evento, o meglio ai reati causali puri, nei quali cioè il disvalore penale è concentrato nell\'evento, essendo invece indifferenti le modalità comportamentali che lo cagionano.


Questa perspicua argomentazione difensiva è suggestiva, ma deve essere disattesa.


Anzitutto non appare esattamente pertinente alla sentenza impugnata, giacché le omissioni che il giudice di merito ha rimproverato all\'imputato, a rigore, vengono in rilievo non tanto in ordine al rapporto di causalità, quanto piuttosto sotto il profilo della colpa. Il versamento di polveri in atmosfera, infatti, non è reato necessariamente doloso, ma può essere imputato anche a titolo di colpa, e questa ovviamente può consistere anche nella omissione di cautele doverose, come quelle che il giudice di merito ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità.


In tal senso, il giudice di merito ha correttamente ravvisato un reato a condotta mista, in cui l\'evento pericoloso del versamento delle polveri in atmosfera era stato provocato sia da una condotta positiva (lo scarico, il trasporto, lo stoccaggio del clinker) sia da una condotta omissiva (la mancata adozione delle cautele doverose).


Tuttavia, sarebbe artificioso negare che il profilo della colpa interferisce in qualche modo col rapporto causale: sicché è inevitabile focalizzare l\'attenzione anche su questo secondo profilo. Al riguardo, però, è illogico escludere l\'applicabilità del principio di causalità omissiva nella fattispecie penale di cui si discute. Quello che la disposizione di cui all\'art. 40 cpv. c.p. presuppone è soltanto che vi sia un evento che l\'imputato ha l\'obbligo di evitare; ma questo evento può essere sia di danno, come nell\'esempio classico dell\'omicidio, sia di pericolo, come appunto nella contravvenzione del versamento di polveri o di altre cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone.


Il soggetto al quale l\'ordinamento attribuisce una posizione di garanzia nei confronti dell\'interesse collettivo alla salute e alla incolumità, come il titolare di una impresa potenzialmente pericolosa, deve evitare di mettere a repentaglio quell\'interesse, ovverosia ha l\'obbligo di evitare ogni evento di pericolo. Nelle ipotesi in esame, egli ha l\'obbligo di evitare il versamento di polveri o l\'emissione di gas, vapori e fumi, in quanto pericolosi per la salute pubblica. Su questa base, la disposizione incriminatrice, come integrata dall\'art. 40 cpv. c.p., mette a suo carico non solo ogni condotta attiva (generalmente dolosa), ma anche ogni condotta omissiva (in genere colposa) che provochi l\'evento pericoloso. Quello che conta, infatti, secondo la "ratio" dell\'istituto che la dottrina non ha mancato di mettere in rilievo, è il risultato da evitare, non la condotta, sicché il legislatore si preoccupa di imporre al titolare della posizione di garanzia soltanto un obbligo di risultato, indipendentemente da ogni vincolo di comportamento. In questo senso, il principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità attiva si applica ai reati causali puri, caratterizzati dalla rilevanza dell\'evento e dalla indifferenza della condotta.


Orbene, in tale categoria di reati può e deve sussumersi il versamento di polveri in atmosfera, come anche la emissione di vapori, gas e fumi, atti a imbrattare, offendere o molestare persone, trattandosi di contravvenzioni, strutturalmente omologhe, per le quali la norma incriminatrice tende a evitare l\'evento pericoloso per la salute pubblica, indipendentemente dalle modalità comportamentali (positive o negative) con cui si realizza il versamento o l\'emissione. Il versamento o l\'emissione, come eventi di pericolo, sono modificazioni della realtà fenomenica che configurano il secondo elemento del rapporto causale.


La stessa omogeneità strutturale è ravvisabile in altre contravvenzioni extracodicistiche, come la emissione in atmosfera non rispettosa dei limiti fissati dalla normativa statale o regionale (di cui all\'art. 25, comma 3, D.P.R. 24.5.1988 n. 203, ora sostituito dall\'art. 279, comma 2, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152) o lo scarico di acque reflue industriali senza rispettare i limiti tabellari prestabiliti dalle norme vigenti (di cui all\'art. 59, comma 5, D.Lgs. 11.5.1999 n. 152, ora sostituito dall\'art. 137, comma 5, D.Lgs. 3.4.2006 n. 152).


Anche in queste ipotesi la formulazione letterale della norma incriminatrice ("chi non rispetta i valori di emissione stabiliti" secondo il citato art. 25, comma 3; "chiunque (...) supera i valori limite fissati", secondo il citato art. 59, comma 5) farebbe pensare a un reato di mera condotta che non lascia spazio alla causalità omissiva. Eppure, nessuno ha mai negato che la contravvenzione possa essere integrata sia con una condotta attiva dolosamente diretta all\'evento di pericolo astratto costituito dal superamento dei limiti tabellari, sia con una condotta omissiva che cagioni colposamente lo stesso evento, ad esempio per la mancata manutenzione di un filtro o di un depuratore aziendale, che sono gli apparecchi appositamente predisposti per abbattere i valori di emissione. In tal senso, almeno è la costante prassi giudiziaria.


