Cass. Sez. III n. 36444 del 27 agosto 2019 (UP 28 mag  2019)
Pres. Izzo  Est. Ramacci Ric. Alessandroni
Aria.Getto pericoloso

Il reato di cui all’art. 674 cod. pen. è configurabile sia in forma omissiva che in forma commissiva mediante omissione (cosiddetto reato omissivo improprio) ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l'obbligo giuridico di evitarlo e, quanto all’elemento soggettivo, non hanno rilevanza alcuna i motivi ed il fine perseguiti dall’autore del reato, essendo solo necessario che la condotta sia attribuibile all'agente quanto meno sotto il profilo del comportamento colposo



RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 30 marzo 2015, ha affermato la responsabilità penale di  Franco CAMPANELLI, Lino TABONI, Idilio TASINI, Luigi ROSSI, Urbano ROMBALDONI, Francesco ROMBALDONI, Antonio ALESSANDRONI, Giulio CARLONI, e Matteo VANNUCCI per il reato di cui all'art. 674 cod. pen. loro contestato al capo b) della rubrica.
Ha condannato gli ultimi tre anche per il reato di trasporto abusivo di rifiuti pericolosi in violazione dell'art. 256, comma 1, lett, b) d.lgs. 152/2006 di cui al capo c) dell’imputazione ed ha pronunciato assoluzione nei confronti di tutti gli imputati per il reato di cui all'art. 260 d.lgs. 152/2006, loro contestato al capo a) della rubrica, per insussistenza del fatto.
Con la stessa formula ha assolto gli imputati Giulio CARLONI, Matteo VANNUCCI, Antonio ALESSANDRONI e Giovanni TAUS dall'addebito di cui al capo c) dell’imputazione per quanto relativo a conferimenti effettuati nella “Cava Gesca” ed ha pronunciato assoluzione per non aver commesso il fatto nei riguardi di Domenico GIOVAGNOLI per tutti i reati a lui ascritti e nei confronti degli imputati Stefano PENSERINI, Stefano MARCANTOGNINI e Rita MARIOTTI per i reati loro ascritti ai capi d) ed e) della rubrica.
Ha condannato gli imputati CAMPANELLI, TABONI, TASINI, ROSSI, ROMBALDONI Urbano,  ROMBALDONI Francesco, ALESSANDRONI, CARLONI e VANNUCCI al risarcimento del danno in favore delle parti civili Amministrazione comunale di Pesaro ed Amministrazione provinciale di Pesaro-Urbino, da liquidarsi in separata sede, concedendo una provvisionale della misura di euro 100.000 a favore della prima ed euro 5.000 a favore della seconda.

2. La sentenza veniva impugnata dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Ancona e dagli imputati e la Corte d'Appello di Ancona, in parziale riforma della decisione impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Franco CAMPANELLI, Lino TABONI, Idillio TASINI, Luigi ROSSI, Urbano ROMBALDONI, Francesco ROMBALDONI ed Antonio ALESSANDRONI, in ordine ai reati loro ascritti ai capi b) e c), perché estinti per prescrizione, concedendo a Giulio CARLONI e Matteo VANNUCCI il beneficio della sospensione condizionale della pena. Ha confermato nel resto la sentenza impugnata e le statuizioni civili.

3. I fatti per cui si è proceduto hanno tratto origine, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata, dall’esecuzione di interventi edilizi, regolarmente assentiti, finalizzati alla realizzazione di più corpi di fabbrica e comportanti il previo sbancamento del terreno per una profondità di m. 3,5.
L’area, già di proprietà comunale ed interessata da precedenti attività, era caratterizzata dalla presenza di inquinamento “storico” e dalla presenza di alcune vasche interrate contenenti rifiuti pericolosi, dalle quali erano fuoriusciti per effetto di fenomeni stratificati nel tempo, secondo quanto accertato nel giudizio di merito.
L’intervento demolitorio per le opere di sbancamento aveva, da ultimo, intaccato la soletta di copertura della parete delle vasche, determinando la fuoriuscita delle sostanze rimaste all’interno, le quali, depositandosi sul suolo, causavano emissioni ritenute nocive.
I rifiuti provenienti dall’area e dall’attività di escavazione venivano trasportati altrove, secondo l’ipotesi accusatoria al fine di evitare di sopportare oneri e costo di un lecito smaltimento e ricevuti, senza accertarne la natura, per essere utilizzati per la copertura di un lago artificiale e per colmare le aree coltivate di una cava.    
Ai soggetti coinvolti veniva conseguentemente imputato anche il delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152\06, poi ritenuto insussistente.  
La contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. è stata contestata ad Antonio ALESSANDRONI, quale consigliere della società Carloni & Alessandroni s.r.l.; Luigi ROSSI, quale presidente del consiglio di amministrazione della società Edilgruppo s.r.l.; Franco CAMPANELLI, quale legale rappresentante della società Adriatica Costruzioni s.r.l. e della società Immobiliare Ciemme s.n.c.; Urbano ROMBALDONI e Francesco ROMBALDONI, rispettivamente, quale presidente del consiglio di amministrazione e consigliere delegato della società Arcovallato s.r.l.; Lino TABONI, quale legale rappresentante della società Carnia s.r.l.; Idilio TASINI, quale legale rappresentante della società Arcovallato s.r.l.; Matteo VANNUCCI, quale presidente del consiglio di amministrazione della società Carloni & Alessandroni s.r.l. e Giulio CARLONI quale amministrazione delegato della medesima società.
Viene specificato, nel capo di imputazione, che gli stessi, nelle rispettive qualità appena indicate ed in concorso tra loro, effettuando o, comunque, facendo effettuare attività di sbancamento che determinavano la rottura di vasche interrate contenenti idrocarburi ed, in ogni caso, causando lo spargimento nel terreno circostante di sostanze volatili nocive che si disperdevano nell'ambiente, arrecavano molestia alle persone abitanti nelle zone limitrofe. In particolare, viene specificato che determinavano la diffusione di benzene, di clorurati ed idrocarburi che generava rischi “inaccettabili”, come ritenuto nel verbale di conferenza dei servizi del 24/2/2012.
A CARLONI, VANNUCCI ed ALESSANDRONI viene altresì contestato il reato di cui all'articolo 256, comma primo, lett. b), d.lgs. 152\06, assumendo che gli stessi, nelle rispettive qualifiche in precedenza descritte e quali soggetti dotati del potere di gestione della società Carloni & Alessandroni s.r.l., effettuavano o comunque facevano effettuare, con più condotte, il trasporto di rifiuti pericolosi senza essere in possesso del necessario titolo abilitativo.

