dai CEAG

Cass. Sez. III sent. 473 del 23 settembre 2005 (c.c. l2 aprile 2005)
Pres. Grassi Est. Fiale Ric. Nardilli
Aree protette – Coltivazione di cava

L’attività estrattiva ha un impatto rovinoso con il territorio ed in corso di sfruttamento non può parlarsi di compromissione del territorio già compiutamente verificatasi. Ne consegue che la normativa regionale (nella specie, quella della Regione Puglia) non può consentire la continuazione dell’attività estrattiva nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico e nelle ZPS essendo comunque richiesta l’autorizzazione ambientale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. GRASSI Aldo - Presidente - del 12/04/2005
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 473
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - N. 37954/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NARDILLI Romeo, n. a Palo del Colle il 9.10.1933;
avverso l'ordinanza 19.7.2004 del Tribunale per il riesame di Bari;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. IZZO G. che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Bari, con ordinanza del 19.7,2004, rigettava l'istanza di riesame proposta da Nardilli Romeo avverso il decreto 16.6.2004 con il quale il G.I.P. del Tribunale di Trani aveva disposto il sequestro preventivo di un'area adibita a cava, sita nella località "Parco Bove" dell'agro di Ruvo di Puglia, gestita dal Nardilli, in relazione ai reati di cui agli artt. 6, 11 e 30 della legge n. 394/1991; 146 e 163 del D.Lgs. n. 490/1999; 635 e 734 cod. pen..
Rilevava il Tribunale che:
- l'area in oggetto era inserita in zona di protezione speciale ai sensi della normativa comunitaria, - l'attività cavatoria, nella specie, era stata autorizzata con decreto n. 83 del 1995, in assenza del prescritto nulla-osta paesaggistico, in mancanza della V.I.A. e in contrasto con le prescrizioni limitative del P.U.T.T., sicché - "tralasciando ogni altro profilo circa l'esistenza nel territorio di Ruvo di Puglia del vincolo da uso civico (che legittimerebbe la contestazione degli artt. 146 e 163 D.Lgs. n. 490/1999)" - riteneva configurabile fumus del reato di cui agli artt. 6, 11 e 30 della legge a 394/1991.
Avverso l'anzidetta ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, il quale ha prospettato:
- l'erronea applicazione all'area "Alta Murgia" del regime delle aree naturali protette, tenuto anche conto che la cava in oggetto è esterna alla perimetrazione del neoistituito Parco dell'Alta Murgia;
- la non necessità della procedura di V.I.A.;
- l'insussistenza del "periculum in mora".
Il difensore ha depositato poi diffusa memoria.
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. Per un corretto inquadramento della vicenda appare opportuno rilevare che;
- Nella vigenza del D.P.R. n. 128/1959, per potere esercitare l'attività estrattiva di cava, era sufficiente una denuncia, rivolta dall'esercente al Distretto minerario ed al Comune territorialmente competenti, almeno otto giorni prima dell'inizio dei lavori. - La Regione Puglia (al pari di altre Regioni) ha sostituito il regime della mera denuncia con un più pregnante regime autorizzazione) e, con legge 22.5.1985, n. 37, ha altresì introdotto una disciplina transitoria, prevedendo (art. 35) che, per le cave già "legalmente in attività", la prosecuzione dei lavori di coltivazione era subordinata alla richiesta di autorizzazione, da presentarsi entro sei mesi alla data di entrata in vigore della stessa legge, e l'autorizzazione poteva essere denegata quando l'attività estrattiva fosse risultata "in contrasto con i vincoli urbanistici, paesaggistici, archeologici o derivanti da altre leggi". L'attività estrattiva doveva "comunque cessare soltanto qualora" l'autorizzazione non fosse stata richiesta entro U termine anzidetto. - La legge 9.6.1987, n. 13 della Regione Puglia (art. 6) ha prorogato al 31.12.1987 il termine di sei mesi già fissato dall'art. 35 della legge n. 37/1985.