A rigore, quindi, si deve negare che le due ipotesi contravvenzionali previste nell\'art. 674 c.p. o le menzionate contravvenzioni di emissioni extratabellari configurino necessariamente reati di condotta attiva. A ben vedere esse si atteggiano come reati di evento pericoloso, dove l\'evento può essere cagionato da una condotta attiva od omissiva, dolosa o colposa: nel caso della contravvenzione codicistica si tratta di un evento di pericolo concreto, consistente nell\'attitudine delle cose o delle emissioni a imbrattare, offendere o molestare le persone, che deve essere concretamente accertata dal giudice; nelle contravvenzioni previste dalla leggi speciali si tratta di un evento di pericolo astratto o presunto, che il legislatore collega tipicamente a ogni superamento dei limiti tabellari.


Si deve pertanto concludere che il reato de quo nei congrui casi può anche atteggiarsi come reato commissivo mediante omissione (c.d. reato omissivo improprio) ogni qual volta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi (anche) dalla omissione (dolosa o colposa) del soggetto che aveva l\'obbligo giuridico di evitarlo.


Ovviamente, in tutti i casi suddetti, presupposto indispensabile perché si configuri un reato commissivo mediante omissione è che l\'agente sia gravato da un obbligo giuridico di impedire l\'evento. E questo presupposto ricorre sia nelle menzionate contravvenzioni previste dalle leggi speciali, sia nella contravvenzione codicistica di cui si discute, giacché - come ha accertato il giudice di merito e come si vedrà meglio appresso - il titolare dell\'impresa aveva l\'obbligo, imposto dalla legge speciale e dai suoi decreti attuativi, di rispettare norme di cautela, la cui inosservanza ha provocato di fatto la diffusione di polveri pericolose nelle aree circostanti.


4.3 - Per le ragioni su esposte, quindi, va condiviso quell\'orientamento giurisprudenziale che ha sostenuto una interpretazione estensiva della nozione di versamento, sino a comprendervi la diffusione "comunque" (cioè in qualunque modo, attivo o passivo) di sostanze liquide o polverose, pericolose per la salute collettiva.


Si iscrivono in tale orientamento Cass. Sez. I, n. 447 del 22.9.1993, Pasini, mass. 195922, che ha ravvisato il reato "de quo" nella diffusione di polveri causate dalle operazioni di sbarco di farina da una nave; Cass. Sez. I, n. 3919 del 9.1.1995, P.M. in proc. Tinarelli e altri, mass. 201594, che ha ritenuto la sussistenza del reato a carico dei responsabili di una ditta esercente la produzione di calcestruzzo che avevano omesso di asfaltare i piazzali di manovra degli autoveicoli, come già imposto da una ordinanza del sindaco; Cass. Sez. III, n. 6419 del 7.11.2007, Costanza e altri, mass. 239058, che ha ravvisato il reato di cui all\'art. 674 c.p. nel versamento di reflui maleodoranti causato da un depuratore difettoso, perché privo di vasca di decantazione.


Va invece disatteso l\'opposto orientamento, peraltro più risalente nel tempo, che richiede una condotta attiva per la configurabilità del reato di cui alla prima parte dell\'art. 674 c.p.. Hanno adottato questa opzione ermeneutica Cass. Sez. VI, n. 8449 del 16.5.1985, Spallanzani, mass. 170537, che ha escluso il reato in un caso in cui si era verificata la disperzione di polveri in atmosfera a causa del prelievo di materiali effettuato da alcuni operai all\'interno di uno stabilimento industriale in concomitanza di fenomeni ventosi; Cass. Sez. I, n. 3644 del 26.1.1995, Di Fabio, mass. 201583, che non ha ravvisato il reato per un caso in cui, essendo stata depositata della sansa in un piazzale privato, quantitativi di detta sostanza erano finiti sulla adiacente strada pubblica a cagione del transito di veicoli e di pedoni fra il detto piazzale e la medesima strada; Cass. Sez. I, n. 12748 del 21.11.1995, Casarin, mass. 203330, che ha escluso il reato "de quo", pur ritenendo ipotizzabile quello di collocamento pericoloso di cose previsto dall\'art. 675 c.p., in un caso in cui un prodotto liquido trasportato su trattore con cisterna era fuoruscito sulla sede stradale a causa della corrosione delle paratie del mezzo di trasporto. In alcuni di questi ultimi casi, peraltro, anche adottando l\'orientamento precedente, si potrebbe discutere se sussisteva un profilo di colpa o una specifica posizione di garanzia in capo all\'imputato.