4. Avverso tale pronuncia propongono ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, gli imputati di seguito indicati, deducendo i motivi appresso enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

5. Ricorso di Antonio ALESSANDRONI
Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che, con riferimento all’imputazione di cui all’art. 674 cod. pen., la Corte territoriale non avrebbe considerato che l'esecuzione delle opere che avrebbero determinato il fatto contestato sarebbero state eseguite non “in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso”, bensì in un cantiere privato e che il riferimento alla percezione, a livello olfattivo, delle sostanze inquinanti collocherebbe la vicenda oggetto di contestazione nel secondo comma dell'art. 674 cod. pen., rispetto al quale la Corte territoriale avrebbe omesso qualsivoglia riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo, che avrebbe dovuto concretarsi, quantomeno, in un comportamento negligente o imprudente, rispetto all’individuazione del quale la motivazione della sentenza impugnata risulta del tutto carente.

5.1. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla violazione dell’art. 256, comma 1, lett. b), d.lgs. 152/2006 contestata al capo c) della rubrica, osservando che la Corte di appello avrebbe omesso qualsiasi riferimento ad attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti da parte dell'imputato, che costituisce elemento essenziale per la sussistenza della responsabilità ed avrebbe, inoltre, omesso qualsiasi motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo anche per questo reato.

5.2. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione all'articolo 185 cod. pen.  ed il vizio di motivazione riguardo alle statuizioni civili, osservando che non sarebbero stati gli imputati a produrre le sostanze inquinanti, trattandosi di residui presenti sul posto da decenni e che i giudici del merito avrebbero riconosciuto, quale causa dell’inquinamento dell'area, l'attività ivi svolta da un'azienda municipalizzata, mentre la presenza dell'inquinamento sarebbe stata celata dal Comune di Pesaro, con la conseguenza che sarebbe illogico il riferimento al danno di immagine subito dalle parti civili, danno che, comunque, risulterebbe non dimostrato.

5.3. Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione sempre con riferimento alle statuizioni civili, osservando che mancherebbe un nesso di causalità fra l'evento verificatosi ed il danno, il quale dovrebbe comunque essere ingiusto ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. e che la bonifica dell'area si era resa necessaria per eliminare l'inquinamento pregresso e non anche perché gli imputati avevano causato lo sprigionamento di gas nocivi o portato via alcuni camion di materiale inquinato.
Aggiunge che sarebbe stato il Comune di Pesaro a rendersi inadempiente nei confronti delle società acquirenti dell'area in cui sono state scoperte le sostanze inquinanti, non avendo fornito informazioni sulla presenza nel suolo di tali sostanze, con conseguente, palese inadempimento contrattuale.
Richiama, infine, il contenuto dell'art. 1227 cod. civ., osservando che il risarcimento non sarebbe dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, dal momento che il Comune di Pesaro avrebbe taciuto la presenza delle sostanze nocive nell'area e rilasciato comunque un permesso di costruire per le opere da realizzare.

6. Ricorso di Luigi ROSSI, Franco CAMPANELLI, Urbano ROMBALDONI e Francesco ROMBALDONI a firma avvocato Roberto BRUNELLI
Con un unico motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando, con riferimento all'art. 674 cod. pen., una divergenza tra i contenuti della pronuncia di primo grado e quella della Corte d'Appello, osservando che, per quanto emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, nessuno degli imputati avrebbe causato la rottura delle vasche interrate contenenti idrocarburi, in quanto il manufatto rotto consisteva in una soletta di cemento che fungeva da copertura del suolo inquinato, evitandone l’affioramento in superficie, mentre la contaminazione del terreno era avvenuta in tempi remoti.
Rilevano che la sentenza di secondo grado avrebbe evidenziato che la condotta posta in essere dagli imputati avrebbe determinato l’emissione nell'aria (e, dunque, non nel terreno) di sostanze volatili nocive, le quali avrebbero cagionato offesa e molestia alle persone per almeno sette giorni consecutivi, con la conseguenza che, semmai, la legittimazione alla richiesta risarcitoria sarebbe spettata ai privati cittadini attinti dall'emissione e non anche all'ente pubblico e che la condanna ad una provvisionale parametrata sui costi della bonifica sarebbe fondata su un salto logico e giuridico, riguardando la bonifica una contaminazione storica e non la repentina emissione di sostanze volatili nocive, così come sarebbe incomprensibile la condanna per danni all'immagine di Comune e Provincia dovuto non già alle esalazioni, bensì all'inquinamento del sottosuolo dell'area interessata dall’intervento.

