Sez. 3, Sentenza n. 43880 del 30/09/2004 Cc. (dep. 10/11/2004 ) Rv. 230184
Presidente: Savignano G. Estensore: De Maio G. Relatore: De Maio G. Imputato: Macino. P.M. Meloni VD. (Parz. Diff.)
(Rigetta, Trib.Libertà Venezia, 20 Aprile 2004)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Opera realizzata in zona sottoposta a vincolo paesistico - Bene protetto - Sequestro preventivo - Criteri per verificare la sussistenza delle esigenze cautelari.
Massima (Fonte CED Cassazione)
Ai fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, la sola esistenza della struttura abusiva, realizzata senza autorizzazione e in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, integra il requisito della concretezza e dell'attualità cautelare, che sussiste proprio perché l'offesa al territorio è destinata in tal modo a perdurare ed a consolidarsi. (Nella fattispecie, la Corte ha osservato che qualunque lavoro eseguito senza autorizzazione, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, può costituire un'offesa al bene giuridico protetto rappresentato dall'armonia paesaggistica).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 30/09/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 01134
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 023017/2004
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) MACINO EDOARDO, N. IL 17/01/1953;
avverso ORDINANZA del 20/04/2004 TRIB. LIBERTÀ di VENEZIA;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DE MAIO GUIDO. sentite le conclusioni del P.G. Dr. MELONI V.: inammissibilità del ricorso.
MOTIVAZIONE
Con decreto del 18.3.2004 il GIP del Tribunale di Venezia dispose, in danno di Macino Edoardo, il sequestro preventivo di: 1)un manufatto in legno di circa 55 mq con tettoia; 2)un ripostiglio in metallo; 3) un cancello in legno più un pontile di m. 4 x 15 x 1 di accesso alla proprietà, ravvisandosi nei confronti del suddetto proprietario il reato di cui agli artt. 44 lett. c) DPR 380/2001 e 163 D.l.vo 490/99. Avverso tale decreto l'indagato propose istanza di riesame deducendo, quanto al fumus del reato ipotizzato, che si trattava di opere di modesta struttura semplicemente poggiate sul terreno realizzate nel gennaio 2002, aventi carattere di precarietà, in quanto occasionalmente destinate al riparo dalle intemperie e alla custodia di attrezzi da pesca e per la coltivazione, per le quali, peraltro, aveva presentato istanza di condono; quanto al periculum in mora, l'indagato lamentava l'omessa motivazione da parte del GIP in ordine alla concretezza dell'idoneità delle opere a perpetuare l'offesa al bene giuridico protetto. Il Tribunale di Venezia, sez. per il riesame, confermò il decreto di sequestro con ordinanza del 20.4.2004, contro la quale il difensore ha proposto ricorso per Cassazione.
Il ricorrente deduce, con unico motivo, carenza di motivazione e violazione di legge, in quanto il Tribunale, non tenendo conto del dictum della ben nota sentenza delle Sez. Un. di questa Corte 29.1.2003 n. 2, avrebbe motivato solo apoditticamente circa la sussistenza del vulnus al territorio e al c.d. carico urbanistico; in particolare, il Tribunale non avrebbe considerato che le opere (per la loro evidente precarietà di utilizzo, per la loro perfetta integrazione nel paesaggio lagunare...) non erano e non sono affatto idonee ad aggravare il carico urbanistico"; il Tribunale stesso, inoltre, conferendo rilievo decisivo al dato fisico dei manufatti, non avrebbe "trattato il dato del precario utilizzo dei manufatti" stessi, in tal modo 'trascurando il dato soggettivo e finalistico del loro utilizzo". Il ricorso e' infondato. Infatti, l'ordinanza impugnata ha sufficientemente motivato in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari osservando, nei punti salienti, che, in relazione al reato di cui all'art. 163 D.L.vo 490/99, "qualunque lavoro può costituire un'offesa al bene protetto, tale essendo quello dell'armonia paesaggistica", per cui "non c'è dubbio che ciò integri il requisito della concretezza e della attualità cautelare, sussistenti poiché l'offesa al bene protetto è destinata a perdurare proprio in virtù della semplice esistenza e mantenimento in essere della struttura abusiva"; che, in ogni caso, sussiste la necessità di impedire all'indagato la concreta utilizzazione di tali costruzioni affinché sia impedita l'ulteriore protrazione della lesione dell'equilibrio urbanistico di un territorio, tanto più trattandosi di un'area assai particolare ed oggetto di plurimi vincoli". In altri termini, il Tribunale ha ravvisato l'esigenza cautelare in relazione, da un lato, alla specifica natura della zona (del tutto particolare, in quanto "oggetto di plurimi vincoli") e, dall'altro, nella accentuata necessità di impedire l'utilizzazione che avrebbe consolidato l'offesa inferta al territorio; affermazione quest'ultima di insuperabile esattezza, essendo incontestabile che in zone di rilevante e spiccata peculiarità (quale quella lagunare) l'utilizzazione di opere abusivamente realizzate consolidi la lesione dell'interesse protetto e, quindi, si risolva in ulteriore aggravamento della stessa. Deve, in definitiva, ritenersi che la motivazione sul punto dell'ordinanza impugnata è rispettosa dei principi di attualità e concretezza enunciati, in riferimento alla configurazione dell'esigenza cautelare, dalla citata sent. delle Sez. Un. di questa Corte 29.1.2003 n. 2.
La motivazione dell'ordinanza è adeguata anche in relazione alla valutazione del "dato soggettivo e finalistico dell'utilizzo" dei manufatti (precario utilizzo e uso episodico, secondo il ricorrente), avendo il Tribunale giustamente osservato che la richiesta di condono presentata dal l'indagato smentisce la provvisorietà delle opere realizzate, così come nulla può dirsi in termini di certezza circa l'asserita episodicità di utilizzo (dal momento che il manufatto viene dal l'indagato stesso indicato talvolta come "capanno da pesca" e talaltra come "finalizzato all'attività agricola"). Deve, pertanto, concludersi che, essendo infondate le censure mosse, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2004