- L'area della "Alta Murgia" (in cui rientra il territorio comunale di Ruvo di Puglia ove si trova la cava in oggetto) era inserita nelle aree reperimento, in vista dell'istituzione del relativo parco (art. 34, comma 3, della legge-quadro sulle aree naturali protette 6.12.1991, n. 394); è stata successivamente individuata (dall'art. 2, comma 5, della legge 9.12.1998, n. 426) come territorio su cui istituire il parco, secondo la procedura ed i tempi previsti nella stessa legge; è stata inserita, infine, nelle zone di protezione speciale (ZPS) di cui alla Direttiva 79/409/CEE ed all'elenco approvato con il D.M. 3,4.2000 del Ministero dell'ambiente. Sempre la "Alta Murgia" è stata individuata, dall'ari, 5 della legge 24.7.1997, n. 19 della Regione Puglia, quale area avente preminente interesse naturalistico, nonché ambientale e paesaggistico, da istituire con le procedure di cui ai successivi art. 5 e 6 della stessa legge.
- La Regione Puglia, con delibera del 15.12.2000, ha approvato il P.U.T.T. ed in tale piano è stato previsto (art. 3.13.4) che, nelle aree protette, non sono autorizzabili progetti e interventi comportanti, tra l'altro, movimenti di terra che alterino in modo sostanziale e/o stabilmente la morfologia del sito (eccettuate opere strettamente connesse con la difesa idrogeologica) e la discarica di rifiuti; venendo altresì stabilito che, negli ambiti territoriali di valore distinguibile "C" le nuove localizzazioni di attività estrattive vanno limitate ai materiali di inderogabile necessità e di difficile reperibilità.
- il territorio del Comune di Ruvo di Puglia non è ricompreso nella perimetrazione del Parco Nazionale dell'Alta Morgia istituito con DPR 10.3.2004 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1.7.2004);
- La Regione Puglia - con la legge regionale 12,11.2004, n. 21 (Disposizioni in materia di attività estrattiva) - oltre a modificare il regime autorizzatorio dell'attività di coltivazione delle cave e torbiere di cui all'art. 8 della legge regionale n. 37/1985, ha previsto che "Nelle more dell'emanazione dei regolamenti regionali relativi alle misure di conservazione di cui all'art. 4 del D.P.R. 8.9.1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE) e successive modifiche e integrazioni, la proroga delle autorizzazioni ex art. 8 della legge regionale 22 maggio 1985, n. 37 (Norme per la disciplina dell'attività delle cave) e/o il completamento delle procedure autorizzative ex art. 35 della legge regionale 37/1985 a rilasciarsi dalla Regione Puglia per le cave in attività, ricadenti in aree naturali protette e in siti "natura 2000", proposti o designati ai sensi delle direttive "Habitat" 92/43/CEE in relazione ai "siti di importanza comunitaria" e "uccelli" 79/409/CEE in relazione alle "zone di protezione speciale", è condizionata alla presentazione di specifici piani di coltivazione, dismissione e recupero, garantiti da fideiussione, prestata da primario Istituto nazionale di valore corrispondente al costo del recupero, redatti con riferimento alle peculiari caratteristiche naturali dell'area ove l'attività di cava insiste e contenenti le indicazioni relative al dimensionamento residuo del giacimento interessato, definito sulla base di specifiche indagini". 2. Tanto premesso, deve evidenziarsi che l'attività estrattiva ha un impatto rovinoso sul territorio, per le conseguenze devastanti sul paesaggio e sull'ambiente, tenuto anche conto della progressiva estensione dell'area interessata allo scavo, fino all'esaurimento del giacimento.
In corso di sfruttamento, dunque, non può parlarsi di una compromissione del territorio già compiutamente verificatasi, perché non vi è dubbio che l'ampliamento del fronte di cava e l'approfondimento dello scavo comportano un danno ulteriore e sempre maggiore per il paesaggio.
Ciò esclude ogni pregio alle argomentazioni riferite, nel ricorso, alla pretesa insussistenza del "periculum in mora". 3. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 27.3.1992, n. 6, Midolini (concernente una cava sita in territorio del comune di Udine) - hanno affermato che, nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico per le quali sia stata rilasciata, prima dell'entrata in vigore del D.L. 27.6.1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge a 431/1985, l'autorizzazione ex art. 7 della legge a 1497/1939, demandata alle Regioni dal D.P.R. n. 616/1977, la stessa deve essere richiesta nuovamente soltanto per la prosecuzione delle opere che non abbiano raggiunto un'appezzabile consistenza, tale da avere cagionato una irreversibile modificazione del territorio.