7. Ricorso di Urbano ROMBALDONI, Luigi ROSSI e Franco CAMPANELLI a firma avvocato Alessandro MANTERO e separato ricorso, di identico contenuto, sempre a firma dell’Avv. Alessandro MANTERO nell’interesse di Francesco ROMBALDONI
Con il primo motivo di ricorso si deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di sussistenza del danno all'immagine, osservando che la risonanza mediatica che lo avrebbe determinato non sarebbe stata causata dalla occasionale momentanea emissione odorigena contestata ai sensi dell'art. 674 cod. pen., ma, come riconosciuto dagli stessi giudici del gravame, dalla ben più grave contaminazione storica del terreno, dovuta, peraltro, all'attività dell'amministrazione comunale e delle sue municipalizzate, con la conseguenza che il clamor fori non sarebbe riconducibile agli imputati, bensì alla stessa attività commissiva ed omissiva di Comune e Provincia che chiedono di essere risarciti.
Viene quindi riprodotto testualmente il contenuto di una memoria, datata 29 novembre 2016, presentata a chiarimento dei motivi d'appello, osservando che la stessa non sarebbe stata presa in alcuna  considerazione dalla Corte territoriale, con evidente violazione dell'obbligo di motivazione.

7.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando, ancora una volta, che i giudici del merito non avrebbero considerato il fatto che la situazione che aveva reso necessaria la bonifica non sarebbe dipesa dall’attività degli imputati, bensì dall'inquinamento storico preesistente e che, pertanto, vi sarebbe stato un difetto di causalità tra l'azione degli imputati è l'evento dannoso per cui la parte civile chiede di essere risarcita, evento che non va ascritto agli imputati ma al comune ed alle sue municipalizzate.
Si assume, inoltre, che la Corte del merito, nel richiamare le pronunce del giudice amministrativo sulla vicenda in esame, ne avrebbe travisato il contenuto, in quanto avrebbe utilizzato tali decisioni, prodotte dalle parti, come elemento di conferma della responsabilità degli imputati sul piano civile per le strette conseguenze della loro condotta considerata alla luce del reato di cui all'art. 674 cod. pen., reato però estraneo all'accertamento della responsabilità amministrativa per l'inquinamento preesistente del sito cui si riferiscono dette sentenze.

7.2. Con un terzo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di quantificazione della provvisionale, che sarebbe stata calcolata genericamente ricollegandola alla pregressa situazione di inquinamento del terreno, rispetto alla quale i ricorrenti sarebbero estranei.

8. Ricorso di Lino TABONI ed Idilio TASINI
Con il primo motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione, osservando che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che l'Amministrazione comunale di Pesaro avrebbe violato l'art. 1337 cod. civ., omettendo di informare i proprietari acquirenti dell'area dello stato di inquinamento in cui la stessa versava ed, inoltre, non avrebbe considerato il contenuto delle due decisioni del giudice amministrativo acquisite agli atti, dalle quali emergerebbe una evidente corresponsabilità dell'amministrazione comunale nella causazione del danno per il quale l'amministrazione si è costituita parte civile.

8.1. Con il secondo motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione, osservando che la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente confutato i motivi di appello in punto di carenza di legittimazione in capo alle parti civili costituite e di concorrente responsabilità dell'ente comunale e che, inoltre, avrebbe travisato il contenuto della relazione tecnica elaborata dal consulente tecnico BERETTA, la quale dava conto della presenza di inquinamento storico già diffuso nel sottosuolo, dapprima riportandosi alle considerazioni svolte dal Tribunale, il quale, a sua volta, aveva recepito integralmente la consulenza tecnica, disattendendola poi in sede di valutazione del danno patrimoniale ritenendo erroneamente che le attività di escavazione avessero contribuito alla fuoriuscita delle sostanze inquinanti.

8.2. Con il terzo motivo di ricorso lamentano il vizio di motivazione in ordine alla conferma della sussistenza di un danno patrimoniale, avendo la Corte del merito fatto riferimento al risarcimento del danno all'immagine degli enti territoriali per giustificare la legittimità delle statuizioni civili in generale, con la conseguenza che non sarebbe dato comprendere sulla base di quale titolo i giudici del gravame abbiano dichiarato e fondato la legittimità della costituzione di parte civile del Comune di Pesaro in merito alle richieste di risarcimento del danno patrimoniale, riferendosi al diverso danno di immagine.

8.3. Con il quarto motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione richiamando, ancora una volta, la relazione tecnica e le decisioni del giudice amministrativo e rilevando la carenza di legittimazione in capo agli enti locali ed, in particolare, del Comune di Pesaro, stante l’incompatibilità della contestuale sussistenza, in capo a tale ente, della responsabilità per l'inquinamento del sito e la posizione di parte civile nel procedimento penale.

8.4. Con il quinto motivo di ricorso deducono la violazione dell'art. 311, comma 1, d.lgs. 152/2006, osservando come soltanto il Ministero dell'Ambiente della Tutela del territorio e del Mare possa azionare in sede penale il diritto al risarcimento del danno ambientale.

