Sez. 3, Sentenza n. 38051 del 03/06/2004 Ud. (dep. 28/09/2004 ) Rv. 230038
Presidente: Dell'Anno P. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: Coletta. P.M. Ciampoli L. (Diff.)
(Annulla con rinvio, App. Venezia, 30 Novembre 2001)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Violazione dell'art. 1 sexies legge n. 431 del 1985 (attualmente art. 181 del D.Lgs. 22/1/2004, n. 429 sanzionata con l'art. 20 lett. c) della legge n. 47 del 1985 - Reato di pericolo astratto - Ragioni.
Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di costruzione senza autorizzazione in zona sottoposta a vincolo paesistico, il reato di cui
all'art.1 sexies della legge n. 431 del 1985, attualmente previsto dall'art. 181 del
D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è reato di pericolo astratto per il quale non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente. Ne consegue che non sono penalmente rilevanti solo le condotte che si prospettano inidonee, anche in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e dell'ambiente in quanto la fattispecie tutela l'ambiente in via anticipata, sanzionando la violazione degli adempimenti formali, quali la richiesta di autorizzazione, che devono assicurare che la P.A. preposta al controllo sia posta in condizioni di svolgere tale funzione in maniera efficace e tempestiva.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente - del 03/06/2004
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 1154
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 6550/2002
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COLETTA Enzo, n. a Castelforte il 14/6/1943;
avverso la sentenza 30/11/2001 della Corte di Appello di Venezia;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. CIAMPOLI Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 30.11.2001 la Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza 2.5.2001 del Tribunale monocratico di Vicenza, che aveva affermato la penale responsabilità di Coletta Enzo in ordine al reato di cui:
- agli artt. 1 sexies della legge n. 431/1985 e 20, lett. c), della legge n. 47/1985 (per avere, senza la prescritta autorizzazione, realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico il disboscamento di un'area di sua proprietà, estesa circa mq. 1.030, depositando poi materiali vegetali e sassoni in un'area di circa mq. 600 - acc. in Monteviale, dal 1998 e fino al 19.12.1999) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena - condizionalmente sospesa - di giorni dieci di arresto e lire 20 milioni di ammenda. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Coletta, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e della mancanza e manifesta illogicità della motivazione:
- l'insussistenza del reato di cui all'art 1 sexies della legge n. 431/1985, in quanto la condotta da lui posta in essere sarebbe stata inidonea, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio, - la illegittimità dell'applicazione della pena di cui all'art. 20, lett. c), della legge n. 47/1985.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La prima doglianza svolta in ricorso è fondata e merita accoglimento.
1.1 Deve ribadirsi anzitutto l'orientamento costante di questa Corte Suprema vedi, tra le molteplici pronunzie, Cass., Sez. 3^:
27.11.1997, Zauli ed altri; 7.5.1998, Vassallo; 13.1.2000, Mazzocco ed altro; 5.10.2000, Lorenzi; 29.11.2001, Zecca ed altro; 15.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.5.2002, Migliore; 4.10.2002, Debertol;
7.3.2003, Spinosa; 6.5.2003, Cassisa; 23.5.2003, P.M. in proc. Invernici; 26.5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori; 7.10.2003, Fierro secondo il quale il reato di cui all'art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (attualmente art. 181 del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42) è reato di pericolo astratto e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici vedi pure, in proposito, Corte Cost., sent. n. 247 del 1997 ed ord. n. 68 del 1988.
Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione già prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi (con le deroghe eventualmente individuate dal piano paesaggistico, ex art. 143, 5 comma - lett. b, del D.Lgs. n. 42/2004, nonché ad eccezione degli interventi previsti dal successivo art. 149 e consistenti:
nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).
Il legislatore, imponendo la necessità dell'autorizzazione, ha inteso assicurare una immediata informazione e la preventiva vantazione, da parte della pubblica Amministrazione, dell'impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la stessa P.A., in una situazione di astratta idoneità lesiva della condotta inosservante rispetto al bene finale, sia posta di fronte al fatto compiuto.
La fattispecie incriminatrice è rivolta a tutelare, dunque, sia l'ambiente sia, strumentalmente e mediatamente, l'interesse a che la P.A. preposta al controllo venga posta in condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione: la salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene sostanziale ed anche a tali adempimenti è apprestata tutela penale. La Corte Costituzionale, in proposito, ha precisato (sentenza n. 247 del 1997) che anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto è sempre devoluto al sindacato del giudice penale l'accertamento in concreto dell'offensività specifica della singola condotta, dal momento che, ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta e si verte in tema di reato impossibile, ex art. 49 cod. pen. (sentenza n. 360 del 1995). Nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, l'offensività del fatto illecito, in materia di tutela penale dell'ambiente, è stata diffusamente analizzata - nelle prospettazioni dottrinarie e giurisprudenziali e pure con riferimento ai connotati concettuali controversi - da Cass., Sez. 3^: 7.3.2000, n. 2733, Gajo e 10.12.2001, Zucchini, alle cui specificazioni si rinvia.