Ciò significa che, per te zone sottoposte "ex novo" a vincolo dal D.L. n. 312/1985, l'autorizzazione deve essere richiesta, secondo la disciplina del 1985, in tutti i casi in cui manchi una precedente valutazione della P.A. ai fini della tutela paesaggistica (vedi Cass., Sez. 3^, 4.11.1995, a 10929, P.G. in proc. Fiore). Le stesse Sezioni Unite hanno rilevato, invero, che "il valore ambientale trova tutela prioritaria rispetto a qualsiasi interesse, pure di natura economica, ancorché previsto dalla Costituzione, come enunciato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 94 e 359 del 1985 e a 151 del 1986" e che "la tutela dei valori estetico-culturali dell'ambiente non ha il contenuto di vincolo e di limitazione delle utilità relative ai beni compresi nelle zone protette, ma condiziona la composita disciplina giuridica di tutti gli aspetti e le utilità ad essi relativi".
Nella sentenza Midolini si legge testualmente: "ipotizzare che la legge a 431 del 1985 abbia fatto divenire illegittime le autorizzazioni in precedenza rilasciate ai sensi dell'est. 7 legge n. 1497 del 1939 è erroneo, poiché si tratta piuttosto di stabilire se esse abbiano o meno conservato efficacia".
Sotto questo profilo, dunque, le Sezioni Unite hanno inteso esaminare la situazione delle "opere che, autorizzate, siano già state iniziate - anche se non ancora ultimate - alla data del 21 settembre 1985". E ciò significa che, allorquando esse discettano di opere in precedenza "autorizzate", si riferiscono ad opere già valutate in ordine alla loro incidenza sulle bellezze naturali. Solo così si spiegano le affermazioni che dette opere avrebbero "già determinato legittimamente una modificazione dell'ambiente" e che, allorquando l'arresto dei lavori potrebbe evitare un danno ambientale ulteriore, l'apprezzamento in concreto della situazione non può che essere rimesso alla Pubblica Amministrazione, con i suoi poteri di revoca";
quali autorizzazioni, infatti, la PA potrebbe revocare qualora mai ne avesse rilasciato alcuna?
4. Le Sezioni Unite, poi, con la sentenza 31.10.2001, n. 30, De Marinis ed altro, hanno affermato la legittimità della continuazione delle cave già regolarmente esercitate, nel territorio della Regione Campania, prima dell'entrata in vigore della legge regionale a 17/1995 - ancorché ubicate in zone non espressamente indicate dagli strumenti urbanistici o soggette a vincolo - purché il soggetto interessato abbia presentato la domanda di prosecuzione (secondo il regime transitorio previsto dall'art. 36 di quella legge) all'autorità regionale competente e finché la medesima autorità non abbia negato l'autorizzazione all'attività estrattiva, ritenuta contrastante con i vincoli urbanistici, paesaggistici, idrogeologici o archeologici derivanti da altre leggi, nazionali o regionali. L'art. 36 della legge regionale campana presenta evidenti analogie con l'art. 35 della legge n. 37/1985 della Regione pugliese (in Campania, però, una normativa specifica, per la coltivazione di cave in zone vincolate e su terreni in uso civico, è stata introdotta dalla legge regionale n. 17 del 1995).