9. Ricorso di Matteo VANNUCCI e Giulio CARLONI
Con il primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per le contravvenzioni contestate, rispetto alle quali hanno rinunciato alla prescrizione.
Osservano, a tale proposito, che la Corte territoriale non avrebbe dato conto delle singole condotte degli imputati in concorso, né delle specifiche ragioni per le quali le condotte contestate ai capi b) e c) della rubrica sono state loro ascritte, omettendo di considerare anche le argomentazioni formulate dai difensori riguardo alla loro estraneità ai fatti.
Con riferimento alla specifica posizione del VANNUCCI, viene fatto osservare che lo stesso non era amministratore delegato della società, ma esclusivamente presidente del consiglio di amministrazione, nominato in forza della propria rappresentanza del socio di maggioranza, sicché non sussisterebbero elementi di riscontro riguardo la consapevolezza, da parte del consiglio di amministrazione stesso, della possibile commissione di reati ambientali nel cantiere aperto né, tanto meno, della esistenza di chiari e specifici segnali di allarme e della loro percezione da parte del  medesimo organo.

9.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione, osservando che i giudici dell'appello avrebbero omesso di verificare se il comportamento doveroso non posto in essere dagli imputati sarebbe stato in grado, qualora eseguito, di evitare concretamente l'evento e, in particolare, quali condotte avrebbero consentito all’ALESSANDRONI, pacificamente ritenuto autore materiale dei fatti, di consumare gli illeciti.
Si aggiunge che, a fronte del rinvenimento, nel sottosuolo, del manufatto contenente residui inquinanti, evento imprevisto ed imprevedibile e di un intervento eseguito sul sito contaminato conseguenza di una estemporanea decisione unilaterale dell’ALESSANDRONI, non sarebbe dato comprendere quale avrebbe dovuto essere la condotta doverosa da esigersi da ciascuno degli amministratori della società.

9.2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, osservando che una vicenda sviluppatasi nell'arco di pochissimi giorni e repentinamente, senza che fosse possibile neppure ipotizzare che i ricorrenti fossero a conoscenza di quanto stava avvenendo nel cantiere, sarebbe indicativa della insussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Si aggiungere che sarebbe spettato all'accusa dimostrare che vi fossero segnali di allarme chiari e specifici e che i prevenuti li avessero effettivamente percepiti.

9.3. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.

9.4. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione di legge in ordine alla ritenuta risarcibilità del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore degli enti territoriali costituiti parte civile con riferimento ai reati accertati.
Anche in questo caso vengono poste in evidenza, quali circostanze rilevanti, il limitato riferimento al danno patrimoniale causato dalle immissioni nocive nell'aria in violazione dell'art. 674 cod. pen.  e non anche alla contaminazione del terreno, nonché alla rilevata corresponsabilità dell'amministrazione comunale nella produzione del danno ambientale da parte del giudice amministrativo.
Viene posta in discussione anche la quantificazione della provvisionale, perché effettuata sulla semplice dichiarazione del costo totale per la bonifica, senza che fosse dimostrato l'obbligo degli imputati di sostenere i costi.
Viene censurata anche la ritenuta sussistenza del danno all'immagine, considerando che il Comune di Pesaro risulterebbe aver concorso alla determinazione dell'evento, sia omettendo di segnalare a tempo debito alla Regione il sito come potenzialmente inquinato e di adottare le opportune misure previste per scongiurare il rischio di contaminazione, sia non informando preventivamente le controparti contrattuali dell'esistenza dei rifiuti pericolosi nel sottosuolo all'atto della cessione del terreno.
Quanto alla Provincia di Pesaro-Urbino, si osserva che la stessa aveva istituzionalmente specifiche competenze in materia di tutela ambientale, spettandole la vigilanza sui siti potenzialmente inquinati, sicché non potrebbe dolersi della lesione alla propria immagine per un evento dannoso che aveva l'obbligo, seppure in ambito amministrativo, di prevenire.
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

10. La difesa dell’amministrazione comunale di Pesaro, con memoria in data 18/3/2019, ha richiesto il rigetto del ricorso.
Con nota datata 15 maggio 2019 veniva prodotta documentazione contenente, tra l’altro,certificato di morte di Franco CAMPANELLI ed estratto per riassunto del registro degli atti di morte del medesimo, deceduto il 4 maggio 2017.





CONSIDERATO IN DIRITTO


1. I ricorsi sono in parte fondati, nei termini di seguito specificati

La disamina delle singole censure, ancorché afferenti medesime questioni, verrà effettuata, ai fini di una più lineare esposizione, seguendo l’ordine dei motivi di ciascun ricorso, eventualmente rinviando a quanto già in precedenza osservato.