1.2 Nei tenitori ricoperti da boschi, come già si è detto - tenuto conto che il vincolo boschivo è finalizzato non soltanto alla conservazione statica di un valore estetico-visivo, ma anche alla protezione dell'ecosistema, inteso come ambiente biologico-naturale, comprensivo di tutta la vita vegetale e animale e pure degli equilibri tipici di un habitat vivente - non sono soggetti all'autorizzazione paesistica il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione, purché previsti ed autorizzati dalle norme specifiche vigenti in materia (art. 149, lett. c, del D.Lgs. n. 42/2004). La fattispecie in esame è caratterizzata dalla realizzata trasformazione in frutteto di una superficie boscata, previo apporto di terreno e materiale sassoso (opere eccedenti i limiti dell'ordinaria utilizzazione del bosco)
Tale trasformazione i giudici del merito hanno ritenuto che fosse stata autorizzata solo parzialmente, in seguito al mancato rispetto di un previsto "rimboschimento conservativo".
L'accertamento in fatto, però, risulta del tutto carente, perché:
- nulla è dato conoscere circa le caratteristiche dell'area boscata e le relazioni concrete tra l'attività autorizzata e quella effettivamente posta in essere;
- resta oscura la vicenda della previsione di un "rimboschimento conservativo";
- nessun cenno la Corte territoriale riserva al contestato abusivo deposito di "materiali vegetali e sassoni in un'area di circa mq. 600".
Le verifiche anzidette appaiono, ad evidenza, necessarie per la corretta valutazione di rilevanza delle opere (nella prospettiva sopra delineata), sicché si impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, che, nel nuovo giudizio ~ alla stregua degli indispensabili accertamenti fattuali - si atterrà ai principi di diritto dianzi enunciati.
2. Infondato è, invece, il secondo motivo di ricorso. 2.1 Questo Collegio, infatti - pur in presenza di qualche decisione discorde vedi Cass., Sez. 3^: 11.6.1992, n. 6898, Ferrerò;
31.1.1994, Capparelli; 23.4.1994, n. 4707, Fanelli; 14.4.1995, Cerniti ed altro; 13.11.1995, n. 11085, Romano ed altri; 7.12.2000, n. 12873, Panattoni - ritiene di dovere ribadire il principio secondo il quale Tunica sanzione applicabile alle violazioni dell'art. 1 sexies della legge n. 431/1985 (poi art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 ed ora art. 181 del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42), qualunque sia la condotta violatrice concretamente accertato, è quella fissata dalla lettera c) dell'art 20 della legge n. 47/1985, attualmente riprodotta dall'art. 44, 1 comma. lettera c), del T.U. 6.6.2001, n. 380 per l'affermazione di tale principio, che può considerarsi maggioritario, vedi Cass., Sez. 3^: 9.2.1990, Serraglini; 8.5.1990, n. 6672, Giovannoni; 7.1.1991, Ventura; 9.2.1994, Morrea; 23.5.1994, n. 5878, P.M. in proc. Solla; 9.3.1995, n. 2351, P.M. in proc. Ceresa; 27.11.1997, n. 2357, Zauli ed altri; 3.3.1998, n. 2704, Cattalini; 28.2.2001, n. 8359, Giannone; 15.6.2001, n. 30866, Visco ed altro.
Deve rilevarsi, al riguardo, che l'art. 1 sexies della legge 431/1985, l'art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 e l'art. 181 del D.Lgs. n. 42/2004 rinviano tutti, con richiamo generico, per la individuazione della pena, all'art. 20 della legge n. 47/1985, senza indicare la lettera corrispondente.
