Cass. Sez. III n. 21490 del 21 giugno 2006 (c.c. 19 aprile 2006)
Pres. Postiglione Est. Fiale Ric. Pagano
Urbanistica. D.i.a. e immobili abusivi
Non è applicabile il regime della d.i.a. a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro eo risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.
Udienza Camera di consiglio del 19.4.2006
SENTENZA N. 431
REG. GENERALE n. 48292/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III.mi Signori
1. Dott. Amedeo POSTIGLIONE                 Presidente
2. Dott. Francesco MANCINI                      Consigliere
3. Dott. Mario GENTILE                             Consigliere
4. Dott. Aldo FIALE                                   Consigliere
5. Dott. Giovanni AMOROSO                    Consigliere
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da PAGANO Romualdo, n. a San Marcellino l'11-5-1956 avverso l'ordinanza 18-10-2005 del tribunale per il riesame di Napoli

Sentita la relazione fatta dal Consigliere M. Aldo FIALE
Udito il pubblico ministero nella persona del dr. M. FRATICELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso


FATTO E DIRITTO


Il G.I.P. del Tribunale di Napoli, con ordinanza del 16.8.2005, disponeva il sequestro preventivo, in agro del Comune di Arzano, di alcuni capannoni industriali e di un manufatto di circa 30 mq., interessati da lavori edilizi eseguiti in assenza del permesso di costruire.

In particolare, il manufatto era stato realizzato ex novo, mentre i predetti capannoni industriali erano stati accorpati, con realizzazione pure di soppalchi interni.


La misura di cautela reale veniva disposta nei confronti (anche) di Pagano Romualdo, indagato per il reato di cui all'art. 44, Lett. b), del T.U. n. 380/2001.


Il Tribunale di Napoli - con ordinanza del 18.10.2005 - rigettava l' istanza di riesame proposta (anche) nell'interesse del Pagano.


Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, il quale - limitando espressamente le proprie doglianze al solo sequestro dei capannoni industriali, con esclusione del manufatto realizzato ex novo - ha eccepito:


a) la inconfigurabilità dell'ipotizzato reato, poiché gli eseguiti lavori di accorpamento e realizzazione di soppalchi interni "non hanno determinato alcuna alterazione planovolumetrica dei capannoni già esistenti ed oggetto di precedente istanza di condono edilizio" ai sensi della legge n. 724/1994.


Secondo l'assunto difensivo, "le pratiche di condono edilizio relative ai predetti capannoni industriali, allo stato, non risultano ancora esaminate dall'ufficio tecnico comunale e, in particolare, due di tali pratiche sono state sottoposte a sequestro, mentre una soltanto è terminata con concessione edilizia in sanatoria". Sulle domande stesse, però, non essendo intervenuto un provvedimento comunale negativo, si sarebbe formato assentimento per silenzio, ex art. 39, comma 4, della legge 724/1994.


I lavori successivamente eseguiti ed oggetto di contestazione integrerebbero attività di "ristrutturazione edilizia", che non ha comportato "aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici", sicché non sarebbero soggetti a permesso di costruire ma soltanto a denuncia di inizio dell'attività;


b) l'insussistenza del periculum in mora, tenuto conto della ultimazione della opere, che comporterebbe il venire meno di ogni esigenza di cautela.


Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato,


1. In ordine alla prima doglianza, invero, deve affermarsi il principio secondo il quale non é applicabile il regime della D.I.A, a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nello loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente.


Nella specie, comunque, il Tribunale ha evidenziato che risulta presentata una D. I. A. riguardante esclusivamente "rifacimento pavimentazione, impiantistica, rifazione intonaci, pitturazione e sostituzione di alcuni parti di copertura" e nel relativo procedimento l 'Amministrazione ha esercitato il potere inibitorio "per carenza di documentazione".


Il presupposto difensivo, secondo il quale le domande di condono edilizio dovrebbero ritenersi assentite per silenzio, costituisce una mera affermazione non riscontrata e non riscontrabile, in quanto non risulta che i capannoni abusivamente realizzati avessero i requisiti prescritti dalla legge per usufruire del condono, né che sia stata fedelmente prodotta tutta la prescritta documentazione, né che siano state integralmente corrisposte le somme effettivamente dovute a titolo di oblazione e per gli oneri concessori.


Elementi di forte sospetto derivano, anzi, dalla prospettazione dello stesso ricorrente secondo la quale "due di tali pratiche sono state sottoposte a sequestro".


2. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 29.1.2003, n. 2, Innocenti - hanno ritenuto ammissibile il sequestro preventivo di una costruzione abusiva già ultimata, affermando che:


- il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell' attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato;


- in tema di reati edilizi o urbanistici, "spetta al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività";


- tra le specifiche conseguenze antigiuridiche che, ex art. 321 c,p.p., possono determinarsi a causa del mancato impedimento della libera disponibilità del manufatto abusivo, ben può farsi rientrare la perpetrazione dell'illecito amministrativo sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie (divieto di abitare gli edifici sforniti di certificato di agibilità), non inquadrabile "nella agevolazione di commissione di altri reati", ma certamente costituente una situazione illecita ulteriore prodotta dalla condotta (la libera utilizzazione della cosa) che il provvedimento cautelare è finalizzato ad inibire (principio ribadito da Cass., Sez. III, 21.1.2005, Cappa; si veda però - in senso contrario - Cass., Sez. III, 6.7.2004, Sardi).


Il Tribunale di Napoli, nell'ordinanza impugnata, ha dato conto, con motivazione adeguata, di avere compiuto quella "attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso" dei capannoni abusivi illecitamente realizzati e "ristrutturati", secondo il riferito orientamento delle Sezioni Unite: a fronte della sostanziale creazione (attraverso la realizzazione dei soppalchi) di ulteriori superfici praticabili, invero, ha fatto corretto riferimento all'aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti, oggettivamente configurabile sia come ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di standards nella zona urbanistica interessata (D.M. 2.4.1968, n. 1444).


3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.


P.Q.M.


la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del 19.4.2006-

 

Il consigliere relatore                                                        Il presidente
   Aldo FIALE                                                         Amedeo POSTIGLIONE