2. Ricorso di Antonio ALESSANDRONI
Il primo motivo di ricorso attiene alla sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen.
La Corte di appello ha dato conto del fatto che, secondo quanto emerso dalla consulenza tecnica espletata nel corso delle indagini, la fuoriuscita delle sostanze inquinanti era stata determinata dalla rottura della soletta di copertura delle vasche interrate, cui si fa riferimento nell’imputazione, nel corso dell’attività di sbancamento del terreno propedeutica alla realizzazione degli interventi edilizi autorizzati.
Viene altresì evidenziato che la situazione dell’area era nota ai proprietari, come dimostrato dal sequestro di una scrittura privata, datata 3 giugno 2008, con la quale veniva concordata la ripartizione dei costi di smaltimento e bonifica in caso di rinvenimento di rifiuti pericolosi durante l’esecuzione dei lavori, ma che, nonostante ciò, erano state attuate modalità operative del tutto inadeguate, affidando le operazioni di scavo ad una impresa autorizzata esclusivamente alla gestione di rifiuti non pericolosi, omettendo peraltro ogni attività di vigilanza e controllo.
Rileva inoltre la Corte territoriale che la presenza sul luogo di un tecnico incaricato della società Arcovallato s.r.l. durante le operazioni di scavo rendeva plausibile la conoscenza, in capo alla società medesima, dell’avvenuta fuoriuscita delle sostanze inquinanti, la cui nocività era stata accertata sulla base delle certificazioni mediche rilasciate dal locale Pronto Soccorso ad almeno tre persone, che vi si erano recate lamentando bruciori alle vie respiratorie.

2.1. Ciò posto, deve rilevarsi che l’ipotesi contravvenzionale considerata dall’art. 674 cod. pen. configura, come è noto, un reato di pericolo finalizzato a prevenire esiti dannosi o pericolosi per le persone conseguenti al getto o versamento di cose atte ad offendere, imbrattare o comunque molestare, ovvero all’emissione di gas, vapori o fumi idonei a cagionare i medesimi effetti.
Con specifico riferimento alle emissioni in atmosfera è tale ultima ipotesi che viene principalmente presa in considerazione (anche se non può escludersi, quale conseguenza di tali attività, la emissione di polveri che, data la loro diversa consistenza, rientrano nel concetto di “cose” contemplato nella prima parte dell’articolo).
La seconda parte dell’art. 674 cod. pen. prevede la rilevanza penale delle emissioni di gas vapori o fumi “nei casi non consentiti dalla legge”. Tale precisazione è stata considerata come il proposito del legislatore di operare un bilanciamento di opposti interessi, consentendo, così, l’esercizio di attività socialmente utili nel rispetto dei limiti di legge, al superamento dei quali riacquista prevalenza l’esigenza di tutela dell’incolumità pubblica.
Nel caso di specie, per quanto è dato rilevare dalla descrizione dei fatti contenuta in sentenza, la rottura della soletta di copertura delle vasche avrebbe determinato la fuoriuscita di sostanze inquinanti che, sparse sul terreno, avrebbero provocato esalazioni  nocive con documentate conseguenze sulle persone.
Si è dunque verificata una sequenza di eventi che ha dapprima causato un “getto o versamento” dei rifiuti e, successivamente, l’emissione dei miasmi, certamente non consentita nel caso specifico, così configurandosi una condotta pacificamente collocabile nella fattispecie delineata dalla disposizione in esame.

2.2. Va a questo punto ricordato come il reato de quo sia configurabile sia in forma omissiva che in forma commissiva mediante omissione (cosiddetto reato omissivo improprio) ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l'obbligo giuridico di evitarlo (Sez. 3, n. 16286 del 18/12/2008 (dep. 2009), Del Balzo, Rv. 243455, con richiami anche ai precedenti, relativa a fattispecie concernente la diffusione nell'atmosfera di polveri di "clinker", sostanza sabbiosa utilizzata per la produzione del cemento, prodotta durante le operazioni di scarico dalle navi in appositi silos e di successivo carico sugli automezzi impiegati per il trasporto, provocante fastidi fisici agli occupanti delle abitazioni limitrofe).
Quanto all’elemento soggettivo, non hanno rilevanza alcuna i motivi ed il fine perseguiti dall’autore del reato, essendo solo necessario che la condotta sia attribuibile all'agente quanto meno sotto il profilo del comportamento colposo (cfr., in tema, le risalenti Sez. 1, n. 8148 del 4/6/1996, Fragni ed altri, Rv. 206966. V. anche Sez. 1, n. 4880 del 19/3/1996, P.G. in proc. Capari ed altri, Rv. 204635; Sez. 3, n. 10021 del 19/04/1995, Catarci, Rv. 203481).

2.3. Anche sotto tale ultimo profilo, la condotta presa in esame nel presente procedimento dai giudici del merito consente di ritenere configurabile la contravvenzione contestata, posto che la presenza di rifiuti pericolosi nel terreno da sbancare - nota ai soggetti coinvolti i quali, come rilevato dai giudici dell’appello, avevano addirittura stipulato un accordo per ripartire i costi di bonifica e smaltimento - imponeva specifiche cautele nello svolgimento delle attività di scavo, cautele che i giudici del merito hanno coerentemente ritenuto non adottate, evidenziando il fatto dell’affidamento dell’attività di scavo ad impresa autorizzata alla sola gestione di rifiuti non pericolosi e della mancata adozione di opportuni accorgimenti conseguenti alla fuoriuscita dei liquami, ponendo in evidenza che la movimentazione di terre impregnate da pregresse perdite di liquami dalle vasche aveva ulteriormente inciso sul fenomeno inquinante, la cui durata viene indicata in circa sette giorni.
Può dunque rilevarsi come la sentenza impugnata abbia adeguatamente motivato, con argomentazioni giuridicamente corrette, in ordine alla sussistenza della contravvenzione contestata con riferimento tanto al profilo oggettivo, quanto all’elemento soggettivo.
Conseguentemente, il primo motivo di ricorso di Antonio ALESSANDRONI, il quale, peraltro, non contesta l’attribuzione della condotta incriminata alla sua persona come valutata nel giudizio di appello, deve ritenersi infondato.

