La Corte costituzionale promuove la legge sarda
di Stefano DELIPERI Con la sentenza n. 51 del 6 febbraio 2006 la Corte costituzionale ha “promosso” la legge regionale Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 (la c. d. legge “salva–coste”), dichiarando inammissibile il ricorso del Governo n. 15/2005. Sembrano proprio opportune alcune brevi considerazioni.
La legge regionale Sardegna n. 8/2004 dispone alcune importanti norme provvisorie di salvaguardia della fascia costiera dei due km. dalla battigia marina finalizzate alla redazione ed all’adozione del piano paesaggistico regionale (P.P.R.), in particolare gli articoli 4, commi 1° e 2°, e 7, mentre, all’articolo 8, viene disposto un divieto temporaneo di realizzazione di impianti di produzione di energia eolica, salvo in precedenza autorizzati e con svolgimento dei relativi lavori in corso . La legge regionale Sardegna n. 8/2004 ha costituito il tassello fondamentale per la nuova pianificazione paesistica, necessaria dopo l’entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) e, soprattutto, dopo l’annullamento dei precedenti piani territoriali paesistici su ricorso dell’associazione ecologista Amici della Terra per gravi vizi di legittimità (1998-2003) . Il ricorso governativo è stato incentrato sulla mancanza di competenze in materia di tutela paesaggistica della Regione autonoma della Sardegna, a differenza della competenza primaria in materia di urbanistica ed edilizia (articoli 3 e 4 statuto speciale): conseguentemente essa sarebbe vincolata alle disposizioni statali vigenti in tema, in particolare agli articoli 131 e seguenti del decreto legislativo n. 42/2004. La legge regionale in parola sarebbe, quindi, illogica, manifestamente irragionevole ed in contrasto con gli articoli 3 e 97 cost. nonché con la normativa nazionale sulla tutela del paesaggio. In particolare la previsione di un divieto generalizzato di realizzazione di nuove opere edilizie esteso a tutta la fascia costiera dei due km. dalla battigia marina, con l’irrazionale deroga in favore di quei piani urbanistici comunali approvati in ossequio agli illegittimi piani territoriali paesistici, paralizzerebbe – indipendentemente dalla presenza o meno del vincolo paesaggistico – una lunga “serie di iniziative ed attività che, ai sensi della legislazione nazionale e regionale devono considerarsi lecite, se non di interesse generale”. Il divieto di installazione di nuove centrali eoliche eccederebbe la competenza legislativa assegnata dallo statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) ponendosi in contrasto con l’articolo 117, comma 2°, lettera s, cost., che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dei beni culturali, nonché con l’art. 12, comma 1°, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (attuazione della direttiva n. 2001/77/CE sulla promozione nel mercato interno dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili), il quale dispone che le fonti energetiche rinnovabili “sono considerate di pubblica utilità con la conseguente dichiarazione di indifferibilità e urgenza dei lavori necessari alla realizzazione degli impianti”.
Il Giudice delle leggi preliminarmente ha dichiarato inammissibili gli interventi ad opponendum del WWF, del F.A.I. e di Italia Nostra, sul presupposto giurisprudenziale costante secondo cui nei giudizi promossi in via principale avverso leggi statali o regionali “non possono intervenire soggetti diversi da quelli titolari delle attribuzioni legislative in contestazione” (da ultimo le sentenze n. 469, 383 e 150 del 2005). Ha, inoltre, dichiarato l’inammissibilità delle censure governative nei confronti degli articoli 3, 4 (commi 1° e 2°) e 7 della legge regionale impugnata per preteso contrasto con gli articoli 3 e 97 cost., in quanto argomentate in misure estremamente “sommarie e meramente assertive”, contraddicendo quanto enunciato più volte dalla stessa Corte quando richiede specifiche argomentazioni a sostegno delle tesi del ricorrente (vds., ad es., sentenze nn. 270 del 2005, 423, 286 e 73 del 2004). Analogamente è stata dichiarata inammissibile anche la censura avverso l’art. 8, comma 3°, della legge regionale Sardegna n. 8/2004 in quanto il segnalato contrasto con l’art. 12, comma 1°, del decreto legislativo n. 387/2003 non appare correlato con alcuna violazione di norme costituzionali né di principi comunitari tali da includersi nel disposto di cui all’art. 117, comma 1°, lettera s, cost. e nella relativa competenza esclusiva statale in materia di ambiente.