Un indirizzo giurisprudenziale minoritario ritiene che tale richiamo, "quoad poenam", possa ritenersi riferito anche alla lettera a) dell'art. 20, nei casi di violazioni alla legge n. 431/19875 che non si traducano in lavori ed in quelli di inosservanza delle "prescrizioni e modalità esecutive" previste dall'autorizzazione paesaggistica ovvero di difformità parziali dalla stessa. La Corte Costituzionale - che più volte si è interessata all'art. 1 sexies, sempre affermando la determinatezza della fattispecie e della sanzione - con le sentenze nn. 67/1992, 122/1993 e 269/1993 ha ritenuto che l'unico referente sanzionatorio sia l'art. 20, 1 comma, lett. c), della legge n. 47/1985; mentre la sentenza interpretativa di rigetto n. 247/1997 non è decisiva ne' vincolante in quanto conclude per l'applicabilità di tutte le previsioni della norma (senza considerare che mai questa Corte di legittimità ha ritenuto applicabile le pene di cui alla lettera b), incidenter tantum, in modo meramente esplicativo, tenuto conto della diversità della questione sottoposta al suo vaglio.
A sostegno della tesi secondo la quale l'unica pena comminata per ogni violazione dell'art. 1 sexies della legge n. 431/1985 è quella fissata dall'art. 20, 1 comma, lett. c), della legge n. 47/1985, può rinviarsi alle diffuse argomentazioni svolte nelle sentenze 9.3.1995, n. 2351, P.M. in proc. Ceresa e 27.11.1997, n. 2357, ric. Zauli ed altri, di questa 3^ Sezione, e l'argomento-cardine è quello della differenza sostanziale della tutela giuridica del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia, per la diversità di scopi, di presupposti e di oggetto dei due complessi normativi.
Consegue che non è possibile alcuna trasposizione di istituti tra le due discipline e, in particolare, non è ragionevole il trasferimento di un regime sanzionatorio graduato in relazione a varie tipologie di interventi edilizi al reato ambientale per il quale il "vulnus" all'assetto paesaggistico prescinde da tali interventi. In alcune decisioni è stato anche evidenziato come non sia possibile un collegamento con le fattispecie contravvenzionali di cui all'art. 20, lett. a), della legge n. 47/1985, per difformità rispetto alla concessione edilizia, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 8, ultimo comma, della stessa legge, ogni intervento difforme in zona vincolata si intende "in variazione essenziale", comportando il conseguente trattamento sanzionatorio di cui alla lett. c) dell'art. 20 la disposizione è attualmente riprodotta dall'art. 32, 3 comma, del T.U. n. 380/2001.
In altre parole, il commisurare la previsione punitiva concernente il pericolo di compromissione del paesaggio, in relazione alle varie tipologie delle violazioni edilizie, significa utilizzare parametri impraticabili o incompleti.
Le scansioni delle tre lettere dell'art. 20 propongono condotte diversificate a lesività crescente, ma l'unica riconducibile, dal punto di vista della tipicità, al reato ambientale è quella sub c), giacché solo detta disposizione si riferisce agli interventi eseguiti in zone vincolate ed aderisce, pertanto, alle esigenze di tutela delle aree di particolare interesse ambientale. È logica, inoltre, la previsione di una sanzione unitaria in quanto ogni intervento, che si realizza in assenza del previo controllo o in difformità da esso, purché abbia un'oggettiva possibilità di impatto sul paesaggio, pone in pericolo l'integrità paesaggistica quale bene unitario di primario valore sociale. Tale conclusione non annulla la differente rilevanza dei tipi di interventi, in quanto la sanzione di cui all'art. 20, 1 comma, lett. c), della legge n. 47/1985 ha margini assai ampi di escursione, che la rendono adattabile alle svariate peculiarità dei casi concreti. 2.2 La più recente sentenza che ha ripreso la tesi minoritaria (Cass., Sez. 3^, 7.12.2000, n. 12873, ric. Panettoni) ha rilevato che la fattispecie penale, già contenuta nell'art. 1 sexies della legge n. 431/1985, era stata, nell'ambito del riordino normativo in materia di beni culturali ed ambientali attuato con il D.Lgs. 29.10.1999, n. 490, trasfusa nell'art. 163 del citato T.U., che, al 1 comma, prevedeva e puniva "con le pene previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47" il fatto di "chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni ambientali". Traendo spunto da tale formulazione normativa, ha svolto, quindi, le seguenti argomentazioni:
a) Il richiamo, da parte dell'art. 163 del D.Lgs. n. 490/99, alle pene previste dall'art. 20 della legge n. 47/1985, per la sua genericità, induceva a ritenere l'omnicomprensività del rinvio operato, considerato che, in caso diverso, il legislatore ben avrebbe potuto specificare (anche in considerazione delle questioni interpretative poste dalla previgente e corrispondente disposizione) che le sanzioni applicabili erano quelle di cui alla lettera c) dell'art. 20 della legge n. 47/1985.
