Cass. Sez. III n. 24246 del 19 giugno 2024 (UP 18 gen 2024)
Pres. Ramacci Rel. Macrì Ric. Buonpasso
Beni ambientali.Elemento soggettivo del reato paesaggistico

L’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 punisce chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici, con la pena dell’art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380 del 2001. Pertanto, l’elemento psicologico non è escluso dall'ignoranza dell’esistenza del vincolo paesaggistico, trattandosi di reato contravvenzionale punibile anche a titolo di colpa, ravvisabile nel non aver ottemperato al dovere di informarsi presso la Pubblica Amministrazione prima di intraprendere un'attività rigorosamente disciplinata dalla legge

RITENUTO IN FATTO
    
1.Con sentenza in data 21 febbraio 2023 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza in data 28 marzo 2022 del Tribunale di Palermo che aveva condannato Alfredo Buonpasso alle pene di legge per aver realizzato, in Monreale, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza autorizzazioni, un fabbricato composto da piano terra, seminterrato e primo piano della superficie di mt 14xmt 15 circa, in cemento armato e con copertura a falde inclinate in laterocemento e tegole, così violando il d.P.R. n. 380 del 2001, capo A: art. 44, lett. C; capo B: art. 64-71 e 65-72 con la continuazione; capo C: art. 83, 93 e 95 con la continuazione, nonché commettendo il reato paesaggistico del capo D: art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. 

2. Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione perché non era a conoscenza del vincolo paesaggistico, mancavano il dolo e la prova del danno (primo motivo); la prescrizione perché era stata mal computata la sospensione da COVID (secondo motivo); il diniego delle generiche (terzo motivo).  

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato perché ripetitivo delle medesime doglianze formulate con i motivi di appello e già disattese con corretta motivazione giuridica dalla Corte territoriale.
4. Innanzi tutto, il reato paesaggistico. Il ricorrente non ha contestato l’esistenza del vincolo, ma il difetto di conoscenza dello stesso, l’assenza del dolo e del danno alla collettività, tutte circostanze eccentriche rispetto al reato. L’art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 punisce chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici, con la pena dell’art. 44, lett. C), d.P.R. n. 380 del 2001. Pertanto, l’elemento psicologico non è escluso dall'ignoranza dell’esistenza del vincolo paesaggistico, trattandosi di reato contravvenzionale punibile anche a titolo di colpa, ravvisabile nel non aver ottemperato al dovere di informarsi presso la Pubblica Amministrazione prima di intraprendere un'attività rigorosamente disciplinata dalla legge (Sez. 3, n. 14033 del 10/03/2011, Antelmi, Rv. 249923-01), il che esclude altresì rilevanza alla circostanza, per giunta solo ventilata, del presunto disordine normativo della legislazione regionale siciliana. Non ricorre l’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale perché il cittadino ha sempre un obbligo di verifica e controllo prima del compimento dell’attività edilizia (tra le più recenti, Sez. 3, n. 36852 del 10/06/2014, Messina, Rv. 259950-01, che ha escluso la buona fede di chi abbia realizzato il manufatto in assenza di permessi, con errata interpretazione della legge penale e senza previa consultazione con gli uffici amministrativi; n. 41589 del 15/10/2021, Nicolini, Rv. 282691-01, che non ha ammesso l’ignoranza della destinazione agricola della particella su cui si è edificato; n. 12553 del 14/02/2023, Comparato, Rv. 284320-01, che ha ribadito l’onere informativo tra l’altro a carico del richiedente le autorizzazioni in caso di lottizzazione). Del resto, l'ignoranza da parte dell'agente della normativa di settore e dell'illiceità della propria condotta è idonea a escludere la colpa, solo se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile a un comportamento non illegittimo della Pubblica Amministrazione (Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, Oggero, Rv. 268000-01; n. 18928 del 15/03/2017, Valenti, Rv. 269911 – 01, entrambe relative a rifiuti; Sez. 3, n. 8410 del 25/10/2017, dep., Venturi, Rv. 272572 – 01; n. 41589 del 15/10/2021,  Nicolini, Rv. 282691 – 01, entrambe in materia edilizia; n. 32084 del 17/11/2022, Fiore, Rv. 285032 – 04, e n. 12553 del 14/02/2023, Comparato, Rv. 284320 – 01, in materia di lottizzazione abusiva, cit.), fatto che, nella specie, non risulta neanche allegato. Il reato paesaggistico è poi un illecito formale e di pericolo che si perfeziona, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, con l'esecuzione di lavori di qualunque genere su beni paesaggistici comunque idonei a determinare una modificazione, anche non immediatamente visibile, dell'assetto del territorio (Sez. 3, n. 370 del 01/10/2019, dep. 2020, Mazza, Rv. 277941-01, che afferma dei principi di carattere generale, sia pure applicati al caso specifico della realizzazione di una costruzione sotterranea). In tale contesto, è quindi irrilevante la deduzione difensiva secondo cui il manufatto, essendo stato realizzato in aperta campagna, non aveva arrecato danno ad alcuno.
5. Del pari generica e inconsistente è l’eccezione di prescrizione che non si confronta con la parte di motivazione della sentenza dove sono indicate analiticamente tutte le sospensioni della prescrizione, per lo più dovute a richiesta del difensore. Considerato che i reati risalgono al 2 marzo 2017 e che sono stati computati 449 giorni di sospensione, anche a prescindere dalla sospensione del periodo Covid, alla data della deliberazione della sentenza di secondo grado, 21 febbraio 2023, non si era verificata alcuna prescrizione. 

6. Ineccepibile è anche la motivazione relativa al diniego delle generiche, perché la Corte territoriale ha motivatamente confermato la decisione del Tribunale, avuto riguardo alla gravità del fatto - realizzazione di manufatto su più piani, totalmente abusivo, in zona sismica e paesaggistica - e al precedente per furto, nonché all’assenza di elementi di valutazione positivamente apprezzabili. 

7. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. 
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 18 gennaio 2024