La Corte costituzionale, nel riconoscere come infondato il ricorso governativo, ha svolto un sintetico excursus sulle competenze statutarie della Regione autonoma della Sardegna in materia di tutela del paesaggio e, specificamente, di pianificazione territoriale paesistica. La legge regionale n. 8/2004 s’inserisce, infatti, nel solco della legge regionale 22 dicembre 1989, n. 45 (norme per l’uso e la tutela del territorio regionale), modificandola ed integrandola, così come altre precedenti normative. Essa contempla non solo tematiche strettamente urbanistiche, ma anche disposizioni sulla tutela del paesaggio e la pianificazione. E ciò in forza delle disposizioni di attuazione dello statuto speciale contenute nell’articolo 6, commi 1° e 2°, del D.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, che trasferisce dallo Stato alla Regione le competenze in tema di valutazione degli strumenti attuativi ai fini della tutela paesaggistica (allora stabilite dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, la c. d. legge – ponte) e in materia di pianificazione territoriale paesistica (allora previste dall’articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497). Secondo la Corte, “le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante atti adottati con il procedimento appositamente previsto negli statuti”. Come la stessa Corte costituzionale ha già affermato più volte (ad es. cfr. sentenze n. 341/2001, n. 213/1998, n. 137/1998), la Regione autonoma della Sardegna dispone, nell’ambito delle competenze statutarie in tema di urbanistica ed edilizia, anche della potestà di intervento sugli aspetti di tutela ambientale e paesaggistica, sia sul piano legislativo che su quello amministrativo, grazie al noto principio del parallelismo di cui all’art. 6 dello statuto speciale. Naturalmente nell’alveo tracciato dai limiti espressamente individuati dall’art. 3 del medesimo statuto speciale (armonia con la costituzione e con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica). In proposito, “va osservato che il legislatore statale conserva … il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come riforme economico-sociali: e ciò anche sulla base … del titolo di competenza legislativa nella materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione”. Conseguentemente, le norme fondamentali poste dalle leggi e dagli atti aventi forza di legge statali in tali materie “continueranno ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia , come già espresso dal Giudice delle leggi, proprio in riferimento all’attività legislativa sarda (vds. sentenza n. 536/2002). Per il mero riparto delle competenze di cui all’articolo 117 cost. si deve fare riferimento alle Regioni a statuto ordinario, salvo quanto disposto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, per le parti in cui “le Regioni ad autonomia ordinaria disponessero, sulla base del nuovo titolo V, di maggiori poteri rispetto alle Regioni ad autonomia speciale”. In materia il legislatore statale è intervenuto con il Codice dei beni culturali ed il paesaggio, il decreto legislativo n. 42/2004, il cui articolo 8 conferma espressamente le potestà legislative ed amministrative statutarie delle Regioni e Province autonome. Anche il successivo articolo 135, ampliando l’operatività degli strumenti di pianificazione paesistica all’intero territorio, conferma la facoltà di scelta regionale di dotarsi di “piani paesaggistici” o di “piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici”, così come già fatto con l’articolo 1 bis del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, come convertito nella legge 8 agosto 1985, n. 431, la nota legge Galasso. Grazie al trasferimento di funzioni di cui al D.P.R. n. 480/1975 è, quindi, indubbia, la competenza regionale in tema, già esercitata con la sopra detta legge regionale n. 45/1989, che, “all’art. 12 prevedeva anche apposite norme di salvaguardia ed efficacia temporanea in attesa dell’approvazione dei piani territoriali paesistici (analogamente a quanto attualmente previsto con le norme impugnate)”. E tali ultime norme recepiscono, in particolare, nell’ordinamento regionale proprio le disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio (articoli 135 e seguenti). Conseguentemente la Corte ha dichiarato inammissibili anche le ulteriori asserite censure riguardanti la violazione del riparto di competenze legislative: il ricorso governativo è proprio partito, a giudizio della Corte costituzionale, “dall’erroneo presupposto secondo il quale la Regione Sardegna risulterebbe priva di potestà legislativa in tema di tutela paesaggistica”. Una valutazione decisamente netta e priva di equivoci. Ed una pronuncia che si inserisce, corroborandola, nella linea giurisprudenziale che chiarisce contorni e modalità del riparto di competenze fra i vari Soggetti della Repubblica nella materia trasversale dell’ambiente.