Le Sezioni Unite, con la sentenza De Marinis, hanno evidenziato, con osservazioni che trascendono il caso esaminato, che:
- già gli artt. 8 e 11 della legge a 1497/1939 prevedevano un potere di intervento inibitorio ed un regime autorizzatorio, da parte delle autorità tutorie, per ogni modifica del terreno capace di recare pregiudizio allo stato esteriore delle località protette dalla stessa legge;
- "la disciplina transitoria delle leggi regionali non facoltizza la coltivazione di cave lesive dei vincoli urbanistici o ambientali ... ma più propriamente regolamenta le procedure per sottoporre a un vaglio aggiornato i titoli abilitativi preesistenti, permettendo una nuova ponderazione degli interessi coinvolti alla luce della normativa sopravvenuta";
- "in una materia come quella delle cave, attribuita atta competenza legislativa delle Regioni cosiddetta ripartita o concorrente, il legislatore regionale disciplina la coltivazione delle cave già in esercizio senza vanificare il precetto penale stabilito dalle leggi statali, che configurano come reato sia la coltivazione di cava contrastante con gli strumenti urbanistici vigenti (art. 20, lett. a, legge 47/1985) sia la coltivazione non autorizzata di cava in zona sottoposta a vincolo ambientale (art. 1 sexies legge 431/1985): più semplicemente, quel legislatore si limita a disciplinare la gestione amministrativa del vincolo urbanistico, ambientale etc. in seguito alla sopravvenienza del regime autorizzatorio introdotto per le cave o alla sopravvenienza di un vincolo di zona".
5. Tenuto anche conto delle considerazioni anzidette, a giudizio di questo Collegio - in relazione alla normativa della Regione Puglia - non può affermarsi che, per le cave ubicate in zone sottoposte a vincoli paesistici, quando esse fossero già coltivate al momento dell'apposizione del vincolo, unico titolo di legittimazione alla prosecuzione dell'attività cavatoria debba considerarsi la domanda di prosecuzione (prevista dalla legge regionale pugliese n. 37/1985, come integrata dalla legge regionale n. 13/1987) e che non sia necessaria un'autonoma autorizzazione paesaggistica. In proposito devono essere ribadite le seguenti considerazioni, già svolte da questa 3^ Sezione con la sentenza 4.10.2004, n. 38707, ric. Fionda ed altri;
a) La Corte Costituzionale - con la sentenza n. 79/1993 - valutando la disciplina transitoria posta dall'art. 36 detta legge detta Regione Campania n. 54/1985 (prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 17/1995), ha rilevato che tale disposizione, in ogni caso, ha chiaramente stabilito il diniego dell'autorizzazione "quando l'attività estrattiva risulti in contrasto con i vincoli urbanistici paesaggistici, idrogeologici ed archeologici derivanti da altre leggi nazionali o regionali".
Ha evidenziato, quindi, che l'attività di coltivazione delle cave in zone sottoposte a vincolo urbanistico, paesaggistico, idrogeologico e archeologico, è rigorosamente vietata e mai potrebbe formare oggetto di autorizzazione.
Ha escluso, pertanto, che la legge impugnata potesse interferire netta materia penale riservata al legislatore statale, "poiché il divieto dell'autorizzazione atta coltivazione di cava, anche con riferimento atte attività già in atto atta data di entrata in vigore della legge, non consente al cavatore di guadagnare alcuna minima immunità o beneficio di altra sorta". Nè l'inadempimento detta Regione (che, richiesta dell'autorizzazione alla prosecuzione della coltivazione di cava in zona vincolata, non adotti il provvedimento negativo) può considerarsi idoneo a trasformare un'attività illecita (perché lesiva del divieto stabilito da una legge dello Stato) in un'attività lecita.
b) La stessa Corte Costituzionale - con la sentenza n. 355/1996 - si è occupata della legge 5.5.1993, n. 27 detta Regione Lazio, il cui art. 39, al secondo comma, prevede che la coltivazione di cave legittimamente in atto, per la quale sia stata presentata domanda di prosecuzione, prosegue a condizione che non sia adottato un provvedimento di rigetto della relativa domanda da parte dell'autorità regionale.
Lo sfruttamento della cava può proseguire anche nell'ipotesi in cui un vincolo ambientale sia stato imposto successivamente al legittimo inizio dell'attività, ma l'esercente è tenuto a presentare un progetto di coltivazione, corredato dallo studio di impatto ambientale, ai fini del successivo nulla osta regionale. Se la domanda non è presentata nel termine prescritto, ovvero se il nulla osta regionale non è rilasciato entro 180 giorni dalla richiesta di prosecuzione, i lavori di coltivazione detta cava devono cessare (silenzio-diniego). Secondo la Corte Costituzionale, tale normativa "altro non fa se non organizzare il doveroso esercizio dette competenze detta Regione netta materia interessata dal vincolo", in quanto; da una parte, la legge regionale non fa venire meno i concorrenti poteri di salvaguardia e di tutela del paesaggio, che spettano comunque alla Regione, e, dall'altra, essendo il procedimento ordinato secondo scansioni temporali rigorose, lo spirare del termine stabilito per il suo compimento comporta il formarsi di un provvedimento di diniego e, nell'ipotesi del protrarsi dell'attività di cavazione, la sicura configurabilità del reato previsto dall'ari. 1 sexies del D.L. n. 312 del 1985, aggiunto dalla legge di conversione n. 431 del 1985.