2.4. A diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso, attinente alla contestazione dell’illecito trasporto di rifiuti pericolosi di cui al capo c) della rubrica.
La sentenza impugnata, sul punto, dice ben poco.
Invero, si evidenzia, in premessa, l’intervenuta prescrizione di tale reato, unitamente a quello di getto pericoloso di cose contestato al capo b), aggiungendo che “è dovuto il vaglio di fondatezza del giudizio di responsabilità penale ex art. 578 cod. proc. pen. in presenza di statuizioni civili” per alcuni imputati, tra i quali figura l’ALESSANDRONI e viene successivamente evidenziato, in maniera del tutto incidentale, che la Carloni & Alessandroni s.r.l., cui erano stati affidati i lavori di scavo, era titolare di “autorizzazione al recupero di rifiuti non pericolosi”.
Si aggiunge poi, in altra parte della sentenza, per giustificare la congruità della pena inflitta agli imputati che avevano rinunciato alla prescrizione, che la condotta contestata al capo c) aveva determinato una significativa estensione del fenomeno inquinante ad altri siti.

2.5. Ciò premesso, va preliminarmente ricordato che, riguardo al reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152\06, si è chiarito che la condotta in esso sanzionata è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (Sez. 3, n. 29992 del 24/6/2014, P.M. in proc. Lazzaro, Rv. 260266).
Tra le attività di gestione dei rifiuti, come è noto, rientra anche il trasporto che è, pertanto, soggetto a specifico titolo abilitativo, tanto è vero che il reato si configura anche quando lo stesso riguarda rifiuti diversi da quelli autorizzati, dal momento che detto titolo è valevole solo per la particolare tipologia di rifiuti in esso indicata (Sez. 3, n. 43849 del 6/11/2007, De Pascalis, Rv. 238074. V. anche Sez. 3, n. 12349 del 9/2/2005, Renna, Rv. 231068; Sez. 3, n. 18038 del 27/3/2007, Angelillo, Rv. 236499).
Inoltre, trattandosi di contravvenzione, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo rileva anche la mera colpa.
Si tratta, conseguentemente, di una violazione che può essere accertata anche attraverso la sola verifica della esistenza del titolo abilitativo e della corrispondenza tra quanto autorizzato e l’attività effettivamente posta in essere.

2.6. Nella sentenza impugnata, tuttavia, nessuna considerazione in tal senso viene svolta dalla Corte territoriale, pur dandosi atto della specifica censura mossa con l’atto di appello e nonostante la puntuale contestazione, contenente riferimenti anche al mezzo utilizzato. Non viene neppure indicato quale fosse esattamente il titolo abilitativo di cui disponeva l’impresa e quale tipologia di rifiuti riguardasse.
Occorre peraltro osservare che il riferimento effettuato dai giudici del gravame della estensione del fenomeno inquinante ad altri siti, se considerato dalla Corte territoriale anche ai fini della decisione sulle statuizioni civili, avrebbe imposto una più puntuale e pregnante motivazione e che, in ogni caso, anche se ciò non fosse avvenuto, mancherebbe pure la mera constatazione della insussistenza dei presupposti per una pronuncia assolutoria a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

2.7. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso riguardano le statuizioni civili e sono in parte fondati.
Va a tale proposito premesso che la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento per reati ambientali al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, spetta soltanto allo Stato e per esso al Ministro dell'Ambiente, mentre tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli Enti pubblici territoriali, possono agire ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, da essi subito, diverso da quello ambientale (Sez. 3, n. 41015 del 21/10/2010, Gravina, Rv. 248707)
Tale principio è stato più recentemente ribadito, affermando che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi  per reati ambientali aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006 a seguito della abrogazione dell'art. 18, comma terzo, della legge n. 349 del 1986, derivante dall'entrata in vigore dell'art. 318, comma secondo, lett. a), del  d.lgs. n. 152 del 2006, spetta, in via esclusiva, allo Stato per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, inteso come lesione dell'interesse pubblico alla integrità e salubrità dell'ambiente, mentre tutti gli altri soggetti, singoli o associati, comprese le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, possono esercitare l'azione civile in sede penale ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. solo per ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale e non patrimoniale, ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari diversi dall'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva; per i fatti, verificatisi anteriormente alla entrata in vigore della predetta normativa e pertanto nella conseguente vigenza di quella preesistente, deve continuare ad applicarsi l'art. 18, comma 3, della legge n. 349 del 1986 (Sez. 3, n. 911 del 10/10/2017 (dep. 2018), Oliva e altro, Rv. 272499, non massimata sul punto, con richiami ai precedenti. V. anche  Sez. 3, n. 6727 del 22/11/2017 (dep. 2018), Serra, non massimata).
In particolare, è stato riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno all’immagine “rappresentato dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca” (così, Sez. 4, n. 24619 del 27/5/2014, Salute, Rv. 259153, citata anche nella sentenza impugnata).

2.8. Sulla base di tali condivisibili principi, che vanno qui ribaditi, può dunque rilevarsi come le premesse su cui si fonda la decisione della Corte del merito siano corrette, dovendosi ritenere pacificamente riconoscibile agli enti territoriali, nei termini dianzi specificati, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente a reati incidenti sull’integrità dell’ambiente.