Infatti, in seguito alla riforma del titolo V della Carta costituzionale, apportata con la legge costituzionale n. 3/2001, lo Stato ha competenza legislativa esclusiva (e regolamentare) in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, comma 2°, lettera s) e competenza concorrente, indicandone quindi i “principi fondamentali”, in materia di “governo del territorio”, tutela della salute”, “tutela e sicurezza del lavoro”, “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” (art. 117, comma 3°). Tutte le altre materia non espressamente riservate alla potestà legislativa statale sono, conseguentemente, di competenza regionale e delle province autonome: l’attività mineraria e di cava appartiene, quindi, alla competenza legislativa ed amministrativa regionale, salvi gli aspetti attinenti alla tutela ambientale ed alla pianificazione territoriale, alla tutela della salute, ecc. rispettivamente di competenza esclusiva statale la prima e concorrente le altre (artt. 117 e 118 cost.). Secondo la recente giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 407/2002), l’espressione “tutela dell’ambiente” non deve riferirsi ad un ambito rigorosamente circoscritto e delimitato, “giacchè, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze”. In particolare dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia , in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” (vds. sentenze nn. 507/2000, 54/2000, 382/1999, 273/1998). Le Regioni possono, quindi, adottare, nei limiti della ragionevolezza del provvedimento e nell’ambito delle competenze concorrenti, “una disciplina che sia maggiormente rigorosa … rispetto ai limiti fissati dal legislatore statale, proprio in quanto diretta ad assicurare un più elevato livello di garanzie per la popolazione ed il territorio interessati” (sentenza n. 407/2002). Resta, quindi, allo Stato il compito di fissare standards di tutela minima uniforme sull’intero territorio nazionale (sentenze nn. 108/2005, 62/2005, 307/2004, 536/2002, 407/2002) e, in particolare, criteri di contemperamento dei “valori” sulla base dell’interesse nazionale, in quanto problematiche di rilievo sovra-regionale, quali, ad esempio, l’individuazione di un sito unico per i rifiuti radioattivi prodotti in Italia ed i limiti di tollerabilità delle emissioni elettromagnetiche (sentenze nn. 62/2005, 307/2003). In sostanza, il “limite” tra competenze statali e regionali risulta costruito dall’interesse che prevale in relazione alla singola fattispecie: qualora nel bilanciamento degli interessi prevalgano esigenze di carattere unitario, non suscettibili di essere derogate neppure in melius, secondo il Giudice costituzionale la competenza a legiferare in materia non può che essere statale. La categoria delle “materie trasversali”, come la “tutela dell’ambiente” determina, quindi, una sorta di “confine mobile” fra materie di competenza statale e regionale. L’interesse nazionale, seppure non più esplicitamente presente nella carta costituzionale, appare, pertanto, sopravvissuto sebbene trasfuso nel principio di sussidiarietà (vds. sentenza n. 62/2005), costituendo una clausola di flessibilità nel riparto di competenze tra Stato e Regioni a garanzia del principio di unità ed indivisibilità della Nazione (art. 5 cost.). Tuttavia, a differenza del quadro normativo previgente alla legge costituzionale n. 3/2001, emerge una sensibile novità: la tutela degli interessi riguardanti le “materie trasversali” non può non essere perseguite se non con il rispetto della leale collaborazione fra i vari soggetti della Repubblica, attraverso le varie ipotesi di relazioni istituzionali, in particolare mediante lo strumento dell’intesa (vds. sentenza n. 62/2005).
Ed ora la Regione autonoma della Sardegna sta portando avanti il complesso processo di pianificazione paesaggistica ed ha avviato anche un altro fondamentale tassello per la salvaguardia dei propri litorali con l’istituzione del Servizio per la Conservatoria delle coste, per la tutela e la corretta fruizione del patrimonio ambientale costiero, dando proprio corpo alle disposizioni costituzionali (articolo 9), agli obblighi internazionali scaturenti dalla Convenzione europea sul paesaggio (Firenze, 20 ottobre 2000) ed al proprio quadro normativo .

Dott. Stefano Deliperi