c) In ordine alle procedure ed attribuzioni delle Regioni e dello Stato, relative ad opere in zona sottoposta a vincolo paeststico- ambientale, non esiste possibilità che lo Stato venga del tutto estromesso.
Anche alla stregua delle disposizioni recentemente introdotte dal D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali è affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su un concorso di competenze statali e regionali, in una attuazione legislativa di equilibri diversi, con l'osservanza in ogni caso del principio di una equilibrata concorrenza e cooperazione tra le due competenze in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio (si vedano, in proposito, le sentenze della Corte Costituzionale n. 157 del 1998 e n. 302 dei 1988). d) In materia di tutela del paesaggio vige il principio fondamentale, ricavabile da una serie di disposizioni, da interpretarsi unitariamente nel sistema, secondo cui il silenzio
dell'amministrazione preposta al vincolo ambientale non può avere valore di assenso (vedi le sentenze della Corte Costituzionale n. 404 del 1997, n. 26 del 1996 e n. 302 del 1988).
e) Le argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite, nella sentenza De Marinis, devono essere "verificate" alla stregua della legge costituzionale n. 3/2001, di riforma del Titolo 5^ della Costituzione, e del nuovo testo dell'ai 117 della Costituzione, che definisce di competenza legislativa statale esclusiva la "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" mentre attribuisce alla legislazione ripartita la "valorizzazione dei beni ambientali e culturali" e non contiene più alcun riferimento espresso alla materia "cave e torbiere" (vedi, al riguardo, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 407 e 536 del 2002 e n. 222, 226 e 227 del 2003);
f) In relazione alla nuova formulazione dell'ari
. 117 Cost. deve essere altresì affrontato il problema dell'inquadramento della "attività di gestione" dei beni ambientali nell'ambito di uno dei concetti di "tutela" e di "Valorizzazione" menzionati nel testo costituzionale (tenuto conto che, ai sensi dell'art. 148 del D.Lgs. n. 112/1998, per gestione si intende "ogni attività diretta, mediante l'organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la funzione dei beni, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione"). Deve ribadirsi, allora, che il regime previsto dalle leggi n. 37/1985 e n. 13/1987 della Regione Puglia non consulte, nelle zone assoggettate a vincolo paesaggistico dal D.L. n. 312/1985, di continuare a coltivare le cave già in esercizio sulla base della mera istanza di prosecuzione, essendo comunque richiesta l'autorizzazione ambientale.
La necessità di tale autorizzazione non è esclusa dalla previsione dell'art. 35, 3 comma, di quella legge regionale, che va interpretata nel senso della necessità del diniego anche dell'autorizzazione estrattiva allorquando non sia concedibile quella paesaggistica, comunque autonoma.
Un regime di silenzio-assenso (e non di silenzio-diniego, come previsto dalla Regione Lazio), escludente ogni intervento dello Stato, non è concepibile in materia di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, sicché alla norma regionale non può essere data un'interpretazione che ne comporterebbe l'incostituzionalità. La conferma si rinviene proprio nel regime delineato, da ultimo, dall'art. 1 della legge della Regione Puglia 12.11.2004, n. 21, dianzi trascritto.
6. L'art. 4 della legge-quadro n. 394/1991 prevedeva e disciplinava il "programma triennale per le aree naturali protette" (poi soppresso dall'art. 76 del D.Lgs. 31.3,1998, n, 112) e, l'art, 34, punto 6, lett. l) della stessa legge disponeva che "il primo programma considera" la zona "Alta Murgia" come prioritaria area di reperimento a livello nazionale (si ricordi, in proposito, che, a norma dell'art. 6, 2 comma, di quella legge, la pubblicazione del programma rendeva direttamente operative le misure di salvaguardia di cui al successivo 3 comma).