2.9. Al corretto richiamo della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, la sentenza impugnata fa però seguire argomentazioni che il Collegio ritiene meritevoli di censura.
I motivi di ricorso in esame contengono, indubbiamente, affermazioni inesatte, poiché la Corte territoriale ha chiaramente posto in evidenza, come si è già detto, che le condizioni in cui si trovava l’area interessata dai lavori era ben nota agli imputati, come dimostrato dalla scrittura privata sequestrata ove venivano ripartite le eventuali spese di bonifica e smaltimento dei rifiuti, sicché non può ragionevolmente affermarsi, come fa il ricorrente, che l’amministrazione comunale avrebbe taciuto la presenza di sostanze nocive nell'area e rilasciato comunque un permesso di costruire per le opere da realizzare.
Ciò nonostante, il ricorso coglie nel segno laddove pone in dubbio la correlazione tra le condotte contestate agli imputati ed il danno riconosciuto.
Invero, se si tiene conto del contenuto delle imputazioni, le condotte poste in essere dagli imputati avrebbero determinato, come si è detto, la rottura della soletta di copertura delle vasche determinando la fuoriuscita delle sostanze che erano rimaste all’interno con conseguente spandimento sul terreno, peraltro già impregnato in conseguenza di pregresse perdite determinate da eventi di diverso tipo che si indicano come stratificati nel tempo, causando le esalazioni moleste.
Viene pure considerata, sebbene nei termini dianzi specificati, la condotta di trasporto illecito dei rifiuti in altri luoghi.
A fronte di tali contestazioni, la sentenza impugnata, pur evidenziando la circostanza che gli esiti della istruzione dibattimentale avevano dato conto della origine “storica” del fenomeno inquinante, precisa come fosse stato anche accertato “che la situazione riscontrata il 7 aprile discende anche dalle condotte commissive ed omissive degli imputati, come più sopra analizzate, che l’attività di escavazione e movimentazione terra hanno contribuito alla fuoriuscita ed alle emissioni, all’impregnamento maleodorante dei terreni per deposito al suolo delle sostanze volatili ed alla contaminazione dell’area nei termini e modi che hanno richiesto l’intervento di ripristino”.
La Corte territoriale rinviene anche conferma di quanto affermato nelle decisioni del giudice amministrativo, cui la vicenda dell’area contaminata è stata pure sottoposta.
Nella valutazione della provvisionale, inoltre, viene fatto riferimento ai costi di bonifica e di messa in sicurezza del sito sostenuti dall’amministrazione comunale.
La descrizione delle condotte non sembra logicamente correlarsi alle conseguenze ritenute produttive del danno per il quale è stato riconosciuto il risarcimento.
Invero, viene attribuita agli imputati la mera rottura, per imprudente effettuazione delle operazioni di scavo, di una soletta di copertura di vasche dalle quali, in precedenza, parte delle sostanze era già fuoriuscita per altre cause, il conseguente spandimento sul suolo di sostanze, definite peraltro “volatili”, che avevano determinato esalazioni moleste che avevano causato disturbi fisici ad alcuni abitanti del luogo. Sembra anche, ma la sentenza, lo si è detto, non lo specifica chiaramente, che anche al trasporto del terreno scavato in altro luogo siano attribuite conseguenze inquinanti.
Così delineata la condotta, in termini che appaiono a prima vista alquanto riduttivi, viene poi offerta una descrizione delle conseguenze che appare sproporzionata rispetto ad una attività che si sarebbe svolta, peraltro, entro un periodo di tempo limitato, pari a circa sette giorni, facendosi riferimento alla necessità di interventi di bonifica e messa in sicurezza.
Sebbene vada detto chiaramente che accadimenti quali quelli accertati nel caso in esame dai giudici del merito possono senz’altro determinare conseguenze anche gravi per l’ambiente e la salute delle persone, deve tuttavia rilevarsi come dette conseguenze debbano essere esattamente individuate ed illustrate chiarendone la relazione con i reati oggetto di imputazione.
Nel caso di specie ciò non è avvenuto, poiché la Corte d’appello sembra valutare contestualmente e senza alcuna distinzione le conseguenze dell’inquinamento storico, rispetto al quale la stessa sentenza esclude ogni coinvolgimento degli imputati e le condotte a questi ultimi attribuite.
Se invece, come pare affermare la Corte territoriale quando richiama le decisioni dei giudici amministrativi, la responsabilità delle ditte proprietarie e quella della ditta appaltatrice nella causazione del danno ambientale fosse prevalente rispetto a quella dell’amministrazione comunale, anche tale aspetto avrebbe dovuto essere approfondito.
Resta peraltro da rilevare e la considerazione vale per tutti i ricorrenti, che le singole posizioni, con riferimento ai reati contestati, non vengono in alcun modo distinte.

3. Ricorso di Luigi ROSSI, Franco CAMPANELLI, Urbano ROMBALDONI e Francesco ROMBALDONI a firma avvocato Roberto BRUNELLI
Occorre preliminarmente dare conto dell’avvenuto decesso di Franco CAMPANELLI avvenuto il 4 maggio 2017 e reso noto a questa Corte con la documentazione depositata con nota del 15 maggio 2019 (doc. 1 e 2 allegati alla stessa). Rispetto a tale evenienza vanno adottate le conseguenziali statuizioni indicate in dispositivo.