5 - Così inquadrata la diffusione in atmosfera di polveri moleste o pericolose nella fattispecie prevista dalla prima parte dell\'art. 674 c.p., viene escluso ogni rilievo alla clausola "nei casi non consentiti dalla legge", che è propriamente riservata alla emissione di gas, vapori o fumi prevista nella seconda parte della norma.


Non ignora però il Collegio che, su questo tema, una recente ed elaborata sentenza di questa stessa sezione, decidendo in un caso di diffusione di radiazioni elettromagnetiche pericolose per la salute, ha esteso in via analogica l\'applicazione della clausola anzidetta anche alla prima fattispecie; con la conseguenza che, quando la diffusione provenga da un\'attività economica socialmente utile e, come tale, legislativamente disciplinata, esula il reato se la diffusione è consentita dalla legge, ovverosia non supera i limiti tabellari previsti dalla legge speciale vigente nella soggetta materia (Cass. sez. III, n. 36845 del 13.5.2008, dep. il 26.9.2008, PG. e P.C. in proc. Tucci e altri).


Ma, anche accogliendo questa estensione analogica in "bonam partem", indubbiamente dettata da una condivisibile esigenza garantista a favore dell\'imputato, il quale non può vedersi condannato per una emissione in atmosfera che la legge speciale consente e valuta come tipicamente non pericolosa, non cambiano nel caso concreto le conseguenze in ordine alla affermata responsabilità dell\'imputato.


Infatti, la predetta clausola esclude il reato non per tutte le emissioni provocate dalla attività industriale regolamentata e autorizzata, ma solo per quelle emissioni che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative. Solo queste ultime emissioni si presumono legittime. Non possono presumersi come legittime, invece, le altre emissioni, connesse più o meno direttamente all\'attività produttiva regolamentata, che il legislatore non disciplina specificamente o che addirittura considera pericolose perché superiori ai limiti tabellari, o che vuole comunque evitare attraverso misure di prevenzione e di cautela imposte all\'imprenditore.


In questo senso si sono pronunciate chiaramente Cass. Sez. III, n. 40191 del 11.10.2007, dep. 30.10.2007, Schembri, mass. 238054, nonché Cass. Sez. III, n. 2475 del 9.10.2007, dep. 17.1.2008, Alghisi, mass. 238447.


Nel caso di specie, le emissioni di polveri provocate nel corso dell\'attività produttiva della società Cementir a causa di un improprio sistema di scarico, di trasporto e di magazzinaggio del clinker, ovvero a causa di una impropria pulitura periodica dei filtri, o infine per la rottura di una flangia della tubazione non interrata di scarico, non erano certamente "consentite" dalla legge speciale D.P.R. 24.5.1988 n. 203, ma erano invece "vietate" attraverso regole generali o speciali che imponevano misure di cautela e prevenzione molto rigorose, come quelle previste dal D.M. 12.7.1990, che in forza dell\'art. 3 dello stesso D.P.R. 203/1988, ha dettato le linee guida per il contenimento delle emissioni oltre che per la fissazione dei valori limite (v. in particolare i paragrafi 6.1, 6.2, 6.3 e 6.4).

Sotto questo profilo non ha rilievo il D.P.R. 25.7.1991 richiamato dai difensori ricorrenti. Questa fonte normativa include tra le attività ad inquinamento atmosferico poco significativo anche i "silos per materiali da costruzione, ad esclusione di quelli asserviti agli impianti di produzione industriale" (n. 18 dell\'Allegato 1). Orbene, anche ammesso che lo stabilimento della Cementir potesse essere inquadrato tra gli impianti ad inquinamento atmosferico poco significativo, ciò avrebbe avuto il solo effetto di esonerare la società dall\'obbligo di richiedere l\'autorizzazione per l\'esercizio dello stabilimento (ex art. 2 dello stesso decreto); ma non poteva liberarla dagli obblighi di osservare comunque le menzionate linee guida per il contenimento delle emissioni.


Peraltro, in linea di fatto risulta dalla sentenza impugnata che lo stabilimento della Cementir era regolarmente autorizzato, il che fa pensare che fosse asservito a impianti di produzione industriale, e come tale necessitasse dell\'autorizzazione perché non inquadrabile tra gli impianti ad inquinamento atmosferico poco significativo.


Quello sopra richiamato era il sottosistema amministrativo di disciplina delle attività produttive di sostanze polverulenti vigente all\'epoca dei fatti, che il rappresentante della Cementir doveva rispettare e che lo costituiva in una posizione di garanzia nei confronti del bene penalmente tutelato. Oggi quel sistema è stato abrogato dall\'art. 280 D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, ma è stato contestualmente sostituito da altra analoga disciplina che ha confermato gli obblighi di precauzione rilevanti per il caso concreto.