Zona di protezione speciale (ZPS) - ai sensi dell'art. 2 della deliberazione 2.12.1996 del Ministero dell'ambiente - è "un territorio idoneo per estensione e/o per localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all'allegato 1 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, tenuto conto della necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre a cui si applica la direttiva stessa".
Con la medesima deliberazione le ZPS sono state inserite nella classificazione delle aree protette di cui all'art. 2 della legge- quadro 6.12.1991, n. 394.
La direttiva 79/409/CEE è stata recepita in Italia con la legge 11.2.1992, n. 157 e l'art. 1, comma 5, di tale legge prevede che le ZPS sono istituite dalle Regioni e dalle Province autonome lungo le rotte di migrazione dell'avifauna e "sono finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione, conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse limitrofi". Detta istituzione doveva essere effettuata entro 4 mesi dall'entrata in vigore della stessa legge e in caso di inerzia delle Regioni, protrattasi per un anno, vi avrebbe provveduto, con controllo sostitutivo, il Ministro dell'ambiente d'intesa con il Ministro delle politiche agricole. Le ZPS sono successivamente confluite nell'unica rete ecologica europea istituita con la direttiva 92/43/CEE, recepita in Italia con il D.P.R., 8.9.1997, n. 357.
Il Ministero dell'ambiente, con provvedimento del 24.12.1998, (in seguito a procedura di infrazione instaurata dalla Commissione della Comunità Europea) ha dichiarato il sito "Alta Murgia" (come da cartografia trasmessa in allegato) zona di protezione speciale (ZPS), ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
Il D.M. 3.4.2000 dello stesso Ministero dell'ambiente (Elenco dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciali, individuati ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE), nell'Allegato A, ha ricompreso - di conseguenza - la "Murgia Alta" tra le zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
Correttamente, pertanto, alla stregua dei provvedimenti anzidetti, il Tribunale di Bari (pure a fronte di una mera individuazione operata dalla legge regionale pugliese n. 19/1997) ha ritenuto che le cave di cui si discute siano assoggettate a vincolo paesaggistico, in quanto situate in area naturale protetta (nello stesso senso si è già pronunciata questa 3^ Sezione, oltre che con la citata sentenza n, 38707/2004, con la sentenza 7.10.2003, ric. Natale). 7. Appare opportuno ricordare, infine, che - per quanto riguarda la direttiva "Uccelli" n. 79/409/CEE - l'Italia ha designato, al gennaio 2002, n. 341 aree come zone di protezione speciale (ZPS). L'elenco dei siti proposti alla Commissione dell'Unione Europea, come si è detto, è stato ufficializzato con il D.M. 3.4.2000 e la Corte europea di Giustizia - con la sentenza 13.1.2005, nella causa C - 117/03, Timmermans - ha affermato il principio secondo il quale "Per quanto riguarda i siti atti ad essere individuati quali siti di importanza comunitaria, compresi negli elenchi nazionali trasmessi alla Commissione, e segnatamente i siti ospitanti tipi di habitat naturali prioritari o specie prioritarie, gli Stati membri sono tenuti, in forza della direttiva 92/43, ad adottare misure di salvaguardia idonee, con riguardo all'obiettivo di conservazione contemplato da quest'ultima, a salvaguardare il preminente interesse ecologico rivestito da detti siti a livello nazionale". 8. Nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto provvedimenti di sequestro:
- la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte del Tribunale non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità degli indagati in ordine al reato o ai reati oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fiuto (Cass., Sez. Unite,
7.11.1992, ric. Midolini);
- l'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti" va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez. Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M., in proc. Bassi e altri).
Il Tribunale di Bari, nella specie, si è attenuto ai principi anzidetti.
L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica (anche in ordine alle previsioni preclusive o limitative dell'attività estrattiva già in corso poste dal P.U.T.T. con riferimento a specifici ambiti territoriali) spettano ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le argomentazioni svolte dal ricorrente non valgono certo ad escludere la legittimità della misura adottata. 9. Il ricorso, per tutte le argomentazioni dianzi svolte, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2005. Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2005