3.1. Nell’unico motivo di ricorso vengono svolte analoghe considerazioni in relazione alla sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. ed alla conseguente richiesta risarcitoria.
Anche in questo caso le considerazioni sulla effettiva correlazione tra la condotta contestata e l’inquinamento dell’area pongono in luce il salto logico presente nella motivazione della sentenza impugnata, sebbene gli argomenti spesi a sostegno di tale censura non tengano conto del fatto che, contrariamente a quanto affermato, alle condotte oggetto di contestazione siano chiaramente attribuite, quali conseguenze, non soltanto l’emissione di esalazioni nocive, ma anche lo spargimento sul terreno delle sostanze dalle quali si erano spigionate.

4. Ricorso di Urbano ROMBALDONI, Luigi ROSSI e Franco CAMPANELLI a firma avvocato Alessandro MANTERO e separato ricorso, di identico contenuto, sempre a firma dell’Avv. Alessandro MANTERO nell’interesse di Francesco ROMBALDONI
Va rilevato che i primi due motivi attengono alla valutazione delle condotte oggetto di imputazione ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, dovendosi pertanto richiamare quanto in precedenza evidenziato.
Resta assorbito il terzo motivo, afferente la quantificazione della provvisionale, statuizione peraltro non impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/1/2015, D. G., Rv. 263486).

5. Ricorso di Lino TABONI ed Idilio TASINI
Va rilevato, quanto al primo motivo di ricorso, che lo stesso è infondato, poiché deduce la omessa  informazione ai proprietari acquirenti dell'area, da parte dell’amministrazione comunale, dello stato di inquinamento in cui la stessa versava, affermazione che, come si è già detto, i giudici del merito hanno ritenuto documentalmente smentita dalla scrittura privata sequestrata più volte menzionata in precedenza.
Quanto agli ulteriori motivi, deve osservarsi che la legittimazione degli enti territoriali al risarcimento del danno derivante da reati comportanti conseguenze per l’ambiente è riconosciuta dalla già richiamata giurisprudenza, nei termini in precedenza specificati, mentre per ciò che concerne la sussistenza del danno e la riconducibilità dello stesso ai reati contestati valgono le considerazioni in precedenza espresse.

6. Ricorso di Matteo VANNUCCI e Giulio CARLONI
Il ricorso prende in esame, oltre alle questioni concernenti le statuizioni civili, delle quali si è già detto, anche la affermazione della responsabilità penale degli imputati, i quali, come si è in precedenza ricordato, hanno entrambi rinunciato alla prescrizione.
Sono fondate le censure concernenti la persona di Matteo VANNUCCI, poiché la Corte territoriale, nel confermare l’affermazione di responsabilità penale, si limita a specificare che egli era divenuto presidente del consiglio di amministrazione della società Alessandroni & Carloni, il 45% della quale era stato acquisito dalla società Pascucci e Vannucci, rispetto alla quale i giudici del gravame danno conto del fatto che si trattava di una società avente dimensioni ridotte ed i cui affari erano curati da un numero ridotto di persone.
Non risultano, dunque, affatto chiare le ragioni per le quali il ricorrente è stato ritenuto corresponsabile dei fatti addebitatigli.  

6.1. Per ciò che concerne il CARLONI, la sentenza impugnata indica, invece, dati fattuali specifici, ritenuti indicativi di un suo diretto coinvolgimento nella vicenda, dando conto del fatto che egli si interessava direttamente del cantiere, come dimostrato dal contenuto di corrispondenza e conversazioni intercettate.
Manca tuttavia una adeguata illustrazione del comportamento effettivamente tenuto che avrebbe concorso alla causazione dei fatti addebitati, che andava effettuato tenendo conto delle doglianze esposte con l’atto di appello che la Corte territoriale ha pure sintetizzato in sentenza, nonché l’indicazione di elementi indicativi della effettiva cognizione della situazione verificatasi nell’area interessata dai lavori.
Anche in questo caso, inoltre, viene omesso ogni riferimento al reato contestato al capo c).
Resta assorbita la censura concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche.

7. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di Franco CAMPANELLI per essere il reato estinto per morte dell’imputato, poiché la declaratoria di estinzione del reato per morte dell'imputato prevale su quella di prescrizione, pur maturata anteriormente, avendo quest'ultima carattere di accertamento costitutivo, precluso nei confronti di persona non più in vita e in relazione a un rapporto processuale oramai estinto. (Sez. U, n. 49783 del 24/9/2009, Martinenghi e altri, Rv. 245162), mentre, in ragione delle lacune motivazionali dianzi evidenziate, la sentenza deve essere annullata con riferimento a tutti gli altri ricorrenti con rinvio alla Corte di appello di Perugia, territorialmente competente, per nuovo giudizio.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata in relazione all’imputato CAMPANELLI perché estinto il reato per morte dell’imputato.
Annulla la sentenza impugnata agli effetti penali e civili in relazione agli imputati CARLONI e VANNUCCI, nonché limitatamente agli effetti civili in relazione agli imputati ALESSANDRONI, TABONI, ROMBALDONI Urbano, ROMBALDONI Francesco, ROSSI e TASSINI, rigettando per questi ultimi i ricorsi agli effetti penali, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di PERUGIA, cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in data 28/5/2019