b) Nel vigente sistema penale la pena corrispondente a ciascun reato (a parte quelle, eventuali, accessorie) è unica (principio pacifico in dottrina e giurisprudenza) anche nei casi, di c.d. "pena congiunta" (detentiva e pecuniaria); conseguentemente l'uso del plurale (le pene) da parte del legislatore denotava il rinvio non alle due componenti sanzionatorie (l'arresto e l'ammenda) di cui alla lettera c) dell'art. 20 della legge n. 47/1985, bensì, in alternativa ed a seconda della diversità dei casi, alle diverse pene comminate da tale articolo.
c) La formulazione, in termini più articolati e tecnici, della nuova disposizione, rispetto a quella previgente appariva sintomatica di una chiara scelta legislativa. La disposizione dell'art. 1 sexies prevedeva, infatti, con formula ambigua ed atecnica, che "ferme restando le sanzioni di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, per la violazione delle disposizioni di cui al presente decreto si applicano quelle previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47", senza distinguere tra le ipotesi di mancanza o difformità dall'autorizzazione e adoperando il generico termine "sanzioni". La nuova disposizione dell'art. 163, invece, oltre a fare uso del più appropriato termine "pene", espressamente introduceva, anche in materia di reati ambientali, in significativo parallelismo con le previsioni di cui all'art. 20 della legge n. 47/1985, la distinzione tra i casi di mancanza di autorizzazione o di difformità esecutiva rispetto a questa, così evidenziando chiaramente la duplicità dell'operato rinvio quoad poenam, da un corpo normativo all'altro, in ragione dell'analogia tra le fattispecie contravvenzionali rispettivamente, negli stessi, previste.
d) A fronte delle evidenziate chiarezza ed univocità del nuovo dictum normativo, considerato applicabile in virtù dell'art. 2, 2 comma, cod. pen., avrebbero perduto rilevanza le principali argomentazioni addotte dalla prevalente giurisprudenza ai fini della più rigorosa tesi interpretativa della norma previgente. Tutte le argomentazioni anzidette sono state analiticamente confutate dalla sentenza di questa Sezione 28.2.2001, n. 8359, Giannone, ove, tra l'altro - con deduzioni condivise da questo Collegio - è stato rilevato che:
- il D.Lgs. n. 490 del 1999 (secondo la delega conferita dall'art. 1 della legge n. 352 del 1997) ha carattere meramente compilativo e non innovativo, sicché non poteva introdurre alcuna nuova disciplina, per giunta sanzionatoria in materia penale;
- il legislatore, ove avesse voluto richiamare le lettere a) e c) dell'art. 20 della legge n. 47/1985, avrebbe potuto egualmente farne espresso riferimento e/o avrebbe utilizzato l'avverbio "rispettivamente" e gli aggettivi "esecutive" o "parziali" collegati al termine "difformità";
- altri testi legislativi, nei casi di rinvio a disposizioni diverse in relazione alla pena, fanno uso dei termini "sanzioni" o "pene" proprio quando si è in presenza di pene alternative o congiunte (ad esempio: l'art. 49, 1 comma - ultima parte, del D.Lgs. n. 504/1995;
l'art. 2 del D.Lgs. n. 22/1997; l'art. 59, comma 6 quater, del D.Lgs. n. 152 del 1999, come modificato dal D.Lgs. n. 258 del 2000) sicché l'utilizzazione del plurale è significativa per l'individuazione della pena congiunta di cui alla sola lettera c) del citato art. 20;
- l'art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999, correlando la necessità dell'autorizzazione paesaggistica all'esecuzione di "lavori di qualsiasi genere", smentisce ogni possibilità di distinzione tra interventi edilizi e non.
23 È entrato poi in vigore (dal 1 maggio 2004) il D.Lgs. 22, 1.2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) il cui art. 181, al 1 comma, prevede e punisce "con le pene previste dall'art 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47" il fatto di "chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici".
Anche tale decreto legislativo (secondo la delega conferita dall'art. 10, 2 comma - lett. d, della legge n. 137 del 2002) non poteva introdurre alcuna nuova disciplina sanzionatoria in materia penale. Non vi sono, in detta materia, sostanziali modificazioni rispetto al testo immediatamente precedente e perciò valgono le argomentazioni già svolte in relazione ad esso e - in conclusione - deve ancora una volta ribadirsi che Tunica sanzione applicabile per la violazione dell'art. 1 sexies della legge n. 431/1985, come trasfuso prima nell'art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999 e poi nell'art. 181 del D.Lgs. n. 42/2004, è quella di cui alla lettera c) della legge n. 47/1985 (attualmente riprodotta dall'art. 44, 1 comma, lettera c), del T.U. n. 380/2001).
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli arti 607, 615 e 623 c.p.p., annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2004