6 - Così risolte le questioni di diritto, vanno a questo punto disattesi il terzo e il quarto motivo di ricorso (nn. 2.3 e 2.4), con cui in definitiva si mettono in discussione il fatto materiale contestato e i profili di colpa ravvisati a carico dell\'imputato.


In sostanza si chiede però una rivalutazione delle risultanze processuali, che è preclusa al giudice di legittimità, quando, come nel caso di specie, il giudice di merito abbia motivato sul punto in modo irreprensibile sotto il profilo logico e giuridico. Questo principio, affermato autorevolmente da Cass. Sez. Un. n. 12 del 23.6.2000, Jakani, mass. 216260, conserva la sua validità anche dopo la modifica che l\'art. 8, comma 1, lett. b) della legge 20.2.2006 n. 46 ha apportato alla lett. e) dell\'art. 606 c.p.p., giacché la novella legislativa ha soltanto ampliato il parametro di riferimento del vizio motivazionale sindacabile in sede di legittimità, estendendolo dal testo del provvedimento impugnato anche ad altri atti del processo specificamente indicati nel ricorso, ma non ne ha modificato il contenuto strutturale. In altri termini, il vizio di motivazione e il sindacato di legittimità sul medesimo non mutano la loro portata sol perché il loro ambito di applicazione si estende anche al di là del testo del provvedimento impugnato.


Nel caso di specie, la corrispondenza tra le polveri di cemento oggetto delle lamentele delle parti civili e le polveri diffuse dalla società Cementir è stata motivatamente accertata dalla sentenza impugnata sulla base di un plausibile esame delle risultanze testimoniali, giacché le lievi divergenze sul colore delle polveri emerse da alcune testimonianze sono state correttamente ritenute non decisive. Si tratta infatti di divergenze (che in un caso erano addirittura riscontrabili tra le dichiarazioni di una stessa persona) le quali per se stesse sono indicative della imprecisione dei testi più che di una diversità materiale tra le polveri provocate dall\'attività della Cementir e quelle depositate lungo le strade e le abitazioni circostanti. In altri termini, la diversa percezione del colore non inficia la prova sulla effettiva provenienza delle polveri riferita dai testi.


Parimenti - anche per le argomentazioni gia svolte in precedenza - nessun dubbio sussiste sulla correttezza logica e giuridica con cui il tribunale monocratico ha ravvisato i vari profili di colpa a carico dell\'imputato in ordine alla metodologia di scarico (quanto meno nello specifico episodio del 1.9.2003) e di stoccaggio del clinker, nonché in relazione al sistema di pulitura dei filtri.


7 - Infine, non merita accoglimento neppure l\'ultimo motivo di ricorso, relativo alle statuizioni civili (n. 2.5).
E\' pacifico in dottrina che la norma incriminatrice dell\'art. 674 c.p. abbia carattere costitutivo e non meramente sanzionatorio, giacché contiene un divieto generale di gettare, versare o emettere, indipendentemente da altri divieti specifici previsti dalle leggi speciali o dalla norma di cui all\'art. 844 c.c..


Solo nei casi in cui venga applicata la causalità omissiva di cui all\'art. 40 cpv. c.p. è presupposta l\'esistenza di doveri specifici imposti in capo al contravventore da altre norme giuridiche.


Nel caso di specie - come già osservato - il giudice di merito ha correttamente ravvisato il reato di versamento di polveri contemplato nella prima ipotesi del ripetuto art. 674, e per conseguenza, altrettanto correttamente, ha condannato l\'imputato al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, ai sensi degli artt. 185, comma 2, c.p. e 538 c.p.p., nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute da queste ultime, a norma dell\'art. 541 c.p.p..


8 - In conclusione, il ricorso deve essere respinto.


Ai sensi dell\'art. 616 c.p.p. consegue la condanna dell\'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.


Il ricorrente va anche condannato alla rifusione delle spese a favore delle parti civili che l\'avv. Natale Polimeni ha rappresentato in questo grado di giudizio (Alfredo Focà, Domenico Polimeni, Pasqualina Cananzi, Renato Scutellà, Maurizio Tescione, Giuliana Serra, Francesco Polimeni, Paola Borgia, Rosamaria Licandro, Fabrizio Aliquò, Teresa Calabrò, Francesco Giglietta, Massimo Postorino e Silvia Coppola), spese liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.


la Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di questo grado a favore delle parti civili indicate in motivazione, liquidate in complessive € 2.400, oltre I.v.a. e accessori di legge.


Così deciso in Roma il 18.12.2008.
Deposito in Cancelleria il 17/04/2009